Solo maestro a bordo,
Mons. Fellay tenta di fare interdire i sacramenti ai laici refrattarii

di Antoine-Marie Paganelli

Pubblicato sul sito dell'Institut Chrétien de Recherches et d'Etudes Sociales
il 17 gennaio 2014


Parte Prima - La giurisdizione della FSSPX è una giurisdizione di supplenza
Parte seconda - Ogni giurisdizione deve rimanere sottomessa alla morale

Parte Prima

La giurisdizione della FSSPX è una giurisdizione di supplenza



Venuto alla luce nell’aprile del 2012, il cambiamento di rotta della FSSPX si arricchisce oggi di inquietanti derive morali. Abbiamo deciso di parlarne nella speranza di indurre Menzingen a maggiore prudenza e delicatezza nell’esercizio della sua giurisdizione. La gran parte penserà: “Quali cambiamenti? Quali derive? Noi non ce ne siamo accorti!”. E sia!
Cominciamo allora con i cambiamenti.

Cambiamento dal 2006 al 2012

L’anno 2012 è stato contrassegnato in seno alla FSSPX da un evidente cambiamento di prospettiva e di strategia. Cambiamento negato dai suoi stessi autori (Perché non è stato firmato alcunché! – si dice). Fatto sta che la cosa perdura.
In che consiste questo cambiamento?
In questo: prima del 2012 la FSSPX escludeva ufficialmente la possibilità di una “riconciliazione” con Roma se non prima si fosse visto il magistero della Chiesa ritornare alla Tradizione.
La posizione del 2006 si fondava sull’esperienza più che trentennale di rapporti con Roma. Questa esperienza aveva dimostrato che era illusorio aspettarsi chissà che dal Vaticano se prima esso non fosse ritornato alla Tradizione.
Oggi la Fraternità non rifiuta più la possibilità di un tale riconciliazione, anche se Roma rimane fuori dalla Tradizione. Infatti, il Capitolo Generale del 2012 ha esplicitamente ammesso la possibilità di un accordo pratico con le attuali autorità romane, senza accordo dottrinale, com’è stato poi confermato il 27 giugno 2013 dalla dichiarazione dei restanti tre vescovi della Fraternità, dichiarazione presentata peraltro nel trentesimo anniversario delle consacrazioni episcopali del 1988 (1).

Irrigidimento della posizione di Menzingen

Fatti concernenti i laici

Vediamo adesso cosa significa questa riconciliazione alla Roma attuale. Per “riconciliazione” bisogna intendere l’ottenimento di un riconoscimento, di una “regolarizzazione canonica”, che potrebbe prendere la forma di una Prelatura personale (2). La questione sta nel sapere se questo nuovo orientamento persiste nel 2014.
Ebbene, sì, persiste!
Tra i segni rivelatori della persistenza di questo progetto di conciliazione, occorre annoverare anche l’irrigidimento visibile dei rapporti di Menzingen con i fedeli e i chierici che osano manifestare pubblicamente la loro opposizione.
Numerosi sacerdoti hanno dovuto lasciare la Fraternità; dei ragazzi sono stati espulsi dalle scuole negli Stati Uniti; dei fedeli sono stati minacciati o effettivamente privati dei sacramenti, in Francia, in Inghilterra, in Polonia, nel Messico, in Uruguay, in Argentina, in Italia, ecc. Si è perfino espulso Mons. Williamson, uno dei quattro vescovi consacrati nel 1988 da Mons. Lefebvre. Per la stessa ragione, nel giugno del 2012, le ordinazioni dei Cappuccini e dei Domenicani sono state annullate. Cosa mai vista nel mondo della Tradizione.
Ecco quali sono i guasti. Da parte nostra constatiamo che contro i laici si adottano delle misure disciplinari con una disinvoltura inaudita. Questo punto è l’oggetto del presente articolo.
Esaminiamolo più a fondo.


