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Lettera di S. Em.za Rev.ma il Card. Darìo Castrillon
Hoyos
(Questa lettera è stata redatta in tedesco e indirizzata al Capitolo Generale della Fraternità San Pietro. La traduzione dal tedesco è stata realizzata, il 12 luglio, dagli amici francesi del “Bulletin traditionaliste”, preceduta dalla seguente precisazione: Questa lettera è stata pubblicata lunedí 10 luglio sul sito tedesco della FSSPX. L’abbiamo tradotta noi non avendo reperito la versione in francese. Tradurre un testo del genere è cosa delicata, soprattutto quando si sa che ben presto apparirà una versione ufficiale, curata da persone ben altrimenti competenti. Ma siete in molti a desiderare di conoscere con rapidità questo testo.) testo in italiano - testo in tedesco - testo in francese - testo in inglese
Miei cari Fratelli,
Il Capitolo Generale della vostra Fraternità è un momento privilegiato per volgersi insieme, come fratelli, alla Persona di Gesú Cristo, nostro Salvatore e nostro solo Signore. È un momento privilegiato di comunione trinitaria, nel quale si rafforza l’unità nella Chiesa del Signore e l’unità fraterna fra noi. In quanto discepoli di Cristo noi dobbiamo tendere alla perfezione, ma rispettando le priorità che il Maestro stesso ci ha rivelate. La priorità assoluta è l’amore di Dio e l’amore per i nostri fratelli, caratteristica questa che distingue la nostra famiglia di fede. L’amore di Dio si esprime con la preghiera, con la celebrazione della fede, col mantenimento delle certezze che riguardano la vita morale e con i comportamenti disciplinari, che le proteggono e le garantiscono. È questo il dominio proprio della vostra peculiarità in seno alla Chiesa. Il mantenimento delle nobili tradizioni nella celebrazione del culto divino ne è il caratteristico segno distintivo. Dopo la mia nomina in aprile, ho esaminato gli archivi del vostro Istituto, ho parlato con molti di voi, ho letto numerose lettere che mi sono state inviate, cosí come ho interpellato a Roma alcune persone che conoscono la vostra situazione da molti anni. Adesso voglio rendervi partecipi delle mie riflessioni e delle mie decisioni. È innegabile che da un po’ di tempo il vostro Istituto attraversa una grave crisi. Nel febbraio scorso è stato compiuto un primo tentativo per risolverla, con la riunione generale di Rocca di Papa. Questa riunione, come sapete, ha prodotto un compromesso, che tentava di conciliare le esigenze del diritto comune della Chiesa col carattere particolare del vostro Istituto, cercando cosí di evitare la vostra divisione. Sfortunatamente questo compromesso ha prodotto nuove controversie, tra coloro che lo accettano e coloro che lo rigettano. Ciò malgrado, i Superiori hanno pregato la pontificia Commissione di approvarlo e di costituirlo come una regola eccezionale per voi. Dopo ponderata riflessione, e dopo aver consultato degli esperti, dico che la cosa non è possibile. Il motivo è costituito dalla estrema chiarezza che, in questa circostanza, presenta l’aspetto giuridico: un prete che gode del privilegio di celebrare la Messa secondo l’antico messale del 1962 non perde il diritto di utilizzare anche il messale del 1970, il quale è ufficialmente in vigore nella Chiesa latina. Nessun Superiore, tranne il Sovrano Pontefice, può impedire ad un prete di seguire la regola generale che è stata promulgata dal piú alto legislatore: è cioè nessun Superiore può impedirgli di celebrare secondo il rito riformato dal Papa Paolo VI. Una limitazione dell’esercizio di questo diritto può essere liberamente attuata da un prete, ma non può mai diventare la regola comune di un istituto. Per di piú non può essere imposta a dei seminaristi, né può costituire una causa per rifiutare loro l’ordinazione. Voi sapete bene che, in questo momento, questo aspetto della questione è particolarmente sentito tra voi, e un numero non trascurabile di seminaristi, e di preti, hanno manifestato l’intenzione di abbandonare il vostro Istituto nel caso fosse loro imposta una tale regola - cosa che di fatto non è possibile. È per questo che si impone l’urgenza di alcune decisioni, al fine di evitare la disgregazione della vostra Fraternità e la perdita delle vocazioni, cosí preziose in questi tempi. 