DOSSIER  SAN  PIETRO
I documenti e i commenti sulla vicenda della 
Fraternità Sacerdotale San Pietro


 
 

Nostro aggiornamento e commento del gennaio 2001
 
 

Gli sviluppi della vicenda della Fraternità Sacerdotale San Pietro



Dopo lo svolgimento del suo Capitolo Generale del luglio scorso, in seguito al quale ha rilasciato il comunicato che già conosciamo, la FSSP ha presentato un ricorso gerarchico avverso le disposizioni che il Card. Castrillon, Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, aveva comunicato allo stesso Capitolo riunito. 
Intanto, il Padre Devillers ha assunto la funzione di Superiore Generale della Fraternità ed ha provveduto alle nuove nòmine, come disposto dal Card. Castrillon.

Come si ricorderà, il Capitolo Generale della Fraternità aveva assunto la decisione di invitare i preti dissidenti a lasciare la Fraternità stessa e a formarne un’altra, ritenendo che questa fosse l’unica soluzione possibile, in grado di mantenere la Fraternità San Pietro nella linea assunta fin dalla sua fondazione.
Il nuovo Superiore Generale, Padre Devillers, pensa invece che sia possibile far convivere in seno alla Fraternità entrambe le tendenze (si vedano le interviste rilasciate a La Nef, n°108 - Settembre 2000; e a Famille Chretienne nel n° del 13-19 gennaio 2001). 

Nei fatti, queste due tendenze si basano su due diverse visioni del rapporto di comunione con la Santa Sede. 

Sulla base degli atti di fondazione la maggior parte dei preti della Fraternità ritiene di potere svolgere il proprio apostolato solo mantenendo la massima autonomia rispetto all’andamento delle Diocesi in cui òperano. Questo non significa rifiutare l’autorità dell’Ordinario del luogo, quanto piuttosto seguire le esigenze e la sensibilità dei fedeli legati alla liturgia tradizionale. D’altronde, se i fedeli (e gli stessi preti della Fraternità San Pietro) non sentissero il sincero bisogno di restare uniti alla Santa Sede, potrebbero benissimo aggregarsi alla Fraternità San Pio X. Questa loro sincera e precisa volontà dovrebbe essere oggetto di particolare attenzione da parte degli Ordinari del luogo, i quali non dovrebbero pretendere, in forza della loro carità pastorale, di forzare la sensibilità dei cattolici che vogliono praticare la loro fede in comunione con la chiesa locale.

Una parte minoritaria dei preti della Fraternità San Pietro ritiene invece che occorra fare ogni sforzo per condividere l’andamento pastorale delle Diocesi in cui operano, allo scopo di raggiungere il massimo risultato possibile in tema di apostolato. Una tale tendenza, apparentemente accettabile per certi versi, implica necessariamente un continuo adattamento delle istanze dei fedeli legati alla liturgia tradizionale, e comporta una sorta di confusione che può solo condurre all’annullamento dei motivi fondanti la stessa nascita della Fraternità.

Si comprende bene come nel primo caso si considerino prioritarie le esigenze derivate dagli specifici carismi dell’àmbito tradizionale, con l’implicazione che non si può mantenere fede a tali carismi senza una accurata autoselezione, un continuo autocontrollo e una buona dose di sacrificio, sia da parte dei preti, sia da parte dei fedeli. Pretendere di restare legati alla liturgia tradizionale significa, infatti, avere una profonda coscienza del senso di essa, bandendo qualsivoglia sollecitazione di ordine superficiale.

Nel secondo caso, invece, si pretende di dare prevalenza all’aspetto quantitativo, anche a scapito dell’aspetto qualitativo, considerando di poco conto il carisma specifico dell’àmbito tradizionale.

Per avere un’idea concreta della differenza, si può prendere ad esempio la maniera con cui si può dar vita ai vari centri di apostolato. 
Secondo la prima visione è importante che i preti conducano vita comunitaria e organizzino il loro apostolato avendo prioritariamente in vista le esigenze dei propri fedeli, anche a scapito di una piú diffusa presenza nel territorio. Questo permette di sentirsi parte di un àmbito che ha i propri carismi e le proprie esigenze. 

In base alla seconda visione, invece, ogni prete può agire isolatamente, facendo comunità con gli altri preti diocesani, cosí che di fatto egli trascurerebbe le vere esigenze della comunità tradizionale ed esalterebbe inevitabilmente, in seno all’intera comunità ecclesiale, una presenza che non si giustifica piú per le sue profonde valenze interiori, quanto piuttosto per delle differenze solo superficiali, estetiche e di gusto. 