Un esempio fra molti altri

In uno dei Priorati di Francia, un sacerdote ha ritenuto di avvisare i fedeli dicendo: “Se vengo a sapere che vengono a Messa persone che durante la settimana criticano la Fraternità, non esiterò a privarli dei sacramenti”. Un altro sacerdote dello stesso Priorato, dopo la dichiarazione del 27 giugno 2013, avvisa dal pulpito che non tollererà più delle critiche contro la Fraternità. Tanto che in questo Priorato diversi fedeli hanno preferito non andare più o Messa, hanno perduto ogni fiducia nei sacerdoti e hanno ritenuto di non esporsi allo scandalo.
Che pensare di questa pastorale e delle sue conseguenze? Ne deriva una sfiducia tra laici e un’atmosfera poco propizia ad una confessione. Si fa di tutto perché la virtù di religione a poco a poco si raffreddi.
Che vogliono questi sacerdoti?
Un’obbedienza senza fiatare? Il rispetto?
È necessario ricordare che l’intenzione dei laici non è di attaccare la Fraternità, ma di difenderla dall’attuale inversione di marcia?
Per anni, questi laici hanno sostenuto la Fraternità col loro tempo e il loro denaro; l’hanno difesa contro il clero conciliare nelle loro famiglie e nel loro ambiente. Le cappelle da cui si minaccia di cacciarli, sono loro che hanno aiutato a costruirle. Non è l’istituzione ad essere criticata, ma le opzioni adottate dal gruppo dirigente di Menzingen. La Fraternità che essi hanno amata è oggi in preda alla sovversione: Menzingen parla di volersi sottomettere al magistero modernista romano (3).
Tutti gli sforzi sostenuti da questi laici non miravano a questo!

Limite di giurisdizione

I sacerdoti che privano i fedeli dei sacramenti, hanno il diritto di farlo?
Per valutarlo, ricorriamo a dei buoni autori.
Frassinetti (4) indica (t. II, § 612, p. 362): «La censura non può essere comminata né ai fedeli, né alle persone su cui non si ha giurisdizione».
Bisogna dunque precisare la natura e i limiti della giurisdizione dei sacerdoti della Fraternità.

Certo, la Fraternità gode di una giurisdizione reale. Non lo neghiamo. Ma è opportuno delinearne i contorni. Con Menzingen che emette o permette che si emettano delle censure che privano i laici dei sacramenti, siamo ancora nello spirito del fondatore di Ecône? Vi sono buone ragioni per dubitarne.
Voler giudicare la liceità (la conformità giuridica) di questi atti, ci porta su un terreno delicato. Si sa che la Chiesa conciliare rifiuta ogni giurisdizione alla FSSPX. Il potere di giurisdizione di Mons. Fellay non viene dunque dal Vaticano.
Da dove può venire? Da Mons. Lefebvre? Dagli stessi fedeli?
La situazione della FSSPX non è semplice: il potere dei sacerdoti e dei vescovi della FSSPX non è fondato alla stessa maniera dell’autorità esistente ordinariamente nella Chiesa. Rileggiamo ciò che scriveva Sel de la Terre, n° 87, pp. 139-140, a proposito della giurisdizione sui laici (5):
«Bisogna innanzi tutto ricordare che nella Chiesa vi sono due poteri: il potere di ordine e il potere di giurisdizione.
- Il potere di ordine, potere di santificazione, viene dal carattere sacerdotale, segno spirituale ineffabile impresso nell’anima del sacerdote il giorno della sua ordinazione, che gli conferisce i poteri sacerdotali di Cristo.
Questo potere di ordine comporta il potere radicale di organizzare la Chiesa, di gerarchizzare la Chiesa. Esso richiede normalmente un altro potere: il potere di giurisdizione. È normale infatti che un vescovo o un sacerdote abbia un particolare gregge su cui possa esercitare questo potere di ordine (6).
- Il potere di giurisdizione è tale potere di governo: il potere di pascere il gregge (…), ma questa giurisdizione si distingue a sua volta in due:
La giurisdizione ordinaria è quella “che è legata al diritto stesso di un officio (can. 197 § 1). È quella del vescovo diocesano, del curato della parrocchia,  di un superiore religioso esente, ecc, i quali hanno ricevuto il loro incarico dalla gerarchia ufficiale, per ciò che si chiama “missione canonica”.
- La giurisdizione di supplenza è una giurisdizione di emergenza, data dal diritto, in caso di necessità, ad ogni vescovo o ad ogni sacerdote, in vista del bene comune, quand’egli non abbia ricevuto dall’autorità i poteri necessarii.»