1. La prima decisione è di natura giuridica. Le vostre Costituzioni, che sono state approvate “ad experimentum”, lasciano aperta la questione del numero dei mandati che un Superiore Generale può svolgere. Sembra ragionevole limitarli a due, della durata di 6 anni ciascuno, per un massimo di 12 anni, armonizzando la regola della Fraternità con quella della maggior parte degli istituti religiosi. Con questo la competente autorità della Santa Sede limita il tempo per l’incarico del Superiore Generale della Fraternità San Pietro a due mandati consecutivi di 6 anni ciascuno. Questa Commissione pontificia ringrazia il Padre Bisig, che ha svolto il suo mandato per 12 anni, per tutto ciò che ha fatto per la Fraternità, la quale deve a lui, per il primo periodo della sua storia, il suo consolidamento e la sua diffusione in tanti paesi: frutto questo del suo zelo ardente e della sua esigenza di santificazione personale e collettiva. Per la sua esperienza egli rimarrà sempre un pilastro e un appoggio per la vostra Fraternità, e sono sicuro che egli aiuterà il suo successore con i suoi buoni consigli.Mi auguro che tutti i membri della Fraternità accettino queste decisioni con sottomissione ed umiltà. Che tutti evitino di costituire dei nuovi gruppi di pressione o di resistenza contro la linea del Superiore Generale. Io assicuro che, a partire da adesso, la pontificia Commissione sarà piú presente nei seminari e nelle altre case della Fraternità, e veglierà attentamente sul loro buon andamento. È possibile che essa intervenga ulteriormente, se sarà necessario. Per quanto riguarda la liturgia, tutto rimane come dev’essere: la vostra Fraternità ha il privilegio, nelle sue cappelle e nelle sue chiese, di celebrare secondo i libri del 1962. I preti di questo istituto celebrano normalmente secondo questo rito, ma hanno il diritto - inutile ribadirlo - di celebrare secondo i libri in uso attualmente, in certi casi particolari che non saranno frequenti, ma che dipendono tuttavia dalla ragionevole e ponderata decisione dei preti. Io vi invito alla concelebrazione con il Vescovo locale, in particolare il Giovedí Santo. In tal modo dimostrerete in maniera visibile la vostra unità con il Pastore del luogo, che è anche il vostro pastore, e con il suo clero, di cui fanno anche parte i preti che appartengono agli istituti di vita consacrata o - come la vostra Fraternità - alle comunità di vita apostolica che si occupano delle anime nella diocesi. Per altro verso, è chiaro che nessun prete sarà obbligato a fare uso di questo diritto. In tal modo può stabilirsi una atmosfera di libertà e di fiducia in questo dominio, che è il contrario di ogni esclusivismo e di ogni estremismo liturgico. La “Fraternità San Pietro”, come suggerisce il suo stesso nome, non può essere che una famiglia di fratelli che si accettano reciprocamente con fraterno amore, e che sono inseriti nella grande famiglia della Chiesa cattolica romana, in seno alla quale vi è posto per i cattolici che possiedono una sensibilità tradizionale, cattolici che io difenderò con tutte le mie forze. Vi sottopongo ancora una riflessione personale. Non dovete vedere nell’aspetto del rito il punto centrale