I  SEGNI  DEI  TEMPI







L’anno che è appena passato è stato caratterizzato dal manifestarsi di “segni” importanti.
Gli accadimenti che piú ci interessano, ovviamente, sono quelli che riguardano la vita della Chiesa, ma ad essi se ne è aggiunto un altro che riguarda il mondo intero e che ha richiamato fortemente la nostra attenzione. 

La crisi che attraversa la Chiesa postconciliare è sotto gli occhi di tutti e, in particolare, sotto gli occhi della Gerarchia, che, a partire dall’anno giubilare,  ha prodotto una serie continua di iniziative allo scopo di porsi sempre piú all’attenzione del mondo e dei fedeli.

Una di queste iniziative è stato il tentativo di conciliazione dell’unico “scisma” prodottosi in questo secolo: l’espulsione dalla comunione ecclesiale del compianto Mons. Marcel Lefèbvre e dei quattro vescovi da lui ordinati. Tale iniziativa mirava a risanare, almeno in parte, l’immagine della Chiesa “lacerata”, sia nei confronti del variopinto mondo cristiano, sia nei confronti dei fedeli cattolici. (si veda il Dossier San Pio X)

Per quanto riguarda il mondo cristiano, si avevano in vista primariamente i rapporti tra Roma e le Chiese Ortodosse, le quali sono in attesa di valutare in che modo Roma finirà col trattare al suo stesso interno i cattolici che vogliono rimanere fedeli alla Tradizione della Santa Chiesa.

Per quanto riguarda i fedeli cattolici, si intendeva proporre a molti laici e chierici turbati dall’attuale andamento e stimolati a ricercare un qualche rimedio, un elemento di riferimento in grado di guidarli verso la giusta direzione. 

In questi ultimi anni, sono stati in molti a dare uno sguardo all’indietro, compresi certi prelati che al tempo del Concilio si lasciarono entusiasmare dall’innovazione: valga per tutti l’esempio del cardinale Ratzinger; e la ricomposizione del provocato “scisma” poteva permettere la pratica realizzazione di certi ripensamenti o, quantomeno, un primo passo verso di essa. 
Purtroppo, le cose non sono andate come si voleva: quando la Fraternità San Pio X ha ricordato che sul tavolo vi erano delle importanti questioni dottrinali da mettere in chiaro, ci si è accorti che la ricomposizione richiedeva molto piú tempo e molta piú riflessione di quanto si fosse pensato all’inizio.

Ci si chiede: qual è il motivo per cui si è cercato di addivenire ad una “veloce” ricomposizione della rottura?
Insieme al desiderio del Papa di giungere al piú presto e in qualunque modo a quell’unità della Chiesa e dei cristiani che è divenuta il segno distintivo del suo pontificato, non bisogna sottovalutare che la formale reintegrazione della Fraternità San Pio X nel seno della comunione ecclesiale, per il Papa e per la Gerarchia rappresenterebbe un importante punto fermo rispetto all’accentuarsi della tendenza centrifuga attualmente in atto nella Chiesa. 
Tutti sanno che l’àmbito ecclesiale incomincia a dar segni evidenti di ben altre rotture, rotture che sono nei fatti piú che nelle diversità manifeste e dichiarate. 
La crisi della Chiesa, che è una crisi che tocca la Fede e la pratica della Fede, non corre piú lungo gli errori di questo o di quel prelato, ma si realizza nella sostanziale diversità tra la vita religiosa di molte diocesi e l’insegnamento di Nostro Signore. Non è esagerato affermare che oggi sono in essere un gran numero di “scismi di fatto”: vescovi, sacerdoti, religiosi, teologi pensano, vivono, praticano e predicano in maniera difforme dall’insegnamento della Chiesa; e non solo dall’insegnamento tradizionale, ma perfino dall’insegnamento moderno. 
Sono ormai tanti i documenti del Magistero che cercano di approntare qualche pezza per tappare le falle che continuamente si aprono lungo la chiglia della Barca di Pietro.