Più avanti (p. 142), l’articolo precisa:
«Il ministero della predicazione e dei sacramenti dà un’autorità ai vescovi e ai sacerdoti sui fedeli che ne beneficiano, come spiegava Mons. Lefebvre:
Nella misura in cui i fedeli chiederanno ai sacerdoti e al vescovo i sacramenti e la dottrina della fede, questi hanno il dovere di vegliare alla buona ricezione e al buon uso di questa dottrina e di questi sacramenti. I fedeli non possono chiedere i sacramenti e rifiutare l’autorità dei sacerdoti e del vescovo (7).
Bisogna tuttavia precisare che un’autorità di supplenza non ha le stesse caratteristiche dell’autorità esistente ordinariamente nella Chiesa:
- Essa non è una giurisdizione territoriale come quella del vescovo diocesano o del curato della parrocchia: essa si esercita solo sulle persone che vi ricorrono.
- Essa si esercita caso per caso, dunque non abitualmente, il che significa che le persone che ne beneficiano possono ritirarsi, e l’autorità di supplenza non ha alcun potere per farle ritornare.
- Essa dipende dal bisogno del fedele, visto lo stato di crisi. È nella misura in cui i fedeli hanno bisogno di questi vescovi o sacerdoti per la salvezza delle loro anime, che la Chiesa crea questo legame di autorità tra loro.
Tutto questo dimostra che la giurisdizione di supplenza dà un’autorità limitata, assai delicata da esercitare.
L’autorità giurisdizionale, non venendo al vescovo da una nomina romana, ma dalla necessità della salvezza delle anime, egli dovrà esercitarla con una delicatezza particolare (Mons. Lefebvre, nota del 20 febbraio 1991). Lo stesso vale per i sacerdoti. (8

Questa giurisdizione di supplenza, che è reale, tuttavia non dà ai sacerdoti il potere di imporre ai laici una qualsivoglia pastorale. In particolare, quanto al rifiuto dei sacramenti essi devono conformarsi alle leggi della Chiesa, così che tale rifiuto può giustificarsi solo per i pubblici peccatori, per gli eretici notorii o anche per le persone il cui stato fisico non permette l’amministrazione dei sacramenti.
Quando si chiedeva a Mons. Lefebvre da dove gli veniva la sua legittimità, egli rispondeva che la traeva dalla suprema legge della Chiesa: la salvezza delle anime. Salus animarum suprema lex. Nella Chiesa, questa legge è al di sopra di tutte le altre leggi. Sicché egli intendeva regolare la sua azione secondo il bisogno delle anime. Quindi, Mons. Lefebvre non considerava che egli avesse tutti i diritti. Egli ha sempre rifiutato di fondare una Chiesa parallela. Non rivendicava alcuna giurisdizione al di fuori della stessa Fraternità. Non voleva neanche essere considerato come il capo fila della Tradizione. Nella sua omelia a Lille, nel 1976, dichiarò: «Si dice che io sia il capofila della Tradizione. Io sono il capofila di niente.» Con questo egli intendeva dire che non aveva alcuna giurisdizione permanente sui diversi gruppi religiosi esistenti nella Tradizione. In quanto vecchio missionario, egli si accontentava di formare dei sacerdoti nel seminario di Ecône, per inviarli laddove lo richiedesse il bisogno delle anime. La gerarchia che formavano questi sacerdoti era solo una gerarchia di supplenza. Il vescovo fondatore assumeva il potere di giurisdizione solo per quello che era necessario per la salvezza delle anime.
Chi si preoccupa oggi della particolarità di questa situazione?

Rispondere ai bisogni dei fedeli

I principii del diritto canonico sono interamente ordinati alla vita soprannaturale, alla suprema legge della Chiesa, cioè al bene delle anime. L’apostolato della Fraternità è fondato su questo solco. Pertanto, il potere affidato ai vescovi e ai sacerdoti della FSSPX non è illimitato. Ecco quello che scriveva ai suoi sacerdoti, il 27 aprile del 1987, l’antico Arcivescovo di Dakar, fondatore della Fraternità (9).
«Il canone 682 del vecchio Diritto Canonico [1917] recita: “i laici hanno il diritto di ricevere dal clero i beni spirituali, soprattutto gli aiuti necessari alla salvezza”. Ora, essi non li ricevono più dall’attuale clero progressista, l’insegnamento conciliare conduce alla perdita della fede e all’apostasia; i riti in continua evoluzione, conferiscono ancora la grazia? Davvero ce lo si può chiedere. I fedeli ancora cattolici sono parecchio in una situazione spirituale disperata.
Il nostro ruolo è dunque quello di moltiplicare i sacerdoti cattolici che possano andar loro in aiuto, per procurare loro la fede cattolica e la grazia della salvezza. È questo loro appello, nella loro tragica situazione, che intende la Chiesa, ed è in tali circostanze che essa ci dà la giurisdizione.
È per questo che io penso che noi dobbiamo recarci soprattutto laddove ci si chiama, e non dare l’impressione che abbiamo una giurisdizione universale, né una giurisdizione su un paese o su una regione. Questo significherebbe fondare il nostro apostolato su una base falsa e illusoria.»