di tutta la Chiesa, né dovete considerare questo aspetto allo stesso livello della basi stesse della Chiesa: come l’unità nella vera fede, la disciplina comune sotto la gerarchia apostolica e la liturgia, che è la celebrazione dei Misteri della fede. Il rito non è la stessa cosa della celebrazione, ma ne costituisce una delle forme possibili. Non dimenticate peraltro che il rito riformato dal Papa Paolo VI è il rito comune della Chiesa latina. Il vostro compito non consiste nel modificare questo stato di fatto, o di parlare di quest’ultimo rito come se avesse un valore inferiore, piuttosto consiste nell’aiutare i fedeli che provano un attaccamento per l’antico rito a ritrovarsi meglio nella Chiesa. Se è vero che l’aspetto del rito costituisce un aiuto importante per la perennità del sacro, cosí minacciata oggi in seno alla Chiesa dalla secolarizzazione, tuttavia questa perennità non è legata ad una sola forma del rito, come certuni potrebbero credere, bensí il sacro deve preservarsi in tutte le relazioni con Dio. Il vostro compito è di far questo celebrando conformemente alle vostre disposizioni. Ma non dovete dare priorità alla forma della liturgia con la quale avete il privilegio di celebrare; piuttosto è molto piú opportuno che vediade in essa il contributo particolare del vostro Istituto all’opera comune della Chiesa. Il vostro contributo deve inserirsi nell’armonia della santità della Chiesa, in seno alla quale esso ha sicuramente un posto per tutto ciò che la completa, ma non per tutto ciò che la contraddice. Cosí facendo contribuirete al tempo stesso alla nuova evangelizzazione, alla quale il Santo Padre ci ha chiamati tutti. Richiamo su voi tutti la protezione della Santa Vergine Maria, Regina degli Apostoli, e la pienezza delle grazie celesti che può accordarvi Iddio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Roma, 29 giugno 2000. Cardinale Dario Castrillon Hoyos
Meine sehr lieben Brüder Ihre Bruderschaft hält im Moment ihr Generalkapitel ab. In meiner Eigenschaft als neuer Präsident der päpstlichen Kommission „Ecclesia Dei“ wäre ich sehr gerne bei Ihnen, um persönlich zu Ihnen zu sprechen. Da dies leider nicht möglich ist auf Grund einiger Verpflichtungen, die ich schon vor längerem übernommen habe, schreibe ich Ihnen diesen Brief. Das Generalkapitel Ihrer Bruderschaft ist ein bevorzugter Augenblick, um gemeinsam, als Brüder, auf die erhabene Person Jesu Christi, unseres Erlösers und einzigen Herrn, zu blicken. Es ist ein bevorzugter Augenblick trinitarischer Kommunion, in welcher sich die Einheit in der Kirche des Herrn und die Einheit unter uns als Brüdern verstärkt. Als Schüler Jesu müssen wir uns um Vollkommenheit bemühen, aber mit den Prioritäten, die der Meister selbst uns geoffenbart hat. Die absolute Priorität ist die Liebe Gottes und die Liebe unserer Brüder als Unterscheidungsmerkmale unserer Glaubensfamilie. Die Gottesliebe drückt sich aus im Gebet, in der Zelebration des Glaubens, im Festhalten an Gewissheiten, die das moralische Leben betreffen, und in den disziplinären Äußerungen, die diese schützen und garantieren. Das ist das besondere Feld Ihrer Besonderheit in der Kirche. Das Festhalten an den edlen Traditionen in der Feier des heiligen Kultes ist dessen charakteristisches Merkmal. Seit meiner Ernennung im vergangenen April habe ich die Akten Ihres Institutes studiert, ich habe mit mehreren von Ihnen gesprochen und ich habe zahlreiche Briefe gelesen, die mich erreicht haben; ebenso habe ich mich bei Personen in Rom informiert, die schon seit Jahren Ihre Situation kennen. Nach all dem möchte ich Ihnen nun meine Überlegungen und meine Entscheidungen mitteilen. Man kann unmöglich leugnen, dass Ihr Institut seit einer