QUALCHE CONSIDERAZIONE SUL DOCUMENTO
DEL CONCILIO VATICANO II:
DIGNITATIS HUMANAE 

(Parte I)
(10/99)


L'articolo completo in formato pdf


La possibilità di scaricare, ed eventualmente stampare, l'intero articolo, l'abbiamo aggiunta nel giugno del 2011,
in concomitanza con la generale discussione apertasi sulla corretta lettura dei documenti del Concilio, con particolare riferimento alla libertà religiosa di cui parla la Dichiarazione Dignitatis Humanae

Con l'occasione abbiamo aggiunto tra i documenti
uno studio sulla libertà religiosa di Mons. De Castro Mayer,
da lui presentato nel 1974 al Papa Paolo VI.



Qualche considerazione sul documento del Concilio Vaticano II: Dignitatis humanae - II parte (12/99)
Qualche considerazione sul documento del Concilio Vaticano II: Dignitatis humanae - Citazioni scritturali contenute nel § 11 del documento (12/99)


Nel considerare il messaggio papale “per la pace” del 1999 (vedi altro articolo su questo Bollettino) occorre tenere presente il contenuto e lo spirito  della “Dichiarazione sulla libertà religiosa” del Concilio Vaticano II (Dignitatis Humanae  - Sessione IX - 7 dicembre 1965), poiché è da documenti come questi che si è passati poi agli enunciati successivi del magistero papale, siano essi formulati in maniera propria sia in maniera impropria, come è il caso dei “messaggi” come quello in questione.
 

Infatti è falso che la civile libertà di qualsiasi culto o la piena potestà a tutti indistintamente concessa di manifestare in pubblico e apertamente qualunque pensiero ed opinione influisca piú facilmente a corrompere i costumi e gli animi dei popoli e a propagare la peste dell'indifferentismo.

(Pio IX, Syllabus complectens præcipuos nostræ ætatis errores, XXI proposizione condannata.)

Tale documento conciliare cosí recita: 
§ 2, Oggetto e fondamento della libertà religiosa
«Questo concilio vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Tale libertà consiste in questo, che tutti gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte di singoli, di gruppi sociali e di qualsivoglia potestà umana, cosí che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità alla sua coscienza privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana, quale si conosce, sia per mezzo della parola di Dio rivelata sia tramite la stessa ragione […]».

Non v’è dubbio che il messaggio del Papa aderisce perfettamente al documento conciliare e che quindi, il Papa, non ha detto niente di nuovo: egli ribadisce l’insegnamento del Concilio.
L’incongruenza nasce proprio dai documenti conciliari.

Quando si dice che nessuno deve essere “forzato ad agire contro la sua coscienza”, né impedito a farlo in “conformità alla sua coscienza”, si afferma né piú e né meno che una cosa generica e perciò stesso non significativa. Si dice anche che ognuno deve agire e non essere impedito a farlo sia “privatamente” sia “pubblicamente” “in forma individuale o associata”.
Considerazioni siffatte sono tratte pari pari dal “libero pensiero” di infausta memoria e potrebbero lasciare il tempo che trovano (come è avvenuto in questi ultimi duecento anni nella vita civile) se non fosse che in tutto questo, dice il documento, consiste la “libertà religiosa”.
Ora, che la “libertà religiosa” possa essere definita cosí in contrapposizione alla pretesa “irreligiosa” e “antireligiosa” del mondo moderno, è anche possibile: ma è indubbio che i termini in cui essa viene qui formulata sono cosí generici da fare intendere che la “libertà religiosa” è qualcosa di paritetico con la “libertà politica”, per esempio. Stabilendo di fatto un parallelo inaccettabile tra la Religione e qualsivoglia attività semplicemente umana.

Se si pone mente al fatto che la Religione, prima ancora di essere qualcosa che attiene all’uomo, è qualcosa che scaturisce dal divino, si comprende bene l’infelicità, per non dire l’inaccettabile equivocità, delle espressioni usate nel documento.
Si dice anche che la “libertà religiosa si fonda sulla stessa dignità della persona umana”: come dire che essere uomini “degnamente” significa inevitabilmente sentire il bisogno di essere liberi in fatto di religione.

