DALL'ECUMENISMO  ALL'APOSTASIA  SILENZIOSA

Venticinque anni di pontificato
 

Studio della Fraternità Sacerdotale San Pio X
sull'ecumenismo



 
 
Lo studio è stato inviato a tutti i Cardinali di Santa Romana Chiesa in data 6 gennaio 2004, accompagnato da una lettera di presentazione che riportiamo in fondo alla pagina.

Dall'ecumenismo all'apostasia silenziosa
Lettera di presentazione ai Cardinali

DALL'ECUMENISMO  ALL'APOSTASIA  SILENZIOSA

Introduzione

Capitolo I - Analisi del pensiero ecumenico

L’unità del genere umano e il dialogo interreligioso
Cristo, unito ad ogni uomo
Il congresso di Assisi

La Chiesa di Cristo e l’ecumenismo
L’unica Chiesa di Cristo
Le divisioni ecclesiali
Né assorbimento né fusione, ma dono reciproco

La ricomposizione dell’unità visibile
L’unità dei sacramenti 
L’unità nella professione di fede
La comunione gerarchica


Capitolo II - I problemi dottrinali posti dall’ecumenismo

La Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica

L’appartenza alla Chiesa mediante la triplice unità
Unità di fede
Unità di governo
Unità di sacramenti
Conclusione

Fuori della Chiesa non c’è salvezza
I non-cattolici sono membri della Chiesa ?
Ci sono elementi di santificazione e di verità nelle comunità separate?
Lo Spirito Santo si serve delle comunità separate come mezo di salvezza ? Le “Chiese sorelle”
Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci separa ?

Conclusione


Capitolo III - I problemi pastorali posti dall’ecumenismo

Il relativismo nei confronti della fede
L’ecumenismo relativizza le scissioni provocate dagli eretici
L’ecumenismo pretende che la fede della Chiesa possa esser perfezionata con le "ricchezze" altrui
L’ecumenismo relativizza l’adesione a determinati enunciati della fede
L’ecumenismo promuove una “riforma permanente” della fede
L’ecumenismo evita di insegnare senza ambiguità il contenuto integrale della fede cattolica
L’ecumenismo mette sullo stesso piano i santi autentici ed i supposti "santi"
L’ecumenismo provoca quindi la perdita della fede

L’ecumenismo allontana dalla Chiesa
Esso non esige più la conversione degli eretici e degli scismatici
L’ecumenismo dà luogo ad una sorta di ugualitarismo tra le confessioni cristiane
L’ecumenismo umilia la Chiesa ed inorgoglisce i dissidenti

Conclusione


Conclusione generale

INTRODUZIONE

1. Il venticinquesimo anniversario dell’elezione di Giovanni Paolo II ci fornisce lo spunto per riflettere sull’orientamento fondamentale impresso dal Papa al suo pontificato.
Uniformandosi al Concilio Vaticano II, egli lo ha voluto sotto il segno dell’unità dei cristiani: "La restaurazione dell’unità di tutti i cristiani costituiva uno degli scopi principali del secondo concilio Vaticano (cfr. UR, 1) e, sin dalla mia elezione, mi sono formalmente impegnato a promuovere l’esecuzione
delle sue norme e dei suoi orientamenti. Ciò costituiva per me un dovere essenziale" (1). Siffatta “restaurazione dell’unità dei cristiani”, per Giovanni Paolo II significava un passo verso un’unità più ampia, quella dell’intera famiglia umana: "L’unità dei cristiani si apre ad un’unità sempre più ampia, quella dell’intera famiglia umana" (2).

2. In conseguenza di questa impostazione di fondo: 

- Giovanni Paolo II ha ritenuto suo dovere "riprendere in mano quella vera e propria “magna carta” conciliare che è la costituzione dogmatica Lumen Gentium" (3), la quale definisce la Chiesa "sacramento, ossia segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano" (4). Questa “ripresa in mano” intendeva "realizzare sempre meglio quella comunione vitale in Cristo di tutti coloro che credono e sperano in lui, e nello stesso tempo contribuire ad un’unità sempre più ampia e più forte di tutt’intera la famiglia umana" (5); 
- Giovanni Paolo II ha consacrato la parte essenziale del suo pontificato al perseguimento di quest’unità, moltiplicando gli incontri interreligiosi, le dichiarazioni di pentimento ed i gesti ecumenici. E stata questa la ratio principale dei suoi viaggi: "essi hanno consentito di raggiungere le Chiese particolari in tutti i continenti, dimostrando l’esistenza di un’attenzione costante allo sviluppo delle relazioni ecumeniche con i cristiani delle differenti confessioni" (6);
- Giovanni Paolo II ha fatto dell’ecumenismo il tratto saliente del Giubileo dell’anno 2000 (7).
Con ogni evidenza, " si può quindi affermare che tutta l’attività delle Chiese locali e della Sede apostolica ha avuto in questi ultimi anni un afflato ecumenico" (8). Ma ormai i venticinque anni di regno sono trascorsi, così come il Giubileo. E ora è tempo di fare bilanci.


3. Per lungo tempo, Giovanni Paolo II ha creduto che il suo pontificato sarebbe stato un nuovo Avvento(9), tale da permettere " all’alba del nuovo millennio di sorgere su di una Chiesa ritrovatasi nella sua piena unità" (10). Allora si sarebbe realizzato “il sogno” di Giovanni Paolo II: " Tutti i popoli del mondo in marcia, da ogni parte della terra, per riunirsi come una sola famiglia sotto il Dio unico" (11). La realtà, però, si è rivelata ben diversa. "Il tempo che viviamo sembra un’epoca di smarrimento nella quale molti uomini e donne sembrano disorientati" (12). In Europa, per esempio, domina " una specie di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso", al punto che " la cultura europea dà l’impressione di una “apostasia silenziosa”" (13). L’ecumenismo non è affatto estraneo a questa situazione. L’analisi del suo pensiero (prima parte di questo scritto) ci farà constatare, non senza profonda tristezza, che la prassi ecumenica, viene da un pensiero estraneo alla dottrina cattolica (seconda parte) e conduce alla “apostasia silenziosa” (terza parte).


Capitolo I

ANALISI DEL PENSIERO ECUMENICO

L’unità del genere umano e il dialogo interreligioso

Cristo, unito ad ogni uomo
4. Alla base della concezione del Papa si trova l’affermazione secondo la quale "Cristo si è unito in certo modo a tutti gli uomini (Gaudium et spes, 22) anche se essi non ne sono coscienti" (14). Giovanni Paolo II spiega in effetti che la Redenzione apportata da Cristo è universale non solo perché è sovrabbondante per il genere umano nella sua totalità e perché è proposta a ciascun suo membro individualmente considerato, ma soprattutto perché è applicata di fatto a tutti gli uomini. Se quindi, da un lato, " in Cristo, la religione non è più una “ricerca di Dio come a tastoni” (Atti,17, 27) ma una risposta della fede a Dio che si rivela, […] risposta resa possibile a causa di quest’Uomo unico […] nel quale ogni uomo è stato reso capace di rispondere a Dio"; dall’altro, aggiunge Giovanni Paolo II, "in quest’Uomo, l’intera creazione risponde a Dio" (15). In effetti, "ognuno di noi è stato incluso nel mistero della Redenzione e con ognuno Cristo si è unito, per sempre, attraverso questo mistero. […] Questo è l’uomo in tutta la pienezza del mistero di cui è divenuto partecipe in Gesù Cristo, mistero del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre" (16). In tal modo, " nello Spirito Santo, ciascuna persona e ciascun popolo sono diventati, grazie alla croce e alla resurrezione di Cristo, figli di Dio, che partecipano alla natura divina, ed eredi della vita eterna" (17).


Il congresso di Assisi
5. Una simile concezione universalistica della Redenzione  trova la sua applicazione immediata nel modo in cui Giovanni Paolo II mette la Chiesa cattolica in rapporto con le altre religioni. In effetti, se l’ordinamento unitario appena descritto "è quello che risale alla creazione e alla redenzione e se è dunque, in questo senso, “divino”, le differenze e le divergenze, anche religiose, risalgono piuttosto al “fattore umano”" (18) e devono dunque "esser superate nel progresso verso la realizzazione del grandioso disegno unitario che presiede alla creazione" (19). Questa convinzione spiega le riunioni interreligiose del tipo di quella di Assisi, del 27 ottobre 1986, durante la quale il Papa ha voluto svelare " in maniera visibile,
l’unità nascosta ma radicale che il Verbo divino […] ha stabilito tra gli uomini e le donne di questo mondo" (20). Con questi gesti, il Papa ha voluto far sì che la Chiesa proclamasse che "Cristo è il compimento dell’anelito di tutte le religioni del mondo e per ciò stesso ne è l’unico e definitivo approdo" (21). La Chiesa di Cristo e l’ecumenismo

L’unica Chiesa di Cristo
6. Esisterebbe dunque un doppio ordinamento: da un lato, l’unità divina, in sé inviolata; dall’altro le divisioni storiche, che però vengono solo dall’uomo. Questa è la griglia concettuale tuttora applicata alla Chiesa, intesa come comunione. Giovanni Paolo II distingue in effetti la Chiesa di Cristo, realtà divina, dalle differenti Chiese, frutto delle “divisioni umane” (22). La Chiesa di Cristo, i cui contorni non sono definiti chiaramente, dal momento che essa trabocca dai confini visibili della Chiesa cattolica (23), è una realtà interiore (24). Essa riunisce come minimo l’insieme dei cristiani (25), quale che sia la loro appartenenza ecclesiale: tutti sono "discepoli di Cristo" (26), "nell’appartenenza comune al Cristo" (27); essi " sono uno perché, nello Spirito, essi sono nella comunione del Figlio e, in lui, nella sua comunione col Padre" (28). La Chiesa di Cristo è dunque comunione dei santi, al di là delle divisioni: "La Chiesa è comunione dei Santi" (29). Difatti, "la comunione nella quale i cristiani credono e sperano è, nella sua realtà più profonda, l’unità loro con il Padre mediante Cristo e nello Spirito Santo. Dopo la Pentecoste, essa è costituita e ricevuta nella Chiesa, comunione dei santi" (30).
Le divisioni ecclesiali
7. Secondo Giovanni Paolo II, le divisioni ecclesiali sopravvenute nel corso della storia non avrebbero inciso sulla Chiesa di Cristo. Detto in altro modo: avrebbero lasciata intatta l’unità radicale dei cristiani tra di loro: "Per grazia di Dio, non è stato però distrutto ciò che appartiene alla struttura della Chiesa di Cristo e neppure quella comunione che permane con le altre Chiese e Comunità ecclesiali" (31). Queste divisioni sono infatti d’un altro ordine, concernono solo la manifestazione della comunione dei santi, riguardano ciò che la rende visibile, vale a dire i vincoli tradizionali rappresentati dalla professione di fede, dai sacramenti e dalla comunione gerarchica. Nel rifiutare l’uno o l’altro di questi vincoli, le Chiese separate attentano solo alla comunione visibile con la Chiesa cattolica, e ancora solamente in maniera parziale, dal momento che quest’ultima comunione si dimostra più o meno capace, a seconda che un numero più o meno grande di vincoli sia stato mantenuto. Si potrà parlare allora di comunione imperfetta tra le Chiese separate e la Chiesa cattolica, restando salva la comunione di tutti nell’unica Chiesa di Cristo (32). Il termine "Chiese-sorelle" sarà utilizzato spesso (33).

