A PROPOSITO DELLA VERA NASCITA DELLA RIFORMA LITURGICA
INTERVISTA DEL CANONICO ANDREA ROSE
NEL QUADRO DI UNO STUDIO STORICO
sulla riforma liturgica
Intervista concessa dal Canonico Andrea Rose
(oggi scomparso) a Stefano Wailliez,
nel quadro di uno studio storico sulla riforma liturgica.
L'intervista è stata pubblicata dal Courrier
de Rome giugno 2004
Canonico titolare della cattedra di Namur (Belgio), Andrea
Rose fu teologo e liturgista. Nei suoi numerosi scritti trattò dell’Ufficio
Divino e delle letture bibliche, approfondendo in due libri il significato
dei Salmi (Psaumes et prière chrétienne, Bruges 1965;
Les Psaumes, voix du Christ et voix de l’Eglise, Paris 1981). In
essi egli sosteneva che l’Antico Testamento dovesse essere interpretato
alla luce del Nuovo Testamento e degli scritti dei Padri della Chiesa.
Andrea Rose è stato consultore nel " Consilium
ad exequendam constitutionem de sacra liturgia ", l’organo preposto
all’applicazione della costituzione conciliare sulla liturgia (Sacrosanctum
Concilium), il cui segretario era mons. Annibale Bugnini.
Quando a questo Consilum subentrò la Congregazione
per il Culto Divino, il canonico Rose venne chiamato a farne parte
come consultore.
Egli collaborò alla revisione dei libri liturgici
per l’Ufficio Divino, nonché alla definizione delle nuove letture
bibliche, delle nuove orazioni e dei nuovi prefazi della Messa.
Non si riconobbe mai nelle posizioni " tradizionaliste
", quindi le sue osservazioni non possono essere considerate come dettate
da una visione particolare.
Peraltro, lo stesso si può dire per un altro componente
del Consilium, il Card. Ferdinando Antonelli, che espresse gli stessi
giudizi del canonico Rose e alle cui memorie ha attinto il Padre Nicola
Giampietro per la pubblicazione del suo libro: Il
Card. Ferdinando Antonelli e gli sviluppi della riforma liturgica dal 1948
al 1970, Ed. Centro Studi Sant’Anselmo, Roma 1998.
Curiosamente, questo libro non è più reperibile,
mentre le carte del Cardinale sono state “segretate”.
Lo stesso dicasi per il libro di memorie del Padre Alfonso
Pietro Salvini, Divagazioni di una lunga vita, Ed. Stella del Mare,
Livorno. |
Breve nota
Dopo aver letto attentamente queste dichiarazioni di un testimone oculare,
ci sarebbe da scrivere un libro intero sulla folle applicazione del Vaticano
II.
Ma alcune cose vanno subito dette.
1) Le critiche non sono una invenzione dei “nostalgici tradizionalisti”
2) I libri liturgici partoriti dal Consilium sono più
dei documenti da colpo di stato che dei documenti della Chiesa
3) Fu la formulazione dei documenti dello stesso Vaticano II a permettere
tutto questo
4) La connivenza dei vescovi fu ed è di una gravità
inaudita
5) L'ignoranza della dottrina e della liturgia rende vana qualsiasi
giustificazione
6) I danni provocati dal quarantennale uso di questi falsi libri liturgici
sono immensi e forse irreversibili
7) La promulgazione ufficiale di tali libri, che li ha fatti diventare
“legge della Chiesa”, non può annullare la loro generale contraddizione
con la Tradizione
8) Le insignificanti modifiche apportate nel corso di questi anni non
cambiano nulla dell'impianto devastante di questi testi
9) I convincimenti che li produssero, lungi dall'essere spariti si
sono rafforzati e sono diventati dottrina, liturgia e pastorale correnti
10) I pochi che vorrebbero attuare una riforma della riforma non possono
partire solo dallo status quo, ma debbono avere in vista una revisione
radicale dell'impianto, così come fu radicale lo stravolgimento
operato allora
Dio lo voglia! |
Stefano Wailliez (SW): Come consultore del
Consilium, voi avete fatto parte dei Coetus (gruppi di lavoro) n° 3,
4, 6, 11,18 bis e 21 bis. Quando si leggono le memorie di mons. Bugnini
si ha l’impressione che si trattasse di una macchina molto complessa. Vi
erano quasi trenta gruppi di lavoro.