Ora, dal momento che potrebbero nascere equivoci circa il senso di questa “dignità”, poiché gli uomini, singolarmente, potrebbero professare convincimenti diversi circa la “propria dignità”, il documento precisa che “la dignità della persona umana” di cui qui si tratta, non è una qualsivoglia dignità, ma quella che si conosce propriamente “sia per mezzo della parola di Dio rivelata sia tramite la stessa ragione”.
Questa, che avrebbe dovuto essere una puntualizzazione a scanso di equivoci, di fatto si rivela una ripetizione degli equivoci precedenti. Qui si vorrebbe sostenere che la “dignità umana” è conoscibile o per mezzo della parola di Dio o per mezzo della ragione umana: entrambi questi mezzi conducono alla medesima conoscenza della “dignità”.
Non si può fare a meno di fare osservare che se fosse vero quanto si dice a proposito della “ragione”, sarebbe non solo superfluo il ricorso alla parola di Dio, ma inutile lo stesso intervento di Dio per farci conoscere la sua parola. Un concetto del genere, espresso in un documento della Chiesa, starebbe a significare che la Chiesa e i suoi documenti appartengono al superfluo: in quanto doppioni inutili della “ragione”. 
 

Gesú disse allora a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi».
Gv 8, 31-32

§ 2, secondo capoverso
«A motivo della loro dignità tutti gli uomini, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di responsabilità personale, sono spinti dalla loro stessa natura e tenuti per obbligo morale a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità conosciuta e ordinare tutta la loro vita secondo le esigenze della verità. Però gli uomini non possono soddisfare a questo obbligo in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell’immunità dalla coercizione esterna. Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto a questa immunità perdura anche in coloro che non soddisfano all’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa; e il suo esercizio, qualora sia rispettato il giusto ordine pubblico, non può essere impedito

Abbiamo riportato per intero questa citazione perché è cosí ricca di incongruenze e di contraddizioni che non si potrebbe comprendere la sua parte finale senza seguirla tutta con attenzione.
Qui si dice che ogni uomo, oggettivamente, per sua natura, è portato a cercare la verità, ma si dice anche che è tenuto a farlo per “obbligo morale”: delle due l’una, o cerca la verità per il solo fatto che è un uomo o non la cerca, nonostante il suo essere uomo, ed è invece tenuto a farlo per “obbligo morale”; le due cose si escludono a vicenda o, quantomeno: la sua stessa natura non portando “oggettivamente” l’uomo a cercare la verità, è l’obbligo morale che gli impone tale ricerca: ma qui non è detto questo, è solo sottolineato il suo contrario, mentre l’obbligo morale sembra svolgere una funzione da “sovrappiú”.

Nel dire poi: “in primo luogo quella concernente la religione”; si vuole affermare che vi sono piú verità, tutte egualmente “degne” di essere cercate; infatti qui si parla non in termini relativi e contingenti, ma in termini generali e universali: cosí che vi sarebbero diverse verità universali, tutte degne, fra le quali primeggia “quella concernente la religione”. Si insegna cosí che la Religione è una della tante cose vere che l’uomo è portato o obbligato moralmente a conoscere: e che quindi la Chiesa e il Vangelo sono delle opzioni, prioritarie certo, ma delle opzioni, come si precisa in seguito.

…il diritto a questa immunità perdura anche in coloro che non soddisfano all’obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa”. Si badi che qui non si distingue neanche piú tra verità in genere e verità “concernente la religione”: cosí che la frase si può legittimamente leggere in questo modo: “il diritto a questa immunità perdura anche in coloro che, non cercando la verità, eppure portati alla ricerca per loro natura, cercano la menzogna e aderiscono ad essa”. Non è una forzatura: è una semplicissima esplicitazione, soprattutto ove si pensi che stiamo esaminando, non la dichiarazione di un qualsiasi filosofo, ma un documento della Chiesa.
Secondo questo documento: a chiunque dev’essere garantito il diritto di cercare ciò che vuole, sia esso la verità o qualsiasi altra cosa che non sia la verità. 
Non crediamo di esagerare dicendo che per formulare un documento del genere non era affatto necessario convocare un concilio.
 

