IL RITO DI SAN PIO V NON È MAI STATO SOPPRESSO

Intervista del  
di S. Em. il cardinale  Arturo  Médina  Estévez

rilasciata congiuntamente alle riviste francesi La Nef e L'Homme Nouveau

 
Il cardinale Jorge Arturo Médina Estévez,  originario del Cile, è stato Prefetto della Congregazione per il Culto Divino dal 1996 al 2002. Avendo a cuore la qualità della liturgia egli ha fatto molto in questa direzione; qui riaccende il dibattito sullo “stato” del Messale di san Pio V. Secondo il cardinale la cosa è chiara: questo Messale non è mai stato abrogato o interdetto.
Intervista a cura dell'abbé Claude Barthe, Christophe Geffroy e Philippe Maxence
 
Il testo francese è stato pubblicato su La Nef n° 159, aprile 2005

La traduzione e le sottolineature sono nostre.


La Nef ­ Eminenza, quando Lei celebra la Messa secondo il rito di san Pio V, chiede il permesso?

Card. Médina Estévez ­ No, non chiedo il permesso, sia perché credo che il rito di san Pio V non sia mai stato canonicamente soppresso, sia perché sono membro della Pontificia Commissione Ecclesia Dei. A questo titolo, ritengo che la celebrazione del santo sacrificio della Messa secondo il rito di san Pio V faccia parte delle mie responsabilità. Ma, lo ripeto: su questo argomento si deve partire dal fatto che dal punto di vista giuridico non è possibile provare che il rito di san Pio V sia stato abrogato.


La Nef ­ Certo, ma dal momento che è stata studiata la possibilità di una autorizzazione per la Messa tridentina, Lei sa bene che si sono seguiti due principii: 1) è impossibile affermare, teologicamente e canonicamente, che questa Messa sia stata interdetta;  2) ma la sua celebrazione non deve arrecare disturbo alla pastorale delle diocesi e delle parrocchie. Ora, gli indulti del 1984 e del 1988 si richiamano soprattutto a questo secondo principio.

Card. Médina Estévez ­ Sicuramente nella Chiesa vi è un principio di tenuta ordinata da rispettare, in base alla quale è necessaria una certa unità, ma non bisogna esagerare in questa direzione tanto che l’unità diventi uniformità. D’altronde, voi lo sapete, nell’àmbito della celebrazione secondo il Messale del papa Paolo VI vi sono delle differenze da una parrocchia all’altra, non vedo dunque come da questo punto di vista vi possa essere una seria difficoltà. Per salvaguardare l’ordine si potrebbe stabilire, per esempio, che la celebrazione della S. Messa secondo il rito antico ­ o meglio secondo la forma antica del rito romano ­ si svolga in certe chiese e non in tutte le parrocchie. Ma occorre rispondere in maniera ampia e generosa alla sensibilità dei fedeli che desiderano questa celebrazione. E  riterrei opportuno che talvolta la celebrazione nella forma antica si svolgesse in seno alle comunità che seguono ordinariamente il rito del papa Paolo VI.


La Nef ­ In effetti, i cardinali interpellati (tutti nel 1982 e 8 su 9 nel 1986) furono d’accordo sul fatto che la Messa tridentina non era stata mai interdetta. Si sarebbe voluto inserire una tale dichiarazione in un documento più ampio. Certuni avanzarono l’ipotesi che il Papa celebrasse pubblicamente la Messa secondo il Rito di san Pio V, altri pensarono di aggiungere un " allegato san Pio V " nell’ultima edizione tipica del Messale di Paolo VI, altri ancora ritenevano che bastasse una risposta del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi.

Card. Médina Estévez ­ Quando si vuole risolvere un problema sapete bene che si trova sempre il modo. Il diritto canonico è molto flessibile e consente ampie possibilità per risolvere i problemi pastorali. Quanto all’opportunità di un documento o di una data azione o di una risposta ufficiale, si tratta di una scelta prudenziale. Personalmente, non essendo un canonista non ho la competenza tecnica sufficiente che mi permetterebbe di optare subito per una soluzione o per l’altra. Un tale scelta può dipendere solo dal giudizio pratico di colui che, a norma di diritto, potrà pronunciarsi, tenuto conto che la decisione dovrà essere presa valutando i vantaggi e gli svantaggi relativi ad ognuna delle soluzioni possibili e considerando le cose con prudenza e al tempo stesso con larghezza di vedute.


La Nef ­ Il cardinale Castrillon ha dichiarato: " Questa Messa ha diritto di cittadinanza ". Lei stesso, scrivendo a Una Voce Firenze, ha affermato che " … nel Decreto, da me firmato, con la promulgazione della III edizione tipica del Messale Romano, non c’è alcuna clausola di abrogazione della forma antica del Rito romano. … l’assenza di qualsiasi clausola di abrogazione non è casuale, né frutto di dimenticanza, ma voluta. " Non si tratta di un riconoscimento che viene da parte delle autorità?

