Intervista rilasciata dall’abbé Arnaud Devillers,
nuovo Superiore Generale della FS San Pietro,
a Famille Chretienne, n°13-19 gennaio 2001
Col titolo: “Quo vadis?”, Famille Chretienne ha pubblicato
(n° del 13-19 gennaio 2001) una intervista all’abbé Devillers.
L’intervista era preceduta da questa introduzione.
L’abbé Arnaud Devillers è il nuovo Superiore
Generale della Fraternità Sacerdotale San Pietro, eretta nel 1988
per i preti desiderosi di esercitare il loro ministero celebrando il rito
liturgico anteriore al Concilio Vaticano II.
A Roma, La Commissione Ecclesia Dei è responsabile degli àmbiti
religiosi che intendono conservare la liturgia preconciliare in unione
con la Santa Sede.
Oggi la FSSP è presente in una dozzina di paesi, conta piú
di 115 preti e 120 seminaristi. Ma, da due anni, sta vivendo delle tensioni
interne. L’abbé Arnaud Devillers ne spiega il contesto e il modo
con il quale spera di poterle superare.
Qual è il punto centrale che crea le tensioni in seno
alla Fraternità?
Il cuore del problema è la questione relativa alla possibilità
per i preti della Fraternità di concelebrare la messa secondo il
rito di Paolo VI. Essa è auspicata da alcuni preti, ma rifiutata
da altri.
A questo proposito la Congregazione per il Culto Divino ha pubblicato
una nota il 3 luglio del 1999, in cui si precisa che questa concelebrazione
è permessa ai preti della FSSP, e che i loro Superiori non devono
impedirla. Tuttavia, questa nota non obbliga alcun prete a celebrare secondo
il nuovo rito e non permette neanche al Vescovo di obbligarlo. Ciò
nonostante, queste precisazioni sono state recepite da una parte della
FSSP come un tentativo di cancellare a poco a poco la sua identità
tradizionale.
Le tensioni esistevano già prima della pubblicazione di
questa nota. Perché?
Già nella primavera del 1998 l’elezione dei rappresentanti
al Capitolo Generale si era svolta in maniera tale che solo una delle due
tendenze della Fraternità venne rappresentata, quella che non era
favorevole alla concelebrazione col nuovo rito. Alcuni preti dell’altra
tendenza si sono dunque inquietati, e 16 di essi, di cui una dozzina francesi,
hanno presentato un ricorso alla Commissione Ecclesia Dei, il 29 giugno
1999, chiedendo la nomina di un amministratore apostolico.
Un tale ricorso è per sua natura confidenziale. Ma a causa di
indiscrezioni esso è stato pubblicato su internet. Il che ha provocato
dei grossi scompensi tra i preti della Fraternità. Quelli che non
avevano sottoscritto il ricorso si sono sentiti offesi, perché posti
sotto accusa sulla loro fedeltà alla Chiesa, e subito hanno reagito
con forza. Su questo si sono innestate delle questioni personali, e i laici
hanno ancor piú complicato le cose, ripetendo e deformando di proposito.
Il 13 aprile scorso il Papa ha nominato un nuovo Presidente della
Commissione Ecclesia Dei, nella persona del Cardinale colombiano Dario
Castrillòn Hoyos. In questo contesto qual è stato il suo
ruolo?
Il Card. Castrillòn Hoyos è intervenuto poco
tempo dopo la sua nomina, al momento dello svolgimento del Capitolo Generale
nel maggio scorso, e nel corso del quale avremmo dovuto eleggere il Superiore
Generale della Fraternità e il Consiglio. Infatti, nel secondo giorno
del Capitolo, il Segretario della Commissione Ecclesia Dei, mons. Camille
Perl, che rappresentava il Card., ci ha letto una sua lettera nella quale
egli annunciava che, per evitare delle nuove divisioni in seno alla Fraternità,
nominava lui stesso il nuovo Superiore Generale.
Non si è trattato del primo intervento di questo genere della
Santa Sede. Nel 1991 la Commissione Ecclesia Dei era già intervenuta
per riconfermare come Superiore Generale l’abbé Bisig, che era giunto
alla scadenza del suo mandato.
Con gran sorpresa di tutti, e mia, il Card. ha deciso di nominarmi
Superiore Generale. Da parte mia già dal 1991 ero negli Stati Uniti,
come Superiore del distretto nord-americano della Fraternità. Si
tratta di un distretto che va molto bene: oggi siamo presenti in venticinque
Diocesi, ed eravamo del tutto estranei alle questioni sorte in Francia
in questi ultimi tempi.
Avete ricevuto delle consegne particolari da parte del Card.
Castrillòn Hoyos?
Il Card. ha spiegato nella sua lettera che il mio compito consiste
nel «riportare la pace» nella Fraternità, e nel «rafforzare
il suo spirito fraterno». Egli ha chiarito, peraltro, che la Fraternità
deve conservare la sua specificità, che consiste nel celebrare i
Sacramenti secondo il rito di San Pio V. Ha anche sottolineato però
che i preti della Fraternità hanno il diritto di celebrare la Messa
secondo le norme liturgiche attuali. Tuttavia, in forza della specificità
della Fraternità, essi devono usare questa possibilità solo
in maniera eccezionale, in casi particolari. Uno di questi casi è
quello della concelebrazione al Giovedí santo insieme al clero locale
riunito attorno al Vescovo della Diocesi. In questo caso, anche se non
vi è alcun obbligo, il Card. raccomanda ai preti della Fraternità
di esprimere questo segno di comunione ecclesiale.
Come sono state ricevute queste raccomandazioni?
I preti della Fraternità San Pietro sono molto sensibili
a quanto dispone la Commissione Ecclesia Dei. Il Card. ha chiarito i principi,
adesso a poco a poco potranno risolversi tanti problemi. In questo momento
il piú difficile è quello della pacificazione circa le questioni
personali che hanno finito col mescolarsi a queste tensioni. Bisogna sperare
che i gruppi di fedeli che si sono schierati con gli uni o con gli altri
contribuiscano a questa pacificazione, e non a ravvivare le ferite. Come
per tutti i problemi umani, occorre una lunga convalescenza per perdonare
e dimenticare le offese.
Nell’attesa abbiamo concluso la costruzione di due seminari che presto
saranno inaugurati: uno negli Stati Uniti e un altro a Wigratzbad in Germania,
dove si trova la casa madre della Fraternità. Il Card. Castrillòn
Hoyos è venuto lui stesso a benedirlo il 2 dicembre.
Bisogna ricordare che noi siamo una comunità molto giovane.
In genere nelle nuove comunità va tutto bene nei primi dieci anni
di vita, poi, fino alla «maggiore età» si attraversa
un periodo difficile. A questo stadio esse sono spesso «di diritto
diocesano» e dunque dipendono dal Vescovo. Noi ci troviamo in una
situazione particolare, tre mesi dopo la nostra creazione siamo stati riconosciuti
«di diritto pontificio», mentre in generale occorrono fino
a trent’anni per ottenere questo status! La nostra «giovinezza»
dunque, e questo stadio «precoce», spiegano la necessità
di un intervento saltuario della Santa Sede.
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