Se qualcuno insegna diversamente e non segue le sane parole del Signore nostro Gesú Cristo e la dottrina secondo la pietà, costui è accecato dall'orgoglio, non comprende nulla ed è preso dalla febbre di cavilli e di questioni oziose.
I Tim 6, 3-4

Ma veniamo adesso ad un ulteriore chiarimento proposto dal documento, da cui si comprende come questo intero § 2 non intendesse parlare della libertà religiosa, né della religione, diversamente da come si potrebbe pensare ad una prima frettolosa lettura.

§ 3 Libertà religiosa e necessario rapporto dell’uomo con Dio
«Ciò [e cioè quanto detto al § 2] appare piú chiaramente a chi considera che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con un suo disegno di sapienza e amore ordina, dirige e governa tutto il mondo e le vie della comunità umana

È indubbio che, in un documento della Chiesa, questa affermazione dovesse precedere qualunque altra: cosí da orientare ogni altro discorso. Si è invece voluto subordinarla ad una visione umana, e presentarla come una convinzione di parte, relativa solo “a chi considera che norma suprema della vita umana è la legge divina…”; dando per scontato che esiste, può esistere, deve esistere, legittimamente, anche “chi non considera che norma suprema della vita umana è la legge divina…». Infatti si dice che “ciò appare piú chiaramente a chi considera…”, non si dice “…se si considera…”. In questo modo in un documento della Chiesa si afferma tranquillamente che è legittimo, degno e con diritto di tutela, chiunque ritenga che si possa essere uomini, con tutta la propria dignità, libertà, volontà e responsabilità, prescindendo da Dio, misconoscendo Dio, il suo disegno e la sua legge. 
Si badi, non si dice che una cosa del genere è possibile, ma è un errore: che è possibile, ma che si tratterebbe di una violazione della dignità dell’uomo. Si dice esattamente il contrario.
Peraltro, avendo premesso il § 2 a questo § 3, si è voluto espressamente dichiarare che le concezioni correnti sulla dignità umana e sulla libertà religiosa sono concezioni proprie dell’uomo in generale, legittimamente considerato nella sua totale autonomia dal divino, del quale, si dichiara implicitamente, egli può fare benissimo a meno per comprendere appieno il senso della sua esistenza.
Potenza dell’autonomia della ragione umana!

Detto questo, il paragrafo continua cosí:
«Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità in materia religiosa per formarsi, utilizzando i mezzi idonei, giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza.»

Da cui non si comprende affatto chi sarebbe questo “ognuno”, un uomo qualsiasi o l’uomo che “considera che norma suprema della vita umana…»?. È evidente che la formulazione è volutamente equivoca: non avendo voluto precisare che la dignità dell’uomo è una cosa sola con la sua aderenza alla Legge di Dio, si è costretti poi a rimanere nel vago e a continuare a confondere la dignità fittizia e nominale con la dignità vera e sostanziale.
Questo però lo diciamo noi, perché invece il documento rivela in seguito il pregiudizio su cui si basa l’intera Dichiarazione: rendendo di fatto senza alcun significato l’inizio del § 3 che abbiamo citato poco prima.

§ 3 - secondo capoverso
«La verità poi va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale, cioè con una ricerca libera, con l’aiuto del magistero o dell’insegnamento,… della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale.»