8. Secondo tale prospettiva, ciò che unisce tra di loro le diverse Chiese cristiane è più forte di ciò che le separa (34). "Lo spazio spirituale comune prevale su tante barriere confessionali che ci separano gli uni dagli altri" (35). Ed è proprio questo spazio spirituale a costituire la Chiesa di Cristo. Se quest’ultima non
"sussiste" (36) "come un vero soggetto" (37) che nella Chiesa cattolica, essa tuttavia non ha affatto cessato di mantenere una "presenza attiva" nelle Comunità separate per via degli "elementi di santificazione e di verità" (38) che vi sono presenti. È proprio l’esistenza di questo preteso spazio spirituale comune, che Giovanni Paolo II ha voluto suggellare con la pubblicazione di un martirologio comune alle Chiese: "L’ecumenismo dei santi, dei martiri, è forse il più convincente. La communio sanctorum parla con voce più alta dei fattori di divisione" (39).


Né assorbimento né fusione, ma dono reciproco
9. Pertanto, "il fine ultimo del movimento ecumenico è il ristabilimento della piena unità visibile di tutti i battezzati" (40). Questa unità non si realizzerà più mediante "l’ecumenismo volto al ritorno" (41). "Noi lo rigettiamo come modo di ricercare l’unità. […] L’azione pastorale della Chiesa cattolica sia latina che orientale non tende più a far passare i fedeli da una Chiesa all’altra" (42). Ciò farebbe (si crede) dimenticare due cose:
- che le divisioni esistenti, le quali il concilio Vaticano II intende come mancanza verso la carità (43), sono imputabili a entrambe le parti: "Evocando la divisione dei cristiani, il Decreto sull’ecumenismo non ignora “la colpa di uomini di entrambe le parti”, riconoscendo che la responsabilità non può essere attribuita unicamente “agli altri”" (44);
- che l’ecumenismo è anche "scambio di doni" (45) tra le Chiese: "Lo scambio di doni fra le Chiese nella loro complementarità rende feconda la comunione" (46).
È per tali motivi che l’unità auspicata da Giovanni Paolo II "non è né assorbimento né fusione" (47). Applicando questo principio alle relazioni tra la Chiesa cattolica e quelle ortodosse, il Papa ha approfondito il concetto: "Le due Chiese sorelle di Oriente e d’Occidente comprendono oggi che senza porsi in ascolto reciproco delle ragioni profonde che ispirano in entrambe ciò che le caratterizza, senza un dono reciproco dei tesori del genio caratteristico di ciascuna, la Chiesa di Cristo non può manifestare la piena maturità della forma che  essa ha ricevuto all’inizio, nel Cenacolo" (48).
La ricomposizione dell’unità visibile

10. "Nella famiglia le eventuali discordie devono esser superate mediante la ricomposizione dell’unità: lo stesso deve avvenire nella famiglia più vasta dell’intera comunità cristiana" (49). Superare le discordie umane per la ricomposizione dell’unità visibile: questa è l’impostazione di Giovanni Paolo II. Essa deve applicarsi metodicamente nei confronti dell’elemento visibile dell’unità, rappresentato dai tre vincoli tradizionali della professione di fede, dei sacramenti e della comunione gerarchica.


L’unità dei sacramenti
11. Sappiamo tutti quanto Paolo VI si sia impegnato in materia di sacramenti. Nelle riforme liturgiche successive, che hanno applicato i decreti conciliari, "la Chiesa è stata guidata dal desiderio di fare il possibile per facilitare ai nostri fratelli separati il cammino verso l’unione, mettendo da parte tutto ciò che potesse costituire anche una minima pietra dello scandalo o un semplice motivo di dispiacere" (50).

12. Eliminato così l’ostacolo di una liturgia cattolica che esprimeva il dogma in modo troppo chiaro, restavano da eliminare quelli rappresentati dalle liturgie delle comunità separate. Dalla riforma si passò allora al riconoscimento puro e semplice: l’anafora assira (nestoriana) di Addai e Mari è stata dichiarata valida in un documento espressamente approvato da Giovanni Paolo II, nonostante essa manchi delle parole della consacrazione (51).


L’unità nella professione di fede
13. In materia di fede, Giovanni Paolo II ritiene che, molto spesso, "le polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false interpretazioni" (52). Ciò esige una certa libertà nei confronti delle formule dogmatiche sinora impiegate dalla Chiesa. Per questo motivo, si fa ricorso al relativismo storico, per far dipendere le formule dogmatiche dalla loro epoca: "Sebbene le verità che la Chiesa con le sue formule dogmatiche intende effettivamente insegnare si distinguano dalle mutevoli concezioni di una determinata epoca e possano essere espresse anche senza di esse, può darsi tuttavia che quelle stesse verità del sacro Magistero siano enunciate con termini che risentono di tali concezioni" (53).

14. Si ricordano spesso due applicazioni di questi principi. Nel caso dell’eresia nestoriana, Giovanni Paolo II crede che "le divisioni che si sono prodotte fossero dovute in larga misura a dei malintesi" (54). Infatti, se il principio che afferma che "in primo luogo, davanti a formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali alla comunità alla quale si appartiene, conviene senz’altro appurare se le parole non sottintendano un identico contenuto" (55) è chiaro, l’applicazione che ne è fatta è fuorviata. In base a questo presupposto si è avuto il riconoscimento della fede cristologica della Chiesa orientale assira, senza pretendere la sua adesione alla formula di Efeso, secondo la quale Maria è Madre di Dio (56). Più significativa ancora è la dichiarazione comune con la Federazione Luterana mondiale. Il suo intento non è stato quello di professare la fede e mettere al bando l’errore, ma solamente quello di trovare una formulazione capace di aggirare gli anatemi del concilio di Trento: "Questa dichiarazione comune riposa sulla convinzione che il superamento delle condanne e delle questioni da allora oggetto di controversie, non significa affatto che le separazioni e le condanne siano prese alla leggera o che il passato di ciascuna delle nostre tradizioni ecclesiali sia rinnegato. Essa si fonda tuttavia sulla convinzione che nella storia delle nostre Chiese sia sopravvenuto un nuovo modo di vedere le cose" (57). Il cardinale Kasper commenterà questa dichiarazione con due parole: "là ove avevamo sulle prime una contraddizione, possiamo vedere ora una posizione complementare" (58).


La comunione gerarchica
15. Per quanto riguarda il ministero petrino, gli auspici del papa sono ben noti: trovare, assieme ai pastori e ai teologi delle diverse Chiese, "le forme nelle quali questo ministero possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri" (59). Ciò ha portato all’introduzione del principio regolatore della necessitas Ecclesiæ (60) - intesa oggi come istanza che giustifica la realizzazione dell’unità dei cristiani ? per attenuare ciò che, nell’esercizio del ministero petrino, potrebbe essere di ostacolo all’ecumenismo.

16. Secondo il cardinale Kasper, questo passo non è ancora sufficiente. Bisogna superare ancora gli ostacoli presenti nelle comunità separate, per esempio l’invalidità decretata nei confronti delle ordinazioni anglicane (61). Per raggiungere questo obiettivo, egli propone una ridefinizione del concetto di successione apostolica, non più da intendersi "nel senso di una successione storica nell’imposizione delle mani risalente nei secoli a un apostolo - questa sarebbe una visione del tutto meccanicistica e individualistica", bensì nel senso di una "partecipazione collegiale in un collegio il quale, come un tutto, risale agli apostoli per ciò che riguarda la condivisione della stessa fede apostolica e la medesima missione
apostolica" (62).

Capitolo II

I PROBLEMI DOTTRINALI POSTI DALL’ECUMENISMO(63)

17. La prassi ecumenica di questo pontificato riposa interamente sulla distinzione Chiesa di Cristo/Chiesa
cattolica, distinzione che permette l’ipotesi secondo la quale, se la comunione visibile è stata ferita dalle divisioni ecclesiali, la comunione dei santi, considerata come attribuzione dei beni spirituali nella comune unione con Cristo, non è stata distrutta. Ebbene, questa affermazione è incompatibile con la fede cattolica.


La Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica
18. È impossibile distinguere la Chiesa di Cristo dalla Chiesa cattolica, così come fa la prassi ecumenica. Per il fatto stesso di esser considerata come realtà interiore, questa "Chiesa Corpo di Cristo", effettivamente distinta dalla Chiesa cattolica, si riallaccia alla nozione protestante di una "Chiesa invisibile per noi, visibile ai soli occhi di Dio" (64). Questa nozione di Chiesa è contraria agli insegnamenti costanti della Chiesa. Leone XIII, parlando della Chiesa, afferma per esempio: "È per il fatto di essere un corpo che la Chiesa è visibile ai nostri sguardi" (65). Pio XII dice la stessa cosa: "La Sua Chiesa, Cristo Nostro Signore l’ha stabilita come società perfetta, esteriore per natura e percepibile ai sensi" (66). Pio XII potrà allora concludere che "immaginare una Chiesa che non si potrebbe né vedere né toccare, che sarebbe solo “spirituale” (pneumatica), nella quale numerose comunità cristiane, per quanto divise tra di loro nella fede, sarebbero tuttavia riunite in un vincolo invisibile: tutto ciò significa allontanarsi dalla verità divina" (67).

19. La fede cattolica obbliga dunque ad affermare l’identità della Chiesa di Cristo e della Chiesa cattolica. Ed è quello che fa Pio XII identificando "il Corpo Mistico di Gesù Cristo" con "questa autentica Chiesa di Gesù Cristo - che è la Chiesa santa, cattolica, apostolica, romana" (68). Prima di lui, il Magistero aveva affermato che "non c’è altra Chiesa che quella la quale, innalzata sul solo Pietro, in un corpo unito e ben collegato [leggi: “visibile”], si eleva nell’unità della fede e della carità" (69). Ricordiamo infine l’esclamazione di Pio IX: "C’è una sola religione vera e santa, fondata e istituita da Cristo Nostro Signore. Madre e nutrice delle virtù, distruttrice dei vizi, liberatrice delle anime, indicatrice della vera felicità. Essa si chiama: Cattolica, apostolica, romana" (70). In armonia con un magistero costante e universale, il primo schema preparatorio del Vaticano primo, poteva proporre questo canone di condanna: "Se qualcuno dice che la Chiesa, alla quale sono state fatte le promesse divine non è una società (cœtus) esterna e visibile dei fedeli, ma è una società spirituale di predestinati o di giusti conosciuti solo da Dio, sia anatema" (71).

20. Da tutto ciò consegue che la proposizione del cardinale Kasper secondo la quale: "La vera natura della Chiesa ? la Chiesa in quanto corpo di Cristo - è nascosta e può esser colta solo dalla fede" (72) è sicuramente eretica. Aggiungere che "questa natura afferrabile unicamente mediante la fede si rende attuale sotto delle forme visibili, e cioè nella Parola proclamata, nella amministrazione dei sacramenti, nei ministeri e servizi cristiani" (73), ciò è insufficiente per render ragione della visibilità della Chiesa: "rendersi visibile" - per di più mediante atti singoli - non è la stessa cosa che "esser visibile".


