Qualcuno dovrà pur dirlo
di G. L. G.

Una Gerarchia in trappola
I parte

La Gerarchia appare in trappola, una trappola solo “virtuale” ma,  per chi vuole starci dentro, non meno efficace di una prigione e di un bavaglio.

Hanno dato lo spunto a queste riflessioni due vicende recenti:
- le gemelle siamesi peruviane Marta e Milagro; (trattata in questa prima parte)
- la manifestazione romana dell’orgoglio omosessuale mondiale. (trattata nella seconda parte)
 
 

PRIMA E DOPO

Prima del Concilio Vaticano II la Gerarchia, che era nel mondo, ma non del mondo, proclamava la Rivelazione; insegnava con autorità, sia pur con tutte le spiegazioni previste dalla sana didattica; insegnava che oggetto del suo insegnamento era “la” Verità, Verità unica, soprannaturale, valida per tutti e per ogni tempo, moralmente obbligante perché divinamente rivelata.
Ciò era in armonia con il mandato ricevuto: 

Andate dunque ed istruite tutte le genti … insegnando loro ad osservare tutto quanto vi ho comandato” (Matteo XXVIII,19-20) (1); 
Andate in tutto il mondo e predicate l’Evangelo ad ogni creatura … chi poi non crederà sarà condannato” (Marco XVIII, 15-16) (2);

Ciò era in armonia con il metodo prescritto:
Il vostro parlare, invece, sia sì, sì; no, no; ciò che è in più viene dal demonio “ (Matteo V, 37).


Dopo il Concilio Vaticano II in base ai documenti conciliari (3)  e, ancor più, alla luce di ciò a cui abbiamo assistito in questi anni ci sembra che la Gerarchia, (prendendo per buoni consigli ipocriti e interessati), abbia pensato di fare meglio (e minore fatica) rinunciando al pulpito e alla autorità sua propria che le veniva dall’annunciare la Rivelazione divina.
In pratica ci sembra che, (accondiscendendo alle richieste mondane, e seguendo profani suggerimenti), la Gerarchia abbia finito col farsi del mondo, mettendosi alla pari del mondo per dialogare con esso alla di lui maniera, per giocare con lui al gioco della ricerca della verità (con la minuscola) umana e sconosciuta, nell’illusione di poterlo così portare, (fondandosi sulla non-verità e grazie alla non-verità), alla Verità (con la maiuscola) che è rivelata e che necessita della grazia della Fede per essere creduta. 
Non più l’insegnamento della Verità, di tutta la Verità che già si possiede rivelata, non più la discussione per confutare l’errore, ma un “dialogo di ricerca” a livello paritetico fra interlocutori che si incontrano in un convivio in cui tre sono le regole tassative di galateo per essere ammessi, e per restarvi:

- la prima regola tassativa è quella di riconoscere comunque e a ciascuno, a se medesimi per primi, il diritto di 
      pensare e credere vero ciò che fa comodo; 
- la seconda regola tassativa è quella di aborrire ogni intendimento  di confutazione della altrui verità e di 
      conversione alla propria, non dimenticando di scambiarsi a vicenda lodi e patenti di competenza ed 
      eccellenza.
- la terza regola tassativa, e conclusiva, è quella di negare non solo legittimità ma, soprattutto, diritto di 
      esistenza a chi non la pensi così, (negarlo, cioè, a chi pensi e creda di possedere una qualsiasi verità che 
      non sia strettamente personale ma oggettiva e universale, obbligante per tutti).
Queste tre regole del mondo, (omnipresenti sotto innumerevoli varianti), sono oggi diffuse ed imposte, nel loro complesso, sotto il menzognero nome di “tolleranza”, beninteso “tolleranza” intollerantissima di chi non la condivida.

Parlando più in generale: si è confuso il dialogo in materia naturale con il dialogo di fede soprannaturale, che sono molto diversi, come ben spiega Romano Amerio nell’illuminante passo di “Iota Unum” che riportiamo in nota (4).
 