Incominciamo col far notare una cosa pregiudizievole, che oggigiorno sembra non creare problemi di sorta ai propalatori del mito libertario, tra i quali, a partire dal Vaticano II, dobbiamo annoverare anche i Pastori della Chiesa post-conciliare.
Deve darsi necessariamente che la “libera ricerca della verità” che qualcuno o alcuni finiscono con lo scoprire o col ritenere di avere scoperto, debba partire dalla consapevolezza della propria ignoranza. Non v’è dubbio infatti che si possa andare alla “ricerca” (e meglio sarebbe dire alla “cerca”) solo di qualcosa che non si conosce; perché ciò che si conosce per ciò stesso lo si possiede, e non v’è alcun bisogno di andarlo a cercare. 
Perché non si creino equivoci, ricordiamo che si può anche andare alla “cerca” di qualcosa che non si conosce personalmente, ma che altri conoscono, e in questo caso è vero che si cerca una cosa che non si conosce, ma la si cerca e la si trova solo su indicazione altrui. Non si tratterebbe quindi di una vera e propria “cerca”, né tampoco di una “scoperta”, perché la cosa non è affatto “coperta”, visto che altri la conoscono. Dire, in questo caso, che si va alla “ricerca” è possibile, ma è cosa alquanto impropria, perché si deve dire correttamente che si va “a conoscere” ciò che è già conosciuto da altri e di cui si sa cos’è e dov’è.
Nel nostro caso, invece, parlando di “ricerca” ci si riferisce a qualcosa che non si conosce; ed allora bisogna subito chiedersi in base a quale logica, anche la piú elementare, uno possa andare alla “cerca” di qualcosa che non conosce e poi trovarla.
Innanzi tutto è impossibile che un uomo possa andare alla cerca di qualcosa che non conosce, poiché, non conoscendola, non la cercherà neppure.
Ma, ammesso che si possa superare un tale scoglio insuperabile, il porsi alla cerca di qualcosa che non si conosce significa porsi nella condizione di non trovarlo mai; perché, anche quando lo si incontrasse, non lo si ri-conoscerebbe, proprio perché non lo si è mai conosciuto. Non si va alla cerca di qualcosa che non si conosce per poi, improvvisamente, per caso, finire col conoscerlo. 
La verità è che la tanto decantata “ricerca” che erroneamente si suppone possa portare alla conoscenza, è una impossibilità, prima ancora di essere un inganno. La “libera ricerca” della verità non esiste, non è mai esistita e mai potrà esistere. L’unica cosa che è possibile, nei termini in cui ne stiamo parlando sulla base degli enunciati della Dichiarazione conciliare, è la cerca casuale, a tentoni, per accidenti, sulla base di un qualche stimolo di curiosità: la quale può portare sicuramente alla individuazione, e non alla “scoperta”, di una qualche realtà. Ma, accaduto questo, e vista l’ignoranza da cui si è partiti, può solo capitare di individuare una cosa e compiacersene continuando a sconoscerla e supponendo che quella cosa sia una qualsiasi di quelle sorte dall’immaginazione del cercatore. Cosí che, in termini di cerca, se uno individuasse il fuoco potrebbe pensare che sia l’acqua; e se per avventura conoscesse già l’acqua, al cospetto del fuoco potrebbe solo dire che non è l’acqua, ma non potrebbe mai dire che è il fuoco; dimostrando cosí la pericolosità della “ricerca”.
 

Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio?
Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio.
Gc 4, 4

Fatta questa premessa, rimane l’interrogativo, senza risposta, su che cosa possa mai intendere la Dichiarazione conciliare quando parla di “ricerca libera”.

In ogni caso, pur volendo accettare questa contraddizione della “ricerca libera”, resta da chiarire ancora il significato della frase che “La verità poi va cercata… con una ricerca libera… con l’aiuto del magistero o dell’insegnamento…”.
Da una contraddizione all’altra: se la verità va cercata con l’aiuto del magistero, non si tratterebbe piú di una “ricerca libera”, ma di una cerca in cui il cercatore si dispone come un “discepolo” al cospetto del magistero. Tranne che non si voglia intendere che il rapporto tra magistero e “discepolo” non è piú un rapporto fra chi sa ed insegna e chi non sa ed apprende, bensí un rapporto paritario tra due entità che si scambiano le reciproche conoscenze: da parte del discepolo, la sua ignoranza, da parte del magistero, la sua conoscenza; e da questo strano connubio dovrebbe sortire l’individuazione della verità! 
Ci sembra che i documenti della Chiesa abbiano finito col diventare piú sconclusionati degli scritti dei filosofi e degli psicologi.

Ma c’è di piú: la Chiesa, con questo documento, afferma che esiste anche una alternativa al magistero, con l’aiuto della quale si raggiunge parimenti la verità: l’insegnamento. Non l’insegnamento della Chiesa, non è detto, anche perché subito prima si è parlato di magistero, che è esso l’insegnamento della Chiesa; quindi si parla di “insegnamento” tout court, qualsiasi insegnamento, dovuto a qualsivoglia insegnante, non vi sono restrizioni nel testo.