Card. Médina Estévez ­ Si, si può dire che si tratta di una presa d’atto. E tuttavia sarebbe bene che vi fosse una precisa risposta da parte di un organismo competente. E questa risposta dovrebbe chiarire due punti: innanzi tutto dovrebbe affermare che il venerabile Rito di san Pio V, che è stato il rito della Chiesa latina per dei secoli, non è stato né interdetto né abrogato; secondo poi, per non creare della confusione e per un urtare delle sensibilità, dovrebbe precisare che questo Rito potrà essere celebrato in àmbiti precisi, chiese, parrocchie, chiese poste sotto la responsabilità di un rettore o di un cappellano, come si vorrà, oppure, come negli Stati Uniti e nel Canadà, nelle parrocchie personali. In ogni caso, bisogna anche riconoscere che molto spesso è necessario deplorare gli abusi commessi nella celebrazione della Santa Eucarestia, abusi che come voi sapete sono stati recentemente segnalati dalla Congregazione per il Culto Divino. Ora, ciò che in particolare turba il buon ordine ecclesiale sono proprio questi abusi.


La Nef ­ In altri termini: liberalizzazione con delle precisazioni. Tuttavia, quando vi sono troppe precisazioni non si ha veramente la liberalizzazione. Per esempio: in Francia vi è un numero considerevole di preti, di parroci, che sarebbero felici di beneficiare di una tale dichiarazione di libertà al fine di poter celebrare in tutta tranquillità e se è il caso secondo il rito antico.

Card. Médina Estévez ­ Si. D’altronde, io stesso quando celebro nella forma antica del Rito romano, che è stato peraltro quello con cui sono stato ordinato, provo una grande emozione, soprattutto recitando le preghiere dell’Offertorio, perché queste preghiere sottolineano, al pari di quelle che si recitano alla fine della Messa, il carattere sacrificale di quest’ultima. La dimensione sacrificale della celebrazione eucaristica è un elemento essenziale della Messa, e non solo per la forma antica del rito romano, ma per la dottrina cattolica stessa, come ha recentemente riaffermato il Santo Padre Giovanni Paolo II nell’enciclica Ecclesia de Eucharistia. È questo il motivo per cui, mente ero Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, avrei voluto reintrodurre alcuni elementi della forma antica nella terza edizione tipica del Messale di Paolo VI, ma ho incontrato delle opposizioni molto decise. Capisco benissimo che gli specialisti della liturgia ritengono che queste preghiere sono più delle preghiere private del prete, e che dalla nuova forma del rito romano si è voluto eliminare tutto ciò che si rifaceva al livello personale per lasciare solo quelle parti che possiamo chiamare “oggettive”. Ma queste preghiere contengono delle ricchezze tali che io non capisco quali inconvenienti possano derivare dall’usarle ancora. Bisogna riconoscere che queste preghiere parlano della Vittima immolata, del sacrificio delle Oblate, ancora prima della consacrazione propriamente detta. Ma nel dominio liturgico si sa bene che vi sono delle affermazioni che precedono l’azione in sé e altre che la seguono. Non mi sembra dunque che si possa trattare di una obiezione insormontabile.


La Nef ­ Il padre Bugnini avrebbe detto che la sua riforma non sarebbe durata più di trent’anni. Ora, visto che la liturgia di Paolo VI non ha reso desueta la liturgia anteriore, non si può dire che essa stessa non si considerava una norma assoluta?

Card. Médina Estévez ­ Io credo che il Messale promulgato dal Santo Padre Paolo VI sia stato per la Chiesa una cosa positiva. Esso contiene delle ricchezze che devono essere mantenute. Per esempio: la ricchezza del Lezionario, che mi sembra evidente; o la volontà di sottolineare l’aspetto della partecipazione della comunità alla liturgia ­ penso alla partecipazione nel senso più profondo del termine: non solo alla partecipazione per tratti esteriori, ma alla partecipazione soprattutto interiore, per mezzo della grazia, per mezzo della fede. Io non trovo alcuna difficoltà a celebrare ogni giorno la santa Messa col Messale del papa Paolo VI. E tuttavia ritengo che si potrebbero rivedere certi punti di questo Messale al fine di riappropriarsi degli elementi molto positivi contenuti nel Messale di san Pio V. Detto questo, io non sono un profeta, né oso fare delle predizioni sulla durata di questa riforma. D’altronde, io non amo neanche il termine “riforma”, preferisco quello di “rinnovamento”, a meno che non si intenda per “riforma” il recupero delle forme originali nella fedeltà alla tradizione. Con questa accezione questo termine esprime esattamente la mia sensibilità; diversamente, quando lo si utilizza per indicare una rottura, esso mi è del tutto estraneo.


La Nef ­ Certi sostenitori del Rito tridentino, per gradi e aspetti diversi, sostengono che la nuova liturgia indebolisca la presentazione del Sacrificio propiziatorio, della Presenza reale, del sacerdozio gerarchico. Lei non è certo d’accordo con  questi giudizii, ma ritiene che sia legittimo parlarne?