Questo significa che, al di là delle subitanee manovre, anche ricattatorie, poste in essere da certi episcopati per bloccare ogni possibile accordo con la Fraternità San Pio X, ci troviamo al cospetto di un “segno” molto chiaro: la Gerarchia, con in testa il Romano Pontefice, non è piú in grado di svolgere la sua funzione di guida della Chiesa, quindi la Chiesa postconciliare è ormai in balia delle fughe in avanti che caratterizzano la vita di molte sue parti: una sorta di movimento centrifugo che potrebbe condurre allo sgretolamento.

A conferma di questa parziale analisi, sta la risposta data dal cardinale Castrillon-Hoyos, incaricato dal Pontefice ad aprire e a tenere i colloqui, alla richiesta presentata da Mons. Fellay per la liberalizzazione della S. Messa tradizionale: “un certo numero di cardinali, vescovi e fedeli giudicano che un tale permesso non debba essere concesso… questo permesso potrebbe creare confusione nello spirito di molte persone che lo intenderebbero come un deprezzamento del valore della Santa Messa che la Chiesa celebra attualmente”.
Che significa? Soprattutto dopo che il cardinale ha affermato prima che: “questo non significa che il rito sacro precedente non meriti tutto il rispetto, né che si misconosca la sua solidità teologica, la sua bellezza e il suo apporto per la santificazione nel corso dei secoli e nel seno della Chiesa”?

Può solo significare: voi avete ragione, ma “un certo numero di cardinali, vescovi e fedeli” pensano che abbiate torto, quindi noi e il Papa non possiamo farci niente, poiché siamo alla loro mercé.
Ed allora è facile concluderne che la Chiesa è ormai governata da “un certo numero di cardinali, vescovi e fedeli”, i quali pur al cospetto dell’uso di un rito che merita “tutto il rispetto”, preferiscono anteporre alla Tradizione e al bene della Chiesa le loro opinioni personali, poco curandosi della Gerarchia e del Papa.
Come si può chiamare un tale stato di cose, se non uno stato di “scisma di fatto”?

Come è potuto accadere che si giungesse fino a tanto?
Una risposta ci viene dal convegno sulla liturgia organizzato in Francia, a Fontgombault, dal cardinale Ratzinger
Da questo convegno, a cui abbiamo dedicato un articolo a parte, è giunto un altro “segno” importante. 
Anche i chierici che sono sensibili ad un ridimensionamento effettivo dell’attuale stato di cose all’interno della Chiesa sono afflitti da una certa confusione: hanno finito con lo scambiare la dottrina con la prassi e, quindi, si sono convinti della parziale bontà degli esperimenti liturgici e teologici operati in questi ultimi trent’anni in maniera scomposta ed eterodossa, esperimenti che hanno condotto, tra l’altro, alla loro stessa posizione. Questo atteggiamento mentale li porta a considerare seriamente che questi ultimi trent’anni di confusione e di crisi, nonostante tutto, possano considerarsi come una “tradizione”, quando invece la loro stessa posizione sta a dimostrare che si è trattato solo di una “rivoluzione”.
Si può dire che ci si trova, anche qui, al cospetto di un altro “segno” che aiuta a comporre un quadro complessivo le cui tinte di fondo sono quelle fosche dei tempi bui che stiamo vivendo.

Uno degli aspetti prevalenti di questi nostri tempi è costituito dalla tendenza all’universalizzazione dei comportamenti umani e, soprattutto, alla loro uniformizzazione, e questa tendenza viene seguita con convinzione anche all’interno della Chiesa, persino da quegli stessi uomini di chiesa che si preoccupano di come raddrizzare l’andazzo devastante in corso.
Ora, per quanto possa apparire contraddittorio, questa tendenza alla uniformizzazione del mondo porta con sé, inevitabilmente, la divisione.
Innanzi tutto perché, essendo fondata sulla esasperazione dei valori individualistici, non può che produrre indefinite diversificazioni, poi, avendo come linee guida gli pseudo valori del “mondo”, non può che condurre verso il mutamento continuo e la instabilità. In tal modo, questa stessa uniformizzazione non comporta alcuna vera universalizzazione, cioè alcuna vera “cattolicità”, ma solo una falsa “normalizzazione” in base alla quale tutti vivranno alla stessa maniera: disordinata, individualistica, contingente, vitalistica e utilitaristica.

