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DOSSIER SAN PIETRO
Nostro aggiornamento e commento del gennaio 2001
Gli sviluppi della vicenda della Fraternità Sacerdotale San Pietro
Dopo lo svolgimento del suo Capitolo Generale del luglio scorso, in
seguito al quale ha rilasciato il comunicato che già
conosciamo, la FSSP ha presentato un ricorso gerarchico
avverso le disposizioni che il Card. Castrillon, Presidente della Pontificia
Commissione Ecclesia Dei, aveva comunicato allo stesso Capitolo riunito.
Come si ricorderà, il Capitolo Generale della Fraternità
aveva assunto la decisione di invitare i preti dissidenti a lasciare la
Fraternità stessa e a formarne un’altra, ritenendo che questa fosse
l’unica soluzione possibile, in grado di mantenere la Fraternità
San Pietro nella linea assunta fin dalla sua fondazione.
Nei fatti, queste due tendenze si basano su due diverse visioni del rapporto di comunione con la Santa Sede. Sulla base degli atti di fondazione la maggior parte dei preti della Fraternità ritiene di potere svolgere il proprio apostolato solo mantenendo la massima autonomia rispetto all’andamento delle Diocesi in cui òperano. Questo non significa rifiutare l’autorità dell’Ordinario del luogo, quanto piuttosto seguire le esigenze e la sensibilità dei fedeli legati alla liturgia tradizionale. D’altronde, se i fedeli (e gli stessi preti della Fraternità San Pietro) non sentissero il sincero bisogno di restare uniti alla Santa Sede, potrebbero benissimo aggregarsi alla Fraternità San Pio X. Questa loro sincera e precisa volontà dovrebbe essere oggetto di particolare attenzione da parte degli Ordinari del luogo, i quali non dovrebbero pretendere, in forza della loro carità pastorale, di forzare la sensibilità dei cattolici che vogliono praticare la loro fede in comunione con la chiesa locale.Per avere un’idea concreta della differenza, si può prendere ad esempio la maniera con cui si può dar vita ai vari centri di apostolato. Secondo la prima visione è importante che i preti conducano vita comunitaria e organizzino il loro apostolato avendo prioritariamente in vista le esigenze dei propri fedeli, anche a scapito di una piú diffusa presenza nel territorio. Questo permette di sentirsi parte di un àmbito che ha i propri carismi e le proprie esigenze.
Ci si chiede: se si finisse col perdere la propria identità, che senso avrebbe dichiarare di voler restare uniti alla Santa Sede? Ogni fedele che vive in seno alla comunità ecclesiale è già in comunione con la Santa Sede, non ha bisogno di alcun Motu Proprio per essere aiutato a farlo. Il significato del Motu Proprio si giustifica solo se vi è una reale diversità e se questa mantiene la sua vitalità e la sua ragion d’essere. Da qui si comprende facilmente che la prima preoccupazione delle società di vita apostolica dell’Ecclesia Dei dev’essere quella di mantenere in vita questa diversità, anzi di esaltarla conciliandola, come dev’essere, col sentire cum Ecclesia. Il loro apostolato è fondato precisamente su questa esigenza e si giustifica solo per essa. Abbandonare o ridimensionare questa priorità significa votare alla morte le società e le comunità dei fedeli ad esse affidate.Qualunque Vescovo che avesse a cuore il bene dei fedeli legati alla Tradizione, affidati alla sua cura pastorale, dovrebbe fare di tutto per sostenere la continuità della loro esistenza. Ma c’è un’altra possibilità, che, per quanto possa apparire sbalorditiva, è invero praticata da molti Vescovi. Costoro ritengono che lo scopo del Motu Proprio Ecclesia Dei sia quello di facilitare la comunione ecclesiale dei fedeli legati alla liturgia tradizionale, intendendo con questo il loro totale inserimento in seno alla comunità ecclesiale e l’abbandono delle loro esigenze, ritenute ingiustificate e contrarie al sentire cum Ecclesia.Spesso ci si chiede se questi Presuli siano veramente in piena comunione con la Santa Sede. Quando i preti minoritari della Fraternità San Pietro si appellano alla necessità di dover dimostrare una maggiore “unione” con l’Ordinario del luogo, fanno finta di dimenticare che la maggiore parte degli Ordinari si muove in opposizione al Motu Proprio Ecclesia Dei, e quindi in opposizione a loro stessi e alla ragion d’essere della Fraternità. Si dice (vedi le dichiarazioni del Superiore Devillers) che spesso basti una maggiore “comunicazione”, un piú accurato “avvicinamento”, per produrre un atteggiamento diverso da parte dei Vescovi e dei preti contrari all’applicazione del Motu Proprio. Ora, non v’è dubbio che se le cose stessero cosí si esprimerebbe di fatto un giudizio parecchio negativo sulla stessa intelligenza degli interessati, se non altro perché fino ad allora questi sarebbero stati contrari a qualcosa che non conoscevano. Il che è assurdo. La verità è che quando si parla di “comunicazione” e di “avvicinamento” ci si riferisce in pratica, con degli eufemismi, alla precisa volontà di perdere o di annacquare la propria identità per acquisirne un’altra che sia ben accetta ai Vescovi e ai preti che sono contrari alla pratica della liturgia tradizionale. È logico che poi si riscontri una maggiore benevolenza! * * * La Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha risposto
al ricorso presentato dal Capitolo della Fraternità, respingendolo.
* * * Il grave dissidio insorto nella Fraternità ha avuto come centro
geografico la Francia, e il principale fautore della sollevazione dei 16
preti della Fraternità contro i loro Superiori è stato il
Padre Denis Le Pivain, piú volte contestato dai fedeli.
su un sito francese: http://adflicta.free.fr/left.htm; e su un sito italiano: http://www.sanpiox.it/documenti.htm.
I fedeli francesi che appartengono alla parrocchia retta dal Padre Denis Le Pivain (Notre-Dame des Armées a Versailles) ne hanno chiesto, logicamente, l’immediato allontanamento (vedasi il volantino da loro diffuso a metà gennaio). Sembrerebbe, a questo punto, che il Card. Castrillon non sia sincero quando difende con forza i diritti dei fedeli legati alla liturgia tradizionale, ma non sarebbe corretto giudicare il suo operato senza tenere conto delle dichiarazioni che egli continua a rilasciare in tal senso. Nel novembre e nel dicembre scorsi il Cardinale ha rilasciato due interviste a due autorevoli riviste: una italiana (novembre 2000) il noto mensile 30Giorni, ed una francese (dicembre 2000) La Nef. In esse egli ribadisce l’importanza della liturgia tradizionale e la legittimità delle richieste dei fedeli ad essa legati. In un’altra nota affrontiamo gli sviluppi che si sono prodotti in questo senso negli ultimi mesi (Qualcosa si muove a Roma). Inter Multiplices Una Vox
Nomine effettuate dal nuovo Superiore Generale: - Rev. Padre Philip Creurer, Segretario generale - Rev. Padre René de Reboul, Economo generale - Rev. Padre Engelbert Recktenwald, Superiore del distretto di lingua tedesca - Rev. Padre Paul Carr, Superiore del distretto dell’America del Nord - Rev. Padre Bernward Deneke, Superiore del seminario San Pietro di Wigratzbad (Germania) - Rev. Padre James Jackson, Superiore del seminario Nostra Signora di Guadalupe à Denton (Stati Uniti).
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