L’oscenità e il peccato nella società diventano oggetto di disquisizione ideologica

di Belvecchio





Questo nostro titolo parafrasa quello di un articolo di Avvenire (L’oscenità in classe diventa rissa ideologica), del 29 aprile u. s., circa la polemica sorta intorno all’uso capzioso in un liceo di Roma di un libro che pubblicizza e promuove i rapporti omosessuali.

A leggere l’articolo del giornale della CEI, sembrerebbe che lo scandalo dell’uso del libro sia dovuto al fatto che in esso vengono descritti degli atti omosessuali… non una parola sullo scandalo e sulla violazione del sesto Comandamento realizzata col parlare e col pubblicizzare il peccato contro natura.
Così, di fatto, Avvenire ammette tale peccato come cosa normale, mentre condanna ipocritamente l’oscenità della descrizione degli atti relativi.
Nell’articolo si cita, per puntualizzare, la nota frase magisteriale di papa Bergoglio: Chi sono per giudicare un gay? E l’articolista precisa che la frase va letta per intero, perché Bergoglio ha detto: Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?
Siamo al sofisma più volgare, poiché si vorrebbe far credere che Bergoglio non abbia dato una mano alla liceità della pratica omosessuale.
Noi che siamo notoriamente dei provocatori, ci permettiamo di fare un piccolo cambiamento nella frase di Bergoglio:
Se uno è Jack lo squartatore e cerca il Signore e ha buona volontà, ma ci sono io per giudicarlo?
Ecco, questa frase è omologa della prima, ma scommettiamo che suscita sconcerto e ripulsa?
Ma cosa c’entra, direbbe Avvenire, Jack lo squartatore violava chiaramente il quinto Comandamento, ed era malato… E allora, forse che l’omosessuale non viola il sesto Comandamento e non è malato?
Quindi, se fa inorridire la nostra parafrasi, perché non farebbe inorridire la frase di papa Bergoglio?

Ma torniamo all’articolo.
Dopo averlo letto, se si dovesse dire cosa propugni e cosa riprovi Avvenire, si rimarrebbe interdetti, perché in realtà ciò che regge l’articolo, sia pure indirettamente, è l’uso ripetuto del neologismo “omofobia”. Cioè una parola divenuta di uso comune e di cui pochi conoscono il vero significato.
Il termine, che deriva dal greco όμός (omos) = stesso e φόβος (fobos) = timore, paura, dovrebbe significare che si ha paura di qualcuno che è lo stesso, di noi, o che si ha paura di qualcosa che è la stessa di un’altra cosa, un’assurdità. Ma, ovviamente, il termine viene usato per estensione, in violazione della stessa lingua italiana, così che significherebbe che si ha paura di coloro che preferiscono gli altri che sono gli stessi di loro, e in senso più restrittivo, che si ha paura di coloro che sono attratti sessualmente da quelli del loro stesso sesso. Insomma una cosa prima assurda e poi complicatissima, mentre sarebbe bastato usare un altro termine, per esempio omosessuofobia, ma chiaramente questo avrebbe indotto molti a riflettere e l’effetto di suggestione sarebbe stato meno efficace.
Ma quello che ci preme fare notare è proprio la scelta di suggestione, legata all’uso di “fobia”. Così, secondo gli untori dell’ultimo aggiornamento sovversivo ci sarebbe della gente che ha paura dell’omosessualità, realizzando di fatto un comportamento pericolosamente aggressivo. Balle!
Nessuna persona normale ha paura dell’omosessualità, né realizza comportamenti aggressivi contro gli omosessuali. L’omosessualità è presente, come una delle tante anomalie, fin dalla notte dei tempi. Rientra tra i comportamenti deviati e devianti che da sempre l’uomo, offeso dal peccato originale o, se a qualcuno fa un migliore effetto, spinto a scadere nella bestialità, è portato ad assumere in violazione della propria stessa natura.
Nessuno si è mai sognato di guardare un omosessuale diversamente da quello che è, e di considerarlo e di trattarlo diversamente da  quello che è, nel più rigoroso rispetto dell’altro.
È ovvio che se uno è zoppo, nessuno sano di mente penserebbe di considerarlo non zoppo, e se uno è biondo, nessuno sano di mente si permetterebbe di apostrofarlo dicendo: ma che bella chioma nera!
In un mondo normale questo non accadrebbe, accade invece in un mondo impazzito come l’attuale, dove si pretende che se uno non è in grado di camminare, si deve far finta di niente e lo si deve considerare come “diversamente abile”: una solenne imbecillità che realizza ugualmente che il tizio non può camminare, ma che ipocritamente e falsamente fa finta di credere che in qualche modo possa camminare.
Solo un mondo che si nutre delle suggestioni devianti del Demonio può ritenere corretto e giusto che un anormale debba essere considerato normale.
In effetti, il termine a-normale, che significa letteralmente non-normale, non esprime né un giudizio, né un’opinione, ma una semplice constatazione, come si constata, e non si ritiene, che il sole sorge sempre e solo a Est.
Nel caso dell’omosessuale, che è una persona non-normale, semplicemente perché la normalità degli esseri viventi non è l’omosessualità, ma l’eterosessualità, in questo caso, constatare la sua anormalità significherebbe, secondo il termine imposto “omofobia”, offenderlo, violare la sua libertà, arrecargli nocumento.
Ci chiediamo: ma chi mai ha escogitato una tale castroneria che, tra l’altro, impone di considerare l’omosessuale per quello che non è, e che impone quindi di offenderlo?
Per di più, essendo il comportamento omosessuale generato da un disordine e dalla piacevolezza personale, in una società normale la cosa più corretta e più rispettosa da fare sarebbe ricordare all'interessato tale disordine e tale egoismo, e questo non per arrecargli nocumento, ma per fare il suo bene.
Se un uomo ruba in un negozio, non si fa il suo bene facendo finta di niente o facendogli credere che non stia facendo nulla di male: così si fa il suo male! E non parliamo dal punto di vista cattolico, ma dal semplice punto di vista del buon senso comune. Se uno sbaglia, o facendo una cosa che gli piace o facendo una cosa che non può fare a meno di fare, è giusto e salutare che lo si ammonisca. L’omosessuale no! Lui dev’essere lasciato in pace, perfino se ti si appiccica alle costole e pretende che l’anormale saresti tu, che non apprezzi la sua omosessualità.