Purtroppo, trattandosi di un documento della Chiesa non possiamo limitarci ad ignorarlo, e dobbiamo continuare a leggerlo.

Il paragrafo testé citato continua cosí:
«[con l’aiuto] della comunicazione e del dialogo, con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; e alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale.»
Ora, dopo quanto abbiamo appena detto, è difficile riuscire a comprendere che cosa si voglia sostenere con questa frase. La comunicazione propria della Chiesa è l’annuncio del Vangelo, come è stato fino a qualche lustro fa, con il quale La Chiesa propone agli uomini la Verità: dal documento si comprende invece che oggi si possa andare “liberamente” alla ricerca della verità con l’aiuto della “comunicazione e del dialogo”. Ove per comunicazione bisogna allora intendere la comunicazione moderna, la “comunicazione di massa”, visto che il documento la nomina insieme al “magistero”, all”insegnamento” e al “dialogo”. 
Come poi un uomo possa andare a trovare la verità leggendo i giornali, è cosa che il documento non spiega.
 

Badate che nessuno vi inganni con la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo.
Col 2, 8

Spiega invece in che cosa consista il “dialogo”.
Il dialogo, si afferma, è quella cosa con la quale ci si aiuta “vicendevolmente nella ricerca della verità, gli uni espongono agli altri la verità che hanno scoperta…”. 
Strana affermazione: ci sono forse piú verità? Forse il documento intende parlare di “parti di verità”, ed allora si esprime male; ma forse l’espressione è corretta, ed allora torniamo al problema di prima: vi sono piú verità tutte passibili di essere scoperte da parte di chiunque. 
L’auspicio e la raccomandazione è che questi “chiunque” si riuniscano ogni tanto per “scambiarsi” “vicendevolmente” le verità. Ecco: il giuoco è fatto! 
Da qui a passare alla convocazione “anche” della Chiesa per l’eventuale prossimo “simposio universale sulla ricerca della verità” corre molto poco: partecipazione che - dice implicitamente il documento - sarebbe doverosa e fruttuosa per la Chiesa che oltre ad offrire la sua verità potrebbe bellamente apprendere le verità degli altri. 
Auguri!
Un documento cosí concepito non è credibile, perché è peggio di un articolo di giornale.

Ma c’è di piú, le contraddizioni non finiscono mai. 
Il dialogo, si afferma, è quella cosa con la quale “gli uni espongono agli altri la verità… che ritengono di avere scoperta”. Cioè: se uno ritiene di avere scoperto la verità avendo conosciuto la menzogna, ha tutto il diritto di “comunicarla agli altri”, e questi altri hanno tutto il dovere di apprenderla come fosse la verità. 
Cosí, col dialogo, si realizzerebbe la grande aspirazione cristiana di condursi a Dio!

E dopo tanto guazzabuglio, ecco l’insegnamento saggio e perentorio: “alla verità conosciuta si deve aderire fermamente con assenso personale”. 
A quale verità? A quella che scaturisce dalla “libera ricerca”? a quella insegnata dal magistero? 
a quella offerta dall”insegnamento”? a quella derivata dalla comunicazione? 
a quella emersa dal dialogo con chi l’ha scoperta? 
o ancora a quell’altra proposta da chi non ha scoperto un bel niente?
Il documento non lo dice. Si limita a solennizzare l’obbligo del “fermo assenso personale”, come se fino a qui avesse mai parlato della Parola proferita dal Verbo incarnato.

E si continua.
§ 3 - terzo capoverso
«Ma l’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza che egli è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività, per arrivare a Dio, suo scopo.»
Dopo tutto quello che si è detto nei capoversi precedenti, si fa iniziare questo con un “ma”.

Ora, non potendosi trattare di un “ma” avversativo, perché certo non si vuole escludere quanto detto prima, si deve necessariamente trattare di un “ma” alternativo e migliorativo. Cosí che, di fatto, con quel “ma”, si dice che ciò che conta, in sostanza, è la coscienza individuale; di fronte a quell’ “attraverso la sua coscienza”, ogni verità anche comunicata, ogni magistero, ogni Vangelo, devono cedere il passo, poiché è solo la coscienza individuale che può cogliere e riconoscere “gli imperativi della legge divina”. 
Non c’era bisogno di fare un concilio per affermare le stesse cose sostenute da Lutero già quattro secoli fa: bastava farsi Protestanti e chiudere la Chiesa.