Questa è l’unica “cattolicità” possibile in questi nostri tempi: un mondo che “universalmente” vive in maniera spezzettata e provvisoria al solo fine delle mera sopravvivenza.
Questa suggestione universalistica ha inevitabilmente toccato le menti e i cuori degli uomini di chiesa, cosí che è facile constatare come la vita della Chiesa non differisca quasi in niente dalla vita del mondo, comprese le inevitabili divisioni; anzi, dall’avvento del concilio Vaticano II, la Chiesa postconciliare non ha fatto altro che inseguire il mondo, affondando, giorno dopo giorno, nelle stesse sabbie mobili che stanno preparando la fine di questa “generazione”.
È in questa ottica generale che va visto quanto accaduto nel settembre scorso in America.
In realtà, fin dalla rivoluzione francese o, se si vuole, fin dalla prima guerra mondiale, accadimenti come quello di settembre si sono susseguiti ad un ritmo cosí frequente da permettere l’instaurarsi di una sorta di abitudine. In altri frangenti la cosa sarebbe passata quasi inosservata, tolto il clamore di pochi giorni. Stavolta invece sembra che sia successo qualcosa di talmente diverso da comportare la mobilitazione continua di quasi tutto il mondo.
È proprio vero?
La tendenza alla uniformizzazione del mondo in senso vitalistico e utilitaristico è ormai in atto da secoli, ma solo in questi ultimi decenni ha assunto le connotazioni piú evidenti, permettendo che si giungesse indisturbati fino all’uso abituale del barbaro termine: “mondializzazione”. In questi ultimi anni, tale uniformizzazione ha subito una accelerazione, com’era logico, e le preoccupazioni dell’intero mondo socio-economico-politico sono state mosse dalla necessità di raggiungere al piú presto l’obiettivo. 
Ci si chiede: vi è forse qualcosa di male nell’intravedere un mondo in cui tutti i popoli si muovono verso un comune fine, concordi circa i mezzi da usare e circa i vantaggi da acquisire?
Assolutamente no.
La stessa concezione “cattolica” della Chiesa ha sempre avuto in vista un mondo siffatto, se possibile, un mondo cioè “universalmente” volto ad un unico fine: l’adorazione del vero Dio; retto da un’unica visione della vita: il conseguimento della grazia di Dio; organizzato con una serie di strutture sociali unicamente dedite ad agevolare all’uomo il raggiungimento di tali obiettivi.
In teoria, dunque, sembrerebbe che il mondo moderno abbia finito col far sue le istanze della Chiesa. Solo che le cose non stanno cosí. 
La finalità ultima del mondo moderno non consiste nell’instaurazione di un ordine basato sulle leggi divine: instaurare omnia in Christo, bensí nel raggiungimento di una uniformità basata sul disconoscimento di Dio. 
Se, con una parola, si può dire che l’ideale cattolico del governo temporale è l’Impero Universale di Cristo, oggi il mondo moderno vuole fortemente il contrario: l’Impero Mondiale dell’Uomo, i cui  valori portanti sono costituiti dalle parole d’ordine affermatesi a partire dalla rivoluzione francese: libertà dell’uomo da ogni costrizione, e primariamente dalla “costrizione” divina; assolutizzazione della centralità dell’uomo, con l’abolizione della centralità di Dio.

