Si continua!

Un articolo a proposito dei matrimoni della Fraternità


di Don Michele Simoulin







L'articolo è stato pubblicato nel numero di giugno 2017 de Le Seignadou.

In esso l'ex Superiore del Distretto italiano della Fraternità affronta a suo modo la questione della nuova disposizione di Papa Francesco sui matrimoni della Fraternità San Pio X, partendo da alcune pesanti considerazioni relative all'inziativa presa dai Decani della Fraternità riguardo a questa nuova disposizione romana.

Don Michele, a suo modo, rappresenta una certa parte della Fraternità: quella che sembra essere indifferente al fatto che dopo più di quarant'anni di resistenza si possa corrispondere all'abbraccio mortale della Chiesa conciliare.

E' a questo titolo che pubblichiamo il suo intervento tra i documenti.


Per più di 20 anni io ho occupato posti di responsabilità: rettore, direttore, priore-decano, superiore… Per grazia di Dio, dal 2004 mi trovo nella posizione di rendermi conto che non sono più in gamba degli altri e di vedere le cose con più distacco.
Quando si è superiore si rischia facilmente di credere che si abbia necessariamente ragione e, se si ha un temperamento scrupoloso, pessimista, diffidente, inquieto, suscettibile, e cioè pretenzioso ed arrogante – cosa che è segno di mediocrità – si può perfino arrivare a dare lezioni ai propri superiori! E ho imparato a temere quella brutta piega intellettuale che porta a considerare che ogni superiore sia necessariamente in errore quando il suo giudizio è diverso dal nostro!

Perché vi confesso questo? Perché mi è capitato di sbagliarmi quando il timore di errare (o l’umiltà) non accompagnava le mie riflessioni e le mie scelte! Io non ne vado particolarmente fiero, ma questo mi ha reso forse più prudente (in mancanza dell’umiltà!). Ma questo rimembrare mi ha fatto venire in mente certi ricordi.

Mi ricordo per esempio che, agli inizi, Monsignore incoraggiava i suoi sacerdoti a cercare dei parroci disposti ad accoglierli per i matrimoni e ricevere i consensi, al fine di evitare rischi di contestazione. E’ capitato a tutti di procedere così e nessuno ha trovato da ridire.

O anche, quand’ero giovane suddiacono, accompagnai Mons. Lefebvre alle esequie di sua cognata. Monsignore esitò, ma poi scelse di assistere alla Messa (nuova) prima di dare l’assoluzione. Alcuni giorni più tardi, in certi bollettini apparve un articolo: Ricongiungiamoci! L’esempio viene dall’alto! Nata nella chiesa conciliare tramite Mons. Charrière, il 1 novembre 1970, nella diocesi di Friburgo, La Fraternità Sacerdotale San Pio X (FSSPX) ritorna oggi alla chiesa conciliare! Il suo fondatore, Mons. Marcel Lefebvre, ha dato un bell’esempio, partecipando «attivamente», il 30 giugno 1980 al rito conciliare… ecc…

Niente di nuovo sotto il sole!

Un altro ricordo più recente è quello di certe riflessioni di un venerando corrispondente, che evocava il tema ben noto della comunione con la Chiesa spirituale, della fede della Chiesa senza necessità del ricorso alla comunione gerarchica. Questo è quanto reclamavano gli eterodossi della fine del Medio Evo e che il Concilio di Costanza condannò in Giovanni Huss. Secondo San Tommaso d’Aquino e i suoi migliori commentatori: dal momento che la necessità non fa legge, se si presenta il caso di necessità, la legge della Chiesa non impedisce che il sacerdote assolva anche sacramentalmente, dato che ha il potere delle chiavi. E’ ciò che si chiama supplenza della Chiesa: Ecclesia supplet. Ma quando noi parliamo di Chiesa, si tratta della Chiesa non separata dal suo capo visibile. Questa supplenza di giurisdizione si esercita solo per la relazione essenziale che ogni ministro deve mantenere nella Chiesa almeno col suo capo supremo.