COSÌ È SCATTATA LA TRAPPOLA

Se scendiamo a dialogare col mondo sul piano meramente umano, piano non solo limitato per natura ma anche corrotto dal peccato originale ed attuale; 

se, per dialogare col mondo, rinunciamo a basarci sui nostri valori soprannaturali e ci serviamo degli 
     pseudovalori del mondo, valori tra cui Dio, se c’è, è facoltativo e plasmabile a propria umana immagine e 
     comodità; 
se, nel dialogare col mondo, usiamo la logica del mondo, logica variabile e della cui correttezza non si accetta 
     arbitro se non il mondo stesso e la moda; 
se, dialogando col mondo, prescindiamo da una vita eterna e facciamo conto che per l’individuo tutto finisca 
     con la sua morte, 
se prescindiamo da un Bene e da un Male che non siano stabiliti dall’uomo, 
se prescindiamo da una Provvidenza sempre presente per aiutare l’uomo, 
se prescindiamo da un Giudice, che non sia l’uomo stesso, in grado di infallibilmente punire i malvagi e i 
     prepotenti e di ricompensare i buoni ed i pacifici;
se ci dichiariamo ammiratori del mondo e gli riconosciamo dignità e libertà, (intesa come diritto anche 
     morale), di essere quello che è;
allora, logicamente e inevitabilmente, 
non potremo che arrivare alle medesime conclusioni del mondo;
non potremo che insensibilmente assorbire e credere le falsità del mondo, (proprio quelle che usiamo e 
      accettiamo strumentalmente nel dialogo “paritario”), corrompendo così la nostra fede e la nostra capacità 
      di ragionamento corretto;
non potremo che fare concessioni e compromessi, prima, e tacere e negare, dopo, i nostri principi religiosi, 
      sia quelli di legge naturale che quelli sovrannaturali e rivelati, costretti a riconoscerne logicamente 
      l’inconsistenza e l’erroneità in base ai principi del mondo;
non potremo, infine, che essere perseguitati e distrutti dal mondo, quel mondo che ci odia perché sveliamo le 
      sue iniquità, quello stesso mondo che prima ipocritamente ci ha adescati, accolti, colmati di onori, e, 
      infine, corrotti, per meglio farci entrare nella sua trappola.


ERAVAMO STATI AVVISATI

… Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie - Oracolo di
      Jahve - Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri 
      sovrastano i vostri pensieri. …” (Isaia LV, 8-9)
“… quello che è in onore secondo gli uomini, è abominevole davanti a Dio …” (Luca XVI,15)
… Guai a voi, quando tutti gli uomini vi loderanno, perché questo hanno fatto anche i loro padri coi 
      falsi profeti! …” (Luca, VI, 26)
… voi siete il sale della terra; ma se il sale diventa insipido con che cosa gli si renderà il sapore? Non è 
      più buono ad altro che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini …” (Matteo V, 13) 
 

IN TRAPPOLA : IL CASO DELLE GEMELLE MARTA E MILAGRO

A maggio sono giunte a Palermo dal Perù due gemelle siamesi di pochi mesi, Marta e Milagro, unite per il petto e con un solo cuore in comune, cuore la cui funzione era a malapena sufficiente per due.
Lo scopo dichiarato del viaggio era quello di sacrificare chirurgicamente Milagro, la più debole, “tagliandola via” e destinando il cuore comune tutto a Marta, la più forte.
La vicenda si è conclusa con la programmata uccisione di una sotto i ferri del chirurgo e la morte dell’altra poche ore dopo la perfetta riuscita “tecnica” della operazione.

Si è trattato chiaramente di omicidio premeditato ed annunciato.

Quando era ancora possibile intervenire, (e quando ancora l’operazione, esaltata da televisione e giornali, sembrava destinata al “successo”), la Gerarchia in quanto tale, (e, in particolare, l’Arcivescovo di Palermo nella cui diocesi si è consumato il delitto (5)), non si è pronunciata ufficialmente e pubblicamente: ha evitato accuratamente di “interferire” prima e dopo che la commissione etica laica dell’ospedale autorizzasse l’operazione, dando così luogo ad una forma di “silenzio-assenso” (6).

A cose fatte, ed essendo fallita l’operazione, è sembrato utile far filtrare qualche “autogiustificazione”; riportiamo da una intervista a Mons. Grillo, vescovo di Civitavecchia, pubblicata su “Il Giornale” del 29 maggio 2000  [parla Mons. Grillo rispondendo all’intervistatore]:
«… Come monsignor Antonelli e gli altri vescovi penso anch’io che valga il principio morale del duplice effetto: quello di tendere a un fine positivo anche se questo ne comporta uno negativo …
… I medici dicevano che si trattava di salvare una gemellina e che questo comportava la morte dell’altra. Solo dopo abbiamo saputo che in realtà c’erano minime possibilità di riuscita dell’intervento. E le cose cambiano. … 
… erano i medici a farci pensare in termini diversi, come se la separazione fosse più che giustificata . Forse non dicevano la verità, e in questo caso si è trattato di una specie di eutanasia [sic]. …
… se in un solo caso al mondo un intervento del genere è riuscito, c’erano ben poche speranze. E allora le bambine non si dovevano toccare. Ma noi vescovi non siamo medici, certe cose non possiamo saperle.
…si è fatto un gran chiasso. Forse ora è meglio tacere.»

