Lettera aperta al Papa,
pubblicata a dicembre del 1985,
sul Courrier de Rome, n° 66






Riproponiamo questa lettera, scritta dopo una serie di discorsi e di iniziative ecumeniche effettuate dal Papa nel corso dei suoi viaggi: in Africa, a Casablanca, per la celebrazione ecumenica a Canterbury, in Thainlandia.
Per quanto a prima vista essa possa apparire "datata", si rivela invece di una attualità sorprendente, poiché, purtroppo, in 17 anni le cose non sono cambiate quasi per niente. La riproposizione della "giornata ecumenica" di Assisi, del 24 gennaio 2002, ha fatto sanguinare antiche ferite, e ha posto noi cattolici, oggi, nelle stesse condizioni di coscienza di quei nostri fratelli che, con questa lettera, esternarono al Papa tutta la loro amarezza e tutto il loro stupore.
 
 

Santissimo Padre,
Tutto ciò che di spiacevole si verifica nel corso dei vostri viaggi ci riempie di amarezza. 
Già nel passato Vi avevamo segnalato un episodio che superava il limite della tollerabilità, e la cui responsabilità era stata attribuita al vostro séguito, che dovrebbe avere il compito di impedire tutto quello che non si addice alla vostra suprema dignità di Vicario di Cristo. 
Ma in occasione del vostro ultimo viaggio in Africa, sono proprio le vostre parole e i vostri atti che ci hanno riempito di stupore e di costernazione. Ci riferiamo al discorso che avete pronunciato ai giovani musulmani di Casablanca (cf. L’Osservatore Romano, 21 agosto 1985, pag. 5: Un incontro nello spirito del Vaticano II), alla vostra preghiera nella «foresta sacra» di Lomé, e ai gesti che avete compiuto a Kara e a Togoville (Cf. L’Osservatore Romano, 11 agosto 1985, pag. 5: Una preghiera nella «foresta sacra»).

Santissimo Padre, le vostre parole sono state ascoltate da tutta la Chiesa, e i vostri atti sono stati compiuti sotto gli occhi di tutta la Chiesa. È per questo che riteniamo di doverVi manifestare il nostro dissenso pubblicamente.

1) Voi avete detto ai giovani musulmani: «Crediamo nello stesso Dio, nel Dio unico, nel Dio vivente».

No, Santissimo Padre, noi cattolici non crediamo nello stesso Dio dei musulmani.
Noi crediamo nel Dio che si è rivelato pienamente in Gesú Cristo, mentre i musulmani credono in un Dio che si sarebbe rivelato pienamente per mezzo di Maometto. 
Noi crediamo al Dio unico e trinitario, mentre i musulmani rigettano la Santissima Trinità come una forma di politeismo. 
Noi crediamo al Dio la cui Seconda Persona si è incarnata in Nostro Signore Gesú Cristo per riscattarci, mentre i musulmani rigettano l’Incarnazione e negano la necessità della Redenzione.
Dunque, il Dio in cui credono i musulmani non è lo stesso Dio, «Padre di Nostro Signore Gesú Cristo», al quale noi crediamo, noi cattolici.
 

2) Voi avete detto: «Da parte sua, vent’anni fa, in occasione del Concilio Vaticano II, la Chiesa si è impegnata, nelle persone dei suoi vescovi e dei suoi superiori religiosi, a cercare di stabilire una collaborazione tra tutti i credenti. Essa ha pubblicato un documento sul dialogo tra le religioni (Nostra Aetatae). Essa afferma che tutti gli uomini, e specialmente gli uomini con una viva fede, devono rispettarsi, superare ogni discriminazione, vivere insieme e servire la fraternità universale».