Canonico Andrea Rose (CAR): Si, era una macchina
molto complessa.
SW: Ma allora, qual era la forza motrice
che stava dietro a tutto questo?
CAR: Era Bugnini.
SW: Di Bugnini si è parlato molto,
ma dovevano pur esserci altre correnti, altre tendenze, nel Consilium.
O questi vi regnava davvero come maestro indiscusso?
CAR: Ciò che so, è che mons. Martimort
non era molto d’accordo con lui. Egli lo criticava tutte volte che era
assente. Mi diceva: : " Questo Bugnini fa ciò che vuole ! ". Un
giorno mi ha detto: : " Sapete, Bugnini ha fatto una buona scuola media
". Era questo il giudizio di Martimort su Bugnini. All’inizio credevo che
esagerasse, ma poi mi sono reso conto che aveva ragione. Bugnini non aveva
alcuna profondità di pensiero. Fu una cosa grave designare per un
posto simile una persona che era come una banderuola. Ma si rende conto?
La cura della liturgia lasciata a un pover’uomo come quello, un superficiale…
SW: Le ho chiesto di Bugnini perché, per
altro verso, si conosce anche il ruolo svolto da Paolo VI, che seguiva
personalmente l’andamento delle cose.
CAR: È vero. Ma Bugnini era sempre dal
Papa, per informarlo. Un giorno, era all’inizio, quando i problemi non
erano ancora così gravi, ero in piazza San Pietro col Padre Dumas.
Abbiamo incontrato Bugnini, che ci ha indicato le finestre dell’appartamento
di Paolo VI, dicendo: " … pregate, pregate perché ci sia conservato
questo Papa ! ". E questo perché egli manovrava Paolo VI. Andava
da lui per fargli rapporto, ma gli raccontava le cose come piaceva a lui.
Poi ritornava, dicendo: : " Il Santo Padre desidera così, il Santo
Padre desidera cosà ". Ma era lui che, sottobanco…
SW: Si è detto che mons. Bugnini fosse
massone. Pensa che sia vero?
CAR: Ovviamente, bisognerebbe avere delle prove.
SW: Pensa che potesse averne la statura?
CAR: No, no. L’ho detto prima: non aveva alcuna
profondità di pensiero.
SW: Nessuna profondità…
CAR: In seguito ha scritto interi libri per giustificare
la sua riforma… Quando arrivai a Roma e andai a salutare Martimort, egli
mi raccontò tutte le manovre che Bugnini aveva messo in atto per
far passare tutto quello che voleva. Il Padre Martimort era un’altra cosa.
Aveva ben altra cultura. E criticava il modo di fare di Bugnini.
SW: Quando si esamina la nuova Liturgia delle
Ore, a cui lei ha lavorato, si resta colpiti dalle molteplici possibilità
di scelta. Si possono scegliere Salmi diversi da quelli indicati, altri
Inni, si possono tralasciare le Antifone, aggiungere momenti di silenzio,
altre letture, ecc. Il tutto : " per delle giuste ragioni pastorali ",
il che significa che si può fare come si vuole. Come ha reagito
quando è stato proposto questo rituale a scelta?
CAR: Nei libri, noi abbiamo messo solo ciò
che era ufficiale. Ma poi si è aggiunto " vel alios cantus, vel
alios psalmos " ecc., chi fosse stato contrario sarebbe stato trattato
da integralista.
SW: Ma questa estrema flessibilità
non pone dei problemi ecclesiologici?
CAR: Certamente. Se ognuno può farsi un
suo rituale, si tratterà ancora della preghiera ufficiale della
Chiesa? È sicuramente l’ecclesialità ad essere messa in pericolo
con questo nuovo rituale.