L’appartenenza alla Chiesa mediante la triplice unità
21. Dal momento che la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica, non si può sostenere, come fanno i sostenitori dell’ecumenismo, che la triplice unità di fede, sacramenti e comunione gerarchica, è necessaria per la sola comunione visibile della Chiesa, come se l’assenza di uno di questi tre vincoli, pur manifestando la rottura con questa comunione, non significasse tuttavia la separazione vitale dalla Chiesa. All’opposto, bisogna affermare che questi tre vincoli sono costitutivi dell’unità della Chiesa, non nel senso che uno solo di essi basterebbe per essere uniti alla Chiesa, ma nel senso che, se anche uno solo di questi vincoli non esistesse in re vel saltem in voto (74) colui che ne mancasse si troverebbe separato dalla Chiesa e non beneficerebbe della vita sovrannaturale. Questo è ciò che la fede cattolica obbliga a credere, come si ricava anche da ciò che segue.
Unità di fede
22. Se la necessità della fede è ammessa da tutti (75), bisogna tuttavia precisare la natura di questa fede necessaria alla salvezza e dunque costitutiva dell’appartenenza alla Chiesa. La fede non è "quel sentimento interiore provocato dal bisogno del divino" denunciato da S. Pio X (76); è invece quella descritta dal concilio Vaticano primo: "una virtù sovrannaturale mediante la quale, sotto l’ispirazione e con l’aiuto della grazia di Dio, crediamo vere le cose da lui rivelate: le crediamo, non a causa della loro verità intrinseca, intesa alla luce naturale della nostra ragione, ma a causa dell’autorità stessa di Dio che rivela questa verità, e che non può ingannarsi né ingannare" (77). Per questo, chi rifiuta anche una sola di queste verità di fede,
conosciuta come rivelata, perde totalmente la fede indispensabile alla salvezza: "Chi, anche su un solo punto, rifiuta il suo assenso alle verità divinamente rivelate, per ciò stesso abdica effettivamente alla propria fede, poiché rifiuta di sottomettersi a Dio in quanto somma verità e motivo proprio della fede" (78).
Unità di governo
23. "Al fine di mantenere sempre nella sua Chiesa questa unità di fede e di dottrina, egli [Cristo] scelse un uomo fra tutti gli altri, Pietro…" (79): in questo modo Pio IX presentava la necessità dell’unità con la cattedra di Pietro, "dogma della nostra divina religione che è sempre stato predicato, difeso, affermato con un cuore ed una voce sola dai Padri e dai Concili di tutti i tempi". Seguendo i Padri, continua Pio IX, "è da essa [dalla cattedra di Pietro] che derivano tutti i diritti alla divina unione (80); chi la abbandona non può sperare di restare nella Chiesa (81). Chi mangia l’Agnello standone fuori non ha a che spartire con Dio (82). In un celebre ammonimento agli scismatici, S. Agostino sì esprimeva così: "Ciò che è vostro è proprio l’aver avuto l’empietà di separarsi da noi; poiché, se per tutto il resto, voi pensaste e possedeste la verità, perseverando tuttavia nella vostra separazione […] vi mancherebbe proprio ciò che manca a colui al quale fa difetto la carità" (83).
Unità di sacramenti
24. "Chi crederà e sarà battezzato, sarà salvo" (84). Da queste parole di Nostro Signore, tutti riconoscono la necessità, oltre all’unità di fede e di intenzione, di una "comunità di mezzi idonei al fine" (85), per costituire l’unità della Chiesa: i sacramenti. Questa è dunque "la Chiesa cattolica [istituita da Cristo], guadagnata con il suo sangue, come unica dimora del Dio vivente […] il corpo unico animato e vivificato da un unico Spirito, mantenuto nella coesione e nella concordia dall’unità di fede, di speranza e di carità, dai vincoli rappresentati dai sacramenti, dal culto e dalla dottrina" (86).
Conclusione
25. La necessità di questo triplice vincolo obbliga dunque a credere che "chi rifiuta di ascoltare la Chiesa deve esser considerato", secondo il comando del Signore, "come etnico e pubblicano" (Mt 18, 17). Perciò quelli che sono tra loro divisi per ragioni di fede o di governo, non possono vivere nell’unità di tale Corpo e per conseguenza neppure nel suo divino Spirito" (87). Fuori della Chiesa non c’è salvezza

I non-cattolici sono membri della Chiesa?
26. In conseguenza di ciò che si è appena detto, la seguente proposizione: "quelli che [nati fuori della Chiesa cattolica, che non possono perciò “essere accusati del peccato di divisione”] credono tuttavia in Cristo e hanno ricevuto validamente il battesimo, si trovano in una certa comunione, per quanto imperfetta, con la Chiesa cattolica", al punto che, "giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore", anche se "le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la Chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, costituiscono non pochi impedimenti, e talora gravi" (88); se questa proposizione intende riferirsi a coloro che perseverano nelle divergenze con la Chiesa pur essendone perfettamente coscienti, ebbene siffatta proposizione è contraria alla fede cattolica. L’inciso secondo il quale "essi non possono essere accusati del peccato di divisione" è quanto meno temerario: rimanendo esteriormente nella dissidenza, non c’è alcun indizio del fatto che essi non aderiscano alla separazione, come i loro predecessori. Anzi, l’apparenza conduce a credere che essi vi aderiscano. Qui non è possibile presumere la buona fede (89), come ben ammonisce Pio IX: "Bisogna ammettere che, secondo il dogma della fede, nessuno può salvarsi che si trovi al di fuori della Chiesa apostolica romana. […] D’altra parte, bisogna nello stesso tempo riconoscere, con certezza, che coloro i quali si trovano in un’ignoranza invincibile nei confronti della vera religione, non ne portano affatto la colpa dinanzi al Signore, ma chi andrà tanto innanzi da riuscire a stabilire, in via ipotetica, i confini di questa ignoranza?" (90).
Ci sono elementi di santificazione e di verità nelle comunità separate?
27. L’affermazione secondo la quale "numerosi elementi di santificazione e di verità" (91) si trovano fuori della Chiesa, è equivoca. Essa presuppone in effetti l’efficacia santificante dei mezzi di salvezza materialmente presenti nelle Comunità separate. Ma simile presupposto non si può affermare senza distinguere. Tra quei mezzi, quelli che non richiedono una disposizione specifica da parte del soggetto - come p.e. il battesimo di un infante - sono effettivamente salvifici, nel senso che producono efficacemente la grazia nell’anima del battezzato, che appartiene dunque alla Chiesa cattolica di pieno diritto finché non ha raggiunto l’età in cui è capace di scegliere (92). Ma gli altri elementi, che richiedono delle disposizioni da parte del soggetto per essere efficaci, bisogna dire che essi sono salvifici solo nella misura in cui il soggetto è già membro della Chiesa per desiderio implicito. E ciò che afferma la dottrina del concilio: "Essa [la Chiesa] professa che l’unità della Chiesa come corpo ha un potere tale che i sacramenti della Chiesa sono utili in vista della salvezza solo per coloro che si trovano nella Chiesa" (93). Ebbene, in quanto separate, queste comunità si oppongono a questo desiderio implicito che è indispensabile per rendere fruttuosi i sacramenti. Non si può quindi dire che queste comunità possiedano elementi di santificazione e di verità, se non in senso materiale.
Lo Spirito Santo si serve delle comunità separate come mezzo di salvezza? Le “Chiese sorelle”
28. Non si può affermare che "lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse [delle comunità separate] come di mezzi di salvezza" (94). Sant’Agostino afferma in effetti: "Non c’è che una Chiesa, che sola è chiamata cattolica. Nelle comunità separatesi dalla sua unità, è essa a fruttificare mediante la virtù di ciò che in queste sette resta di sua proprietà, quale che sia ciò che essa vi possieda" (95). La sola cosa che queste comunità separate possono realizzare per loro propria virtù, è la separazione delle anime dall’unità ecclesiale, come dice ancora S. Agostino: "Non è affatto vostro [il battesimo] ciò che è vostro è dato dai vostri sentimenti malvagi e da pratiche sacrileghe, e dall’aver avuto l’empietà di separarvi da noi" (96). Nella misura in cui rimette in discussione il principio secondo il quale la Chiesa cattolica è l’unica detentrice dei mezzi di salvezza, l’asserzione del documento conciliare è prossima all’eresia: se, accordando loro "un significato e un valore nel mistero della salvezza" (97), essa riconosce a queste comunità separate una quasi legittimità - come lascia supporre l’espressione "Chiese-sorelle" (98) - va in senso opposto alla dottrina cattolica di sempre, perché nega l’unicità della Chiesa cattolica.
Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci separa?
29. Poiché le Comunità separate non sono formalmente detentrici degli elementi di santificazione e di verità - come si è detto sopra - ne consegue che la proposizione secondo la quale ciò che unisce i cattolici ai dissidenti è più forte di ciò che li separa, è vera materialmente, nel senso che tutti questi elementi sono come dei punti che possono servire di base a delle discussioni miranti a ricondurli nell’unico ovile. Non può tuttavia esser vera formalmente, ed è per questo motivo che S. Agostino dice: "In molti punti concordano con me, in qualcuno solamente discordano; ma per via di questi pochi che li dividono da me, è per loro del tutto inutile esser d’accordo con me in tutto il resto" (99).
Conclusione
30. L’ecumenismo non può che esser paragonato alla “teoria dei rami” (100), condannata dal Magistero: "Il fondamento di questa teoria è tale da distruggere da cima a fondo la costituzione divina della Chiesa" mentre la sua preghiera per l’unità "non può assolutamente essere tollerata, perché fatta secondo un’intenzione macchiata ed infetta d’eresia" (101).
Capitolo III

I PROBLEMI PASTORALI POSTI DALL’ECUMENISMO

31. Oltre ad appoggiarsi su tesi eterodosse, l’ecumenismo è nocivo per le anime, nel senso che relativizza la fede cattolica, la quale è tuttavia indispensabile alla salvezza, e allontana le anime dalla Chiesa cattolica, unica arca della salvezza. La Chiesa cattolica non agisce più come foro della verità che illumina i cuori e dissipa l’errore, ma immerge l’umanità nelle brume dell’indifferentismo religioso, seguite da presso dalle
tenebre della “apostasia silenziosa” (102).

