Omelia pronunciata da S. Ecc.za Mons. Bernard Fellay
Superiore Generale della Fraternità San Pio X

in occasione della vestizione dei seminaristi a Flavigny (Francia)
avvenuta il 2 febbraio 2006



Il testo seguente è stato ripreso dal numero 130 del quindicinale DICI dell'11 febbraio 2006
http://www.dici.org/actualite_read.php?id=1180

I neretti e l'impaginazione sono nostri



Introduzione di DICI:
Dopo avere spiegato il significato spirituale della festa della Purificazione della Vergine Santissima, e dopo averne dedotte le pratiche conseguenze per i venti seminaristi che vestivano per la prima volta l’abito talare, Mons. Fellay ha fatto il punto sulle relazioni tra Roma e la Fraternità San Pio X, dopo l’udienza concessagli da Benedetto XVI il 29 agosto scorso.

[… … …]

Quando si parla del Tempio [ove si svolse la purificazione della Vergine Santissima] si pensa alla Chiesa, e a noi oggi piace esporre brevemente la situazione in cui ci troviamo.

In realtà non v’è nulla di nuovo, niente di speciale, se non una agitazione che sta ad indicare che il demonio si dimena, in questo caso un po’ di più che abitualmente. 
I sacerdoti, che conoscono il discernimento degli spiriti, sanno bene che ogni pensiero che porta al dubbio, all’inquietudine, alla sfiducia, non viene da Dio. È proprio lo spirito del demonio che induce a questa agitazione frenetica che oggi percorre certi ambienti e che cerca di ingannare, di gettare la sfiducia fra i fedeli, fra i sacerdoti: volendo far credere che il Superiore Generale sia in procinto di concludere delle trattative segrete per arrivare, prima di Pasqua, si dice, alla firma o al conseguimento di una amministrazione apostolica.

Non v’è niente di vero, sono chiacchiere al vento! L’unica cosa vera è che, dopo l’udienza avuta con Benedetto XVI nel mese di agosto, abbiamo incontrato il cardinale Castrillon il 15 novembre scorso.
Noi gli abbiamo nuovamente  esposte tutte le nostre riserve e le nostre aspettative nei confronti di Roma, dicendogli: 

Ascolti, oggi nella Chiesa non è possibile una vita cattolica normale. A partire dal Concilio ciò è stato reso impossibile… Volete degli accordi? Noi non siamo contrari, ma prima occorre renderli possibili. E siccome noi vogliamo rimanere assolutamente cattolici è necessario che questa vita cattolica sia resa nuovamente possibile. Questo significa che, innanzi tutto, occorre reprimere gli abusi, occorre condannarli;  cosa che equivale a tutta una serie di atti, tali da riprendere in mano la conduzione della Chiesa. Questo significa anche mettere in essere delle azioni positive e cioè reintrodurre questa vita di fede cattolica con tutte le sue esigenze. Cosa che equivale a ridare la sua libertà alla Messa, la quale rimetterà la Chiesa sui binari giusti e ristabilirà nella Chiesa la centralità di Nostro Signore Gesù Cristo.
In seguito, abbiamo anche detto: 
Oggi constatiamo che Roma è d’accordo sul fatto che vi è una crisi nella Chiesa.” 
Roma, oggi, questo non lo nega più, e possiamo dire che a Roma le persone serie sono sconvolte dalla situazione in cui versa la Chiesa, anche se in certi discorsi dicono il contrario. Noi ne siamo assolutamente certi perché lo abbiamo sentito dalla loro viva voce: sono molto preoccupati per questa situazione, il Papa per primo. 
Tuttavia, il problema sorge quando si constata che non siamo d’accordo sulle cause di questa crisi. 
La gerarchia romana vuole attribuire questa crisi al male che scuote il mondo. 
Sarebbe il mondo ad essere colpevole del fatto che nella Chiesa le cose vanno male!

