QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL DOCUMENTO

DEL CONCILIO VATICANO II:
DIGNITATIS HUMANAE

Citazioni scritturali contenute nel § 11 del 
documento DIGNITATIS HUMANAE
(12/99)


L'articolo completo in formato pdf


La possibilità di scaricare, ed eventualmente stampare, l'intero articolo, l'abbiamo aggiunta nel giugno del 2001,
in concomitanza con la generale discussione apertasi sulla corretta lettura dei documenti del Concilio, con particolare riferimento alla libertà religiosa di cui parla la Dichiarazione Dignitatis Humanae

Con l'occasione abbiamo aggiunto tra i documenti
uno studio sulla libertà religiosa di Mons. De Castro Mayer,
da lui presentato nel 1974 al Papa Paolo VI.


I brevi commenti riportati hanno in vista esclusivamente le affermazioni e le finalità del documento 
conciliare, senza alcuna pretesa esegetica, particolare o generale.


Qualche considerazione sul documento del Concilio Vaticano II: Dignitatis humanae - I parte (10/99)
Qualche considerazione sul documento del Concilio Vaticano II: Dignitatis humanae - II parte (12/99)


§ 11 - [Modo di agire di Cristo e degli apostoli]

Primo capoverso

[testo del documento]
«Infatti Cristo … ha attratto e invitato pazientemente i discepoli. (Mt 11, 28-30; Gv 6, 67-68)»

[passi citati]
Mt 11, 28-30 : «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero.»
Gv  6, 67-68: «Disse allora Gesú ai Dodici: “Forse anche voi volete andarvene?”. Gli rispose Simon Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna;…”»

Qui l’attrazione esercitata da Cristo, il suo invito e la sua pazienza non hanno certo un qualsivoglia rapporto con la “libertà” dei discepoli: si tratta piuttosto di una condizione di inevitabilità, dello stato di necessità in cui si trovano questi stessi discepoli, come è detto in Gv.


Primo capoverso (séguito 1)

[testo del documento]
«Certo [Cristo] ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e rafforzare la fede degli uditori, ma non per esercitare coercizione su di essi. (Mt 9, 28-29; Mc 9, 23-24; 6, 5-6)»

[passi citati]
Mt 9, 28-29: «Entrato in casa, i ciechi gli si accostarono, e Gesú disse loro: “Credete voi che io possa fare questo?”. Gli risposero: “Sí, o Signore!”. Allora toccò loro gli occhi e disse: “Sia fatto a voi secondo la vostra fede”.»
Mc 9, 23-24: «Gesú gli disse: “Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede”. Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: “Credo, aiutami nella mia incredulità”.»
Mc 6, 5-6: «E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarí. E si meravigliava della loro incredulità.»

Certo, da questi passi non si evince alcuna “coercizione”, ma è altrettando indubbio che non si evince alcuna accettazione della “libertà” dell’uomo, mentre invece viene ripetutamente richiesta la professione di fede. L’“incredulità” di cui in Mc 6, 5-6 va letta alla luce di Mc 9, 23-24: cosí che si tratterà sempre dell’“incredulo” che chiede aiuto per “credere”, non dell’“incredulo” che viene miracolato nonostante il suo “libero rifiuto” a credere.


Primo capoverso (séguito 2)

[testo del documento]
«Ha pure rimproverato la incredulità degli uditori, lasciando però la punizione a Dio nel giorno del giudizio (Mt 11, 20-24; Rm 12, 19-20; II Ts 1, 8).

[passi citati]
Mt 11, 20-24: «Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: “Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché se a Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai! Perché se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!»
Rm 12, 19-20: «Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo.»
II Ts 1, 8: «… in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dio e non obbediscono al Vangelo del Signore nostro Gesú.»

Che in questi passi si parli della pazienza di nostro Signore di fronte alla incredulità è veramente difficile da mostrare. Piuttosto, in Mt 11 è evidente come la “punizione demandata a Dio e rimandata” sia la stessa cosa della punizione comminata da Cristo stesso con le sue parole: di rimandata vi è solo l’esecuzione, non la punizione. 
San Paolo (Rm) addirittura afferma che “il non farsi giustizia da sé” non è una liberatoria per la colpa del “nemico”, ma una ulteriore conferma di questa colpa. D’altronde, se il cristiano dà da mangiare e da bere al proprio nemico, e il far questo è per lui cosa meritoria, lo fa tenendo sempre presente che di un “nemico” si tratta, sul cui capo sta “ammassando carboni ardenti”. Non per questo il “nemico” si trasforma in “amico”: semmai potrà accadere che egli si converta cosí da diventare un “fratello” in Cristo e smettere di essere un “nemico”.
Anche qui non riusciamo a trovare nulla che avalli il valore della “libertà di scelta” dell'uomo.