SW: Nei diversi Coetus dei quali ha fatto parte,
vi erano delle lotte a proposito di queste molteplici possibilità
di scelta?
CAR: Si. E Martimort era abbastanza contrario.
Ma Bugnini, che sovrintendeva tutto, era a favore.
SW: Per quanto riguarda le letture della Messa,
lei ha fatto parte del Coetus n° 4. Si trattava di arricchire i cicli
di letture. Che ne pensa della riforma che è stata realizzata su
questo punto?
CAR: È evidente che non si poteva ricalcare
ciò che si faceva prima. Voglio dire, per esempio: durante le Ottave
si ripeteva per otto giorni la stessa Messa, e le stesse letture. Non andava
bene. Ma quello che si è fatto, a questo proposito, avrebbe potuto
essere fatto in maniera più intelligente. Per esempio: io mi dolgo
del fatto che sono state soppresse le Quattro Tempora. Ed era proprio in
quel momento che vi erano da 3 a 5 letture prima del Vangelo. Ma
si è pensato bene di abolire proprio le Quattro Tempora! Per di
più, quei giorni sono qualcosa di molto antico, ed avevano conservato
l’originario carattere settimanale della liturgia: mercoledì, venerdì
e la grande vigilia della Domenica. Si è gettato tutto alle ortiche.
SW: E in tutto questo che ne è stato del
ritorno alla tradizione principale?
CAR: Evidentemente vi è dell’incoerenza.
Certuni, nel Consilium, volevano il ritorno alla tradizione principale
quando faceva loro comodo. Francamente, che si potessero effettuare delle
piccole riforme, d’accordo, ma ciò che si è fatto è
stato decisamente radicale.
SW: A proposito di questi cicli di letture nella
Messa, mons. Gamber ha detto: " questa nuova organizzazione delle letture
è stata chiaramente elaborata da degli esegeti non da liturgisti
". Visto che lei ha fatto parte di questi gruppi di lavoro, che ne pensa?
CAR: Gli esegeti comandavano. E anche gli ebraicizzanti.
Ma i primi cristiani hanno usato le versioni greche dei testi. Essi non
si preoccuparono delle " verità ebraiche ". E abbiamo dovuto riscoprirle
noi, nel XX secolo? … Lei parla di tradizione principale! E qual è
il senso della pastorale quando gli esegeti la vincono sui liturgisti?
In effetti, Bugnini, insieme a costoro, voleva trasformare la prima parte
della Messa in un corso di esegesi.
SW: Per quanto riguarda l’Ordinario della Messa,
lei non ha fatto parte del gruppo di lavoro relativo, ma pensa che anche
qui si possa parlare di cambiamenti radicali?
CAR: Certo. Coloro che si sono occupati della
Messa sono stati ancora più radicali di quanto lo fummo noi nell’Ufficio
Divino. Basta vedere come è stato quasi eliminato l’Offertorio.
Dom Capelle non voleva alcun Offertorio. " Si parla come se il sacrificio
fosse già compiuto. Si rischia di credere che tutto è stato
già fatto ", diceva. Non si rendeva conto che tutte le liturgie
contengono una anticipazione come quella, Ci si pone già nella prospettiva
del compimento.
SW: Non si tratta della mancanza di una prospettiva
finalista?
CAR: Si, e allora si è finito col sopprimere
tutto, tutto quello che era preghiera nell’Offertorio, perché, si
diceva, non si tratta ancora del sacrificio. Ma, insomma, qui siamo di
fronte a delle posizioni molto razionaliste! Una mentalità da scolaresca!
SW: Nella sua esperienza pastorale ha notato che
i fedeli avessero creduto che le oblate fossero già state consacrate?
Vale a dire: ha constatato la concretizzazione dei pericoli sottolineati
da dom Capelle?
CAR: Ma no, ma no. Mai! E poi, basta guardare
come si svolgono i riti orientali. Là è la stessa cosa. E
sarebbe interessante comparare tutte queste cose.
SW: Un altro punto importante del nuovo Ordinario
della Messa è la sparizione del Canone Romano. Esso è ancora
presente, più o meno, nella prima Preghiera Eucaristica, ma si tratta
della sola preghiera, quindi formalmente non è più il Canone.