E si rafforza il concetto dicendo:
§ 3 - terzo capoverso - seguito
«Infatti l’esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l’uomo si mette in relazione direttamente con Dio…»

Con quel “direttamente” si è inteso ribadire che la mediazione della Chiesa, l’amministrazione dei Sacramenti e l’impetrazione della Grazia per la Misericordia di Dio, sono tutte cose che contano molto poco, o niente, di fronte alla potenza della volontà e della libertà che muovono l’azione “interna” dell’uomo. 

Infatti, «gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli uomini con decisione interiore si dirigono a Dio, trascendono per loro natura l’ordine delle cose terreno e temporale.» (§ 3 - quinto capoverso).
Si badi bene, non gli atti religiosi per ciò che essi sono come elementi della Religione, ma gli atti religiosi per ciò che essi sono come derivati dalle “decisioni interiori” degli uomini. Cosí dice il testo.
Proviamo a riscrivere questa frase in maniera piú accettabile: “gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli uomini si dirigono a Dio, trascendono per loro natura l’ordine delle cose terreno e temporale”. Detto cosí si può dare per scontato che per “atti religiosi” si debbano intendere quelli della Religione, e cioè quelli insegnati dalla Chiesa. Introducendo invece la precisazione della “decisione interiore” e collegandola inevitabilmente con quanto detto prima, è chiaro che si è voluto prescindere, a ragion veduta, dalla Chiesa e dai suoi insegnamenti in fatto di “atti religiosi”, e si è voluta sottolineare la primazia della coscienza e della libertà degli atti interni dell’uomo che si traducono in atti religiosi esterni.

Da quanto detto fin qui, si comprende benissimo come il nostro convincimento di cattolici dia per scontato che tale concetto della “libertà religiosa” non abbia alcun fondamento nella Rivelazione. Purtroppo ci sbagliamo - dice il documento conciliare - perché «…questa dottrina sulla libertà affonda le radici nella rivelazione divina, per cui tanto piú va rispettata santamente dai cristiani.»

Il testo completo è il seguente.
Cap. II, § 9 - La dottrina della libertà religiosa affonda le sue radici nella rivelazione
«Quanto questo concilio vaticano dichiara sul diritto dell’uomo alla libertà religiosa ha il fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze sono divenute piú pienamente manifeste alla ragione umana attraverso l’esperienza dei secoli. Anzi questa dottrina sulla libertà affonda le radici nella rivelazione divina, per cui tanto piú va rispettata santamente dai cristiani. Quantunque infatti la rivelazione non affermi espressamente il diritto all’immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa, fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà dell’uomo nell’adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di un tale maestro devono riconoscere e seguire in ogni cosa.»
 

L'umana ragione senza tenere nessun conto di Dio, è l'unica arbitra del vero e del falso, del bene e del male, è legge a sé stessa, e con le sue forze naturali basta a procacciare il bene degli uomini e dei popoli.

(Pio IX, Syllabus complectens præcipuos nostræ ætatis errores, III proposizione condannata.)

Questo preambolo, per quanto comporti la precisa affermazione che “questa dottrina sulla libertà religiosa” si fondi sulla Rivelazione, esordisce però con un’altra affermazione: che il dettato del concilio in materia “ha il fondamento nella dignità della persona”; e questa dignità comporterebbe delle esigenze che un tempo erano poco manifeste alla ragione, e solo ultimamente lo sono divenute appieno grazie all’esperienza. In sostanza, qui si afferma che la dignità umana è un “a priori” che è sempre esistito “nell’uomo” allo stato latente, e che solo ultimamente si è reso manifesto pienamente alla ragione.
Vediamo di tradurre tutto questo in termini piú semplici: al tempo di Gesú Cristo e degli Apostoli è possibile che si avesse sentore della dignità umana, ma gli stessi Apostoli non ne avevano piena coscienza, poiché privi di esperienza, cosí che loro e i Padri della Chiesa non sapevano “pienamente” delle esigenze della dignità umana.