Il relativismo nei confronti della fede

L’ecumenismo relativizza le scissioni provocate dagli eretici
32. Il dialogo ecumenico oscura il peccato contro la fede commesso dall’eretico - ragione formale della rottura ? per mettere al suo posto il peccato contro la carità, imputato arbitrariamente sia all’eretico che al figlio della Chiesa. E giunge alla fine a negare il peccato contro la fede che costituisce l’eresia. E difatti Giovanni Paolo II, in relazione all’eresia monofisita, afferma: "Le divisioni prodottesi erano dovute in larga parte a dei malintesi" (103) aggiungendo: "Le formulazioni dottrinali che si discostano da quelle abituali […] sottintendono un identico contenuto" (104). Simili affermazioni sconfessano in ugual misura il Magistero, pur sempre infallibile, che ha condannato quelle eresie.
L’ecumenismo pretende che la fede della Chiesa possa esser perfezionata con le “ricchezze” altrui
33. Il concilio Vaticano II precisa, anche se in termini piuttosto moderati, la natura dell’“arricchimento” da aspettarsi dal dialogo: "una conoscenza più vera e una stima più giusta della dottrina e della vita di ogni comunione" (105). La prassi ecumenica sotto questo pontificato ha deformato quest’affermazione, facendone scaturire un arricchimento della fede. La Chiesa avrebbe abbandonato una prospettiva parziale per cogliere ora la realtà nella sua totalità: "Le polemiche e le controversie intolleranti hanno trasformato in affermazioni incompatibili ciò che era di fatto il risultato di due sguardi tesi a scrutare la stessa realtà, ma da due diverse angolazioni. Bisogna oggi trovare la formula che, cogliendo la realtà nella sua interezza, permetta di trascendere letture parziali e di eliminare false interpretazioni" (106). In questo modo, "lo scambio di doni fra le Chiese, nella loro complementarità, rende feconda la comunione" (107). Affermazioni del genere non sono conformi alla dottrina tradizionale della Chiesa, se si basano sul presupposto secondo il quale la Chiesa non possiede il deposito della fede in maniera definitiva ed integrale. È per questo motivo che il Magistero metterà in guardia contro questa falsa valorizzazione delle supposte ricchezze del non-cattolici: "Nel ritornare alla Chiesa, non perderanno nulla del bene che, per grazia di Dio, si è realizzato in loro fino al presente; al contrario, grazie al loro ritorno questo bene sarà invece completato e condotto a perfezione. Illustrando questo punto, si eviterà pertanto di far credere che, con il loro ritorno, ritengano di apportare alla Chiesa un elemento essenziale, che le sarebbe mancato fino ad ora" (108).
L’ecumenismo relativizza l’adesione a determinati enunciati della fede
34. La supposta "gerarchia nelle verità della dottrina cattolica" (109) è stata ben riposizionata teologicamente dalla Congregazione per la Dottrina della Fede: essa "significa che certi dogmi si fondano su altri, più fondamentali, che li chiariscono. Ma poiché tutti i dogmi sono frutto della Rivelazione, devono essere creduti con la stessa fede divina" (110). Tuttavia, la prassi ecumenica di Giovanni Paolo II si è affrancata da questa interpretazione autentica. Per esempio, nel discorso di saluto alla “Chiesa” evangelica, nel quale ha sottolineato "ciò che veramente conta". "Voi sapete - ha detto - che per molti anni, la mia esperienza di vita è stata caratterizzata dalle sfide lanciate al cristianesimo dall’ateismo e dalla miscredenza. In seguito a ciò, vedo con maggiore chiarezza ciò che conta veramente: la nostra comune professione in Gesù Cristo. […] Gesù Cristo è la nostra salvezza per tutti. […] Per l’opera dello Spirito Santo, noi diventiamo suoi fratelli, in modo vero ed essenziale figli di Dio. Avendo riflettuto sulla Confessione d’Augusta e dopo molteplici incontri, abbiamo preso nuova coscienza del fatto che crediamo e professiamo tutto ciò assieme" (111). Leone XIII condannò per questo tipo di prassi ecumenica, che ha trovato il suo apogeo nella Dichiarazione sulla Giustificazione: "Sostengono che, per guadagnare il cuore di chi si è smarrito, sia opportuno relativizzare alcuni punti della dottrina comune, o di attenuarli, sino al punto di non attribuire loro il significato che la Chiesa ha loro sempre conferito. Non occorrono lunghi ragionamenti per dimostrare quanto una tale concezione sia condannabile" (112).
L’ecumenismo promuove una “riforma permanente” della fede
35. Si è già detto della libertà che la prassi ecumenica si concede nei confronti della formule dogmatiche. Resta da mostrare l’importanza di questo modo di agire per il processo ecumenica: "La crescente comunione in una continua riforma, realizzata alla luce della tradizione apostolica, è senza dubbio, nell’attuale situazione del popolo cristiano, uno dei tratti distintivi e più importanti dell’ecumenismo. […] Il Decreto sull’ecumenismo menziona il modo di esporre la dottrina tra gli elementi della continua riforma" (113). Un simile modo di procedere è stato condannato da Pio XII nella Humani generis; "Certuni intendono ridurre al massimo il significato dei dogmi; liberare lo stesso dogma dal modo di esprimersi, già da tempo usato dalla Chiesa, e dal concetti filosofici in vigore presso i dottori cattolici. […] È chiaro che queste tendenze non solo conducono al “relativismo” dogmatico ma di fatto già lo contengono. […] Tutti sanno che le espressioni di tali concetti, usate sia nelle scuole teologiche sia dal magistero della Chiesa, possono venir migliorate e perfezionate. […] È chiaro del pari che la Chiesa non può esser legata da un qualunque effimero sistema filosofico; ma quelle nozioni e quei termini, che con generale consenso furono composti attraverso parecchi secoli dai dottori cattolici per arrivare a qualche conoscenza e comprensione del dogma, senza dubbio non poggiano su un fondamento così caduco. […] Perciò non c’è da meravigliarsi se qualcuna di queste nozioni non solo sia stata adoperata in Concili Ecumenici, ma vi abbia ricevuto tale sanzione per cui non ci è lecito allontanarcene" (114).
L’ecumenismo evita di insegnare senza ambiguità il contenuto integrale della fede cattolica
36. Il postulato dell’ecumenismo giusta il quale "il modo e il metodo di enunziare la fede cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli" (115), si traduce in dichiarazioni comuni tanto solennemente approvate quanto equivoche e ambivalenti. Per esempio, nella Dichiarazione comune sulla Giustificazione, non si insegna mai chiaramente l’infusione della grazia santificante (116) nell’anima del giusto. L’unica frase che vi allude, è estremamente maldestra e può persino far credere il contrario di ciò che afferma: "La grazia giustificante non diventa mai un possesso della persona, del quale quest’ultima potrebbe farsi forte di fronte a Dio" (117). Simili prassi non rispettano più il dovere di esporre integralmente e senza ambiguità la fede cattolica, come fede che "deve esser creduta". "La dottrina cattolica deve esser proposta totalmente e integralmente; non si deve passar sotto silenzio o velare con termini ambigui ciò che la verità cattolica insegna sulla vera natura e sulle tappe della giustificazione, sulla costituzione della Chiesa, sul primato di giurisdizione del Romano Pontefice, sulla sola vera unione che è quella risultante dal ritorno dei cristiani separati all’unica vera Chiesa di Cristo" (118).
L’ecumenismo mette sullo stesso piano i santi autentici ed i supposti “santi”
37. Con la pubblicazione di un martirologio comune alle differenti confessioni cristiane, Giovanni Paolo II mette sullo stesso piano i santi autentici con i “santi” immaginari. Si è dimenticata questa sentenza di S. Agostino: "Se, restando separato dalla Chiesa, è perseguitato da un nemico di Cristo […] il quale gli dica, a lui che è separato dalla Chiesa di Cristo, “offri l’incenso agli idoli, adora i miei dei” e lo uccida perché si rifiuta di farlo, potrà spargere il suo sangue ma non potrà ricevere la corona" (119). Se la Chiesa spera piamente che il fratello separato morto per Cristo abbia avuto la carità perfetta, non può tuttavia affermarlo. In modo perfettamente coerente, essa presume che “l’obex”, l’ostacolo della separazione visibile, abbia costituito un ostacolo all’atto di carità perfetta che costituisce il martirio. Essa non può dunque né canonizzare l’ucciso né iscriverlo nel martirologio" (120).
L’ecumenismo provoca quindi la perdita della fede
38. Relativista, evoluzionista e ambiguo, questo ecumenismo provoca direttamente la perdita della fede. Prima vittima ne è proprio il Presidente del Consiglio pontificio per la promozione dell’Unità dei Cristiani, il cardinale Kasper, quando afferma per esempio, in merito alla giustificazione, che "il nostro valore personale non dipende dalle nostre opere, siano esse buone o cattive: ancor prima di agire, siamo stati accettati e abbiamo ricevuto il “sì” di Dio" (121); o in merito alla messa e al sacerdozio: "non è il sacerdote che opera la transustanziazione: il sacerdote prega il Padre affinché essa abbia luogo per opera dello Spirito Santo […] la necessità del ministero ordinato è un segno che suggerisce e fa inoltre gustare la gratuità del sacramento eucaristico" (122).
L’ecumenismo allontana dalla Chiesa

39. Oltre a distruggere la fede cattolica, l’ecumenismo fa sì, inoltre, che, gli eretici, gli schismatici e gli infedeli restino lontani dalla Chiesa.

Esso non esige più la conversione degli eretici e degli scismatici
40. Il movimento ecumenico non persegue più la loro conversione e il loro ritorno "all’unico ovile di Cristo, dal quale sono certamente esclusi tutti coloro che non sono uniti a questa Santa Sede di Pietro" (123). Afferma invece in tutta chiarezza: "Noi lo rigettiamo [l’uniatismo] come metodo di ricerca dell’unità. […] L’azione pastorale della Chiesa cattolica sia latina che orientale non cerca più di far passare i fedeli da una Chiesa all’altra" (124). Da qui l’eliminazione della cerimonia dell’abiura nel caso di ritorno di un eretico alla Chiesa cattolica. Il cardinale Kasper si spinge molto lontano in questo tipo di dichiarazioni: "L’ecumenismo non si costruisce rinunciando alla nostra propria tradizione di fede. Nessuna Chiesa può fare una rinuncia del genere" (125). E come se non bastasse: "Possiamo descrivere “l’ethos” tipico dell’ecumenismo odierno nel modo seguente: rinunzia ad ogni forma di proselitismo aperto o camuffato" (126). Tutto ciò si oppone radicalmente alla prassi costante dei papi attraverso i secoli, tesa costantemente al ritorno dei dissidenti nell’unica Chiesa (127).


L’ecumenismo dà luogo ad una sorta di ugualitarismo tra le confessioni cristiane
41. La prassi ecumenica produce l’ugualitarismo tra i cattolici e gli altri cristiani, per esempio quando Giovanni Paolo II si compiace del fatto che: "all’espressione fratelli separati, l’uso tende a sostituire oggi vocaboli più attenti ad evocare la profondità della comunione legata al carattere battesimale. […] La consapevolezza della comune appartenenza a Cristo si approfondisce […] La “fraternità universale” dei cristiani è diventata una ferma convinzione ecumenica" (128). Ma è proprio la Chiesa cattolica in quanto tale ad esser praticamente messa sullo stesso piano delle Comunità separate. Abbiamo già menzionato 1’espressione “Chiese sorelle”. Giovanni Paolo II si compiace ugualmente del fatto che "il Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo designa le Comunità alle quali appartengono questi cristiani come “Chiese e Comunità ecclesiali che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica”. […] Relegando nell’oblìo le scomuniche del passato, le Comunità un tempo rivali oggi in molti casi si aiutano a vicenda" (129). Compiacersi di ciò, significa dimenticare che "riconoscere la qualità di Chiesa allo scisma di Fozio e all’Anglicanesimo favorisce l’indifferentismo religioso e impedisce la conversione dei non-cattolici all’unica e vera Chiesa" (130).
L’ecumenismo umilia la Chiesa ed inorgoglisce i dissidenti
42. La prassi ecumenica delle dichiarazioni di pentimento dissuade gli infedeli dal venire alla Chiesa cattolica, dato che è essa stessa a dare una falsa immagine di sé. Se è possibile portare davanti a Dio il peso delle colpe di coloro che ci hanno preceduti (131), al contrario la prassi delle dichiarazioni di pentimento, così come la conosciamo, lascia credere che sia la Chiesa cattolica in quanto tale ad esser peccatrice, dal momento che è essa a chieder perdono. Il primo a crederlo è il cardinale Kasper: "Il concilio Vaticano II ha riconosciuto che la Chiesa cattolica ha avuto delle responsabilità nella divisione dei cristiani, e ha sottolineato che il ristabilimento dell’unità suppone la conversione degli uni e degli altri al Signore" (132). I documenti probatori non contano dunque nulla: la nota ecclesiale della santità, strumento così potente per attirare le anime sviate all’unico ovile, è stata offuscata. Questi pentimenti sono dunque gravemente imprudenti, poiché umiliano la Chiesa cattolica e inorgogliscono i dissidenti. Da ciò la messa in guardia del Sant’Uffizio: "I vescovi impediranno con cura e con un’effettiva insistenza che, nell’esporre la storia della Riforma e dei Riformatori, non si esagerino talmente le mancanze dei cattolici e non si dissimulino talmente le colpe dei protestanti o addirittura che non si mettano talmente in luce gli elementi essenzialmente accidentali di ciò che è successo, al punto da far perdere quasi di vista l’essenziale, e cioè la diserzione dalla fede cattolica" (133).
Conclusione
43. Dal punto di vista pastorale, si deve dire che l’ecumenismo di questi decenni conduce i cattolici all’apostasia silenziosa e dissuade i non-cattolici dall’entrare nell’unica arca della salvezza. Occorre dunque riprovare "l’empietà di coloro che impediscono agli uomini l’entrata nel Regno dei cieli" (134). Coprendosi con il motivo della ricerca dell’unità, questo ecumenismo disperde il gregge; esso non porta il segno di Cristo ma quello di colui che per natura crea la discordia, del diavolo.
CONCLUSIONE GENERALE