Allora noi abbiamo esposto al cardinale Castrillon il contenuto della lettera inviata da Mons. Lefebvre al cardinale Ottaviani un anno dopo il Concilio [contenuta nella lettera agli amici e benefattori del 29.9.2005]; e, commentando questa lettera, abbiamo fatto notare come Monsignore descrivesse mirabilmente le conseguenze del Concilio senza parlare di abusi, senza parlare di deviazioni, ma considerando il Concilio così come si è svolto, tale che avrebbe condotto alla crisi che noi viviamo. 
Questo testo, scritto nel 1966, è sempre attuale in tutti i suoi punti. La visione di Monsignore è ammirevole proprio sulla situazione della Chiesa, sul Concilio.
E noi abbiamo insistito dicendo: 

L’errore viene dal Concilio. Il che non significa che tutti gli errori che si riscontrano oggi nella Chiesa derivano dal Concilio, ma che il Concilio ha raccolto questi errori e li ha come inoculati nelle vene della Chiesa.
E poi ho aggiunto: 
Se volete uscire da questa crisi, dimenticate per un istante la Fraternità, occupatevi di risolvere la crisi! Una volta risolta la crisi, la Fraternità non sarà più un problema per voi.
Dopo queste lunghe discussioni il Cardinale ha detto: “Vedo che tutto quello che esponete non vi pone fuori dalla Chiesa, quindi voi siete nella Chiesa.” Ed ha aggiunto: “Io vi chiedo di scrivere al Papa chiedendogli di togliere le scomuniche.
Dopo di che, ci siamo fermati lì: poiché, evidentemente, non possiamo chiedere che venga tolta qualcosa che noi non riconosciamo. Noi abbiamo sempre rifiutato di riconoscere la validità di queste scomuniche, non possiamo quindi chiedere che venga tolta qualcosa che non esiste. E tuttavia, prima ancora di compiere un passo del genere, noi stessi avevamo chiesto il ritiro del decreto di scomunica, il suo annullamento; e dire “annullare” significa riconoscere già qualcosa. E lo abbiamo chiesto fin dall’inizio: era una delle pregiudiziali che avevamo poste.
Adesso, per la prima volta, Roma sembra intraprendere questo cammino che noi avevamo già proposto nel 2000.

D’altronde, è evidente che prima di fare un passo del genere occorre cercare di capire perché improvvisamente Roma ce lo chiede, dove Roma vuole arrivare, qual è lo scopo che si prefigge con questo cambiamento di tattica.
È ben chiaro che Roma, che il Papa, vorrebbe regolare le questioni della Fraternità rapidamente, se così si può dire, e secondo le sue prospettive. Da parte nostra abbiamo sempre insistito nel dire che prima di una regolamentazione pratica è necessario eliminare gli elementi di principio che, per un verso, sono le cause della crisi, e, per l’altro verso, ci ucciderebbero se li accettassimo. Di modo che noi non possiamo assolutamente accettare.

Oggi siamo a questo punto. Noi chiediamo, reclamiamo, che Roma esamini questi principi mortiferi nella Chiesa, per eliminarli, per rigettarli: il liberalismo, il modernismo, che sono entrati nella Chiesa e che uccidono veramente la vita cristiana, e che si esprimono nella collegialità, nell’ecumenismo, nella libertà religiosa, in quel concetto, oggi avallato dallo stesso Benedetto XVI e più volte ribadito, dello stato laico.

Il Papa, nel suo discorso del 22 dicembre, ci dice che la Chiesa, ritornando a questa concezione dello stato laico, ritornerebbe al Vangelo: quando invece il Vangelo dice il contrario!
Il Vangelo dice: "È necessario che Egli regni".
San Paolo spiega mirabilmente che ogni autorità viene da Dio, tutta l’autorità! E che se noi dobbiamo sottometterci alle autorità civili è perché esse sono i luogotenenti di Dio. È da Dio che esse ricevono l’autorità sugli uomini, ed è a Dio, a Nostro Signore Gesù Cristo, che rispondono del modo in cui hanno esercitata tale autorità: sia che si tratti di Hitler, di Nerone, di Gorbaciov, di Chirac, di chiunque si vuole, tutti, al momento della loro morte compaiono dinanzi a Nostro Signore Gesù Cristo per rendere conto della maniera in cui hanno esercitato il potere, poiché Nostro Signore è il loro Re.
Che si tratti di pagani o di cristiani, non cambia nulla: Nostro Signore è il Re di tutti!