No, Santissimo Padre, la Chiesa non ha affatto ricevuto dal suo divino Fondatore, la missione di promuovere la collaborazione tra tutti quelli che credono ad una qualunque divinità, invitandoli a rispettarsi reciprocamente nelle loro diverse credenze, anche false, allo scopo di realizzare una «fraternità universale», che potrebbe realizzarsi solo sul piano naturale. 
L’uomo non è stato creato da Dio per «servire la fraternità universale», ma per servire il vero Dio nella vera Religione; la missione della Chiesa è dunque quella di portare a tutti gli uomini, musulmani inclusi, l’unico Vangelo di salvezza, opponendo la Verità rivelata all’errore. 
Vero è che dall’accettazione di questa Verità nasce la fratellanza universale, ma si tratta di una fraternità soprannaturale che si fonda sull’adozione come figli di Dio per mezzo dell’unico battesimo. 
Ora, proprio Voi avete indicato che è nel Concilio che si trova la linea di separazione delle acque, il punto di partenza di un nuovo corso della Chiesa. A partire dal Concilio, infatti, la collaborazione con i credenti di altre religioni (che non era sconosciuta nel passato, ma che si praticava solo in circostanze determinate e a precise condizioni, e cioè che fosse buona e onesta e che mai comportasse un detrimento della fede) si traduce - cosa che non era mai accaduta - nella rinuncia ad annunziare il Vangelo, e dunque nella rinuncia alla missione in cui si riassume tutta la ragion d’essere della Chiesa.
È come se la «fratellanza universale» fosse il valore piú alto di tutti, al quale tutto debba essere subordinato e sacrificato, perfino la stessa Verità, mentre invece è la Verità il valore supremo, al quale si sottomette ogni altro valore e, all’occorrenza, si sacrifica anche la fratellanza umana. 
«Non crediate che sia venuto a portare la pace sulla terra: non sono venuto a portare la pace, ma la spada» (Mt 10, 34, cf. Lc 12, 51).
In ragione della libertà umana e della natura umana decaduta, la Verità separa nel tempo e per l’eternità quelli che l’accettano da quelli che la rigettano. Cristo stesso, essendo la Verità, è segno di contraddizione. Ma non per questo è lecito metterLo da parte per «vivere insieme e servire la fraternità universale», questo significherebbe fare della Chiesa cattolica, in nome del Vaticano II, un doppione della massoneria.
 

3) Voi avete detto: «Questa testimonianza di fede, che è vitale per noi, e che non è compatibile né con l’infedeltà né con l’indifferenza alla verità, la facciamo nel rispetto delle altre tradizioni religiose, perché ogni uomo tiene a farsi rispettare per ciò che egli è di fatto e per ciò che egli crede in coscienza».

No, Santissimo Padre, la testimonianza resa alla vera Fede non può conciliarsi con il rispetto delle «altre tradizioni religiose», poiché questo rispetto implica propriamente l’infedeltà a Dio e l’indifferenza alla Verità.
Il rispetto delle «altre tradizioni religiose» che non sono l’unica Religione divinamente rivelata, equivale al rispetto per l’errore, e l’errore non dev’essere rispettato, ma combattuto, perché contrario a Dio.
L’uomo, quindi, non ha il diritto di aspettarsi il rispetto « per ciò che egli è di fatto e per ciò che egli crede in coscienza», poiché questo equivarrebbe a pretendere il rispetto perfino per il male e per l’errore. 
L’uomo dev’essere rispettato per ciò che Dio lo chiama ad essere, e la sua coscienza dev’essere rispettata nella misura in cui aderisce alla verità oggettiva.
«Se tuo fratello rifiuta di ascoltarti… dillo alla Chiesa; se si rifiuta di ascoltare anche la Chiesa, che per te sia come il pagano e il pubblicano» (Mt 18, 15-17).
La carità della Chiesa, regolandosi sul modello della Carità Divina, ha sempre distinto tra il peccato e il peccatore, tra l’errore e colui che lo commette, odiando «di un odio perfetto» (Sal 138, 23) il peccato e l’errore, in quanto si oppongono a Dio e ostacolano la perfezione dell’uomo, e amando il peccatore e lo sviato non in quanto tali, ma in quanto capaci di aderire ancora alla Verità e al Bene (S. Th. II-II, p. 25, art. 6). 
Infatti, i dannati, che hanno perduto definitivamente questa capacità, sono definitivamente esclusi da questa Carità.
 

4) Voi avete detto ai giovani musulmani: «La Chiesa cattolica guarda con rispetto e riconosce la qualità del vostro percorso religioso, la ricchezza della vostra tradizione spirituale. Anche noi cristiani siamo fieri della nostra tradizione religiosa».

