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La Santa Comunione data in mano ! Un'occasione per ulteriori precisazioni sul fenomeno
blasfemo della Si vedano anche Archeologite liturgica - Sacrilegio
dilagante - Domanda
Salve! Risposta
Egr. Sig …, Le alleghiamo la Notificazione della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, perché si possa rendere conto che la novità data dall’immediato postconcilio. Non sappiamo quanto le potrà essere utile, ma è possibile che la considerazione che segue possa condurla a riflettere su un aspetto della questione che molto spesso è trascurato. Al di là delle strumentali e controverse questioni di “ritorno alle origini”, e a prescindere dagli abusati richiami alla “sensibilità” dei fedeli, ciò che più conta per la pratica della fede è il modo in cui questi possono vivere ordinariamente il rapporto con i Sacramenti; e in questo caso con il Sacramento più importante per la salus animarum: la Comunione Eucaristica. Noi uomini moderni siamo portati (per educazione
e per condizioni storico-sociali) a vivere il rapporto col sacro in strettissima
dipendenza dalla nostra presunzione individuale, dalla nostra supponenza razionale
e dalle riserve mentali introdottesi nel nostro “spirito” a partire dal secolo
dei lumi, che ha trasformato la società umana in un contesto civile
che, nella migliore delle ipotesi, considera Dio come “una delle componenti”
del vivere quotidiano. Nei fatti, i fedeli, in mancanza di atteggiamenti
straordinarii suggeriti dal proprio parroco, per esempio, finiscono con l’assumere
atteggiamenti ordinarii anche nei confronti di Nostro Signore transustanziato:
considerano l’Ostia degna di rispetto al pari di ogni altra cosa oggi rispettabile.
Ogni spiegazione e ogni convincimento razionale
di questo evento non è minimamente paragonabile alla grandezza del
Mistero che si compie dopo ogni Consacrazione. Un esempio di questa razionalizzazione e di questo
scadimento del Mistero Eucaristico nella concezione del fedele lo si ha nella
abusata pratica della Comunione di massa. Questa dovrebbe essere, oggi ancor più di ieri, la prima preoccupazione della Gerarchia, e invece ci si preoccupa principalmente di suggerire raccomandazioni morali e intellettuali, dimenticando che l’aver abbandonato la pratica esclusiva dell’inginocchiamento e dell’assunzione sulla lingua della Santa Ostia, ha permesso che i fedeli percepissero il loro rapporto con Nostro Signore come cordiale e paritario, seppure intriso (ove ancora càpita) di un certo rispetto meramente umano. Dobbiamo confessare che abbiamo sempre un gran timore ad accostarci al Santissimo, e quando lo facciamo non possiamo esimerci dal percepire un certo tremore interno perché non sappiamo mai, nonostante la Confessione, quanto il Signore ci giudicherà degni di tanto nostro osare. Non sum dignus ut intres sub tectum meum,
si diceva una volta. Forse un acculturato intellettuale potrebbe trovare quasi nessuna differenza tra le due formule; ma per il fedele, sia pure con tre lauree, la differenza c’è: non è più il Signore che “entra” nel tempio dell’uomo, che a tal fine dev’essere puro e immacolato come la casa di Dio, ma è l’uomo che si accosta alla “mensa” del Signore. Alla iniziativa di Dio si è sostituita l’iniziativa dell’uomo: non più l’uomo che si predispone per permettere a Dio l’accesso alla sua ànima, ma l’uomo che si presenta alla mensa di sua iniziativa. Corpus Domini nostri Iesu Christi custodiat
animam tuam in vitam aeternam. Amen.; si diceva una volta.
Non v’è più traccia del senso profondo
dell’assunzione dell’Ostia. Che poi questa banalizzazione del Mistero possa
condurre tanti fedeli a considerare il tutto come una cosa qualsiasi e molti
sacerdoti a dimenticare perfino la transustanziazione, non è
invero cosa certa, ma Ciò che conta per i fedeli e per la pratica della Fede, non sono tanto le possibili buone intenzioni di certe “riforme”, quanto il modo con cui essi (sacerdoti compresi) le percepiscono, le intendono e le vivono. E oggi è fuori da ogni dubbio il fatto che la pratica della Fede si è così staccata dal senso del Sacro e del Mistero, da essere vissuta, anche ai livelli più alti, come una mera azione umana rispettosa di tutto: una sorta di pratica umana intrisa di morale e tutta dipendente dalla psicologia individuale. I mali del postconcilio non sono legati,
innanzi tutto, alle equivoche formulazioni adottate dal Concilio, bensì
alle conseguenze che molte pratiche innovative hanno prodotto nella
vita religiosa dei fedeli. Più che la dottrina, discutibile, di
certe “innovazioni”, quello che conta è la “prassi” che da essa è
derivata. Un esempio per tutti: la talare è continuamente
raccomandata (quantomeno come segno distintivo), ma continua a non essere
usata. È vero, ciò che più ha finito
col contare è il “sentire” del fedele: la Religione (il legame con
Dio) è divenuta una questione di “sentimento”, e si è passati
dalla Religio alla religiositas. L’inginocchiarsi e l’assumere il Corpo di Cristo
solo sfiorandolo appena con lo sguardo era (ed è) un modo immediato
e coinvolgente per ricordare a noi stessi che siamo i più piccoli al
cospetto di Dio. Il più eccelso dei nostro pensieri e il più nobile dei nostri propositi è un puro atto di presunzione umana al cospetto dell’imperscrutabile Mistero della transustanziazione di Nostro Signore. E questo è necessario che venga praticato
ancor prima di essere anche minimamente inteso dalla nostra insignificante
capacità razionale. In nomine Domini IMUV settembre 2007 Torna a Sommario |