Nel corso degli anni, la FSSPX si è attenuta al potere limitato delegatole dal suo fondatore. Oggi tutto si svolge come se Menzingen pensasse di dover allineare tutti i fedeli e tutte le istituzioni religiose che si richiamano alla Tradizione, sulle sue opzioni particolari; i responsabili di Menzingen dimenticano il carattere caso per caso, personale e temporaneo, della giurisdizione di supplenza e la estendono sulla base delle misure permanenti e generali che intendono adottare. Questo non è più un rispondere all’appello delle anime. Questo significa uscire dai limiti della giurisdizione di supplenza.
Da quando in qua i fedeli della Tradizione fanno parte della FSSPX?
Gli Statuti del 1970, all’articolo 1, stabiliscono: La Fraternità è una società sacerdotale di vita comune, senza voti, sull’esempio delle società delle Missioni Straniere.
I fedeli laici non sono destinati al sacerdozio, non sono legati alla FSSPX come un parrocchiano può esserlo col curato di una parrocchia. Quando un fedele fa appello ad un sacerdote della Fraternità per confessarsi, questo sacerdote riceve dalla Chiesa il potere di ascoltare la confessione e di assolvere. Il fedele non ha alcun obbligo di approvare Mons. Fellay nella sua ricerca di una prelatura personale. Su questo punto, si è instaurata una fastidiosa ambiguità. La Fraternità usurpa un ruolo che non ha. Questa usurpazione non è di Chiesa. La Fraternità non ha altra giurisdizione che quella che deriva dall’obbligo provocato dalla richiesta dei fedeli.
Quando la FSSPX, con i gruppi religiosi, con i fedeli che frequentano le cappelle, vale a dire con l’intero ambito internazionale della Tradizione, si comporta come se avesse la stessa giurisdizione che ha con i suoi membri (sacerdoti, seminaristi, frati e suore che si sono impegnati con i voti), è evidente che esula dalla giurisdizione di supplenza.
È per stabilire questa nuova concezione che Menzingen fa così uso dell’autorità? In Inghilterra, in Italia, dei fedeli sono stati pregati (per telefono!) di non mettere più piede nelle cappelle. Motivo di questa censura? La gestione di siti internet che criticano il nuovo orientamento di Mons. Fellay.
Sottolineiamo questa contraddizione nell’attitudine di Menzingen. La vera giurisdizione della FSSPX è una giurisdizione di supplenza fondata sullo stato di necessità, per rispondere ai bisogni delle anime. Quando si rivendica una giurisdizione più universale e permanente, questo è possibile solo se si tratta di una giurisdizione data dal Papa stesso o da una delega del vescovo diocesano. Ma è proprio questo l’intoppo: la FSSPX non ha alcuna missione canonica e non riceve alcuna delega da un qualche vescovo diocesano.
Se la Fraternità ritiene di avere un tale potere di giurisdizione coercitiva, che lo provi invece di affermarlo senza alcuna argomentazione.
Ecco ciò che dicono i canoni 200 e 203 del codice del 1917:
Can. 200 § 2 – A colui che afferma di avere un potere per delega, incombe l’obbligo di dare la prova di questa delega.
Can. 203 § 1 – Il delegato che supera i limiti del suo mandato, riguardo sia alle persone, sia alle cose, non produce alcun effetto di diritto.

La conclusione di questa prima parte è che questo cambiamento di rotta, venuto alla luce nel 2012, mette la Fraternità fuori dai limiti del suo potere legittimo. Si tratta di una grave deriva che la morale non sopporta. Essa attesta una mentalità autoreferenziale e dispotica, interamente priva di carità.
Che tutti i sacerdoti impegnati in quest’impresa aprano gli occhi.
È questa la preghiera che rivolgiamo alla misericordia della nostra Madre Celeste.

Parte seconda

Ogni giurisdizione deve rimanere sottomessa alla morale

Limiti della giurisdizione derivanti dalla stessa morale


Che valore hanno le minacce o le interdizioni che la FSSPX sembra voler moltiplicare?
È possibile una valutazione morale?

1. Quanto al fondo

Lo spirito della Chiesa, la sua morale, la sua disciplina, sono di tutt’altra natura. La teologia morale è sempre impregnata di giustizia e di carità. Per convincersene, basta ricorrere ai buoni autori.
Poniamo la domanda: Ritenere che non dovrebbe esserci alcun accordo con Roma, sarebbe un peccato pubblico che merita il rifiuto dei sacramenti? Quando lo stesso Mons. Fellay, in una conferenza a Kansas City, ha affermato che sarebbe stato una cosa non buona ottenere questo riconoscimento?
«Noi ringraziamo la Santa Vergine per essere stati preservati l’anno scorso da ogni sorta di accordo».
Quindi, voler cambiare l’orientamento era un’opzione quantomeno molto dubbia. Non c’era dunque alcun peccato nel rifiutarla.