gewissen Zeit eine schwere Krise durchlebt. Ein erster Versuch, diese Krise zu lösen, wurde im vergangenen Februar unternommen mit der Generalversammlung in Rocca di Papa. Diese hat, wie Sie wissen, einen Kompromiss ausgearbeitet, der versuchte die Anforderungen des allgemeinen Rechts der Kirche mit dem besonderen Charakter Ihres Institutes zu vereinen und so Ihre Spaltungen zu überwinden. Dieser Kompromiss ist leider seinerseits Gegenstand neuer Kontroversen geworden zwischen denen, die ihn annehmen, und denen, die ihn ablehnen. Trotzdem haben die Oberen die Päpstliche Kommission gebeten, diesen Kompromiss zu approbieren und ihn für Sie zu einem Sondergesetz zu machen. Nach reiflicher Überlegung und Befragung der Experten stelle ich fest, dass das nicht möglich ist. Der Grund dafür ist die klare Sachlage der rechtlichen Situation in dieser Angelegenheit, nämlich: Ein Priester, der das Privileg genießt, gemäß dem alten Missale von 1962 zu zelebrieren, verliert nicht das Recht, ebenso das Missale von 1970 zu benutzen, das in der lateinischen Kirche offiziell in Geltung ist. Kein Oberer unterhalb des Obersten Pontifex kann einen Priester daran hindern, dem allgemeinen Gesetz zu folgen, das vom obersten Gesetzgeber promulgiert wurde, d.h. im reformierten Ritus Papst Pauls VI. zu zelebrieren. Eine Beschränkung der Ausübung dieses Rechtes kann von einem Priester frei beschlossen werden, aber sie kann niemals allgemeine Regel in einem Institut werden. Sie kann auch nicht Seminaristen auferlegt werden oder der Grund sein, um ihnen die Weihen zu verweigern. Sie wissen sehr gut, dass dieser letzte Punkt für Sie von großer Aktualität ist in diesem Moment, wo eine nicht geringe Zahl von Seminaristen und selbst von Priestern die Absicht hat, Ihr Institut zu verlassen, wenn diese Regel Ihnen auferlegt würde ? was aber tatsächlich nicht möglich ist. Es ist daher dringend notwendig, einige Entscheidungen zu treffen, um ein Auseinanderfallen Ihrer Bruderschaft zu vermeiden und den Verlust von Berufungen, die in unserer Zeit so wertvoll sind. 1. Die erste Entscheidung ist rechtlicher Art: Ihre Konstitutionen, die „ad experimentum“ approbiert wurden, lassen die Frage offen nach der möglichen Anzahl von Mandaten eines Generaloberen. Es scheint angemessen, diese auf zwei Mandate von je 6 Jahren zu beschränken, d.h. auf ein Maximum von 12 Jahren, in Angleichung der Bruderschaft an die Mehrzahl der anderen kirchlichen Institute. Die zuständige Autorität des Heiligen Stuhles begrenzt hiermit die Amtszeit des Generaloberen der Priesterbruderschaft St. Petrus auf zwei aufeinander folgende Mandate von je 6 Jahren. Diese Päpstliche Kommission dankt Hw. P. Bisig, der dieses Amt während 12 Jahren ausgeübt hat, für alles, was er für die Bruderschaft getan hat, die ihm ihre Konsolidierung und ihre Ausbreitung in mehrere Länder während der Anfangsperiode ihrer Geschichte verdankt, Frucht seines brennenden Eifers und seines Verlangens nach persönlicher und gemeinschaftlicher Heiligung. Durch seine Erfahrung wird er immer eine Säule und eine Stütze für Ihre Bruderschaft bleiben und wird, dessen bin ich sicher, seinem Nachfolger helfen durch seine guten Ratschläge.Ich wünsche, dass alle Mitglieder der Bruderschaft diese Entscheidungen mit Unterwerfung und Demut annehmen. Mögen sich alle davor hüten, wiederum Gruppen der Pression oder des Widerstandes gegen die Führungslinie des Generaloberen zu bilden. Ich verspreche, dass die Päpstliche Kommission von nun an in den Seminaren und den anderen Häusern der Bruderschaft mehr präsent sein und aufmerksam über deren guten Zustand wachen wird. Es kann auch sein, dass sie von neuem intervenieren wird, wenn dies notwendig ist. Was die Liturgie