Primo capoverso (séguito 3)

[testo del documento]
«Ma egli, riconoscendo la zizzania seminata con il grano, comandò di lasciarli crescere tutti e due fino alla mietitura che avverrà alla fine del tempo. (Mt 13, 30 e 40-42)»

[passi citati]
Mt 13, 30 e 40-42: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio.» […] Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, cosí avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti.»

Difficile comprendere perché il documento citi questo passo: in esso si conferma infatti che il mondo è pieno di “zizzania” già condannata alla “fornace ardente”. Sarà forse colpa nostra: ma noi non riusciamo a scorgere alcuna paziente accettazione di Cristo. Non spetta all’uomo farsi esecutore della Giustizia divina, ma spetta al credente tenere sempre presente che la “zizzania” è già condannata e con essa, che continuerà a crescere fino alla fine dei tempi, non è possibile alcun compromesso.


Primo capoverso (séguito 4)

[testo del documento]
«Non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza… (Mt 4, 8-10; Gv 6, 15) […] Infatti rese testimonianza alla verità (Gv 18, 37), ma non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si difende con la spada (Mt 26, 51-53; Gv 18, 36)…»

[passi citati]
Mt 4, 8-10: «Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: “Tutte questa cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai”. Ma Gesú gli rispose: “Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto”.»
Gv 6, 15: «Ma Gesú, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo
Gv 18, 37: «Allora Pilato gli disse: “Dunque tu sei re?”. Rispose Gesú: “Tu lo dici; io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla verità; Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce”».
Mt 26, 51-53: «Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesú, messa mano alla spada, la estrasse e colpí il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.»
Gv 18, 36: «Rispose Gesú: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiú”.»

Dalla citazione di questi passi si comprende come il documento voglia sottolineare la distinzione tra potere temporale e potere spirituale. Non è questo il contesto adatto per svolgere qualche considerazione sull’argomento, ci limitiamo perciò a far notare come la distinzione tra “il regno” e “questo mondo” non implichi, e non potrebbe in alcun modo implicare, l’accettazione di “questo mondo” come avente “valore a sé”: il giudizio su di esso e sul suo stato scaturisce sempre dalla sua piú o meno aderenza alla legge di Dio: alla Parola e al Sacrificio di Cristo. Se la S. Chiesa non ha, per sua destinazione e per sua natura, alcun “potere temporale” da esercitare in “questo mondo”, è del tutto scontato che Essa possiede e deve esercitare l’“autorità spirituale” consistente, innanzi tutto, nel potere di legare e di sciogliere, e in secondo luogo nell’amministrazione dei Sacramenti e nella cura del Magistero. Tutte queste cose implicano, inevitabilmente, l’esercizio della discriminazione tra ciò che aderisce a Cristo e ciò che se ne discosta, con i giudizi e i comportamenti conseguenti.
Per quel che riguarda l’affermazione che Cristo non volle “imporre la verità con la forza a coloro che la respingevano” ricordiamo solo che questo non può essere inteso come un qualsivoglia “rispetto” dimostrato da Cristo per costoro: la loro condanna è già stata segnata.


Secondo capoverso

[testo del documento]
«Fin dagli inizi della chiesa i discepoli di Cristo si sono adoperati per convertire gli uomini a confessare Cristo signore, non con una azione coercitiva, né con artifizi indegni del vangelo, ma anzitutto con la forza della parola di Dio. (I Cor 2, 3-5; I Ts 2, 3-5)»

[passi citati]
I Cor 2, 3-5: «Io venni in mezzo a voi in debolezza e con molto timore e trepidazione; e la mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio.»
I Ts 2, 3-5: «E il nostro appello non è stato mosso da volontà di inganno, né da torbidi motivi, né abbiamo usato frode alcuna; ma come Dio ci ha trovati degni di affidarci il vangelo cosí lo predichiamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. Mai infatti abbiamo pronunciato parole di adulazione, come sapete, né avuto pensieri di cupidigia: Dio ne è testimone.»

Poco da dire su queste citazioni, solo che sarebbe oltremodo istruttivo ed edificante se il moderno atteggiamento “pastorale” della Gerarchia ecclesiastica tenesse sempre presente queste parole di san Paolo: “non cercando di piacere agli uomini”. Il che non significa certo che bisogna fare di tutto per dispiacerli, ma indubbiamente è necessario che si parli in spirito di verità ed ogni parlare sia: sí sí, no no, senza discorsi fondati sulla sapienza umana. 
Qui, come altrove, san Paolo ricorda, al séguito di nostro Signore, che non è l’approvazione degli uomini a dare la misura della efficacia della predicazione evangelica: piuttosto è spesso il suo contrario; perché “sarete odiati da tutti a causa del mio nome” (Mt 10, 22).