CAR: Si, vi è stata la soppressione dell’Offertorio
ma anche la moltiplicazione delle preghiere eucaristiche, come dice lei.
Guardiamo la seconda Preghiera Eucaristica, essa è stata completamente
manipolata. E poi, se ne volevamo molte di più. È per
questo che io dissi di no, e fui messo alla porta. È tutta una storia.
SW: Vi è anche la questione delle traduzioni
per i paesi di lingua francese, sulla quale lei si è espresso molte
volte.
CAR: Si, è un problema enorme. Il Padre
Gy non vuole che se ne parli. Si è trattata dell’occasione per ficcarci
dentro tutto ciò che volevano.
SW: Nelle sue memorie, mons. Bugnini spiega che
quando non riusciva ad ottenere questa o quella formulazione nel testo
ufficiale in latino, diceva: " l’aggiusteremo nelle traduzioni ". Ha avuto
modo di sentirlo anche lei?
CAR: Ma certo! Lo dicevano a Roma. Dom Dumas ha
lavorato in questo senso. Egli era molto progressista. E anche lui diceva:
" lo aggiusteremo nelle traduzioni ". Si è molto spinto per la libertà
delle traduzioni e si è andati molto a fondo in questa direzione.
SW: Nella traduzione francese ufficiale del Credo
si trova l’espressione " della stessa natura del Padre " al posto del "
consubstantialem ". Non siamo al limite dell’arianesimo?
CAR: Certo, evidentemente.
SW: In Francia, si sono avute delle epiche controversie
nelle chiese, al momento delle Messe, per la questione della " stessa natura
".
CAR: Si, lo so, ma i vescovi approvano questa
versione. Essi approvano questa cosa e non vogliono cambiarla. In effetti,
non sono loro che l’hanno prodotta, ma la commissione, e loro non vogliono
sconfessare la commissione.
SW: Si è parlato molto degli osservatori
protestanti, e molto si è scritto su questo argomento. Ciò
che mi interessa sono i fatti. Lei ha visto questi osservatori nel corso
delle sessioni?
CAR: Sicuramente. Essi vi si trovavano, messi
da un lato, su un piccolo tavolo. Non parlavano. Che poi parlassero con
le persone di sfuggita è evidente. Non potevano non parlare. E dal
momento che non prendevano mai la parola in pubblico, hanno avuto una influenza
reale su certe cose? Occorrerebbero elementi concreti per rispondere.
SW: Io ponevo semplicemente la questione della loro
presenza, in un primo tempo. Detto questo, in un articolo di Notitiae,
n° 23, e in una testimonianza di Jasper, un osservatore anglicano,
si parla del fatto che gli osservatori non partecipassero al momento delle
riunioni, ma che tenessero in maniera sistematica delle discussioni con
i relatori, i presidenti dei gruppi.
CAR: Non lo si sapeva. Essi uscivano insieme,
ma questo non veniva annunciato ufficialmente. La cosa era un po’ inevitabile!
Ma noi non fummo mai informati. Ciò che è quanto meno curioso
è il fatto che non vi fosse alcun ortodosso… Costoro non avevano
fiducia fin dall’inizio, conoscendo il carattere rivoluzionario di molti
cattolici. E la cosa non piaceva loro. In fondo, sapevano bene come stavano
le cose.
SW: Lei ha detto che mons. Bugnini era un manipolatore.
Può essere più preciso?
CAR: Ero malvisto da lui perché non facevo
tutto quello che voleva e non accettavo tutta la sua creatività.
SW: Lei è stato allontanato perché
si è rifiutato di approvare il permesso per le Conferenze Episcopali
di comporre le proprie preghiere eucaristiche. Ne ha appena accennato.
La rottura si è determinata quindi sulla questione della creatività?
CAR: Si. Io feci un rapporto contrario e questo
ebbe come conseguenza il rigetto di tale permesso. Allora Bugnini pensò:
" quest’uomo è pericoloso ".