Spieghiamo in nota  (7) cosa si intende per “principio morale del duplice effetto” e perché esso non è accettabile in questo caso, nemmeno per chi ci crede.
Spieghiamo in nota (8) perché anche il principio della scelta del male minore non è accettabile in questo caso.

Qui ci limitiamo a ricordare “Non facciamo cose cattive affinché capitino cose buone (“Non faciamus mala ut veniant bona”, Epistola ai Romani, III, 8), volgarmente: “ il fine non giustifica i mezzi”, e passiamo subito a mostrare la trappola in azione.

Invece di sentir proclamare a tutti i Vescovi, a voce alta e forte, la inviolabilità della vita umana innocente sulla 
     base del Quinto Comandamento di Dio e di difenderla;
invece di sentirli ricordare che nessuna “commissione etica”, nessuno “scienziato”, nessun “intellettuale” può 
     sostituire la sua morale alla morale divina insegnata dalla Chiesa;
invece di sentirli dare il giudizio della morale cattolica sul caso quale è rappresentato al pubblico da televisione 
     e giornali, (riservandosi di aggiornarlo in base alle informazioni via via disponibili e mettendo in evidenza 
     i punti delicati e pericolosi del caso), insegnando a tutti, medici compresi, quali sono i criteri generali a cui 
     ci si deve attenere;
ci tocca assistere ad una autocensura dei Vescovi, 
ci tocca sentire dei Vescovi in trappola che si mettono in bocca le atrocità del mondo come se fosse lecito 
     sacrificare una vita innocente quando i vantaggi che ne conseguissero fossero ritenuti abbastanza grandi e 
     ottenibili con una probabilità di successo non troppo bassa: “ ... i medici dicevano che si trattava di salvare 
     una gemellina e che questo comportava la morte dell’altra. Solo dopo abbiamo saputo che in realtà c’erano 
     minime possibilità di riuscita dell’intervento. E le cose cambiano  … c’erano ben poche speranze. E allora 
     le bambine non si dovevano toccare …”;
ci tocca sentire dei Vescovi in trappola che prendono per sé come maestri di etica i medici laici, su cui 
     scaricano le proprie responsabilità e i propri doveri: “ … I medici dicevano che si trattava di salvare una 
     gemellina e che questo comportava la morte dell’altra … erano i medici a farci pensare in termini diversi, 
     come se la separazione fosse più che giustificata … ma noi vescovi non siamo medici, certe cose non 
     possiamo saperle …”;
ci tocca sentire dei Vescovi in trappola far credere di essere stati ingannati (senza indignarsene) e, ciò non 
     ostante, tentare di scusare gli ingannatori omicidi: “ … forse non dicevano la verità [!] , e in questo caso si 
     è trattato di una specie di eutanasia [!!!] …” (e ci vuole una bella spudoratezza a suggerire che l’operazione 
     e l’uccisione di Milagro fossero volte a procurarle una “buona” morte! come pure a tacere che l’eutanasia è 
     comunque illecita!);
ci tocca sentire dei Vescovi in trappola evitare il proprio dovere di giudicare a cose fatte, (e con tutte le 
     informazioni a disposizione o disponibili), di giudicare cioè la moralità dell’intervento eseguito, (dovere di 
     giustizia nei confronti delle gemelle e dei casi simili futuri, dovere di insegnamento nei confronti del 
     mondo e dei cattolici) e cercare, invece, di insabbiare il caso: non parliamo dei nostri errori, non 
     disturbiamo i manovratori, non allarmiamo la gente, e, comunque, noi sappiamo che non c’è una verità 
     assoluta ma una verità mutevole in progresso con la scienza a cui è lecito qualsiasi esperimento: “ … si è 
     fatto un gran chiasso. Forse ora è meglio tacere.” (9)
PERCHÉ SONO IN TRAPPOLA ?