Santissimo Padre, in tal modo voi avete espresso, in nome della Chiesa, della stima per un percorso religioso prodotto dalla fantasia di un esaltato, percorso che si accompagna all’errore, al rifiuto di Nostro Signore Gesú Cristo, senza il quale nessuno può essere salvato, e al rifiuto della sua Chiesa, fuori dalla quale non v’è salvezza. 
Con questo voi avete confermato i musulmani nel loro errore. Inoltre, voi avete posto sullo stesso piano la tradizione spirituale musulmana e la Rivelazione Divina, che ci è stata trasmessa infallibilmente da Pietro e dai suoi successori. Avete cosí umiliato la Tradizione cattolica, ed elevato la tradizione musulmana ad un livello che non le compete assolutamente.
Tra le altre cose, le vostre parole sembrano approvare tutti i misfatti commessi dall’Islam contro la cattolicità per mezzo della «guerra santa» (che è ben altro che la «fraternità universale»!), guerra che, essendo per i musulmani uno dei cinque principali doveri religiosi prescritti dal Corano, è inseparabile dal loro «percorso religioso» come dalla loro «tradizione spirituale». Implicitamente le vostre parole equivalgono anche alla condanna di tutti i pontefici, come San Pio V e il beato Innocenzo XI, che hanno combattuto l’Islam per permettere all’Europa cattolica di sopravvivere. 
Santo Padre, ci è permesso ricordarvi che senza la «tradizione spirituale» islamica di cui fate l’elogio, la Chiesa cattolica non sarebbe stata scacciata dall’Africa del Nord, e che là ove oggi vi sono per voi migliaia di giovani che credono in Allah, vi sarebbero migliaia di giovani che crederebbero in Gesú Cristo?
 

5) Voi avete detto: «Credo che noi, cristiani e musulmani, possiamo riconoscere con gioia i valori religiosi che abbiamo in comune e renderne grazie a Dio. Gli uni e gli altri crediamo in un solo Dio, in un Dio unico, che è pienezza di Giustizia e pienezza di Misericordia; noi crediamo all’importanza della preghiera, del digiuno e dell’elemosina, della penitenza e del perdono; noi crediamo che Dio sarà giudice misericordioso alla fine dei tempi, e speriamo che dopo la resurrezione Egli sarà soddisfatto di noi e noi sappiamo che saremo soddisfatti di Lui».

No, Santo Padre, non possiamo, noi cristiani, gioire di questi valori religiosi che i musulmani avrebbero in comune con noi, dal momento che da questi valori è esclusa la fede in Nostro Signore Gesú Cristo e nella sua Chiesa. 
Prima della Redenzione, per salvarsi, era necessario credere, non solo in Dio, ma in Cristo che doveva venire; a maggior ragione, dopo la Redenzione, è necessario credere, non solo in Dio, ma anche in Cristo che è venuto. 
Nessun uomo, dunque, può sperare di trovare in Dio un giudice misericordioso alla fine dei tempi, se non ha accettato Gesú Cristo e la sua Chiesa.
Anche le opere di giustizia che noi compiamo non salvano per sé stesse, ma in virtú della nostra incorporazione in Cristo (I Cor 16, 2-3). Se, alla fine dei tempi, dei musulmani saranno salvati, questo accadrà non in virtú della loro pseudo religione, ma malgrado la loro pseudo religione, e in virtú di quel desiderio del Cristo e della sua Chiesa che è implicito nella disposizione morale di compiere fedelmente la volontà di Dio e nell’osservanza della legge naturale (Rm 2, 14-16); desiderio che, nel caso di ignoranza invincibile o di impossibilità, può sostituire la fede reale in Nostro Signore Gesú Cristo e l’appartenenza effettiva alla Chiesa cattolica. Questo non toglie nulla alla verità di fede divina e cattolica secondo la quale l’appartenenza alla Chiesa è necessaria a tutti per ottenere la salvezza, e non annulla affatto i doveri che per la Chiesa derivano dal precetto del suo divino Fondatore:
«Andate, ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato» (Mt 28, 19-20; Cf. Rm 1, 5).
 

6) Voi avete detto: «La lealtà esige anche che noi riconosciamo e rispettiamo le nostre differenze. Evidentemente, quella fondamentale è costituita dallo sguardo che volgiamo sulla Persona e sull’opera di Gesú di Nazareth. Voi sapete che per i cristiani, questo Gesú li fa entrare in una conoscenza intima del mistero di Dio e nella comunione filiale ai suoi doni, posto che essi lo riconoscano e lo proclamino Signore e Salvatore».