betrifft, so bleibt alles wie es sein soll: Ihre Bruderschaft hat das Privileg, in ihren eigenen Kapellen und Kirchen nach den liturgischen Büchern von 1962 zu zelebrieren. Die Priester des Institutes zelebrieren normalerweise nach diesem Ritus, aber sie haben das Recht ? unnötig das zu wiederholen ? auch nach den derzeit geltenden Büchern zu zelebrieren in besonderen Fällen, die nicht häufig sein werden, die jedoch der vernünftigen und taktvollen Entscheidung der Priester überlassen bleibt. Ich ermutige zur Konzelebration mit dem Ortsbischof, besonders in der Ölweihmesse. Auf diese Weise werden Sie sichtbar Ihre Einheit mit dem Hirten dieser Ortskirche demonstrieren, der auch Ihr Hirte ist, und mit seinem Presbyterium, zu dem auch die Priester gehören, die Mitglieder in Instituten des Geweihten Lebens oder in Gemeinschaften des Apostolischen Lebens ? wie Ihre Bruderschaft ? sind, die ein seelsorgliches Amt in der Diözese bekleiden. Andererseits ist es klar, dass kein Priester gezwungen wird von diesem Recht Gebrauch zu machen. So kann eine Atmosphäre der Freiheit und des Vertrauens in diesem Bereich entstehen, die im Gegensatz steht zu jeder Ausschließlichkeit und jedem liturgischen Extremismus. Die „Bruderschaft St. Petrus“, wie ihr Name schon sagt, kann nur eine Familie von Brüdern sein, die sich gegenseitig mit brüderlicher Liebe annehmen und die ganz in die große Familie der römisch katholischen Kirche eingebunden sind, wo es einen legitimen Platz gibt für die Katholiken mit traditionellem Empfinden, den ich mit all meinen Kräften verteidigen werde. Ich vertraue Ihnen noch eine persönliche Überlegung an: Sie dürfen nicht im Aspekt des Ritus den Mittelpunkt der ganzen Kirche sehen und diesen Aspekt auf die selbe Ebene stellen wie die Grundlagen selbst, wie die Einheit im wahren Glauben, die gemeinsame Disziplin unter der apostolischen Hierarchie und die Liturgie, die die Feier der Geheimnisse des Glaubens ist. Der Ritus ist noch nicht die Zelebration selbst, sondern er ist nur eine ihrer möglichen Formen. Vergessen Sie außerdem nicht, dass der von Papst Paul VI. reformierte Ritus der allgemeine Ritus der lateinischen Kirche ist. Ihre Aufgabe ist es nicht, diesen Stand der Dinge zu verändern oder über diesen Ritus so zu sprechen, als sei er von geringerem Wert, sondern den Gläubigen zu helfen, die eine Anhänglichkeit an den alten Ritus haben, sich in der Kirche besser wiederzufinden. Wenn es stimmt, dass der Aspekt des Ritus eine wichtige Hilfe ist für den Fortbestand des Heiligen, das in der Kirche von heute durch die Verweltlichung so bedroht ist, so geschieht doch dieser Fortbestand nicht nur durch eine einzige Form des Ritus, wie manche das vielleicht glauben könnten, sondern man muss das Heilige bewahren in allen Beziehungen mit Gott. Ihre Aufgabe ist es, dies zu tun, indem Sie gemäß Ihrer Begabung zelebrieren. Jedoch dürfen Sie nicht der Form der Liturgie, in der Sie das Privileg haben zu zelebrieren, eine Vorrangstellung zuweisen, sondern es gilt vielmehr diese zu sehen als den besonderen Beitrag Ihres Instituts zum gemeinsamen Werk der Kirche. Ihr Beitrag muss sich in diese Harmonie der Heiligkeit der Kirche einfügen, wo es sicherlich Platz gibt für sich Ergänzendes, nicht aber für sich Widersprechendes. Indem Sie so handeln, tragen Sie gleichzeitig zur Neu-Evangelisierung bei, zu der der Heilige Vater uns alle aufruft. Ich rufe auf Sie alle den Schutz der Heiligen Jungfrau Maria herab, der Königin der Apostel, und die Fülle der himmlischen Gnaden, die Ihnen gewähren möge Gott der Vater, der Sohn und der Heilige Geist. Rom, am 29. Juni 2000 Dario Card. Castrillon Hoyos
Mes très chers Frères, Votre Fraternité tient en ce moment son Chapitre Général.