Fare a meno del legame con Pietro, vivere ed agire come se egli non esistesse, significherebbe privarsi di questo potere di supplenza.

In breve, io non voglio annoiarvi con i miei ricordi, ma essi fanno parte della formazione del mio pensiero, senza dubbio limitato e meno illuminato di altri… il che mi preserva dal voler dare lezioni ai miei superiori.

Detto questo, osservo che gli atti di Giovanni Paolo II con l’indulto del 1984 e di Benedetto XVI con il motu proprio del 2007, che avevano per oggetto il riconoscimento che la Messa Tridentina non fosse stata mai abrogata e ne permettevano dunque la celebrazione, soffrivano di un profondo illogismo, in quanto accordavano la facoltà di questa celebrazione a coloro che non contestavano le dottrine del Concilio Vaticano II. Perché illogismo? Perché la fedeltà alla Messa è intrinsecamente legata alla fedeltà alla dottrina, di cui essa è l’espressione e il bastione: Trento e la sua Messa o Vaticano II e la sua Messa. Per essere coerente, la scelta dev’essere totale.
E l’indulto del 1984 era già incoerente: «Con ogni chiarezza deve constare anche pubblicamente che questi sacerdoti ed i rispettivi fedeli in nessun modo condividano le posizioni di coloro che mettono in dubbio la legittimità e l’esattezza dottrinale del Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970.» Questo è l’illogismo del famoso nullam partem, che il motu proprio del 2007 non smentirà.
Se noi rifiutiamo il NOM, non è perché è meno bello o per una questione di latino o di orientamento, ma perché, come affermava il Breve esame critico del 1969: «il Novu Ordo Missæ, […] rappresenta, sia nel suo insieme come nei particolari, un impressionante allontanamento dalla teologia cattolica della Santa Messa, quale fu formulata nella Sessione XXII del Concilio Tridentino, il quale, fissando definitivamente i “canoni” del rito, eresse una barriera invalicabile contro qualunque eresia che intaccasse l’integrità del magistero. […] È evidente che il Novus Ordo non vuole più rappresentare la fede di Trento» definita di fede divina e cattolica.

Non è possibile separare la Messa e la dottrina, ed è illogico accontentarsi della Messa senza combattere le dottrine che la contraddicono!
Certuni si adattano, lo so, ma si tratta di un’attitudine monca, che non fu quella di Mons. Lefebvre e non è quella della Fraternità.
Allora, il fatto che Roma ci faccia dei favori è piacevole, ma questo non può soddisfarci; fin a quando Roma non accetterà di darci una dottrina conforme alla Messa che noi celebriamo, quella che non è mai stata abrogata, noi aspetteremo i momenti più favorevoli per cessare la nostra resistenza.

Quanto a Francesco, i suoi argomenti sono differenti, i suoi atti sono di ben altra natura. In effetti, egli non ha argomenti, e affronta tutto a suo piacimento: dottrina, morale, diritto canonico, ecc. La situazione è veramente inedita e teologicamente assurda: «malgrado la persistenza oggettiva, per il momento, della situazione canonica illegittima nella quale si trova la Fraternità San Pio X» [Lettera dell'Ecclesia Dei ai vescovi - 27 marzo 2017] si riconosce che noi abbiamo il diritto di fare ciò che facciamo da quarant’anni, senza cambiare niente della nostre posizioni!
In breve, questo sottintende, senza dirlo, che lo stato della Chiesa è tale che noi possiamo amministrare validamente i sacramenti; è quello che chiama stato di necessità, che fonda la giurisdizione di supplenza!

E’ la cosa più normale che il Papa non abbia cambiato niente di ciò che noi siamo:  egli non ci ha concesso niente, ma ha detto ai fedeli che le nostre confessioni sono valide (che significa ammettere lo stato di necessità) e ha detto adesso ai vescovi che possono «concedere anche i permessi per la celebrazione dei matrimoni dei fedeli che seguono l’attività pastorale della Fraternità».