L’accaduto del settembre scorso si è rivelato quanto mai opportuno per il piú rapido raggiungimento di questi fini moderni: ciò che fino ad allora si era fatto in maniera “diplomatica” e inavvertita, da settembre è stato possibile farlo in maniera pesante ed eclatante, addirittura con l’appoggio e con l’entusiastica partecipazione di tutti o quasi.
Un aspetto di quanto è accaduto aiuta a riflettere sulla reale portata delle sue conseguenze.
Abbiamo visto milioni di persone pregare insieme Iddio per piangere sulle vittime della disgrazia; e, soprattutto in America, uomini di ogni convinzione e credo religioso si sono riuniti per pregare insieme.
Ma quale Dio pregavano tutti questi? Ognuno pregava il suo dio: il Dio di Abramo, il dio di Lincoln, il dio del new age, il dio denaro, il dio viscerale, il dio del pathos, ecc., e tutti lo facevano con grande partecipazione emotiva, con grande convinzione: cosí che ogni “divisione” è diventata secondaria rispetto a questo afflato trascinante col quale tutti si sono sentiti “fratelli”.
Gli stessi uomini di chiesa hanno partecipato a queste nuove cerimonie del pianto e dello sfogo emotivo: ed abbiamo visti i cardinali americani alzarsi riverenti e commossi al suono dell’inno americano, tutti con la mano destra sul cuore a condividere il “segno” massonico del grado di compagno. Tutti compagni di strada verso il grande ideale della uniformizzazione. E, soprattutto, tutti d’accordo nel progettare la grande vendetta: la punizione dei cattivi che avevano osato tanto.
Non v’è dubbio che l’azione commessa da quei fanatici suicidi è solo degna di una condanna decisa ed esemplare, ma è la reazione che colpisce e i “segni” che essa ha manifestato.
Tutti i governi di questo mondo moderno, soprattutto occidentali, hanno subitaneamente trovato un accordo incondizionato: occorre punire i colpevoli. E la cosa strana, il “segno”, è che tutti costoro che hanno pregato ogni sorta di dio, e quindi nessun vero Dio, si sono trovati concordi nel “punire” degli uomini che, almeno a parole, si dicono pronti a morire in “nome di Dio”.
Il Papa, giustamente, continua a ripetere che non è accettabile che “in nome di Dio” si possa uccidere indiscriminatamente. Quindi è legittima la condanna di coloro che lo fanno. 

Ma i vendicatori in nome di che cosa si ergono a giudici e a ministri di giustizia? 
Non certo in nome di Dio.
Ed ecco che allora salta agli occhi il significato simbolico dell’accaduto e di quanto ne è seguito.
Un mondo senza Dio che muove guerra ad un insignificante gruppo di piccoli uomini confusi e impazziti, sol perché questi possono rappresentare un grosso pericolo per il fatto che sono convinti di poter ben morire in “nome di Dio”.
È questo il “segno”, al di là dei meri fatti che possono essere esaminati da punti vista diversi.
“Segno” ancora piú significativo ove si pensi che quelli stessi che dicono di combattere in “nome di Dio”, in realtà anch’essi “usano” Dio, ma sono ugualmente pericolosi e da “sopprimere” sol perché lo dicono. 
Il solo fatto di “dirlo”, piú ancora che di esserlo, costituisce scandalo per questo mondo. 
Non si può pensare di vivere e morire in “nome di Dio”: è questo il messaggio che è stato lanciato una volta per tutte dalle conseguenze dell’accaduto del settembre scorso. 
Un messaggio che rivela la vittoria della concezione moderna di un mondo senza Dio, che da oggi in poi ha stabilito, con l’accordo di tutti, che chiunque pretenda anche solo di pensare che si possa vivere in “nome di Dio” è un individuo pericoloso, che va eliminato.
Mille distinguo si possono fare su questo argomento, ma ciò che resta innegabilmente è l’affermazione ufficiale di una visione del mondo che considera la “vita per Dio” e la “morte in Dio” come un delitto. 
Non contano i fatti, di per sé, ma le cause che li hanno generati e gli effetti che essi determinano. 
Fino a ieri tutti coloro che si rifacevano a Dio come unico fattore normativo dell’esistenza venivano considerati “conservatori”, “antistorici”, “integralisti”, da oggi verranno considerati un “pericolo per il mondo”.
Ben inteso, quanto diciamo non vuole affatto significare che si possano condividere, anche solo in parte, certe pretese musulmane, cosí da ricadere nella confusione: ciò che abbiamo inteso mettere in luce è un particolare aspetto della vicenda, che si configura come un “segno” che si combina con tutti gli altri per comporre un quadro sempre piú coerente.