Di tutto questo ragionamento, l’articolo di Avvenire non tiene minimamente conto, nonostante sarebbe compito della CEI informare correttamente i fedeli. L’articolo invece, con la scusa di raccontare il fatto, dà un incredibile spazio ai sostenitori dell’omosessualità pubblica, dichiarata e promossa universalmente, contribuendo così, anche senza volerlo, al dilagare dell’omosessualismo, e arrivando a tacere perfino il nuovo Catechismo che recita:
2357 - L'omosessualità designa le relazioni tra uomini o donne che provano un'attrattiva sessuale, esclusiva o predominante, verso persone del medesimo sesso. Si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile. Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni,  la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati».  Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.
2358 - Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova. Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione. Tali persone sono chiamate a realizzare la volontà di Dio nella loro vita, e, se sono cristiane, a unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione.

Ci rendiamo conto che questo stesso Catechismo (2358) può essere oggetto di cattiva comprensione a causa della sua mancanza di chiarezza, ma è compito dei Pastori chiarire e non confondere ulteriormente. Ci riferiamo alle espressioni “Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza” e “A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione”.
La prima necessita del chiarimento che “rispetto, compassione e delicatezza” devono riferirsi all’opera di misericordia “ammonire i peccatori”, che va compiuta sì con compassione e delicatezza, ma anche con la necessaria chiarezza e decisione, se si vuole portare il giusto rispetto a questi “uomini e donne”. Senza questo chiarimento si corre il rischio che “rispetto, compassione e delicatezza” finiscano col riguardare il peccato, piuttosto che il peccatore.
Se il peccatore dev’essere sempre trattato nel modo più cristiano, con la dovuta misericordia, perché riconosca la sua colpa e si ravveda, il peccato, invece, dev’essere trattato col necessario rigore, perché venga percepito con la dovuta ripulsa e venga fuggito. Si tratta dell’annoso equivoco della pratica esclusiva della misericordia senza il necessario rigore, introdotto nella condotta cristiana a partire dal Vaticano II e che continua a produrre guasti irreparabili nella predicazione degli uomini di Chiesa e nella pratica religiosa dei fedeli. Equivoco che dimentica che il bene del peccatore richiede la condanna del peccato insieme con la condanna del peccatore stesso che scientemente lo commette, senza contare che invece oggi si arriva fino all’assurdo che il peccatore si compiace e si gloria perfino del suo peccato, pretendendo addirittura che non venga considerato peccato e che venga accettato normalmente da tutti e da tutti liberamente praticato.
Siamo alla sovversione totale, e da parte dei Pastori siamo al grave peccato di omissione, come accade in questo articolo.

La seconda introduce un concetto nuovo, mai praticato prima cristianamente: la discriminazione; concetto che non appartiene alla coscienza cristiana, ma che è mutuato dalla mentalità moderna che pretende che ogni tipo di “ammonimento” cristiano sarebbe inaccettabile e “discriminatorio”. Anche qui, senza il necessario chiarimento, si corre il rischio di far proprio il concetto anticristiano ed avallare il peccato e il peccatore.
È quello che fa l’articolo in questione.

Un'ultima considerazione.
L’articolo conclude rilevando che «Ieri mattina poi è scattata la strumentalizzazione di Forza Nuova e Rotta di collisione: le organizzazioni di estrema destra hanno manifestato davanti al liceo con fumogeni gialli, croci celtiche e striscioni deliranti: «Maschi selvatici, non checche isteriche». La provocazione perfetta per dare il 'La' al coro filo-gay».
Com’è evidente, l’allineamento di Avvenire con la vulgata corrente “filo-gay” non è neanche tanto dissimulata, poiché, oltre alla supposta “provocazione”, non c’è una parola sulla difesa del cattolicesimo realizzata di principio e di fatto da giovani cattolici fedeli all’insegnamento della Chiesa. Costoro, more solito, vengono liquidati come “organizzazioni di estrema destra” dediti alla “strumentalizzazione”. Non si dice che difendono la morale cattolica, li si accusa invece di dare una mano al “coro filo-gay”; non si riportano, per dovere di cronaca, il loro pensiero o le loro ragioni, ma si fa solo propaganda agli stessi filo-gay riportando virgolettate le frasi di autorevoli esponenti dell’omosessualismo.

Per chi lavora Avvenire?

Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che si addiceva al loro traviamento..... E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa (Rm. 1, 26-32)

Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci erediteranno il regno di Dio (1 Cor. 6,9-10)





maggio 2014

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