SW: A proposito della creatività, si tratta
di una pratica che c’è sempre stata, soprattutto nel dominio dell’arte.
Gli stili dell’arte sacra si sono sempre evoluti nel corso del tempo.
CAR: Io non sono contro la creatività per
principio. Ma essa deve fondarsi su una tradizione. Quanto questo non accade,
diventa non si sa bene che cosa.
SW: Lei ha fatto parte del gruppo 18 bis, che si
è occupato delle Orazioni del Messale. Dom Hala, di Solesmes, spiega
in Habeamus Gratiam, che nelle Collette " si è usati altri vocaboli
per delle ragioni pastorali ", e come esempio cita il fatto che " le parole
diabolus e diabolicus sono totalmente sparite dal nuovo Messale ".
CAR: Non si credeva più nel Diavolo. Almeno
alcuni. Ma le teste pensanti si sono dati da fare perché non si
facessero notare molto questi cambiamenti. Queste soppressioni non sono
state indicate come criteri di revisione. Ma chiaramente certuni nel Consilium
non credevano più nel Diavolo.
SW: Quando si parla del Consilium, si pensa sempre
ai consultori, agli esperti: il Padre Gy, Mons. Martimort, dom Botte, don
Vagaggini, Jungmann… e si dimenticano quasi i membri veri e proprii, i
vescovi, che erano i soli ad avere diritto di voto. Come spiega questo
fatto?
CAR: I vescovi che sedevano nel Consilium non
avevano niente di clamoroso. Due mi hanno lasciato un certo ricordo: Mons.
Isnard, di Nuova Friburgo (Brasile) e Mons. Jenny, di Cambrai. Gli esperti
erano molto competenti, essi sì. Ed erano quelli che facevano il
lavoro.
SW: Tra i vescovi membri del Consilium vi era il
celebre Mons. Boudon, Presidente della Commissione Liturgica della Conferenza
Episcopale francese. Era un incompetente?
CAR: Mi ricordo che egli era là, ma non
ha lasciato un ricordo indelebile. Il Padre Gy lo menava come voleva. L’intelletto
agente di Mons. Boudon era Padre Gy.
SW: A partire dal 1971-72, apparve chiaro che Paolo
VI cominciava a rendersi conto che certe cose non andavano bene.
CAR: Bisognava essere ciechi… Fu per questo che
lo stesso Bugnini finì per essere allontanato, e molto brutalmente.
Ma tutto quello che egli aveva fatto di male non venne toccato. Non si
osò ritornare su ciò che era stato promulgato.
SW: Sembra proprio che si delinei un movimento in
questo senso. Si parla sempre più di " liberalizzazione del messale
tridentino ", e adesso è la volta del Card. Sodano, Segretario di
Stato, che si riallaccia all’idea di una riforma della riforma.
CAR: Molto bene. Occorre uscire da questa situazione
prima possibile. Bisogna rivedere tutto questo. Ma si troveranno le persone
competenti? Occorre evitare che si designino delle persone come quelle
che hanno prodotto la catastrofe che conosciamo.
SW: Occorre invitare tutte le parti attorno ad un
tavolo?
CAR: Tutte le persone serie, desiderose di lavorare
per la Chiesa.
SW: Quando si parla della liturgia tradizionale,
si pensa evidentemente a Mons. Lefebvre e alla Fraternità San Pio
X, da lui fondata. Occorre invitare anche la Fraternità?
CAR: Ma certo. Occorre parlare con queste persone.
Esse talvolta hanno delle vedute fisse, e non comprendono sempre che fossero
necessarii degli adattamenti, soprattutto per quanto riguarda le letture
della Messa o del Breviario. Ma bisogna parlare con loro. Non si può
ascoltare chiunque, soprattutto i protestanti, e non invitare alla discussione
la gente di Mons. Lefebvre. Per contro, anche loro devono prendere
l’iniziativa di andare a trovare quelli che hanno il senso della tradizione,
anche se non sempre sono d’accordo con loro. Devono fare lo sforzo di uscire
dal loro guscio, bisogna mettere i problemi sul tavolo, onestamente.
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