Ora, è necessario sottolineare che lo scopo delle società di vita apostolica sorte sulla base del Motu Proprio Ecclesia Dei, è quello di favorire la comunione ecclesiale dei fedeli legati alla liturgia tradizionale, nel rispetto della loro specifica sensibilità. Restare uniti alla Santa Sede mantenendo la propria identità

Ci si chiede: se si finisse col perdere la propria identità, che senso avrebbe dichiarare di voler restare uniti alla Santa Sede? Ogni fedele che vive in seno alla comunità ecclesiale è già in comunione con la Santa Sede, non ha bisogno di alcun Motu Proprio per essere aiutato a farlo. Il significato del Motu Proprio si giustifica solo se vi è una reale diversità e se questa mantiene la sua vitalità e la sua ragion d’essere. Da qui si comprende facilmente che la prima preoccupazione delle società di vita apostolica dell’Ecclesia Dei dev’essere quella di mantenere in vita questa diversità, anzi di esaltarla conciliandola, come dev’essere, col sentire cum Ecclesia. Il loro apostolato è fondato precisamente su questa esigenza e si giustifica solo per essa. Abbandonare o ridimensionare questa priorità significa votare alla morte le società e le comunità dei fedeli ad esse affidate.
Qualunque Vescovo che avesse a cuore il bene dei fedeli legati alla Tradizione, affidati alla sua cura pastorale, dovrebbe fare di tutto per sostenere la continuità della loro esistenza.

Ma c’è un’altra possibilità, che, per quanto possa apparire sbalorditiva, è invero praticata da molti Vescovi. 

Costoro ritengono che lo scopo del Motu Proprio Ecclesia Dei sia quello di facilitare la comunione ecclesiale dei fedeli legati alla liturgia tradizionale, intendendo con questo il loro totale inserimento in seno alla comunità ecclesiale e l’abbandono delle loro esigenze, ritenute ingiustificate e contrarie al sentire cum Ecclesia
In effetti, questi Vescovi non si curano minimamente delle esigenze dei fedeli loro affidati, quanto piuttosto dell’affermazione delle loro convinzioni, come se si trattasse di governare un partito politico. Per di piú ritengono che il Motu Proprio emanato dal Sommo Pontefice, pur potendo avere i piú diversi significati, nei fatti non potrebbe averne che uno solo: quello che corrisponde ai loro convincimenti. Non si preoccupano di capire il senso vero del Motu Proprio, che in fondo non li riguarda, ma si preoccupano di fare di tutto per ostacolarne o rifiutarne l’applicazione, ritenendo che, in fondo, il Papa abbia fatto male ad emanarlo. 
Di fatto questi Presuli praticano, con una autorità, una forza ed una efficacia ineguagliabili da parte dei fedeli legati alla Tradizione, quella sorta di criticabile “distinguo” nei confronti della Santa Sede che settariamente attribuiscono ai fedeli e ai preti tradizionalisti, per di piú addebitando loro una “colpa” che è propriamente quella che essi praticano impunemente. 
Spesso ci si chiede se questi Presuli siano veramente in piena comunione con la Santa Sede.

Quando i preti minoritari della Fraternità San Pietro si appellano alla necessità di dover dimostrare una maggiore “unione” con l’Ordinario del luogo, fanno finta di dimenticare che la maggiore parte degli Ordinari si muove in opposizione al Motu Proprio Ecclesia Dei, e quindi in opposizione a loro stessi e alla ragion d’essere della Fraternità. 

Si dice (vedi le dichiarazioni del Superiore Devillers) che spesso basti una maggiore “comunicazione”, un piú accurato “avvicinamento”, per produrre un atteggiamento diverso da parte dei Vescovi e dei preti contrari all’applicazione del Motu Proprio. Ora, non v’è dubbio che se le cose stessero cosí si esprimerebbe di fatto un giudizio parecchio negativo sulla stessa intelligenza degli interessati, se non altro perché fino ad allora questi sarebbero stati contrari a qualcosa che non conoscevano. Il che è assurdo. La verità è che quando si parla di “comunicazione”  e di “avvicinamento” ci si riferisce in pratica, con degli eufemismi, alla precisa volontà di perdere o di annacquare la propria identità per acquisirne un’altra che sia ben accetta ai Vescovi e ai preti che sono contrari alla pratica della liturgia tradizionale. È logico che poi si riscontri una maggiore benevolenza!

*  *  *

La Pontificia Commissione Ecclesia Dei ha risposto al ricorso presentato dal Capitolo della Fraternità, respingendolo.
 