No, Santo Padre, non si tratta solo di esigenza della lealtà, e meno ancora di riconoscere e di rispettare le reciproche differenze. Qui si tratta di diritto e di dovere: il dovere della Chiesa di annunciare Nostro Signore Gesú Cristo e la salvezza che Egli porta, il diritto delle ànime di ascoltare questo annuncio.
Poiché, contrariamente a quanto sembra voi diciate, la religione cattolica non è una credenza soggettiva dei cristiani, ma è l’unica vera Religione, rivelata da Dio, e che ogni uomo corretto può perfettamente distinguere da segni certi. 
E Nostro Signore Gesú Cristo fa entrare i credenti, non «posto che» essi lo proclamino e lo riconoscano Signore e Salvatore, ma proprio «perché» lo proclamano e lo riconoscono Signore e Salvatore. Poiché Egli è innanzi tutto questo, non solo per coloro che sono già cristiani, ma per tutti gli uomini, musulmani inclusi, che non si salverebbero affatto se non grazie a Lui: solo il Cristo è «la via che conduce a Dio», e non l’uomo, come avete detto ai giovani musulmani in un altro passo del vostro discorso, mentre invece non avete chiesto loro di «aprire le porte», come fate solo per i cristiani. 

Santo Padre, noi non vogliamo mettere in dubbio la vostra fede, ma le vostre labbra, a Casablanca, non esprimono la fede di San Pietro, che non ha esitato a confessare la divinità di Nostro Signore Gesú Cristo davanti ai Giudei che Lo avevano crocifisso.
 

7) Subito dopo, avete aggiunto: «Sono queste le differenze importanti, che ci è possibile accettare con umiltà e rispetto nella reciproca tolleranza; è questo un mistero su cui Dio un giorno ci illuminerà, ne sono certo».

Santo Padre, noi ci sentiamo obbligati a dirvi che ancora adesso i nostro occhi credono di sbagliarsi nel leggere queste cose. Voi, Vicario di Nostro Signore Gesú Cristo, successore di colui che ha meritato di essere il principe degli Apostoli in forza della sua Fede, Voi avete chiesto tolleranza per la religione cattolica. 
Sarebbe assurdo pensare che Voi non sappiate che «tolleranza» significa atteggiamento nei confronti di un male teorico o pratico che si lascia sussistere, ma senza approvarlo, per una qualche ragione proporzionata. 
Voi avete dunque chiesto per la Verità rivelata ciò che si chiede per l’errore. 
Senza parlare del controsenso che vi è nel chiedere ai musulmani la tolleranza nel momento stesso in cui si viene a rendere testimonianza allo loro fede che prescrive proprio l’intolleranza.
Infine, voi rinviate cristiani e musulmani ad una illuminazione futura sul «mistero» della loro differenza di fede, quando invece non vi è alcun mistero e tutti i lumi sono stati dati.
 

8) Che dire, poi, degli atti che avete compiuto a Togoville, a Kara e a Lomé? 
Vi siete recato nella periferia di quest’ultima città per pregare, in comune, con i preti animisti e i loro fedeli, nella «foresta sacra» di Bé, ove si invocano la «potenza delle acque» e le ànime divinizzate degli antenati. E per almeno due volte, a Kara e a Togoville - a Kara prima della  Santa Messa! - avete versato sulla terra, da una zucca, dell’acqua e della farina di mais, gesto col quale si professa una falsa credenza religiosa.
Santo Padre, noi non giudichiamo affatto le vostre intenzioni: com’è giusto, lasciamo il giudizio a Dio. Ma ci chiediamo se avete valutato la gravità dello spettacolo che è stato offerto ai credenti e ai non credenti. 
Essi hanno visto il Vicario di Nostro Signore Gesú Cristo in preghiera in un luogo consacrato al culto di false divinità, e mentre compie le pratiche rituali con le quali si confessa una falsa credenza religiosa. 