Per far questo, egli invoca solo il suo desiderio di «evitare gli scontri di coscienza nei fedeli che aderiscono alla FSSPX e i dubbi sulla validità del sacramento del matrimonio, facilitando il cammino verso la piena regolarizzazione istituzionale». Si tratta dunque di una disposizione a favore dei fedeli e non di un nuovo diritto accordato ai nostri sacerdoti!
Questi atti non sono affatto il frutto di un accordo qualunque fra Roma e la Fraternità, ma sono degli atti unilaterali, non sollecitati né ottenuti con qualche manovra segreta. La Fraternità ne è stata informata, al pari di tutti, tramite la stampa! E la loro ragion d’essere è chiaramente affermata: si tratta del bene delle anime e non della situazione della Fraternità!
E’ chiaro, e in questo Francesco è logico, che egli spera che questo ci condurrà ad una «regolarizzazione istituzionale», ma questo non sta scritto negli atti stessi.

Certi vescovi, tra cui quello di Carcassonne e quello di Frejus, hanno già seguito le indicazioni di Roma, accordando ai nostri sacerdoti la facoltà di celebrare i matrimoni, e io non vedo come potremmo opporci a questo! Per rimanere puri da ogni compromesso, dovremmo rimandare al vescovo il suo decreto? Dire ai nostri fedeli che le nostre confessioni non valgono niente perché la loro validità è ammessa dal Papa?

Non dobbiamo essere idioti a forza di voler essere più intelligenti degli altri, e ammettiamo che la situazione è semplicemente assurda senza esserci sfavorevole: mentre siamo «fuori legge» i nostri sacramenti sono riconosciuti validi e conformi al diritto della Chiesa! Noi siamo in una situazione illegittima, ma competenti! Lo stato di necessità perdura e Roma non cambia in niente, ma dichiara che ciò che noi facciamo in ragione di questo stato di necessità corrisponde al diritto della Chiesa!
Certo, Roma si augura che noi ci rivolgiamo ai vescovi e riconosciamo così che non v’è più alcuna necessità, ma questo non illude nessuno: lo stato della Chiesa è ogni giorno più disastroso!

Tutto questo è chiaramente ricordato nell’analisi del documento approntato dai nostri superiori l’8 aprile 2017: «Questo stato di grave necessità nella Chiesa non è scomparso. Non si tratta di negare la terribile realtà. […] Per tutte queste ragioni, i fedeli si trovano in una condizione di necessità che permette loro di ricorrere ai sacerdoti della Tradizione. In virtù della legislazione della Chiesa, il loro matrimonio è certamente valido. Che oggi il Papa chieda ai vescovi di facilitare questo ricorso alla giurisdizione ordinaria, assicurando la regolarità del testimone autorizzato che è il sacerdote che riceve il consenso degli sposi, non fa cessare questo stato oggettivo di crisi della Chiesa. E non v’è dubbio che, nell’ipotesi che l’Ordinario rifiutasse sia di designare un sacerdote delegato, sia di «concedere direttamente le facoltà necessarie al sacerdote della Fraternità», questo celebrerebbe validamente in virtù di questo stato di necessità, in quanto il vescovo si opporrebbe manifestamente alla volontà del capo supremo della Chiesa.»

Che tutti si tranquillizzino, dunque: noi manteniamo sempre la possibilità di confessare e di celebrare i nostri matrimoni come sempre, senza chiedere niente all’Ordinario o al parroco, in ragione di questo stato di necessità. Il testo non impone alcun obbligo e si limita ad offrire una possibilità. Liberi noi di usarla o no.

Allora, come diceva Mons. Ducaud-Bourget: si continua, senza lasciarci turbare dagli inquieti seminatori di inquietudine e di sfiducia! Non dimentichiamo di pregare prima di parlare o di scrivere, e di pregare anche dopo averlo fatto.

Per i meriti infiniti del Sacratissimo Cuore di Gesù e del Cuore Immacolato di Maria, io vi chiedo la conversione dei poveri peccatori che siamo.



maggio 2017

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