En ma qualité de nouveau président de la Commission papale
"Ecclesia Dei", je serais très volontiers parmi vous, pour vous
parler personnellement. Comme ce n'est malheureusement pas possible, du
fait de quelques obligations que j'ai prises il y a déjà
assez longtemps, je vous écris cette lettre.
1. La première décision est de nature juridique. Vos constitutions, qui ont été approuvées "ad experimentum", laissent ouverte la question du nombre de mandats qu'un Supérieur Général peut remplir. Il semble raisonnable de limiter cela à deux mandats de 6 ans chacun, c'est-à-dire à un maximum de 12 années, en harmonisation de la Fraternité avec la majorité des autres instituts religieux. L'autorité compétente du Saint Siège limite par cela le temps de fonction du Supérieur Général de la Fraternité Saint Pierre à deux mandats de 6 ans chacun, se suivant. Cette commission papale remercie le père Bisig, qui a rempli ces fonctions pendant 12 ans, pour tout ce qu'il a fait pour la Fraternité, qui lui doit, durant la période de commencement de son histoire, sa consolidation et son extension dans plusieurs pays, ce qui est le fruit de son zèle brûlant, et de son exigence de sanctification personnelle et collective. De par son expérience, il restera toujours un pilier et un appui pour votre Fraternité, et je suis sûr qu'il aidera son successeur par ses bons conseils.Je souhaite que tous les membres de la Fraternité acceptent ces décisions avec soumission et humilité. Que tous se gardent, de constituer de nouveau des groupes de pression ou de résistance contre la ligne du Supérieur Général. Je promets que la Commission papale sera plus présente, à partir de maintenant, dans les séminaires et les autres maisons de la Fraternité, et qu'elle veillera attentivement à leur bon état. Il peut aussi arriver qu'elle intervienne à nouveau, si cela est nécessaire. Pour ce qui concerne la liturgie, tout reste comme cela doit être: votre Fraternité a le privilège, dans ses chapelles et églises, de célébrer selon les livres de 1962. Les Prêtres de cet institut célèbrent normalement d'après ce rite, mais ils ont le droit - inutile de le rappeler - de célébrer d'après les livres actuellement en usage, dans des cas particuliers qui ne seront pas fréquents, qui restent cependant à la décision raisonnable et pleine de tact des Prêtres. Je vous incite à la concélébration avec l'évêque local, particulièrement le Jeudi Saint. De cette manière vous démontrerez de façon visible votre unité avec le pasteur de cette église locale, qui est aussi votre pasteur, et avec son clergé, dont font également partie les Prêtres qui sont membres d'instituts de vie consacrée, ou - comme votre Fraternité - de communautés de vie apostoliques, qui ont charge d'âmes dans le diocèse. D'un autre côté, il est clair qu'aucun Prêtre ne sera obligé à faire usage de ce droit. Ainsi peut exister une atmosphère de liberté et de confiance dans ce domaine, qui est le contraire de toute exclusivité et de tout extrémisme liturgique. La "Fraternité Saint Pierre", comme l'indique son nom, ne peut être qu'une famille de frères, qui s'acceptent mutuellement avec un amour fraternel, et qui sont insérés dans la grande famille de l'Église catholique romaine, au sein de laquelle il y a une place pour les Catholiques ayant une sensibilité traditionnelle, que je défendrais de toutes mes forces. Je vous livre encore une réflexion personnelle. Vous ne devez pas voir dans l'aspect du rite le point central de toute l'Église, ni placer cet aspect au même niveau que les bases mêmes, telles que l'unité dans la vraie foi, la discipline commune sous la hiérarchie apostolique, et la liturgie, qui est la célébration des Mystères de la foi. Le rite n'est pas la célébration elle-même, mais il n'est est qu'une des formes possibles. N'oubliez pas non plus que le rite réformé par le Pape Paul VI est le rite commun de l'Église latine. Votre tache n'est pas de modifier cet état de fait, ou de parler de ce rite comme s'il était de moindre valeur, mais d'aider les fidèles qui ont un attachement à l'ancien rite, de mieux se retrouver dans l'Église. S'il est vrai que l'aspect du rite est une aide importante pour la pérennité du sacré, qui est aujourd'hui si menacé dans l'Église par la sécularisation, cette pérennité ne passe cependant pas par une seule forme de rite, comme certain pourrait le croire, mais on doit