*  *  *

Il grave dissidio insorto nella Fraternità ha avuto come centro geografico la Francia, e il principale fautore della sollevazione dei 16 preti della Fraternità contro i loro Superiori è stato il Padre Denis Le Pivain, piú volte contestato dai fedeli. 
Sembrerebbe quindi che, in fondo, tutto si risolva in una questione interna ai centri di apostolato francesi. 
Da qui potrebbe nascere il convincimento che i Vescovi francesi abbiano esercitata una particolare pressione perché le cose si svolgessero nel modo che sappiamo, ma non v’è dubbio che senza la collaborazione di alcuni preti non sarebbe stato possibile raggiungere alcun risultato: ne consegue che è propria di alcuni preti la volontà di stravolgere la natura e gli scopi della Fraternità. 
La riprova l’abbiamo dal fatto che, a quanto ne sappiamo, quasi la metà dei preti firmatari del ricorso, vista la piega presa dagli eventi, avrebbe dichiarato pubblicamente di aver fatto male a seguire l’iniziativa del Padre Denis Le Pivain
Ma chi è questo prete cosí zelante e aperto alle istanze dei vescovi  francesi?
 
 


Nel dicembre scorso è stato reso pubblico il contenuto di tre lettere scritte tra maggio e giugno 2000: due firmate dal Padre Le Pivain ed una indirizzata dal Vescovo di Versailles (nella cui Diocesi opera il Padre Le Pivain) al Nunzio Apostolico in Francia. Esse precedono lo svolgimento del Capitolo e precedono quindi l’intervento del Card. Castrillon, ma il loro contenuto, stranamente, corrisponde alle disposizioni assunte dal Cardinale nel giugno successivo.
Già i fedeli francesi avevano espresso con forza i timori circa una sorta di operazione concertata, ricevendo smentite e richiami da ogni parte; la pubblicazione di queste lettere ha confermato i loro timori e fatto esplodere la loro indignazione soprattutto nei confronti del Padre Le Pivain. 
La lettura di queste lettere è piú che esplicativa, ed ognuno può rendersi conto come i provvedimenti assunti nel luglio scorso dal Card. Castrillon ricalchino i pressanti suggerimenti del Padre Le Pivain e di Mons. Thomas, vescovo di Versailles; perfino per quanto riguarda la sostanza dei richiami mossi dal Card. Castrillon ai superiori e ai seminaristi. Per essere una coincidenza è fin troppo precisa.
Anche i dubbi circa l’autenticità di queste lettere sono stati energicamente fugati dagli stessi interessati, i quali hanno chiamato in giudizio il responsabile del sito internet che le ha rese pubbliche ed hanno ottenuto che fossero ritirate perché trattavasi di corrispondenza personale.
Ovviamente le lettere sono sempre disponibili su internet, 

su un sito francese: http://adflicta.free.fr/left.htm

e su un sito italiano: http://www.sanpiox.it/documenti.htm.
 

I fedeli francesi che appartengono alla parrocchia retta dal Padre Denis Le Pivain (Notre-Dame des Armées a Versailles) ne hanno chiesto, logicamente, l’immediato allontanamento (vedasi il volantino da loro diffuso a metà gennaio).

Sembrerebbe, a questo punto, che il Card. Castrillon non sia sincero quando difende con forza i diritti dei fedeli legati alla liturgia tradizionale, ma non sarebbe corretto giudicare il suo operato senza tenere conto delle dichiarazioni che egli continua a rilasciare in tal senso.

Nel novembre e nel dicembre scorsi il Cardinale ha rilasciato due interviste a due autorevoli riviste: una italiana (novembre 2000) il noto mensile 30Giorni, ed una francese (dicembre 2000)  La Nef. In esse egli ribadisce l’importanza della liturgia tradizionale e la legittimità delle richieste dei fedeli ad essa legati.

In un’altra nota affrontiamo gli sviluppi che si sono prodotti in questo senso negli ultimi mesi (Qualcosa si muove a Roma).

Inter Multiplices Una Vox
gennaio 2001, a. D.
 



Nomine effettuate dal nuovo Superiore Generale:
- Rev. Padre Philip Creurer, Segretario generale
- Rev. Padre René de Reboul, Economo generale
- Rev. Padre Engelbert Recktenwald, Superiore del distretto di lingua tedesca
- Rev. Padre Paul Carr, Superiore del distretto dell’America del Nord
- Rev. Padre Bernward Deneke, Superiore del seminario San Pietro di Wigratzbad (Germania)
- Rev. Padre James Jackson, Superiore del seminario Nostra Signora di Guadalupe à Denton (Stati Uniti). 





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La crisi in seno alla Fraternità  Sacerdotale San Pietro - Gennaio 2000
Gli sviluppi della vicenda della Fraternità Sacerdotale San Pietro - Luglio 2000
Gli sviluppi della vicenda della Fraternità Sacerdotale San Pietro - Gennaio 2002
I documenti che compongono il Dossier


 

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