Card. Médina Estévez ­ In effetti io credo che queste critiche siano eccessive. A riguardo, non amo le critiche globali e preferisco discutere su delle critiche che vertono su punti ben precisi. Per esempio, quasi tutte le nuove preghiere eucaristiche contengono anch’esse esplicitamente la menzione del sacrificio eucaristico. Lo ripeto, mi sembra essenziale che il popolo cattolico abbia coscienza, in maniera molto netta, che la Messa è innanzi tutto un sacrificio. Se si rivelasse necessario, si potrebbe rimediare con delle correzioni appropriate. Ma poiché la nuova forma del Rito romano conserva le preghiere dell’antico Messale, che contengono spesso la menzione del sacrificio, non risulta vero che il nuovo Messale abbia indebolito la nozione di sacrificio. Penso, tuttavia, che vi sia, questo sì, un indebolimento di questa dimensione nella coscienza dei fedeli. E in questo senso ritengo che l’enciclica del papa Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharestia, ove la nozione di sacrificio è ripetuta più di quaranta volte, risponda esattamente a questa obiezione.


La Nef ­ Ma delle eventuali deficienze del Rito, se ne può discutere?

Card. Médina Estévez ­ Se ne può discutere e si può migliorare. Perché no!


La Nef ­ Migliorare: Lei pensa che quest’idea che già da un po’ di tempo viene portata avanti quasi come un programma dal cardinale Ratzinger ­ che cioè sarebbe opportuno adattare la riforma in senso tradizionale ­ possa essere oggetto di un vasto consenso in seno al collegio cardinalizio?

Card. Médina Estévez ­ Non sono certo che oggi nella Chiesa vi sia la piena coscienza del bisogno di rivedere la nuova forma del Rito romano. Credo che l’atmosfera generale corrisponda piuttosto ad una accettazione favorevole e tranquilla, senza che si produca una forte critica nei confronti della " riforma ". Peraltro, non è il collegio cardinalizio la struttura responsabile per compiere un simile passo. Io preferisco affidarmi al sentire dei vescovi: oggi, a grande maggioranza, essi sono d’accordo con le formule e i riti del Messale del Santo Padre Paolo VI, ma è probabile che da qui a qualche anno, via via che ci si renderà conto che vi sono degli elementi che potrebbero essere meglio sottolineati, essi stessi terranno conto di questo: sia con una più ampia accettazione della antica forma del Rito romano, sia con l’introduzione nella nuova forma del Rito di certi elementi ad libidum tratti dal Rito di san Pio V. Comunque, non mi sembra saggio ridurre la crisi della Chiesa cattolica al solo problema liturgico. Prima di tutto vi sono dei problemi dottrinali, perdita del senso della tradizione, inbolimento del senso del sacro, mancanza di disciplina ecclesiastica. Io penso che celebrando la liturgia secondo la nuova forma del Rito romano, in maniera fedele, esatta e pia, si potrebbe rimediare a molte difficoltà. Ma, come sapete, vi sono anche dei problemi circa una piena applicazione ecclesiale e spirituale della nuova forma del Rito.


La Nef ­ Non si tratta proprio della debolezza del nuovo Rito, che può essere interpretato in maniera diversa, a differenza di come accade per il Rito tradizionale?

Card. Médina Estévez ­ Anche nel Rito antico vi erano dei preti che celebravano in maniera troppo meccanica, superficiale. Da parte mia attribuisco una enorme importanza a ciò che si chiama ars celebrandi, la quale, attraverso la maniera concreta con cui il prete celebra, permette ai fedeli di percepire l’espressione di una fede profonda, di una intrinseca pietà, del senso di Dio e del sacro. Se invece la celebrazione della liturgia eucaristica diventa " meccanica ", la fede dei fedeli non ha più nutrimento. Personalmente non ho mai assistito alla Messa celebrata da Padre Pio, ma tutti quelli che hanno avuta questa possibilità dicono che questo santo sacerdote ­ che non era certo un liturgista ­ era visibilmente penetrato dal mistero che celebrava. Chi vedeva  Padre Pio celebrare la Messa, anche quando questa durasse anche più di un’ora, rimaneva illuminato dalla presenza del sacro. Bisogna vederle le foto di queste Messe! Invece, in presenza di un prete che celebra affrettatamente la stessa Messa di Padre Pio ci si può chiedere se questi crede veramente in quel che fa.


La Nef ­ A monte del Rito, la santità…?

Card. Médina Estévez ­ Oh, certo! Io mi ricordo sempre di ciò che un Nunzio apostolico in Cile scrisse rivolgendosi ai nuovi preti: " Celebrate ogni vostra Messa come se dovesse essere la vostra prima Messa, come se dovesse essere la vostra unica Messa, come se dovesse essere la vostra ultima Messa ".



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