Ascoltiamo Frassinetti:
«Per asserire che una cosa è peccato, bisogna portare a sostegno dell’asserzione un testo evidente della Sacra Scrittura o una definizione della Chiesa, o anche il consenso universale dei teologi.» (pp. 26-27).

2. Vi è stato peccato contro il principio di autorità?

Tuttavia, si può prendere in considerazione non l’oggetto materiale del nuovo orientamento della Fraternità, ma il fatto che esso è intimato dal Superiore Generale. Non ne deriva il dovere d’obbedienza?
Questa domanda equivale a chiedersi se una gerarchia ha il potere di rendere obbligatorio ciò che è dubbio.
«… Nelle questioni controverse, i predicatori e i confessori devono guardarsi dall’asserire che una cosa è peccato, e soprattutto peccato mortale, sulla base dell’autorità dei teologi o anche di numerosi teologi; una decisione simile richiede il consenso universale degli autori. Del pari, un confessore non potrà rifiutare, senza ingiustizia, l’assoluzione ad un penitente deciso ad agire contrariamente ad una opinione sostenuta da uno o più teologi, ma contestata da altri teologi cattolici» (p. 27).

Frassinetti è ancora più esplicito nel tomo II, poiché dà la ragione per la quale rifiutare l’assoluzione sarebbe un abuso del potere sacro. Un tale abuso provoca certamente l’ingiustizia.
Tomo II, n° 448, p. 123:
«Se un penitente in grado di formare da sé la sua coscienza, vuol seguire una opinione benevola che egli ritiene probabile, benché questa non sia tale agli occhi del confessore, egli ha il diritto di ricevere l’assoluzione, a meno che il confessore non abbia la certezza che tale opinione si basi su un falso fondamento.
La ragione è che il confessore non è, come il Papa, giudice delle controversie, ma solo della penitenza che meritano i peccati e della disposizione dei penitenti. Quando dunque il penitente ha confessato le sue mancanze ed ha la convinzione di poter seguire lecitamente una opinione sostenuta da un fondamento molto solido per poter essere vero, una opinione già ritenuta probabile da autori serii, questo penitente è certamente ben disposto: pertanto, ha diritto all’assoluzione e il confessore non può rifiutargliela senza ingiustizia grave

Questo paragrafo è completato da una nota che va nella stessa direzione:
nota 141 al n° 448
«Dal momento che i confessori non hanno alcuna autorità per decidere delle questioni teologiche, io ritengo, come Lugo ed altri autori citati da Sant’Alfonso, che il penitente ha evidentemente il diritto di mettere in pratica la sua opinione, dal momento che questa opinione è sostenuta da buoni teologi e di conseguenza ha una solida probabilità, almeno estrinseca; e questo anche quando il penitente fosse l’uomo più ignorante del mondo e la sua opinione apparirebbe assolutamente falsa al confessore. Infatti, quale forza ha il giudizio del confessore sulla probabilità di una opinione? Se l’opinione è solidamente probabile, sia in virtù dei motivi intrinseci, sia in ragione dell’autorità estrinseca dei buoni teologi, cosa può contro di essa il giudizio di un confessore? Fosse anche giudicata falsa da cento confessori, da un concilio diocesano provinciale o nazionale, essa continuerebbe a conservare la sua probabilità fino a che non fosse condannata dalla Chiesa.»

Il testo lascia capire che, in assenza del giudizio qualificato della Chiesa, nessun sacerdote, fosse anche il vescovo, fosse anche il Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, ha il diritto di imporre il suo punto di vista ad un penitente che sostiene l’opinione sostenuta da altri teologi qualificati.
Benissimo! Ma ora dobbiamo citare alcuni di questi teologi qualificati che sostengono un punto di vista diverso da quello di Menzingen. Eccoli: Don Pfeiffer, Don Chazal, Don Girouard, Don Pinaud, Don Rioult e tanti altri che, per adesso, non manifestano pubblicamente il loro disaccordo, ma che non potrebbero tardare a farlo; senza contare Mons. Williamson, già Direttore di seminario e professore di Don Bernard Fellay.