Secondo capoverso (séguito 1)

[testo del documento]
«… nello stesso tempo però avevano riguardo per i deboli anche se erano nell’errore, mostrando in tal modo che “ognuno di noi renderà conto di sé a Dio” (Rm 14, 12) (Rm 14, 1-23; I Cor 8, 9-13; 10, 23-33) e sia tenuto ad obbedire soltanto alla sua coscienza.»

[passi citati]
Rm 14, 12: «Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di sé stesso».
Rm 14, 1-23: «Accogliete tra voi chi è debole nella fede, senza discuterne le esitazioni. Uno crede di poter mangiare di tutto, l’altro invece, che è debole, mangia solo legumi. Colui che mangia non disprezzi chi non mangia; chi non mangia non giudichi male chi mangia, perché Dio lo ha accolto. Chi sei tu per giudicare un servo che non è tuo? Stia in piedi o cada, ciò riguarda il suo padrone; ma starà in piedi, perché il Signore ha il potere di farcelo stare.
C'è chi distingue giorno da giorno, chi invece li giudica tutti uguali; ciascuno però cerchi di approfondire le sue convinzioni personali. Chi si preoccupa del giorno, se ne preoccupa per il Signore; chi mangia, mangia per il Signore, dal momento che rende grazie a Dio; anche chi non mangia, se ne astiene per il Signore e rende grazie a Dio. Nessuno di noi, infatti, vive per sé stesso e nessuno muore per sé stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello? Tutti infatti ci presenteremo al tribunale di Dio, poiché sta scritto: “Come è vero che io vivo, dice il Signore, ogni ginocchio si piegherà davanti a me e ogni lingua renderà gloria a Dio”.
Quindi ciascuno di noi renderà conto a Dio di sé stesso. Cessiamo dunque di giudicarci gli uni gli altri; pensate invece a non essere causa di inciampo o di scandalo al fratello.
Io so, e ne sono persuaso nel Signore Gesú, che nulla è immondo in sé stesso; ma se uno ritiene qualcosa come immondo, per lui è immondo. Ora se per il tuo cibo il tuo fratello resta turbato, tu non ti comporti piú secondo carità. Guardati perciò dal rovinare con il tuo cibo uno per il quale Cristo è morto! Non divenga motivo di biasimo il bene di cui godete! Il regno di Dio infatti non è questione di cibo o di bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi serve il Cristo in queste cose, è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini. Diamoci dunque alle opere della pace e alla edificazione vicendevole. Non distruggete l’opera di Dio per una questione di cibo!  Tutto è mondo, d'accordo; ma è male per un uomo mangiare dando scandalo. Perciò è bene non mangiare carne, né bere vino, né altra cosa per la quale il tuo fratello possa scandalizzarsi.
La fede che possiedi, conservala per te stesso davanti a Dio. Beato chi non si condanna per ciò che egli approva. Ma chi è nel dubbio, mangiando si condanna, perché non agisce per fede; tutto quello infatti che non viene dalla fede è peccato.»
I Cor 8, 9-13: «Badate però che questa vostra libertà non divenga occasione di caduta per i deboli. Se uno infatti vede te, che hai la scienza,  stare a convito in un tempio di idoli, la coscienza di quest'uomo debole non sarà forse spinta a mangiare le carni immolate agli idoli? Ed ecco, per la tua scienza, va in rovina il debole, un fratello per il quale Cristo è morto! Peccando cosí contro i fratelli e ferendo la loro coscienza debole, voi peccate contro Cristo. Per questo, se un cibo scandalizza il mio fratello, non mangerò mai piú carne, per non dare scandalo al mio fratello.»
I Cor 10, 23-33: «“Tutto è lecito!”. Ma non tutto è utile! “Tutto è lecito!”. Ma non tutto edifica. Nessuno cerchi l’utile proprio, ma quello altrui. Tutto ciò che è in vendita sul mercato, mangiatelo pure senza indagare per motivo di coscienza, perché del Signore è la terra e tutto ciò che essa contiene.
Se qualcuno non credente vi invita e volete andare, mangiate tutto quello che vi viene posto davanti, senza fare questioni per motivo di coscienza. Ma se qualcuno vi dicesse: “È carne immolata in sacrificio”, astenetevi dal mangiare, per riguardo a colui che vi ha avvertito e per motivo di coscienza; della coscienza, dico, non tua, ma dell'altro. Per qual motivo, infatti, questa mia libertà dovrebbe esser sottoposta al giudizio della coscienza altrui? Se io con rendimento di grazie partecipo alla mensa, perché dovrei essere biasimato per quello di cui rendo grazie?
Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai greci, né alla Chiesa di Dio; cosí come io mi sforzo di piacere a tutti in tutto, senza cercare l’utile mio ma quello di molti, perché giungano alla salvezza.»