44. Per quanto attraente possa apparire a prima vista, per quanto spettacolari possano apparire in televisione le sue cerimonie, per quanto numerose le folle che raduna, la realtà è ben triste: l’ecumenismo ha trasformato la città santa che è la Chiesa in una città in rovina. Inseguendo un’utopia ? l’unità del genere umano ? questo Papa non si è reso conto di quanto fosse intrinsecamente e tristemente rivoluzionario l’ecumenismo da lui perseguito: esso capovolge l’ordine voluto da Dio.

45. È rivoluzionario e si dichiara tale. Si resta impressionati dal numero dei testi che lo dimostrano: "La crescente comunione in una continua riforma […] è senza dubbio uno dei tratti distintivi più importanti dell’ecumenismo" (135). "Riprendendo un’idea che lo stesso Papa Giovanni XXIII aveva espresso in apertura del Concilio, il Decreto sull’ecumenismo menziona il modo di esporre la dottrina tra gli elementi della continua riforma" (136). A tratti, quest’affermazione si dà una tinta ecclesiale, con l’uso del termine “conversione”. Ma ciò cambia poco o nulla. In ogni caso, ciò che preesisteva viene sempre rigettato. "“Convertitevi.” Non si dà riavvicinamento ecumenico senza conversione e senza rinnovamento. Non la
conversione da una confessione ad un’altra. […] Tutti devono convertirsi. Non dobbiamo perciò chiedere come prima cosa: "Cos’é che non va dall’altro?" ma "Cos’é che non va da noi; da dove cominciare a far pulizia, presso di noi?" (137). Caratteristica dell’aspetto rivoluzionaria di questo ecumenismo, è poi l’appello al popolo: "I fedeli cattolici nell’azione ecumenica […] devono essi stessi con sincerità e diligenza considerare ciò che deve esser rinnovato e realizzato nella stessa famiglia cattolica" (138). È il caso di dire che in questa ebbrezza di aggiornamento, il capo deve esser superato dalle membra: "Il movimento ecumenico è un processo abbastanza complesso, sarebbe un errore aspettarsi da parte cattolica che tutto sia fatto da Roma… Le intuizioni, le sfide devono venire anche dalle Chiese locali, e molto deve esser fatto a livello locale prima che si metta in moto la Chiesa universale" (139).

46. In circostanze così tristi, come non sentire il grido dell’angelo a Fatima: "Penitenza, Penitenza, Penitenza"? A questa marcia utopistica occorre imporre un dietrofront radicale. Bisogna ritornare urgentemente alla saggia esperienza della Chiesa, sintetizzata così da Pio XI: "L’unione dei cristiani si può ottenere solo favorendo il ritorno dei dissidenti alla sola vera Chiesa di Cristo, che un tempo hanno avuto la sventura di abbandonare" (140). Questa è la vera, caritatevole pastorale verso gli smarriti, questa deve essere la preghiera della Chiesa: "Desideriamo che salga a Dio la supplica comune di tutto il corpo mistico vale a dire di tutta la Chiesa cattolica affinché tutti gli sviati entrino al più presto nell’unico ovile di Gesù Cristo" (141).

47. Nell’attesa dell’ora felice nella quale si realizzerà il ritorno alla ragione, noi manteniamo, per ciò che ci riguarda, il saggio consiglio e la ferma saggezza, ricevute dal nostro fondatore: "Noi vogliamo essere in un’unità perfetta con il Santo Padre, ma nell’unità della fede cattolica, perché è solo questa unità quella capace di riunirci, e non una sorta di unione ecumenica, una sorta di ecumenismo liberale. Poiché io credo che ciò che spiega al meglio tutta la crisi della Chiesa, è veramente questo spirito ecumenico liberale. Dico: ecumenismo liberale, dato che esiste un ecumenismo che potrebbe essere accettabile, se definito correttamente. Ma l’ecumenismo liberale messo in pratica dalla Chiesa attuale e soprattutto dopo il concilio Vaticano II, comporta necessariamente autentiche eresie" (142).
Aggiungendo anche la nostra supplica al Cielo, imploriamo Cristo per il suo Corpo, che è la Chiesa cattolica, dicendo: "Salvum me fac, Domine, quoniam defecit sanctus, quoniam diminutæ sunt veritates a filiis hominum. Vana locuti sunt unusquisque ad proximum suum: labia dolosa in corde et corde locuti sunt. Disperdat Dominus universa labia dolosa et linguam magniloquam" (143).