Il pretesto del bene comune, la qualifica di “sovversive” assegnata alle opinioni contrarie a quelle di Menzingen non ha alcun valore a riguardo, poiché il vero bene comune non va mai contro la morale (10) e quando si vuole cambiare astutamente (11) la finalità di un organismo è un po’ poco qualificare di sovversivi coloro che resistono a questa subdola sovversione.
La verità è che la Fraternità vuole estendere il suo potere. Essa non tiene più conto della particolarità della  sua giurisdizione. Essa si ritiene in diritto di decidere tutto all’interno del piccolo mondo che costituiscono i fedeli e le congregazioni legate alla Tradizione. Perpetuare il sacerdozio, conservare la Santa Messa e dottrina della Fede, assicurare l’apostolato ai fedeli, conferire loro i sacramenti di Nostro Signore Gesù Cristo, sono obiettivi che non bastano più ad alcuni. Essi sognano di costituire una sorta di mini Chiesa che benefici della protezione papale; una sorta di diocesi senza frontiere sulla quale, come nell’impero di Carlo V, il sole non tramonta mai. Noi siamo lontani, molto lontani, dalle basi poste da Mons. Lefebvre. Ecco perché la Fraternità trasgredisce i limiti e commette delle ingiustizie.
Del resto, non si tratta unicamente di ingiustizia contro i laici. Rifiutare i sacramenti non è la stessa cosa che rifiutare ingiustamente un aiuto finanziario o la concessione di un locale per le riunioni. Decidere dell’uso o del rifiuto dei sacramenti, senza una precisa giurisdizione o un motivo proporzionato, non significa disporre a proprio piacimento del potere divino?
A questo punto poniamo una domanda: l’obbligo creato dal bisogno del fedele, deve essere rispettato dal sacerdote?
Se la richiesta del fedele non è una bravata, non viene dal desiderio di prendersi giuoco del sacerdote (cosa che costituirebbe un peccato mortale), il sacerdote deve corrispondere a questo bisogno. Se egli lo fa solo a condizione che il laico sia d’accordo con lui, il sacerdote contraddice il proprio sacerdozio, che è il Sacerdozio di Cristo. Egli subordina il Sacerdozio di Cristo alle sue opinioni personali, fragili ed umane.

3. Vi è stata denigrazione?

Occorre tenere presente un altro aspetto. Da parte del fedele, non vi sarebbe una mancanza di rispetto, non vi sarebbe spirito di fronda, incitazione alla pubblica denigrazione, che possano nuocere alla reputazione di Mons. Fellay?
Ora, nessuno ignora che ognuno ha diritto alla sua reputazione. Un Superiore Generale più di un altro. Di conseguenza, i fedeli che hanno messo pubblicamente in discussione l’orientamento della FSSPX, non hanno commesso un’ingiustizia nei confronti di Mons. Fellay?
Per comprendere questa resistenza e questa inquietudine dei laici, bisogna ricordare che l’ottenimento di una prelatura personale farebbe dipendere la Fraternità direttamente dal Papa. La dichiarazione firmata da Mons. Fellay il 15 aprile 2012, riconosceva il magistero del Sommo Pontefice, la legittimità della Messa di Paolo VI, il nuovo Codice di Diritto Canonico, ecc. È per questo che molte persone in seno alla Tradizione hanno ritenuto che Mons. Fellay, per realizzare la sua chimera, fosse pronto a compromettere la fede dei fedeli.
Il Superiore della Fraternità ha condotto le sue trattative di nascosto, nel più grande segreto: c’era pericolo. Di conseguenza, molti hanno ritenuto opportuno avvertire quanta più gente possibile.
Hanno commesso un peccato di ingiustizia? Non è stata piuttosto Menzingen che, abusando della fiducia dei sacerdoti e dei fedeli, ha commesso un’ingiustizia?
E l’inganno continua ancora oggi, quando si dice che non è successo niente.

Ecco cosa dice Frassinetti a proposito della denuncia di persone pericolose.
«È insegnamento molto comune dei teologi che non si pecca mortalmente nel rivelare in un dato ambiente un delitto noto pubblicamente altrove, soprattutto se si tratta di persona pericolosa che gli abitanti del luogo hanno interesse a conoscere. Sembra anche che, in simili casi, la rivelazione non sia minimamente una colpa, quanto piuttosto un atto di carità; come quando si tratta di un uomo che peraltro si fa conoscere per seduttore della gioventù» (t. I, n° 246, pp. 458-459).

Sentiamo Gousset.
«Se si trattasse di certi crimini che rendono pericolosi gli uomini, noi pensiamo che si potrebbe farli conoscere e segnalare coloro che ne sono gli autori, anche negli ambiti lontani dove non sarebbero conosciuti per niente,  posto che lo si faccia in vista del bene pubblico» (Nota 86 al n° 246, p. 462).

Non v’è peccato da parte dei detrattori del nuovo orientamento. Una ritorsione nei loro confronti è un’ingiustizia ulteriore.