Queste lunghe citazioni vanno considerate tenendo presente che il testo del documento sottolinea che ognuno di noi è “tenuto ad obbedire soltanto alla sua coscienza”. Vero è che a fianco di questa affermazione non vi è alcun richiamo testuale specifico, ma è chiaro che per l’“ubbidienza alla coscienza” il testo fa riferimento ad esse.
Che cos’è la “coscienza” per san Paolo? Indubbiamente può solo trattarsi di quella valutazione “cum scientia” che il termine stesso sta ad indicare: cioè di quella valutazione morale che si fonda sulla conoscenza. E di quale conscientia parla san Paolo? Della coscienza del fratello, non della coscienza degli uomini! San Paolo parla ai fedeli di Cristo, perché tengano i comportamenti piú idonei nei confronti dei loro fratelli: perché non li scandalizzino. Qui addirittura non si tratta della valutazione morale del proprio agire, bensí dell’opportuno comportamento in vista della “coscienza dell’altro”, come dice testualmente san Paolo. Se un nostro fratello ha, di qualcosa, una certa coscienza, è nostro dovere di carità tenerne conto, per non essere per lui motivo di scandalo.
Ma la cosa piú importante è che questa concezione è applicabile, e raccomandata da san Paolo, in un àmbito cristiano: e cioè in relazione alla “coscienza cristianamente formata” dei fratelli in Cristo. Non è possibile applicare questo insegnamento raccomandato dall’Apostolo in una qualsivoglia relazione tra uomini: uno o piú cristiani a confronto di uno o piú infedeli. È evidente che la coscienza di un infedele solo eccezionalmente potrà essere correttamente informata. Non basta essere uomini per avere corretta coscienza di sé e degli altri: occorre essere informati dalla verità, aderire ad essa; e la verità è Cristo.


Secondo capoverso (séguito 2)

[testo del documento]
«Sprezzando quindi tutte le “armi carnali”, seguendo l’esempio di mansuetudine e di modestia di Cristo, hanno predicato la parola di Dio pienamente fiduciosi nella virtú divina di questa parola per distruggere le forze avverse a Dio e per avviare gli uomini alla fede e all’ossequio di Cristo. (II Cor 10, 4; I Tes 5, 8-9; Ef 6, 11-17; II Cor 10, 3-5)

[passi citati]
II Cor 10, 4: «…ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze…»
I Tes 5, 8-9: «Noi invece, che siamo del giorno, dobbiamo essere sobrii, rivestiti con la corazza della fede e della carità e avendo come elmo la speranza della salvezza. Poiché Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesú Cristo.»
Ef 6, 11-17: «Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. 
Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio.»
II Cor 10, 3-5: «In realtà, noi viviamo nella carne ma non militiamo secondo la carne. Infatti le armi della nostra battaglia non sono carnali, ma hanno da Dio la potenza di abbattere le fortezze, distruggendo i ragionamenti e ogni baluardo che si leva contro la conoscenza di Dio, e rendendo ogni intelligenza soggetta all'obbedienza al Cristo.»

Il documento fa bene a richiamarsi allo sprezzo delle “armi carnali”, ma sinceramente risulta incomprensibile come da qui si possa giungere alla “libertà religiosa”. 
San Paolo, cosí abbondantemente citato, parla chiaramente di “distruzione” dei ragionamenti e dei baluardi che si ergono contro la conoscenza di Cristo, e dà per scontato che di una battaglia si tratti, non di un convegno e di un “dialogo”, di una battaglia che per essere combattuta con armi non carnali è forse ancora piú dura, piú aspra, piú distruttiva di qualunque altra: una battaglia che deve condurre all’assoggettamento di ogni intelligenza all’obbedienza al Cristo. 
Una battaglia che va combattuta entro di noi e fuori di noi.
Libertà religiosa? 
Nessuna libertà, dice san Paolo: o ci si assoggetta all’obbedienza al Cristo o si è contro Cristo. 
Già nostro Signore l’aveva detto: chi non è con me è contro di me (Mt 12, 30).

(ritorna a QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL DOCUMENTO DIGNITATIS HUMANAE  II parte)
(ritorna a QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL DOCUMENTO DIGNITATIS HUMANAE I parte)



 

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