préserver le sacré dans toutes les relations avec Dieu. Votre tache est de faire cela, en célébrant conformément à vos dispositions. Mais vous ne devez pas donner la priorité à la forme de la liturgie, dans laquelle vous avez le privilège de célébrer; il convient bien plus de voir en elle la contribution particulière de votre institut à l'oeuvre commune de l'Église. Votre contribution doit s'insérer dans l'harmonie de la sainteté de l'Église, où il y a bien sûr de la place pour ce qui se complète, mais pas pour ce qui ce contredit. En faisant cela, vous contribuez en même temps à la nouvelle évangélisation, à laquelle le saint père nous appelle tous. J'appelle sur vous tous la protection de la Sainte Vierge Marie, reine des Apôtres, et la plénitude des grâces célestes que puisse vous accorder Dieu le Père, le Fils, et le Saint Esprit. Rome, le 29 juin 2000. Cardinal Dario Castillion Hoyos
My very dear friends, Your Fraternity is holding its General Chapter at this very moment. In my capacity as the new president of the papal Commission " Ecclesia Dei ", I would be very happy to be among you, to speak to you personally. As it is unfortunately not possible, because of other obligations, I write this letter to you. The general Chapter of your Fraternity is privileged to look together, as brothers, at the person of Jesus Christ, our Savior and our only Lord. It is a privileged moment of communion, in which the unity in the Church of Our Lord, and the fraternal unity between us, is reinforced. As pupils of Christ, we must tend towards perfection, by respecting the priorities that the Master Himself revealed to us. The absolute priority is the love of God, and love of our brothers, which is the characteristic which differentiates our family of faith. The love of God is expressed in prayer, in the celebration of faith, in the maintenance of the certainty which relates to the moral life, and in the disciplinary measures which protect and safeguard them. Since my nomination in April, I studied the files of your institute, I spoke with several among you, and I read many letters which reached me. In the same way, in Rome I was informed by people who have known about your situation for several years. After all this, I want now to announce to you of my reflections and my decisions. It is undeniable that your institute saw a severe crisis for a certain time. The events of last February were a first attempt to solve this crisis. That meeting, as you know, elaborated a compromise, whose purpose was to reconcile the requirements of the common right of the Church with the character of private individuals of your institute, while avoiding divisions between you. This compromise unfortunately was the subject of new controversies between those who accepted and those who rejected it. In spite of this, the FSSP superiors requested a papal Commission to approve this compromise as a rule of the Fraternity. After much reflection, and having consulted with experts, I declare that this compromise is not permissible. The reason for my position has a very clear legal aspect under the circumstances: a priest, who enjoys the privilege to celebrate the Mass according to old missal of 1962 does not lose not right to also use missal of 1970, which is officially in force in the Latin Church. No superior, below Sovereign pontiff, can prevent a priest from following the general rule, which was promulgated by the highest legislation, i.e. to celebrate the reformed rite of the Pope Paul VI. A limitation of the exercise of this right can be freely decided by one priest, but can never become the common rule in an institute. It cannot be imposed on the seminarians either, nor become a cause to refuse them assistance. You well know that this is a point of special interest for you, at the moment, because a considerable number of seminarians, and even priests, have the intention to leave your institute, if this rule were inflicted on them - what is in fact, not possible. It is for this reason that it is urgent to make some decisions, to avoid a disintegration of your Fraternity, and the loss of vocations, which are invaluable at this time. 1. The first decision is of a legal nature: Your constitutions, which were approved "ad experimentum ", leave open the question of the number of terms that a Superior General can hold office. It seems reasonable to impose