Perché non si sentono più il coraggio di condannare pubblicamente in base alla legge di Dio quelle medesime persone del mondo con cui in altre sedi hanno colloquiato così signorilmente e con tanta ampiezza di vedute sulle cose del mondo in base alle leggi del mondo: verrebbero espulsi dal salotto buono come ipocriti, intolleranti ed ignoranti: verrebbero “scomunicati” dal mondo.
E così il mondo è privato della voce che potrebbe convertirlo.
 

MA C’È DI PEGGIO

La medesima autocensura che si impongono in pubblico ora sono obbligati a imporsela anche sui pulpiti delle chiese, perché anche lì il mondo li ascolta e li sorveglia!
Non possono più condannare il mondo nemmeno a casa loro per non apparire con la lingua biforcuta!
E così il mondo è predicato ai fedeli nelle chiese a cura della Gerarchia!
E i fedeli ingannati hanno fatto presto a scoprire che la Gerarchia e l’andare in chiesa sono cose diventate superflue perché si fa prima e meglio a leggere/guardare il giornale/telegiornale e a imparare da loro!

(continua)

NOTE

1 - “Euntes ergo docete omnes gentes … docentes eos servare omnia quaecumque mandavi vobis”  (Mat 
         XXVIII,19-20).
2 - “Euntes in mundum universum praedicate Evangelium omni creaturae ..... qui vero non crediderit 
       condemnabitur” (Marco XVIII, 15-16).
3 - Riportiamo a parte alcuni passi dei discorsi di apertura e di chiusura del Concilio, il primo di Giovanni XXIII, il 
         secondo di Paolo VI. Altri passi si troveranno piú avanti nel testo.
4 - « …si confondono il dialogo in materia naturale e il dialogo di fede soprannaturale. 
         Il primo si svolge sotto il lume della ragione che accomuna tutti gli uomini. Ponendosi sotto questo lume tutti gli 
         individui stanno alla pari con tutti gli individui: i dialoganti sentono sopra il loro dialogo il Logo, più importante del loro 
         dialogo, … , sperimentano [in quel sentimento] la loro fraternità vera e l’unità profonda della loro natura.
         V’è però un altro dialogo nel quale è impegnata la fede e in cui i collocutori non possono muoversi convergendo verso il 
         vero né situarsi in condizione di parità . Il collocutore non credente sta in una situazione di rifiuto o di dubbio nella quale 
         è impossibile per il credente di collocarsi.
         Si potrebbe obiettare che la posizione del credente è una posizione analoga a quella cartesiana, di rifiuto o di dubbio 
         metodico e provvisorio: il credente si mette nella posizione di incredulità, ma solo per dialogare. Ma la difficoltà risorge: 
         se il dubbio o il rifiuto della fede è reale esso implica nel collocutore credente perdita della fede ed è un peccato. Se 
         invece il dubbio o il rifiuto è suppositizio e finto, il dialogo è viziato da simulazione ed ha una base immorale [cfr. Matteo 
         V, 37: “ il vostro parlare, invece, sia sì, sì; no, no; ciò che è in più viene dal demonio”]. E non ci fermiamo a domandare 
         se chi per ragione dialogica finge di non credere quel che crede non pecchi contro la fede, né a ricercare se un dialogo 
         fondato sulla finzione non sia oltre che reo anche infruttuoso. […]
         Concludendo sul dialogismo della Chiesa postconciliare diciamo che il dialogo neoterico [dei novatori] non è il dialogo 
         cattolico.
         Primo, perché ha funzione puramente euristica [di ricerca per tentativi], come se la Chiesa dialogante non possedesse, 
         ma cercasse la verità, o come se dialogando potesse prescindere dal possesso della verità. 
         Secondo, perché non riconosce la posizione  poziore [di maggior valore, superiore, da anteporre] della verità rivelata, 
         come se fosse caduta la distinzione di grado assiologico [grado di merito, di valore, di dignità] tra natura e Rivelazione.
         Terzo, perché suppone la parità, sia pure soltanto metodica, tra i dialoganti, come se il prescindere dal vantaggio della 
         fede divina, anche solo per finzione dialettica, non fosse un peccato contro la fede. 
         Quarto, perché postula che tutte le posizioni dell’umana filosofia siano indefinitamente disputabili, come se non 
         esistessero invece punti di contraddizione principiale [relativa ai principi] che troncano il dialogo e lasciano solo la 
         possibilità di confutazione.
         Quinto, perché suppone che il dialogo sia sempre fruttuoso e che «nessuno deve sacrificare alcunché» (Osservatore 