NOTE
1 - Giovanni Paolo II, Allocuzione al segretariato per l’unità dei cristiani del 18.11.1978, La documentation catholique (DC), n. 1753 del 3.12.1978, p. 1017. (su)
2 - Giovanni Paolo II, Angelus del 17.10.1982, DC, n. 1823 del 7.2.1982, p. 144. (su)
3 - Giovanni Paolo II, 1° Messaggio al mondo, del 17.10.1978, DC, n. 1751 del 5.11.1978, p. 902-903. (su)
4 - Conc. œcum. Vat. II, Const. dogm. Lumen Gentium, 1. (su)
5 - Giovanni Paolo II, 1° Messaggio al mondo, del 17.10.1978, DC, n. 1751, cit., p. 902-903. (su)
6 - Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 24. Cfr. Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 42: "Le celebrazioni ecumeniche che sono uno degli eventi importanti dei miei viaggi apostolici nelle varie parti del mondo." (su)
7 - Giovanni Paolo II, Omelia all’apertura della Porta Santa a S. Paolo fuori le mura, del 18.1.2000, DC, n. 2219, del 6.2.2000, p. 106: "La Settimana di Preghiera per l’unità dei cristiani si inizia oggi a Roma con la celebrazione che ci vede riuniti. Ho voluto che coincidesse con l’apertura della Porta Santa in questa basilica consacrata all’Apostolo delle nazioni, per sottolineare la dimensione ecumenica che deve caratterizzare l’anno giubilare 2000." (su)
8 - Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 34. (su)
9 - Giovanni Paolo II, Redemptor hominis, 1. (su)
10 - Giovanni Paolo II, Omelia pronunciata in presenza del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Dimitros 1°, il 29.11.1979 a Istanbul, DC, n. 1776, del 16.12.1979, p. 1056. (su)
11 - Giovanni Paolo II, Messaggio per il XV Incontro internazionale di preghiera per la pace, DC, n. 2255, del 7.10.2001, p. 818. (su)
12 - Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, n. 7, DC, n. 2296, del 20.7.2003, p. 668 ss. (su)
13 - Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, n. 7 & 9, DC, n. 2296, del 20.7.2003, p. 668 ss. (su)
14 - Giovanni Paolo II, La situazione mondiale e lo spirito di Assisi, Discorso ai cardinali e alla Curia, del 22.12.1986, DC, n. 1933, dell’1.2.1987, p. 134. (su)
15 - Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 6. (su)
16 - Giovanni Paolo II, Redemptor Hominis, 13.  (su)
17 - Giovanni Paolo II, Messaggio ai popoli d’Asia, del 21.2.1981, DC, n. 1804, del 15.3.1981, p. 281.  (su)
18 - Giovanni Paolo II, La situazione del mondo e lo spirito di Assisi, cit., DC, cit., p. 134. (su)
19 - Giovanni Paolo II, ibid. (su)
20 - Giovanni Paolo II, ibid. (su)
21 - Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 6.  (su)
22 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 42 : "L’uso tende a sostituire oggi vocaboli più attenti ad evocare la profondità della comunione - legata al carattere battesimale - che lo Spirito alimenta malgrado le rotture storiche e canoniche." (su)
23 - Conc. Œcum. Vat. II, Decr. Unitatis redintegratio, 3 : "Tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica. […] Tutte queste cose, le quali provengono da Cristo e a lui conducono, appartengono di buon diritto all’unica Chiesa di Cristo". È sulla base di questa affermazione che LG,8 afferma che la Chiesa di Cristo “sussiste nella” Chiesa cattolica, e non che essa “è” la Chiesa cattolica. Cfr. il commento del cardinale Ratzinger, L’ecclésiologie de la Constitution conciliaire Lumen Gentium, conferenza del 27.2.2000, DC, n. 2223, del 2.4.2000, p. 310-311: "Con questa espressione, il Concilio si differenzia dalla formula di Pio XII il quale aveva affermato nella sua enciclica Mystici Corporis: la Chiesa cattolica “è” l’unico corpo mistico di Cristo.[…] La differenza tra “subsistit” ed “è” racchiude il dramma della divisione ecclesiale. Nonostante la Chiesa sia solamente una e sussista in un unico soggetto, esistono delle realtà ecclesiali al di fuori di questo soggetto: delle vere Chiese locali e delle Comunità ecclesiali."  (su)
24 - Questa affermazione scaturisce direttamente dal modo nel quale Lumen Gentium (7 e 8) presenta la Chiesa. Sino ad allora quel modo era ricavato dall’analogia paolina secondo la quale la Chiesa è corpo di Cristo. Corpo, e quindi visibile: "È perché è un corpo, che la Chiesa è visibile ai nostri sguardi" (Leone XIII, Satis cognitum, DzH 3300). Invece il concilio rifiuta di fare questo collegamento: tratta separatamente della Chiesa corpo di Cristo (LG, 7) e della visibilità della Chiesa cattolica (LG, 8).Ciò significa lasciar intendere che la Chiesa corpo di Cristo [la Chiesa di Cristo] non è in sé qualcosa di visibile. Certo, LG, 8 afferma l’unione necessaria della Chiesa di Cristo e della Chiesa organica: "La società costituita da organi gerarchici [la Chiesa cattolica] e il Corpo mistico di Cristo [la Chiesa di Cristo], l’assemblea visibile [Chiesa cattolica] e la comunità spirituale [Chiesa di Cristo], la Chiesa terrestre [Chiesa cattolica] e la Chiesa arricchita di beni celesti [Chiesa di Cristo], non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà". Ma questa affermazione non è sufficiente: l’unione di due cose distinte - la Chiesa di Cristo e la Chiesa organica - non costituisce affermazione dell’unità propria alla Chiesa. Questa unità è al contrario rifiutata, là ove si dice che la Chiesa di Cristo "sussiste nella Chiesa cattolica": il rapporto di contenente a contenuto non è quello dell’identità, soprattutto quando si sostiene che la Chiesa di Cristo si rende presente in modo attivo al di fuori del contenuto perfetto rappresentato dalla Chiesa cattolica. Sulla base di quest’ultima affermazione e sviluppando LG, 15, Giovanni Paolo II afferma spesso che il battezzato, quale che sia la sua appartenenza ecclesiale, è e rimane unito a Cristo, incorporato a lui. Questa teoria, che sostiene l’interiorità della Chiesa di Cristo, è talmente diffusa che cardinali così diversi tra loro come J. Ratzinger e W. Kasper la citano come se fosse un fatto evidente: "“La Chiesa si risveglia nelle anime.” Questa frase di Guardini era stata fatta lungamente maturare. In effetti, essa fece vedere che la Chiesa era stata finalmente riconosciuta e vissuta come qualcosa di interiore, che non esiste di fronte a noi come una istituzione qualsiasi ma che vive in noi stessi. Se, fino ad allora, la Chiesa era stata considerata innanzitutto come una struttura ed un’organizzazione, ora si prendeva finalmente coscienza del fatto che noi stessi eravamo la Chiesa. Essa era ben più che un’organizzazione: era l’organismo dello Spirito Santo, qualcosa di vitale, che ci afferra tutti nell’interiorità. Questa nuova coscienza della Chiesa trova la sua espressione linguistica nel concetto di “corpo mistico di Cristo”. " (J. Ratzinger, L‘ecclésiologie de Vatican II, conferenza tenuta il 15.9.2001 in occasione dell’apertura del Congresso pastorale della diocesi di Anversa); "La vera natura della Chiesa - la Chiesa in quanto Corpo di Cristo - è nascosta e si può cogliere solo con la fede. Ma questa natura che solo la fede può cogliere si rende attuale sotto forme visibili." (W. Kasper, L’impegno ecumenico della Chiesa cattolica, conferenza del 23.3.2002 all’assemblea generale della Federazione protestante di Francia, Œcuménisme information, n. 325 del 5.2002 e 326 del 6.2002).  (su)
25 - “Come minimo”, dato che Karol Wojtyla si spinge in effetti molto più lontano. Durante esercizi predicati in Vaticano, quando era ancora cardinale, ha detto: "Dio di Maestà infinita! il trappista o il certosino confessa questo Dio con tutta una vita di silenzio. È verso di lui che si inchina il beduino peregrinante nel deserto quando viene l’ora della preghiera. E il monaco buddista si concentra nella contemplazione che purifica il suo spirito orientandolo verso il Nirvana: ma solo verso il Nirvana?… La Chiesa del Dio vivente riunisce giustamente in essa coloro che in qualche modo partecipano a questa trascendenza, ad un tempo ammirevole e fondamentale dello spirito umano." (Karol Wojtyla, Le signe de contradiction, Ed. Fayard, 1979, p. 31-32).  (su)
26 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 42.  (su)
27 - Giovanni Paolo II, ibid. (su)
28 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 9.  (su)
29 - Congregazione per la dottrina della fede, Lettera su determinati aspetti della Chiesa intesa come Comunione, 6; DC, n. 2055, del 2.8.1992, p. 730.  (su)
30 - Cfr. Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’ecumenismo (approvato da Giovanni Paolo II il 25.3.1993, n. 13), DC, n. 2075 del 4.7.1993, p. 611. (su)
31 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 11.  (su)
32 - Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Unitatis redintegratio, 3: "Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta con la Chiesa cattolica. Sicuramente, le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la Chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, costituiscono non pochi impedimenti, talvolta gravi, alla piena comunione ecclesiale. Al superamento di essi tende appunto il movimento ecumenico." E tanto basta per la comunione visibile, incrinata dunque parzialmente, ma il documento aggiunge, per dimostrare la permanenza della comunione invisibile: "Nondimeno, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono insigniti a ragione del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore. […] Anche non poche azioni sacre della religione cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna Chiesa o comunità, possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia, e si devono dire atte ad aprire accesso alla comunione della salvezza."  (su)
33 - Cfr. Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 56 e 60; Allocuzione nella basilica di S. Nicola a Bari, il 26.2.1984, DC, n. 1872, del 15.4.1984, p. 414; Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d’Oriente, DC, n. 2106 del 18.12.1994, p. 1070; Omelia pronunziata in presenza del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Dimitrios 1° il 29.11.1979 a Istanbul, DC, n. 1776, cit., p. 1056: "Vi invito a pregare con fervore per la piena comunione delle nostre Chiese. […] Supplicate il Signore affinché noi stessi, pastori delle Chiese sorelle, siamo i migliori strumenti per reggere la Chiesa in questa ora storica, vale a dire per servirle come vuole il Signore, e servire in tal modo l’unica Chiesa che è il suo Corpo." (su)
34 - Cfr. Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 16.  (su)
35 - Giovanni Paolo II, Discorso alla delegazione della Federazione luterana mondiale del 9.12.1999, DC, n. 2219, del 6.2.2000, p. 109.  (su)
36 - Conc. Œcum. Vat. II, Lumen Gentium, 8; decr. Unitatis Redintegratio, 4; Dichiar. Dignitatis humanæ, 1.  (su)
37 - Card. Ratzinger, L’ecclesiologia della Costituzione conciliare Lumen Gentium, cit., p. 311.  (su)
38 - Conc. Ecum. Vat. II, decr. Unitatis Redintegratio, 3; Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 11. (su)
39 - Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 37.  (su)
40 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 77.  (su)
41 - Con “ecumenismo volto al ritorno” o “del ritorno”, si intende quello menzionato da Pio XI nell’enciclica Mortaliumanimos: "favorire il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale, precisamente, un giorno ebbero l’infelice idea di staccarsi: a quella unica vera Chiesa di Cristo, diciamo, che è visibile a tutti." (su)
42 - Dichiarazione della Commissione mista per il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa del 23.6.1993, detta “di Balamand”, n. 2 e 22, DC, n. 2077, dell’1.8.1993, p. 711. Questa citazione riguarda solo l’uniatismo ma il cardinale Kasper si servirà di formule valide per tutti: "Il vecchio concetto dell’ecumenismo inteso al ritorno dei dissidenti, è stato sostituito oggi da quello di un itinerario comune, che dirige i cristiani verso il fine della comunione ecclesiale intesa come unità nella diversità riconciliata." (W. Kasper, La dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione: un motivo di speranza, DC, n. 2220, del 20.2.2000, p. 167). (su)
43 - Con. Œcum. Vat. II, decr. Unitatis redintegratio, 3 : "Sono sorte alcune scissioni […] sono nate dissensioni più ampie […] talora per colpa di uomini di entrambe le parti". Da qui il tipo di conversione richiesto da UR, 7: "Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. In effetti il desiderio dell’unità nasce e matura dal rinnovamento dell’animo, dall’abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità." Cfr. inoltre: Cardinale Kasper, Conferenza al Kirchentag ecumenico di Berlino, DC, n. 2298, del 21.9.2003: "“Convertitevi”. Non si ha riavvicinamento ecumenico senza conversione e senza rinnovamento. Non la conversione da una confessione ad un’altra. Ciò può accadere per dei casi particolari. Se ciò accade per ragioni di coscienza, merita rispetto e considerazione. Ma più che con gli altri, la conversione comincia da se stessi. Tutti devono convertirsi. Non dobbiamo perciò domandarci di primo acchìto: “Cos’è che non va dagli altri” quanto “Cos’è che non va da noi, dove cominciare a far pulizia, da noi?”"  (su)
44 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 11; cfr. 34.  (su)
45 - Conc. Œcum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen Gentium, 13; cfr. Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 28. (su)
46 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 57.  (su)
47 - Giovanni Paolo II, Allocuzione nella basilica di S. Nicola a Bari, citata sopra (cfr. n. 33), p. 414. (su)
48 - Ibid.  (su)
49 - Giovanni Paolo II, Angelus del 17.10.1982, DC, n. 1823, del 7.2.1982, p. 144.  (su)
50 - A. Bugnini, Modificazioni delle orazioni solenni del Venerdi Santo, DC, n. 1445, del 4.3.1965, col. 603. Cfr. G. Celier, La dimension œcuménique de la réforme liturgique, Ed. Fideliter, 1987, p. 34.  (su)
51 - Cfr. l’Osservatore Romano (ed. ital.), del 26.10.2001. Ammissione all’Eucaristia fra la Chiesa Caldea e la Chiesa Assira dell’Oriente, Orientamenti del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, DC n. 2265, del 3.3.2002, p. 214.  (su)
52 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 38.  (su)
53 - Giovanni Paolo II, che cita in Ut unum sint 38, la Dichiarazione Mysterium Ecclesiæ della Congreg. per la Dottrina della fede, DC, n. 1636, del 15.7.1973, p. 267.  (su)
54 - Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d’Oriente, DC, n. 2106 del 18.12.1994, p. 1069.   (su)
55 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 38.  (su)
56 - DC, n. 2106 del 18.12.1994, p. 1069. Cfr. DzH, n. 251d e 252.  (su)
57 - Dichiarazione comune della Federazione luterana mondiale e della Chiesa cattolica, n. 7 (cfr. nn. 5, 13, 40-42), DC, n. 2168 del 19.10.1997, p. 875.  (su)
58 - W. Kasper, La Dichiarazione comune sulla giustificazione: un motivo di speranza, cit., p. 172 (vedi supra, n. 42).  (su)
59 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 95.  (su)
60 - Il primato del successore di Pietro nel mistero della Chiesa, riflessioni della Congregazione per la Dottrina della fede, DC, n. 2193 del 6.12.1998, p. 1018. (su)
61 - Leone XIII, Lettera apostolica Apostolicae Curæ, del 13.9.1896.  (su)
62 - W. Kasper, May They All Be One? But how? A Vision of Christian Unity for the Next Generation, The Tablet del 24.5.2003.  (su)
63 - Limitandoci qui alla sola confutazione dell’ecumenismo, non ci occuperemo dell’insegnamento di Giovanni Paolo II circa la redenzione realizzatasi di fatto in ciascun uomo e ciascun popolo. Diremo semplicemente che una proposizione del genere è totalmente estranea alla fede cattolica e la distrugge da cima a fondo (tanto per fare un esempio, che ne è della necessità del battesimo?). (su)
64 - Calvino, Inst., l. 4, c. 4.  (su)
65 - Leone XIII, enc. Satis Cognitum, DzH, n. 3300 ss.  (su)
66 - Pio XI, enc. Mortalium animos, Insegnamenti Pontifici, 1961, Edizioni Paoline, (IP) La Chiesa, vol. I, n. 861. (su)