limits of two 6 year terms each, i.e. with a maximum of 12 years, in harmonization of the Fraternity with the majority of other religious institutes. Henceforth the Superior General of the Fraternity of Saint Peter is limited to two 6 year terms served consecutively. This papal commission thanks Father Bisig, who fulfilled these functions during 12 years, for all that he did for the Fraternity, which owes him, during the period from the beginning of its history, its consolidation and its extension in several countries, which is the fruit of his extreme zeal, and of his requirement of personal and collective sanctification. He will remain always a pillar and a support for your Fraternity, and I am sure that he will help his successor by good consultations.I wish that all the members of the Fraternity accept these decisions with tenderness and humility. They are made to prevent further resistance, and to prevent special interest groups from aligning against the Superior General. I promise that the papal Commission will be more present, from now on, in the seminaries and the other houses of the Fraternity, and will watch attentively for their good behavior. It may also happen that the Ecclesia Dei Commission will intervene again, should it become necessary. Concerning the liturgy, I remind you that your Fraternity has the privilege, in its churches, to celebrate according to books of 1962. The priests of this institute celebrate normally according to this rite, but they also have the right to celebrate according to books currently in use [the missal of Pope Paul VI]. I urge you to concelebrate with the local bishop, particularly on Maundy Thursday. In this manner you will show visibly your union with the pastor of the diocese, who too is your pastor, and with his clergy, which includes priests who are members of other institutes of consecrated life. On the other hand, it is clear that no priest will be obliged to make use of this right. Thus can exist an atmosphere of freedom and confidence in this matter, which is opposite to any exclusiveness or liturgical extremism. The "Fraternity of Saint Peter ", as indicated by its name, cannot but be a family of brothers, who accept themselves mutually with a fraternal love, and which is included in the great family of the Roman Catholic Church, within which there is a place for Catholics having a traditional sensitivity, which I would defend with all of my forces. I deliver a personal reflection to you: You should not see in the traditional rite the centrality of the Church, nor place it on an even level with Church foundations, such as the true faith, the discipline of the apostolic hierarchy, and the liturgy itself, which is the celebration of the Mysteries of the faith. The rite is not the celebration itself, but is only one of the possible forms. Forget no more than the reformed rite of Pope Paul VI is the common rite of the Church. Your place is not to modify this state of things, or to speak about the reformed rite as if it were of less value, but to help the faithful who have an attachment with the old rite, to better find themselves in the Church. If it is true that the traditional rite is of significant help for some of the faithful, who may otherwise be threatened in the Church today by secularization, the permission to celebrate the traditional rite does not exclude other rites, as some might wish to believe, but rather, one must preserve gloriously all the relations with God. Your place is to do that, while celebrating in accordance with the established provisions. You should therefore not give priority to the traditional form of the liturgy, in which you have the privilege to celebrate; it is appropriate rather to see the particular contribution of your institute to the common work of the Church. Your contribution must fit in with the harmony of the holiness of the Church, where there is of course a place for what is complementary, but not for what is objectionable. By doing that, you contribute at the same time to the new evangelization, to which the Holy Father calls us all. I call on the protection of the Holy Virgin Mary, queen of Apostles for you, and a plenitude of celestial graces to bring you safely to God the Father, the Son, and the Holy Spirit. Rome, June 29 2000. Cardinal Dario Castrillon Hoyos
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