         Romano, 19 novembre 1971), come se non vi fosse un dialogo corruttore che spianta la verità e impianta l’errore, e 
         come se non si dovesse, nel caso, rigettare l’errore prima professato. […]
         [Alla Chiesa cattolica si addice soltanto] un’operazione della carità la quale vuole comunicare una verità posseduta per 
         grazia, e trarre non a sè ma alla verità.
         La superiorità infatti non è del credente dialogante sopra il non credente dialogante, bensì della verità sopra tutte le 
         persone dialoganti.
         Non si scambi l’atto con cui un uomo persuade un altro uomo della verità con un atto di sopraffazione e di offesa della 
         altrui libertà. La contraddizione logica e l’aut aut sono strutture dell’essere, e non [sono] violenza. …» 
         (ROMANO AMERIO, IOTA UNUM, Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Riccardo Ricciardi 
         Editore, Milano - Napoli, MCMLXXXVI, seconda edizione, paragrafo 156, passim)
5 - Chi scrive ha telefonato alla Curia di Palermo, prima dell’operazione: ha avuto conferma che l’Arcivescovo non aveva 
         fatta nessuna dichiarazione, che era assente e non poteva essere disturbato perché partecipava ad un importante raduno, 
         che non era prevista nessuna dichiarazione; (pare che in quella zona ci sia un detto popolare del tipo “non so nulla , non 
         ho visto o sentito nulla, se c’ero dormivo”).
         Subito dopo la telefonata chi scrive, ad ogni buon conto, ha mandato un fax esortando l’Arcivescovo a prendere 
         posizione e spiegando perché l’operazione non era moralmente lecita; non è stata ricevuta risposta.
6 - I religiosi che hanno parlato prima dell’intervento (ad esempio Mons. Sgreccia, esperto di bioetica, il Card. Tonini, il 
         segretario della CEI Mons. Antonelli) lo hanno fatto in modo mediaticamente quasi inaudibile, a titolo personale, e, 
         comunque, in senso favorevole.
         Nessun Monsignore ha preso parte ai dibattiti televisivi quotidiani dove “esperti” ed inesperti laici incontrastati 
         inneggiavano alla medicina, ai medici e alla eticità di salvare così “una” vita.
         In televisione, unico a sfidare l’impopolarità e i colleghi, prima dell’intervento, c’è andato invece un chirurgo, il Dottor 
         Marino, che ha spiegato il suo rifiuto ad operare dicendo che, in base agli insegnamenti di morale da lui ricevuti alla 
         Università Cattolica, era illecito pianificare a tavolino la morte di una gemella. 
7 - 1) Spieghiamo con un esempio il principio morale del duplice effetto e la sua applicazione.
         Supponiamo che in guerra un pilota parta per andare a bombardare un ponte. Giunto sull’obbiettivo vede che sul ponte 
         sta giocando un bambino che sarà ucciso se il ponte viene bombardato. Si chiede se sia lecito al pilota bombardare il 
         ponte (effetto/fine positivo) sapendo che ucciderà sicuramente il bambino (effetto/fine negativo).
         Secondo il principio del duplice effetto, e per chi ci crede, è moralmente lecito bombardare il ponte uccidendo il bambino 
         perchè, con le parole di Mons. Grillo, si può “ tendere ad un fine positivo anche se questo ne comporta uno negativo”.
         2) Prescindendo dalla validità o meno di tale principio è evidente che, comunque, non è applicabile al nostro caso.
         Nel principio del duplice effetto il fine negativo non può costituire il mezzo di assoluta necessità attraverso cui si ottiene il 
         fine positivo perché altrimenti si andrebbe contro il comando divino della Epistola ai Romani (III, 8) per cui non si può 
         fare il male per ottenere il bene : “non faciamus mala ut veniant bona” (“non facciamo cose cattive affinché capitino cose 
         buone”); volgarmente: “il fine non giustifica i mezzi”. Nel caso nostro il distacco di Milagro dal cuore comune, che vuol 
         dire ucciderla (effetto/fine negativo), costituisce il mezzo di assoluta necessità per tentare (invano) di dare maggiori 
         probabilità di vita a Marta (effetto/fine positivo), quindi il principio non è applicabile. 
         3) L’applicazione del principio del “duplice” effetto/fine è impugnabile anche sulla base della mancanza di “duplicità”.
         Il tentativo di aumentare le possibilità di vita di Marta è una cosa sola ed identica con la uccisione indispensabile, 
         premeditata, prevista in anticipo di Milagro; infatti il tentativo consiste tutto e solo nello staccare Milagro dal cuore 