67 - Pio XII, enc. Mystici Corporis, IP La Chiesa, vol. II, n. 1015.  (su)
68 - Pio XII, enc. Mystici Corporis, in op. cit., n. 1014.  (su)
69 - Lettera del Sant’Uffizio ai vescovi d’Inghilterra del 16.9.1864, DzH, n. 2888.  (su)
70 - Pio IX, Allocuzione al concistoro del 18.7.1861, IP La Chiesa, vol. I, n. 230.  (su)
71 - Schema reformato del concilio Vaticano I sulla Chiesa, can. 4, Mansi, 53, 316.  (su)
72 - W. Kasper, L’impegno ecumenico della Chiesa cattolica, conferenza del 23.3.2002 all’assemblea generale della Federazione protestante di Francia, Œcuménisme informations, n. 325 (05/2002) e 326 (06/2002).  (su)
73 - W. Kasper, ibid. (su)
74 - Questo triplice vincolo - bisogna ripeterlo - deve esser posseduto sia di fatto sia per lo meno mediante "un certo inconsapevole desiderio e anelito." (Pio XII, Mystici Corporis, DzH, n. 3821) Ma di questo desiderio, la Chiesa non è giudice. In campo giuridico - come in questo caso - la Chiesa non può giudicare delle realtà interiori alla coscienza di ciascuno, ma solo di ciò che appare: "Della mentalità e dell’intenzione, la Chiesa non giudica, poiché sono cose interiori; ma ne deve giudicare, in quanto compaiano all’esterno." (Leone XIII, Lettera apostolica Apostolicæ curæ del 13.9.1896 sulla nullità delle ordinazioni anglicane, ASS 29 (1896-97), p. 201. DzH, n. 3318). Ne consegue che, anche se nella sua pastorale, come una buona madre, essa inclina a sperare nella loro appartenenza "per desiderio almeno inconsapevole", cioè nell’appartenenza degli sviati quando, li avvicina in pericolo di morte (Dom M. Prümmer, o.p., Manuale theologiæ moralis, T.1, n. 514, 3), tuttavia, giuridicamente, la Chiesa non la presume in tempi normali. Per questo esige, a scopo cautelativo, l’abiura dello scisma o dell’eresia quando ritornano alla Chiesa cattolica (CIC, 1917, can. 2314, §2). A maggior ragione essa non presume la buona fede dei dissidenti considerati come un’istituzione, in comunità visibilmente separate dalla Chiesa cattolica, giusta il verbo ecumenico. Ciò che abbiamo detto dei tre elementi necessari all’appartenenza alla Chiesa cattolica implica il presupposto di cui sopra. Volerlo elidere, significherebbe muoversi nell’incerto e nell’irreale.  (su)
75 - Eb, 11,6: "Senza la fede è impossibile piacere a Dio."  (su)
76 - S. Pio X, Pascendi dominici gregis: "La fede, principio e fondamento di tutta la religione, risiede in un certo sentimento interiore, ingenerato di per sé dal bisogno del divino… Questa è, per i modernisti, la fede e in una fede del genere vedono l’inizio di ogni religione." (DzH 3477, che non cita integralmente; Acta S. Pii X 4 [1907], p. 52) Bisogna paragonare questa breve descrizione con il pensiero di Karol Wojtyla (Le signe de contradiction, Fayard, 1979, pp 31- 32): "Dio di Maestà infinita! Il trappista o il certosino confessano questo Dio, con tutta una vita di silenzio. A lui si rivolge il beduino peregrinante nel deserto quando viene l’ora della preghiera. E il monaco buddista si concentra nella sua contemplazione che ne purifica lo spirito orientandolo verso il Nirvana: ma solo verso il Nirvana?… La Chiesa del Dio vivente riunisce per l’appunto in se stessa queste genti che in qualche modo partecipano a questa trascendenza ammirevole e fondamentale dello spirito umano, poiché essa sa che nessuno può acquietare le aspirazioni più profonde di questo spirito se non lui solo, il Dio di maestà infinita."  (su)
77 - Conc. Ecum. Vat. I, sess. 3, c. 3, DzH, n. 3008.  (su)
78 - Leone XIII, enc. Satis cognitum del 29.6.1896, ASS 28 (1896), p. 722; IP La Chiesa, vol. I, n. 573. (su)
79 - Pio IX, enc. Amantissimus, dell’8.4.1862, IP La Chiesa, vol. I, n. 233, ed inoltre: da 234 a 237. (su)
80 - Cfr. S. Ambrogio, Epist. 11 ad imperatores(su)
81 - Cfr. S. Cipriano, De Unitate Ecclesiæ.  (su)
82 - Cfr. S. Girolamo, Ep. 51 ad Damasum(su)
83 - S. Agostino, De baptismo contra donatistas, lib. 1, cap. 14, § 22.  (su)
84 - Mc 16,16.  (su)
85 - Leone XIII, enc. Satis cognitum, IP La Chiesa, vol. I, n. 578.  (su)
86 - Pio IX, enc. Amantissimus, cit., in op. cit., n. 233.  (su)
87 - Pio XII, enc. Mystici Corporis, cit., DzH, n. 3802.  (su)
88 - Conc. Ecum. Vat. II, decr. Unitatis redintegratio, 3. Citiamo il passo in questione nella sua completezza. "Quelli poi che ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunità, non possono essere accusati di peccato di separazione, e la Chiesa cattolica li circonda di fraterno rispetto e di amore. Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica. Sicuramente, le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la Chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, costituiscono non pochi impedimenti, e talvolta gravi, alla piena comunione ecclesiale. Al superamento di essi tende appunto il movimento ecumenico. Nondimeno, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo, e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore."  (su)
89 - Vedi sopra, n. 73.  (su)
90 - Pio IX, Allocuzione Singulari Quadam, del 9.12.1854, Dz 1647 (numerazione antica; assente da DzH).  (su)
91 - Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen Gentium, 8.  (su)
92 - Benedetto XIV, Breve Singulari nobis del 9.2.1749, DzH, n. 2566-2568.  (su)
93 - Concilio di Firenze, bolla Cantate Domino, per i giacobiti, DzH, n. 1351.  (su)
94 - Conc. Ecum. Vat. II, decr. Unitatis redintegratio, n. 3.  (su)
95 - S. Agostino, De baptismo contra donatistas, lib. 1, cap. 10, n. 14.  (su)
96 - Ibid., cap. 14, n. 22. (su)
97 - Conc. Ecum. Vat. II, decr. Unitatis redintegratio, n. 3.  (su)
98 - Cfr. J. Ratzinger, L’ecclesiologia della Costituzione conciliare Lumen Gentium, cit., in DC, cit., p. 311 "Per quanto la Chiesa sia solo una e sussista in un solo soggetto, esistono delle realtà ecclesiali al suo esterno." In effetti, "Vi si trovano elementi essenziali all’esser-Chiesa: l’annunzio della parola di Dio e il battesimo, la presenza attiva dello Spirito Santo, fede, speranza e carità, forme di santità sino al martirio. Si può parlare di una configurazione differente di questi elementi ecclesiali costitutivi, di Chiese di un altro genere e di un altro tipo." (W. Kasper, L’impegno ecumenico della Chiesa cattolica, cit., [vedi supra, n. 72]) (su)
99 - S. Agostino, In Ps. 54, §19 citato da Leone XIII (Satis cognitum) subito dopo il passo appena menzionato, IP La Chiesa, vol. I, n. 578.  (su)
100 - Lettera del Sant’Uffizio ai vescovi d’Inghilterra, del 16.09.1864. Questa teoria "professa espressamente che tre comunità cristiane, la cattolica romana, la grecoscismatica e l’anglicana, per quanto separate e divise tra di loro, rivendicano per se stesse legittimamente il nome di cattoliche. […] Richiede, questa teoria, che tutti i membri delle comunità recitino delle preghiere e che i sacerdoti offrano dei sacrifici secondo la seguente intenzione: e cioè che le tre comunioni cristiane, le quali costituirebbero tutte insieme la Chiesa cattolica, si riuniscano infine per formare un unico corpo." (DzH, n. 2885-86)  (su)
101 - Ibid. DzH, n. 2886-2887.  (su)
102 - Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, n. 9, DC, n. 2296, del 20.7.2003, p. 668 ss.  (su)
103 - Dichiarazione cristologica comune tra la Chiesa cattolica e la Chiesa assira d’Oriente, DC, n. 2106 del 18.12.1994, p. 1069.  (su)
104 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 38.  (su)
105 - Conc. Ecum. Vat. II, decr. Unitatis redintegratio, n. 4.  (su)
106 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 38.  (su)
107 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, n. 57. Cfr. il cardinale Kasper, La Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione, cit., p. 167: "Si è visto chiaramente che lo scopo del dialogo non consiste nel far cambiare la controparte ma a riconoscere le nostre mancanze e ad imparare dall’altro. […] Là dove avevamo visto inizialmente una contraddizione, possiamo vedere una posizione complementare."  (su)
108 - Congreg. del Sant’Uffizio, istruz. De motione œcumenica, del 20.12.1949, AAS 42 (1950) p. 144, DC, n. 1064 del 12.3.1950, col. 332.  (su)
109 - Conc. Ecum. Vat. II, decr. Unitatis redintegratio, 11.  (su)
110 - Congreg. per la Dottrina della Fede, Dichiar. Mysterium Ecclesiæ del 24.6.1973, DC, n. 1636, del 15.7.1973, p. 667.  (su)
111 - Giovanni Paolo II, Incontro con il consiglio della Chiesa evangelica, del 17.11.1980, DC, n. 1798 del 21.12.1980, p. 1147.  (su)
112 - Leone XIII, enc. Testem benevolentiæ del 22.1.1899, ASS 31 (1899), p. 471; Actes de Léon XIII, La bonne presse, vol. 5, p. 313. Cfr. Pio XI, Mortalium animos, DzH, n. 3683: "Per ciò che spetta alle verità da credere, non è affatto lecito introdurre quella distinzione che dicono tra punti fondamentali e non fondamentali; gli uni da credersi assolutamente, gli altri liberi e che si possono permettere all’assenso dei fedeli. La virtù sovrannaturale della fede ha per causa formale l’autorità del rivelatore, Iddio; e questa causa non ammette distinzioni di quella sorta."  (su)
113 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 17 e 18.  (su)
114 - Pio XII, enc. Humani generis, AAS 42 (1950), pp. 566-67; del 12.8.1950, DzH, nn. 3881-83.  (su)
115 - Conc. Ecum. Vat. II, decr. Unitatis redintegratio, 11; Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 36. (su)
116 - Cfr. Concilio di Trento, Decr. sulla giustificazione, cap. 7, DzH, n. 1528: "La giustificazione in se stessa non è semplice remissione dei peccati, è anche santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore mediante l’accettazione volontaria della grazia e dei doni."  (su)
117 - Dichiarazione comune della Federazione luterana mondiale e della Chiesa cattolica, n. 27, in DC, n. 2168, del 19.10.1997, p. 875.  (su)
118 - Congreg. del Sant’Uffizio, istruz. De motione œcumenica del 20.12.1949, in DC, n. 1064, del 12.3.1950, col. 330 ss.  (su)
119 - S. Agostino, Sermone al popolo di Cesarea pronunziato in presenza di Emerito, vescovo donatista, n. 6. (su)
120 - Il Papa Benedetto XIV, nel suo ammirevole De servorum Dei beatificatione et beatorum canonizatione, lo spiega così: Se un eretico che è nell’ignoranza invincibile della vera fede muore a causa di un punto di dottrina cattolico, neanche in questo caso può essere considerato martire. Infatti, sarà forse martire coram Deo ma non coram Ecclesia, dal momento che la Chiesa giudica solo l’esterno e l’eresia professata pubblicamente obbliga a supporre l’eresia interna (De servorum, c. 20). L’obiezione di chi solleva il caso di S. Ippolito martire e antipapa (217-235), non è pertinente. In effetti, se il martirologio lo menziona alla data del 30 ottobre, dies natalis del papa S. Ponziano, è perché S. Ippolito si è riconciliato con Ponziano nelle miniere della Sardegna, prima che entrambi subissero il martirio nel 236.  (su)
121 - W. Kasper, La Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione, cit., pp.171-72. (su)
122 - W. Kasper, 30 Giorni nella Chiesa e nel mondo, n. 5/2003, p. 22.  (su)
123 - Pio IX, enc. Neminem vestrum, del 2.2.1854, IP La Chiesa, vol. I, n. 219.  (su)
124 - Dichiarazione della Commissione mista per il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, del 23.6.1993, detta “di Balamand”, n. 2 e 22, DC, n. 2077, dell’1.8.1993, p. 711.  (su)
125 - W. Kasper, La Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione, cit., p. 167. Inoltre, W. Kasper, Conferenza al Kirchentag ecumenico di Berlino, cit. (vedi supra n. 43): "Non possiamo gettare a mare ciò che ci ha sorretto e conservato sino ad oggi, ciò di cui hanno vissuto i nostri predecessori, in circostanze spesso difficili, e non dobbiamo pretendere che facciano la stessa cosa i nostri fratelli e le nostre sorelle del protestantesimo e dell’ortodossia. Né loro né noi possiamo diventare infedeli." (su)
126 - W. Kasper, L’impegno ecumenico della Chiesa cattolica, cit.  (su)
127 - Cfr. per esempio Pio IX, lettera Iam vos omnes, del 13.9.1868, ASS 4 (1868), p. 131; DzH, n. 2997-2999, che esorta i protestanti e gli altri non-cattolici ad approfittare dell’occasione del concilio Vaticano primo per ritornare alla Chiesa cattolica; Leone XIII li esortò del pari in occasione del suo giubileo episcopale, con la lettera Præclara gratulationis, del 20.6.1894, ASS 26 (1894), p. 705 ss. Il testo più noto, in questa materia, è evidentemente il passo ad hoc contenuto nell’enciclica Mortalium animos di Pio XI, già citata: "La riunione dei cristiani non si può favorire in altro modo che favorendo il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale, precisamente, un giorno ebbero l’infelice idea di staccarsi." (IP La Chiesa, vol. I, n. 872) Non è che questa prassi dell’invocare il “ritorno” sia particolare al XIX secolo: è la grande preoccupazione dei Papi per questo “ritorno”, ad esserlo. E difatti, questa prassi del “ritorno” rappresenta una costante nella Chiesa. Nel 1595, Clemente VIII diceva, a proposito dei vescovi metropolitani di Kiev (istruzione Magnus Dominus, del 23.12.1595): "Illuminati dallo Spirito Santo, hanno cominciato a considerare attentamente il fatto che non erano più membri del Corpo di Cristo
che è la Chiesa, dal momento che non erano più in unione con il suo capo visibile, il Sovrano Pontefice. Perciò decisero di rientrare nella Chiesa romana che è madre loro e di tutti i fedeli." (su)
128 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 42.  (su)
129 - Giovanni Paolo II, ibid. (su)
130 - Congreg. del Sant’Uffizio, Lettera del 16.9.1864, ASS 2, 660.  (su)
131 - Thren. 5,7: "I nostri padri hanno peccato: essi sono morti e noi ne sopportiamo le colpe."  (su)
132 - W. Kasper, La Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione, cit., p. 168.  (su)
133 - Congreg. del Sant’Uffizio, istruz. De motione œcumenica, del 20.12.1949, AAS 42 (1950), DC, n. 1064 del 12.3.1950, col. 332.  (su)
134 - Primo schema preparatorio del concilio Vaticano primo, IP La Chiesa, vol. I, pp. 711-12: "Noi condanniamo pure l’empietà di coloro che chiudono agli uomini l’ingresso al Regno dei cieli, assicurando con falsi pretesti che è cosa disonorevole e non necessaria alla salvezza abbandonare la religione ? anche se falsa ? nella quale si è nati, nella quale si è stati allevati ed istruiti; e che fanno colpa alla Chiesa stessa di presentarsi come la sola religione vera, di proscrivere e di condannare ogni religione e ogni sètta separata dalla sua comunione, come se fosse possibile servire alla giustizia ed all’iniquità, fare società tra la luce e le tenebre, venire a patti fra Cristo e Belial."  (su)
135 - Giovanni Paolo II, Ut unum sint, 17.  (su)
136 - Giovanni Paolo II, ibid., 18.  (su)
137 - W. Kasper, Conferenza al Kirchentag ecumenico, cit., p. 820.  (su)
138 - Conc. Ecum. Vat. II, decr. Unitatis redintegratio, 4; cfr. anche tutto il n. 6.  (su)
139 - W. Kasper, La Dichiarazione comune sulla dottrina della giustificazione, cit., p. 167.  (su)
140 - Pio XI, enc. Mortalium animos, cit., IP La Chiesa, vol. I, n. 872.  (su)
141 - Pio XII, enc. Mystici Corporis, cit., IP La Chiesa, vol. I, n. 1105.  (su)
142 - Mons. Lefebvre, Conferenza del 14.4.1978.  (su)
143 - Salmo 11, vv. 3 e 4 : "Aiuto, o Signore, ché morta è la pietà, scomparsa è la fede, tra i figli dell’uomo. È menzogna il parlare dell’uno con l’altro, son labbra bugiarde, son cuori mendaci. Oh, estirpi il Signore ogni labbro bugiardo, ogni lingua che parli superba." Per l’ultimo versetto citato, è utile ricordare il commento di S. Giovanni Crisostomo (In Ps, 11, 1): "Non parla contro di loro ma nel loro interesse; non domanda a Dio di perderli ma di por fine alle loro iniquità. Non dice in effetti “Dio li stermini” ma “distruggerà tutte queste labbra bugiarde”. Dunque, ancora una volta, non è la loro natura che egli vuole sia annientata, ma il loro falso linguaggio."   (su)
 