Una affermazione del genere ci lascia indubbiamente alquanto sconcertati, ma certo non ci sorprende affatto: per chi è convinto di appartenere ad un mondo che ne sa piú di Gesú Cristo, la cosa è quasi scontata. Se ne deve dedurre che anche il concilio abbia fatta sua questa convinzione. Il mito antireligioso del “progresso” ha vinto anche sugli uomini di Chiesa.

Ma, attenzione, perché si dice, subito dopo, che la stessa dottrina “affonda le radici nella rivelazione”; e la cosa ancora sconcertante è che si fa precedere questa frase con un “anzi”, proponendo lo stesso giuochetto di prima col “ma”.
Anche qui, questo “anzi”, non potendo avere valore esclusivo (anzi = al contrario) perché in questo caso significherebbe che non è vero che la dottrina in causa si fondi sulla dignità umana, dovrà necessariamente avere valore alternativo e migliorativo (anzi = o meglio, piuttosto); dal che si può solo dedurre che la precedente affermazione proposta dal documento debba considerarsi alquanto ridimensionata, soprattutto perché è fuori dubbio che non può darsi alcuna comune misura tra la “dignità umana” e la Rivelazione. In definitiva, dopo aver tanto parlato di dignità umana, il documento ci fa sapere della sua infima e relativa valenza a fronte della Rivelazione. Perché sbracciarsi tanto allora per la libertà e la dignità?

Troviamo la risposta, anche se indirettamente, quando andiamo a verificare l’affermazione che la libertà religiosa affonda le sue radici nella Rivelazione.
Per prima cosa passiamo l’interrogativo allo stesso concilio, il quale, con questa Dichiarazione, ci informa che la rivelazione non afferma “espressamente” il diritto a questa libertà. E allora? Come stanno effettivamente le cose? Si fonda o non si fonda? Perché è facile capire che non ci sono alternative al dilemma: o è sí, o è no! Non è possibile dire, per di piú nello stesso paragrafo, una volta che è sí e un’altra che è no!
Ma il documento lo afferma chiaramente: non è vero, la Rivelazione non parla di libertà religiosa; e a poco vale a questo punto quell’ “espressamente” messo lí col tentativo di giustificare una bugia. La Rivelazione non ne parla. 
Tant’è vero che lo stesso documento, per togliersi d’impaccio, rimesta un po’ le acque e precisa che la Rivelazione “tuttavia”, e cioè nonostante non parli della libertà religiosa, “fa conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza…”.

Occorre fermarsi un momento per raccapezzarsi.

Quindi, è accertato che la Rivelazione non parla della libertà religiosa: lo dice il concilio stesso, infatti - dice il concilio - solo “ci fa conoscere” la dignità della persona: non parla della libertà religiosa. Quindi l’affermazione che questa libertà si fondi sulla Rivelazione è falsa, ed è proferita in maniera affermativa con la piena consapevolezza di affermare il falso!
Si dice invece che la Rivelazione  “fa conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza …”, sostenendo cosí l’esatto contrario di quanto si è sostenuto un momento prima, che cioè sia stata l’esperienza umana a far conoscere appieno all’uomo la portata (qui si dice “le esigenze”) della dignità umana. No! Si dice adesso: la dignità umana l’ha fatta conoscere “in tutta la sua ampiezza” la Rivelazione!
In verità c’è da chiedersi chi e come abbia mai potuto mettere insieme un cosí bel numero di contraddizioni. Eppure si tratta di un documento del concilio!
Il fatto è che bisognava ad ogni costo sostenere il supposto valore religioso di codesta “dignità umana”, poiché si aveva la piena coscienza che essa è l’unica cosa che fondi la libertà religiosa: cosí non potendo affermare che questa si fonda sulla Rivelazione, si è ricorsi allo stratagemma di sostenere che la dignità umana è sí un mero prodotto della ragione che progredisce, ma è “anzi” un qualcosa che ci fa conoscere la Rivelazione.

(continua)

Giovanni Servodio

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