4. Che pensare di coloro che gestiscono dei siti internet e che si nascondono dietro degli pseudonimi?

Non v’è alcuna sovversione nel praticare i metodi necessarii a resistere davanti ad un pericolo grave. La risposta all’obiezione che critica le precauzioni prese degli internauti al fine di preservare la loro clandestinità, è della più semplice: questi internauti vogliono evitare che li si privi dei sacramenti. Poiché hanno visto con occhio inquieto i nuovi orientamenti della FSSPX, sanno che loro stessi parteciperebbero del peccato. Essere privati dei sacramenti significa correre il rischio di rimanere in stato di peccato, perfino di peccato mortale. Ricorrendo alla FSSPX, si attesta semplicemente che si riconosce il potere sacramentale di questi sacerdoti e che si pone la Salvezza prima di ogni altra considerazione. I laici proteggono dunque la loro vita soprannaturale. Il motivo è sufficiente perché non vi sia colpa alcuna.
Citiamo il Padre Charles Louis-Richard (12):
«Il timore giusto e fondato di qualche male considerevole, perdita della vita, dei beni, della libertà, ecc.… questo timore impedisce che si incorra nelle censure emesse contro i violatori dei canoni o dei precetti della Chiesa, quando la violazione è fatta senza disprezzo per la legge ecclesiastica e senza scandalo, perché si ritiene che in queste circostanze la Chiesa non voglia obbligare. Ma se si trattasse della violazione di un precetto divino o naturale, si incorrerebbe nella censura malgrado il timore, che in questo caso non impedirebbe che si pecchi mortalmente violando una legge naturale o divina e perciò stesso non sarebbe da ostacolo alla censura» (13).

I metodi subiti da Don Rioult e da Don Pinaud (furto del disco rigido del computer per leggerne la corrispondenza privata; usurpazione d’identità per condurre un’inchiesta volta a conoscere cosa pensassero questi e quelli) hanno dimostrato l’assenza di scrupoli nei valenti investigatori entrati al servizio di Menzingen. È comprensibile che ci si voglia proteggere da gente del genere, nonostante si tratti di sacerdoti di Gesù Cristo, che devono essere rispettati in quanto il loro carattere perdura malgrado tali turpitudini.

Conclusione
Nella conclusione della nostra prima parte, abbiamo visto che Mons. Fellay può rifarsi solo ad una giurisdizione di supplenza, cioè ad una giurisdizione caso per caso, personale e temporanea. Non si possono emettere delle censure quando non si ha giurisdizione sui fedeli. Ora, le censure sono state emesse a causa della resistenza alle manovre di riconciliazione. Se effettivamente vi fosse stato potere di giurisdizione in grado di costringere il mondo della Tradizione a condividere la nuova opzione di Menzingen, sarebbe stato necessario che Mons. Fellay ne producesse le prove. In caso contrario, se il fedele chiede i sacramenti per nutrire la propria anima, Mons. Fellay non può rifiutarglieli.
Nella nostra seconda parte, abbiamo visto che la morale vieta che si renda obbligatorio ciò che è dubbio. Ora, l’obbligo di coscienza di seguire il nuovo orientamento della FSSPX è più che dubbio, poiché l’orientamento scelto è pericoloso. Quindi non possono esistere delle censure nei confronti delle persone che rifiutano tale orientamento. L’accettazione di tale  orientamento non può diventare un presupposto obbligatorio per ricevere i sacramenti. Mons. Fellay e i sacerdoti della Fraternità non possono oltrepassare il diritto loro conferito dalla loro giurisdizione.
Quando non v’è peccato, non può esserci censura. Ora, il fatto di denunciare dei rischi reali per la fede non costituirà mai un peccato. Dunque non può esserci censura.
Infine, a causa delle minacce di rifiuto dei sacramenti avanzate nei confronti di certi fedeli, gli internauti si rifugiano nell’anonimato. Da parte loro, in questo vi è la volontà di preservare la loro vita soprannaturale. Questo timore impedisce che si possa incorrere nella censura. Peraltro, volerli scomunicare costituisce un eccesso che non tiene conto dei rischi di morte soprannaturale che comporterebbe l’assenza dei sacramenti.

Santissima Vergine, madre dei sacerdoti del mondo intero, pregate per i sacerdoti della FSSPX, pregate per quelli che sostengono sconsideratamente queste derive e per quelli che soffrono nel vedere le deviazioni della loro istituzione.