         comune , e staccare una persona dal cuore vuol dire ucciderla. Tornando all’esempio precedente è come se la distruzione 
         del ponte potesse essere ottenuta solo con la uccisione premeditata e certa del bambino che vi gioca, cioè è come se senza 
         l’uccisione del bambino il bombardamento non producesse effetti distruttivi sul ponte, (il bombardamento equivarrebbe 
         ai ferri del chirurgo).  In verità non si tratta di un “duplice” effetto/fine ma di uno solo; di duplice ci sono solo due 
         persone che sono oggetto di un unico atto: l’atto di trattare una persona come se fosse un tumore dell’altra, tumore da 
         tagliare e buttare via. 
         4) Che se poi si insistesse, a torto, sul duplice effetto allora si può a ragione sostenere che il tutto è immorale perché 
         in verità l’effetto a cui si tende è quello negativo, (cioè l’uccisione di Milagro togliendole il cuore), perché è effetto 
         sicuro, previsto e provocato direttamente, mentre l’effetto a cui non si tende è quello positivo, (la salvezza della vita di 
         Marta), che è accidentale perché effetto incerto, non prevedibile con sicurezza, e non provocabile direttamente: e difatti 
         anche Marta è morta dopo solo due ore.
         5) Che tale principio non sia comunque applicabile al nostro caso si vede anche per analogia col fatto che non è lecito 
         salvare la madre uccidendo il feto o salvare il feto uccidendo la madre, nemmeno in previsione della morte di entrambi.
         6) Nel caso di gravidanza di gemelli monozigoti può capitare che la placenta sia in comune. Per favorire un feto non 
         sarebbe lecito staccare l’altro feto dalla placenta comune, provocandone la morte. È immediata l’analogia col caso delle 
         gemelle siamesi col cuore in comune.
         “Non faciamus mala ut veniant bona” “Non facciamo cose cattive affinché capitino cose buone” (Rom. III, 8).
8 - Il principio del male minore dice che fra due mali è lecito scegliere il minore.
         Esso è valido per i mali materiali: ad esempio mi è lecito scegliere  l’amputazione di una gamba in cancrena (male 
         materiale minore) per non morire (male materiale maggiore).
         Esso non è valido per i mali morali: ad esempio se un nemico mi offrisse salva la vita mia e dei miei figli a patto che 
         fornicassi (male morale minore) o che apostatassi (male morale maggiore) io non devo scegliere né uno né l’altro e devo 
         affrontare la morte mia e dei miei figli perché il male morale, offesa a Dio, non va fatto per nessuna ragione: ci penserà 
         poi Dio stesso a fare giustizia e a consolarci. I martiri cristiani hanno scelto la morte (male materiale) invece che bruciare, 
         in segno di adorazione, qualche grano di incenso alla statua dell’imperatore (male morale).
         Un altro sofisma insidioso, (collegato alla scorretta applicazione del principio del male minore), consiste nel considerare 
         lecito e conveniente scegliere l’uccisione certa di una gemella associata alla maggiore probabilità di vita dell’altra piuttosto 
         che la morte naturale di entrambe, morti considerate prossime e inevitabili: una vita e una morte piuttosto che due morti. 
         Il sofisma consiste nel preferire un male morale (l’uccisione) associato a un bene materiale piuttosto che due mali 
         materiali (le due morti naturali): la scelta è quella sbagliata perché nessun danno o bene materiale può legittimare il male 
         morale che è peccato contro Dio.
9 - Questa manovra di copertura degli errori e di soffocamento delle critiche, (tanto più temibili in presenza di un fallimento 
         totale degli scopi falsamente buoni con cui si era cercato di far accettare l’operazione), è stata effettuata immediatamente 
         anche da televisioni e giornali . Con la scusa di scoprire, (solo allora !), che forse (!) si era esagerato, ma a fin di bene 
         (!), nel violare la riservatezza e il rispetto dovuto al dolore della famiglia e nel farne uno spettacolo (elogiativo dei medici 
         che poi hanno fallito), televisioni e giornali si sono autoprescritti un rigoroso silenzio.
         Con una altra mano di vernice di ipocrita virtù hanno impedito alle voci critiche e alle domande imbarazzanti di farsi 
         sentire.

(9/2000)
 
 

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