Santo Padre, il vostro comportamento in Africa, per i non credenti è un incoraggiamento a persistere nell’errore e nelle pratiche superstiziose delle loro false religioni, per i credenti è motivo di scandalo.
Il vostro discorso di Casablanca, unito alle vostre azioni, appare come una sconfessione di tutta l’attività missionaria cosí come essa si è andata sviluppando per duemila anni nella Chiesa cattolica; 
sconfessione dei missionari che, a cominciare dagli Apostoli, in esecuzione all’ordine di Gesú Nostro Signore, hanno annunciato agli infedeli la necessità della Redenzione e quella di appartenere alla Chiesa per essere salvati, e che hanno preteso dai convertiti l’abbandono di tutte le pratiche legate alle false religioni; 
sconfessione della Chiesa che, fedele all’ordine di Gesú, li ha inviati con questa missione, e ha canonizzato coloro che sono rimasti fedeli alla loro missione fino alla effusione del sangue; 
sconfessione dello stesso precetto del Signore Gesú di annunciare il Vangelo a tutti i popoli e di battezzarli nel nome del Padre unico in tre persone.

Santo Padre, è innegabile che nelle vostre azioni e nelle vostre parole vi è una rottura con l’insegnamento e la pratica tradizionale della Chiesa cattolica.
E visto che voi vi richiamate al Concilio Vaticano II - e non potreste richiamarvi ad altri -, per ciò stesso fornite la prova piú autorevole che il Vaticano II, in certi suoi testi e in certe sue applicazioni, è in rottura con l’insegnamento divino cattolico. L’origine di questa rottura è da ricercare nell’accettazione di quell’idea di «Libertà religiosa» che, nata fuori dalla Chiesa e contro la Chiesa, si è finalmente insinuata nei documenti conciliari, e la sua applicazione da parte delle alte autorità della Chiesa, e in particolare da parte vostra, toglie ogni dubbio sull’errore della loro formulazione.
Ci riferiamo qui, non solo al vostro recente viaggio in Africa, ma anche alla vostra celebrazione ecumenica di Canterbury, al vostro «incontro» con i Luterani nel loro tempio di Roma, alla vostra «visita» alle piú alte autorità buddiste thainlandesi. 
In queste occasioni, i cattolici hanno visto l’eresia posta sullo stesso piano della Verità, le pseudo rivelazioni gratificate della stessa autorità dell’unica vera Religione, i falsi culti messi alla pari con i veri culti.

Santo Padre, tutto questo è motivo di scandalo per il popolo cattolico, spinto all’indifferentismo, perché condotto a pensare che non esista affatto un’unica vera Religione, ma che tutte le credenze religiose possano essere mezzi di salvezza. 
Per 150 anni, senza interruzione, i papi, illuminati dall’insegnamento di Nostro Signore trasmesso per mezzo delle sua Chiesa, si sono ritenuti obbligati a condannare l’idea di «libertà religiosa», alla quale invece il Vaticano II ha largamente aperto le porte: i vostri predecessori prevedevano con buona ragione gli effetti nefasti di questo errore. 
E infatti è proprio questo concetto di «libertà religiosa» che si trova alla radice di tutte le «innovazioni» proposte dai testi conciliari, e in particolare di quel falso ecumenismo, fonte infetta di tutte le riforme piú rovinose, a cominciare da quella liturgica, e degli orientamenti piú perniciosi dell’epoca post-conciliare.

Santo Padre, vent’anni di raccolti avvelenati bastano per giudicare l’albero. 
È giunta l’ora di porre mano all’ascia, riaffermando tutto quello che la Chiesa ha sempre insegnato sulla «libertà religiosa», con tutte le conseguenze pratiche che ne derivano.
In quanto figli della Chiesa, è questo che abbiamo il diritto di aspettarci da Vostra Santità. 
Poiché, se noi abbiamo il dovere di manifestare il nostro disaccordo in una materia cosí grave, non abbiamo il potere per rimediare al disastro che diventa ogni giorno piú evidente. 
È a Voi che Nostro Signore ha affidato questo potere, insieme all’autorità suprema, e con questo potere vi ha affidato il dovere di guidare la Chiesa in tempi normali e di salvarla nel momento della tempesta, per l’onore di Nostro Signore Gesú Cristo e per la salvezza delle ànime.

Con tutto il rispetto dovuto a Vostra Santità

(gennaio 2002)

(ritorna a: Assisi 24 gennaio 2002)


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