Basta guardare un po’ più da vicino all’influenza che ha la società in cui si vive. A quale influenza ha la società civile sulla vita di ogni uomo!
È del tutto evidente che una società civile impregnata delle leggi di Dio aiuterà l’ànima a realizzare la sua salvezza. Così come è del tutto evidente il contrario!
La società civile entro la quale si svolge quotidianamente la vita di ogni uomo ha necessariamente un’influenza su questa stessa vita.
Per noi è del tutto evidente che la società civile deve essere in armonia con la società della Chiesa, e che quindi i principii, le leggi che dirigono, che organizzano la vita degli uomini devono essere impregnati fino in fondo della legge di Dio, del Decalogo.
Nonostante questa società civile sia solo temporale, non v’è contraddizione tra le due, deve esserci necessariamente armonia. Per noi questa è una cosa di tutta evidenza.
Ebbene, ci permettiamo di dire che per il Papa attuale sembra che sia lo stato laico ad essere l’evidenza, l’assioma ? qualcosa che rientrerebbe tra quei principii che non hanno bisogno di dimostrazione. Da qui un immenso problema, un punto d’inciampo con le autorità romane, che si può riassumere in una parola: il Concilio, e che si può percepire molto chiaramente nella questione della libertà religiosa.

E dunque, miei cari fratelli, occorre continuare. 
E noi continuiamo molto semplicemente e serenamente il cammino che così bene ci ha indicato il nostro fondatore, Mons. Lefebvre. 
Noi sappiamo che la Chiesa ha la promessa dell’indefettibilità, che le porte dell’Inferno non prevarranno mai contro di Essa. E un giorno la Chiesa supererà questa crisi.
Spetta a noi impiegare tutta la nostra energia, al nostro posto evidentemente, per lavorare a questo superamento della crisi, e dunque avremo necessariamente delle relazioni con Roma.

È un errore pretendere che non si debba discutere con Roma. 
Ci si aspetta che un giorno le autorità di Roma siano cattoliche e non si vorrebbe discutere con loro?
San Paolo, parlando dei pagani, diceva: "Come si convertiranno se non ascoltano la fede, se nessuno ricorda loro i principii?" 
Cosa ci si aspetta, o cosa si pretende, un miracolo del Signore? 
Certo, questo può avvenire, ma il cammino abituale del Buon Dio consiste nell’utilizzo delle cause seconde per toccare gli ànimi.
Ancora una volta, senza con questo volerci assegnare un qualche ruolo spettacolare o straordinario, ci troviamo in circostanze storiche in cui il Buon Dio ci ha posti e in cui è necessario compiere il dovere derivante dal nostro stato di sacerdoti, di vescovi, ciascuno al suo posto, cercando di ottenere il massimo di bene da queste autorità che sono sicuramente ancora confuse.

Preghiamo! 
Preghiamo il Buon Dio che quella luce che noi salutiamo in Nostro Signore brilli nuovamente nella Chiesa. 
Che noi si abbia veramente un cuore d’apostolo. 
Il Buon Dio ha insistito con gli Apostoli perché questa luce non la si mettesse sotto il moggio. 
Essa deve illuminare: bisogna avere a cuore questo desiderio di conversione delle ànime.
Se il Buon Dio ha dato a noi questa grazia di vederci chiaro, ebbene, sarebbe un peccato conservarla per sé. Noi dobbiamo coltivare in fondo al cuore questo desiderio di guadagnare tutte le ànime ? certamente secondo le disposizioni del Buon Dio - , ma è necessario lavorare, avere un cuore grande come il Cuore di Nostro Signore. Questo è il nostro modello.
Ogni giorno, alla Messa, il sacerdote celebra un sacrificio di un valore infinito, di una potenza, si può dire, universale. Le grazie della Messa toccano il mondo intero, tutta la Chiesa. E sarebbe quanto meno ridicolo vedere un sacerdote che, mentre compie quest’atto immenso, riduce il suo cuore ad una piccola cosa.
Certo, egli avrà anche delle intenzioni particolari, ma deve mantenere quelle intenzioni immense che egli stesso pronuncia all’inizio del Canone: egli prega per tutta la Chiesa, come all’offertorio prega per i fedeli del mondo intero.
Conserviamo questo spirito e chiediamo che ogni giorno sia sempre più grande, per poi esercitarlo tutti i giorni, evidentemente con prudenza, sempre alla luce di Nostro Signore, della Divina Provvidenza.

Affidiamo dunque, in questo giorno, tutte queste grandi intenzioni, le intenzioni dei nostri giovani seminaristi, le grandi intenzioni della Chiesa, alla Madonna. Che ci protegga, che ci presenti a Dio tutti i giorni sempre più purificati, come lo si chiede nell’orazione, affinché, piacendo a Dio ogni giorno di più otteniamo, per la nostra cooperazione alla sua grazia, di santificarci e di santificare gli altri. 
Così sia.



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