Lettera con la quale è stata inviata ai Cardinali copia dello studio sull’ecumenismo: “Dall’ecumenismo all’apostasia silenziosa”





FRATERNITÀ SACERDOTALE SAN PIO X
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FAX [4 1] 41 7 55 14 44

Menzingen, 6 gennaio 2004
Epifania del Signore

Eminenza Reverendissima,

In occasione dei venticinque anni di pontificato di Giovanni Paolo II, ci è sembrato importante rivolgerci a Voi, come agli altri Cardinali, al fine di farVi condividere le nostre preoccupazioni principali circa la situazione della Chiesa. A causa dell’aggravarsi dello stato di salute del Santo Padre abbiamo rinunciato a scriverGli direttamente, benché, inizialmente, lo studio allegato Gli fosse destinato personalmente.

Al di là dell’ottimismo che aleggiava intorno alle celebrazioni di questo venticinquesimo anniversario, a nessuno sfugge che sia il mondo sia la Chiesa cattolica attraversano una situazione estremamente grave. Il Papa stesso, nella sua Esortazione apostolica Ecclesia in Europa, riconosce in particolare che il tempo in cui viviamo è quello di una "apostasia silenziosa" in cui regna una sorta di "agnosticismo pratico e d’indifferentismo religioso che fa sì che molti Europei danno l’impressione di vivere senza humus spirituale e come degli eredi che abbiano dilapidato il patrimonio che era stato loro legato" (Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, nn. 8 e 9, in La documentation catholique, n° 2296, 20/07/2003, p. 668 ss.).

Tra le cause principali di questo tragico bilancio, come non mettere in primo piano l’ecumenismo, ufficialmente iniziato dal Vaticano II e promosso da Giovanni Paolo II?
Nello scopo dichiarato di realizzare una nuova unità, in nome di una volontà di "guardare piuttosto a ciò che ci unisce che a ciò che ci divide", si pretende di sublimare, reinterpretare o mettere da parte gli elementi specificamente cattolici che appaiono come motivi di divisione. Sicché, disprezzando l’insegnamento costante ed unanime della Tradizione secondo il quale il Corpo mistico di Cristo è la Chiesa cattolica e che al di fuori di essa non c’è salvezza, tale ecumenismo ha come distrutto i più bei tesori della Chiesa, perché invece di accettare l’Unità fondata sulla verità integra, ha voluto costruire un’unità adattata a una verità sposata all’errore.

Questo ecumenismo è stato la principale causa di una riforma liturgica di cui si conosce l’effetto disastroso sulla fede e sulla pratica religiosa dei fedeli. Esso ha rivisitato la Bibbia, denaturando il testo divinamente ispirato per presentarne una versione edulcorata, incapace di fondare la fede cattolica. Esso mira a costituire ora una nuova Chiesa di cui il Cardinal Kasper, in una recente conferenza, precisava i contorni (W. Kasper, The Tablet, Saturday, 24 May 2003, May They All Be One? but how? A vision of Christian Unity for the Next generation). Giammai noi potremo essere in comunione con i promotori di un tale ecumenismo che tende a dissolvere la Chiesa cattolica, cioè il Cristo nel Suo Corpo mistico, e che distrugge l’unità della fede, vero fondamento di questa comunione. Noi non vogliamo saperne della loro unità, perché essa non è quella voluta da Dio, non è quella che caratterizza la Chiesa cattolica.

È questo ecumenismo che intendiamo analizzare e denunciare con il documento allegato, perché siamo persuasi che mai la Chiesa potrà corrispondere alla sua divina missione se non incomincia a rinunciare chiaramente a questa utopia ed a condannarla fermamente, utopia che, secondo le precise parole di Pio XI, "sconquassa da cima a fondo le fondamenta della fede cattolica" (Pio XI, Mortalium animos, 6/1/1928, AAS 20 (1928), p. 7).

Consci d’appartenere di pieno diritto a questa stessa Chiesa e desiderosi di servirla sempre più, noi Vi supplichiamo di fare tutto ciò che è in Vostro potere affinché il Magistero attuale ritrovi presto il linguaggio multisecolare della Chiesa, secondo il quale "la riunione dei cristiani non si può procurare in altro modo che favorendo il ritorno dei dissidenti all’unica vera Chiesa di Cristo, dalla quale, precisamente, un giorno ebbero l’infelice idea di staccarsi" (Pio XI, Mortalium animos, 6/1/1928, AAS 20 (1928), p. 14). Allora la Chiesa cattolica ritornerà ad essere ad un tempo faro di Verità e porto di salvezza di un mondo che corre alla sua perdizione, dal momento che il sale è diventato insipido.

Vogliate credere, Eminenza, che non intendiamo assolutamente metterci al posto del Santo Padre, ma aspettiamo tuttavia dal Vicario di Cristo le misure energiche e necessarie per far uscire il Corpo Mistico dal pantano in cui l’ha messo un falso ecumenismo. Soltanto Colui che ha ricevuto la suprema, plenaria ed universale autorità su tutta la Chiesa può compiere questi atti salutari. Dal Successore di Pietro noi speriamo, in preghiera, che ascolti la nostra umile richiesta di aiuto e che manifesti fino all’eroismo quella carità che è stata chiesta al primo Papa nel ricevere il Mandato: il grado più alto di carità - "Amas Me plus his", per salvare la Chiesa.

Si degni Vostra Eminenza gradire i nostri rispettosi e devoti sentimenti in Gesù e Maria.

+ Bernard Fellay - Superiore Generale
Franz Schmidberger + - Primo Assistente generale
+ Alfonso de Galarreta - Secondo Assistente generale
+ Bernard Tissier de Mallerais
+ Richard Williamson



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