Antoine-Marie Paganelli

NOTE

1 – Si troveranno facilmente i testi del 2006 e del 2013, così come le relative analisi comparate, su tutti i siti della Resistenza. Citiamo solo: 
http://www.lasapiniere.info/ ; http://aveclimmaculee.blogspot.fr/. [Si veda: La crisi nella FSSPX]Vi sono molti siti refrattarii a questo nuovo orientamento, dove si potranno consultare i testi fondamentali [si veda la nostra pagina: La crisi nella Fraternità San Pio X].
2 – Qualunque sia il vocabolo impiegato: riavvicinamento, riconoscimento, regolarizzazione, ricollegamento, si tratta sempre di sottomettersi al magistero romano attuale.
3 – Si veda la dichiarazione del 15 aprile 2012 che Mons. Fellay ha inviato al cardinale Levada.
4 - Abrégé de la théologie morale de S. Alphonse de’ Liguori [Compendio della teologia morale di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori] di Giuseppe Frassinetti, Priore di Santa Sabina a Genova, tomi I e II, tradotto dalla settima edizione italiana da Don P. Fourez, dottore in teologia, curato-decano di Châtelet. Braine-le–Comte, Editore Lelong successeurs Zech & Fils, 1889. Abbiamo scelto questo autore per la sua vicinanza con Sant’Alfonso de’ Liguori. Gran moralista, Sant’Alfonso fu canonizzato en 1839. Divenne Dottore della Chiesa nel 1871, poi, nel 1950, Patrono dei Confessori e dei moralisti (Pio XII, Lettera apostolica Consueverunt omni tempore.)
5 – Articolo di Padre Marie Dominique O.P., L’exemption des religieux, un exemple de la sagesse de l’Eglise, pp.128-144. Affrontando la situazione attuale, l’autore parla del caso di necessità e della giurisdizione di supplenza che ne deriva. La lettura di questo articolo aiuta a comprendere il carattere delicato della’attuale situazione, poco compatibile con i frettolosi assolutismi, tanto penosi quanto privi di fondamento.
6 – L’articolo di Sel de la Terre cita Mons. Tissier de Mallerais, “Juridiction de suppléance et sens hiérarchique”, allocuzione di chiusura della giornata dei Circoli della Tradizione, Parigi, 1 marzo 1991. Mons. Lefebvre, “Note au sujet du nouvel évêque succédant à S. Exc. Mgr de Castro Mayer”, 20 febbraio 1991, pubblicata su Fideliter n° 82, luglio-agosto 1991, p. 17.
7 – Mons. Lefebvre, “Note au sujet du nouvel évêque succédant à S. Exc. Mgr de Castro Mayer”, 20 febbraio 1991, pubblicata su Fideliter n° 82, luglio-agosto 1991.
8 – I nostri lettori comprenderanno che, vista la serietà e l’importanza dell’argomento trattato, noi preferiamo “saccheggiare” l’articolo di Padre Marie-Dominique piuttosto che avventurarci in una dissertazione personale incerta. Grazie a Sel de la Terre!
9 – Lettera citata da Don Pivert nel libretto Des sacres par Mgr Lefebvre … Un schisme?, pubblicato da Fideliter nel 1988, pp. 55-60.  Questa pubblicazione è accompagnata da una lettera di Monsignore che si felicita con l’Autore: «Il lavoro che mi ha sottoposto – scrive Monsignore – è molto ben presentato e in effetti può dissipare le esitazioni che sono ancora numerose tra i chierici e i fedeli. È auspicabile che queste consacrazioni episcopali siano ben accette, anche se non c’è l’autorizzazione esplicita di Roma. È dunque molto utile diffondere questo studio
10 – Si deve distinguere fra bene comune, oggetto morale, e interesse generale, che può opporsi alla morale. Si veda Gv. XI,  45-57, dove Caifa dice: «Voi non capite nulla e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera».
11 – Qui alludiamo al “segreto” che Mons. Fellay usa ormai da diversi anni. Larvatus prodeo, diceva Cartesio.
12 – Questo autore domenicano (1711-1794) non ha niente del lassista timorato, pronto a scusare tutto. Contrario alla costituzione civile del clero, verrà processato dal tribunale criminale di Mons, in Belgio, e lì fucilato il 16 agosto 1794 per aver pubblicato uno scritto intitolato: “Parallèle des Juifs qui ont crucifié Jésus-Christ avec les Français qui ont tué leur Roi” [Parallelo tra i Giudei che hanno crocifisso Gesù Cristo e i Francesi che hanno ucciso il loro Re].
13 – Cfr. Charles-Louis Richard, O.P., Dictionnaire universel historique, dogmatique, canonique, géographique et chronologique des sciences ecclésiastiques. Vol 1, Cap. V: Des causes qui empêchent qu’on encoure la censure [Delle cause che impediscono di incorrere nella censura] § II, (1762).


aprile 2014

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