Al di là delle apparenze, ci troviamo al cospetto di un mondo che si muove a grandi passi verso un falso unico governo mondiale. 
Se si può legittimamente ipotizzare che all’inizio, dopo la cacciata dal Paradiso terrestre, il mondo vivesse in maniera univoca e ordinata, ancora con lo sguardo rivolto primariamente a Dio, si dovrà considerare che all’approssimarsi della fine di questo mondo, con l’avvento del regno universale dell’Anticristo, dovrà prodursi una parodia del vero ordine iniziale: è quello che sta accadendo sotto i nostri occhi. 
Come Satana è la scimmia di Dio, cosí il suo regno sarà una scimmiottatura dell’ordine voluto da Dio, e gli uomini che vivranno questa esperienza non si accorgeranno dell’inganno, ma scambieranno l’impero del disordine con l’avvento dell’ordine, e gioiranno per i luoghi comuni messi in giro dall’Avversario: “nuovo ordine mondiale”, “dignità dell’uomo”, “pace e libertà per tutti”, “fratellanza universale”, “giustizia sociale”, ecc.
 

E la Chiesa? 
A partire del Concilio Vaticano II tutte le storture latenti sono venute alla luce: e si sono abbracciati tutti questi luoghi comuni, sbandierandoli per “principi cristiani”, mentre invece dovrebbe essere chiaro che si tratta solo di “parole” cristiane che vogliono nascondere ben altro che l’insegnamento di Cristo.
D’altronde, poteva la Chiesa, in quanto fatta di uomini, sfuggire ai “segni dei tempi”? 
La divisione, la confusione, l’inversione dei valori dovevano toccare anche gli uomini di chiesa, e ne vediamo i frutti ad ogni pie’ sospinto.
 
È finita la Chiesa, allora? 
No. 
Poiché la Chiesa ha le sue radici in Dio e quindi possiede le caratteristiche della intangibilità e della incorruttibilità; ma essa, dal punto di vista umano, può ridursi ai minimi termini, in perfetta coerenza con l’andamento del mondo, dove di Dio è rimasto molto poco.
Questo non implica la fine della Chiesa, e la sua minimizzazione non toglie nulla alla promessa di Dio circa la sua durata fino alla fine dei tempi: la Chiesa continuerà ad esistere anche se ridotta numericamente, poiché di Essa ciò che conta è il valore intrinseco non la quantità. 
Tutto il resto che ancora si ammanta di Chiesa, seguirà il suo destino contingente e perituro, compresa la pretesa di considerare l’importanza della Chiesa sulla base della sua notorietà e del plauso che riscuote ogni tanto dal mondo. Comprese tutte le iniziative pensate per accrescere illusoriamente il suo prestigio, e che immancabilmente finiscono con l’annacquarne i connotati fino a ridurla alla pari di una qualsiasi cosa di questo mondo.
 
Questo è l’altro “segno” che si è manifestato con la seconda giornata di preghiera interreligiosa per la pace, ad Assisi.
Chi avrebbe mai potuto riconoscere in quel consesso il volto della Sposa di Cristo tutto raggiante per l’adorazione del suo Signore?
Abbiamo assistito ad uno spettacolo avvilente, in cui tutte le differenze si sono annacquate in una atmosfera di indifferentismo religioso che coinvolgeva tutti, cristiani e non cristiani. In una confusione che a ragion veduta non lasciava piú distinguere tra Verità ed errore. In un amalgama offensivo addirittura per lo stesso errore, che perdeva perfino la sua valenza negativa, la sua dignità alla rovescia: non solo non v’è piú la visione della Verità, ma non v’è piú neanche, ed è inevitabile, la stessa visione dell’errore. È questa la mira dell’Anticristo: far sí che non si riconosca piú neanche l’errore, cosí da permetterne la diffusione indiscriminata e l’illusoria affermazione.
È su questa base, seppure inavvertita, che il Papa ha invitato tutte le “religioni” del mondo a pregare insieme per la pace in quel di Assisi. 
Come poteva il Papa invitare l’errore a sedere accanto alla Verità e a prodursi in una invocazione corale a Dio? 
Solo il fatto che anch’egli non riconosce piú l’errore ha potuto permettere una tale iniziativa. 
E il fatto di non riconoscere piú l’errore è basato sulla condizione di misconoscimento della Verità. 
 
La confusione: questo è lo stato del mondo attuale, questo è lo stato della Chiesa postconciliare, questo è il destino del mondo moderno. 
E come tutte le confusioni essa porterà alla rovina, e alla fine la giustizia divina produrrà implacabile la condanna e la punizione per tutti coloro che hanno smesso di essere “uomini di buona volontà”, e per loro, nonostante le loro confuse preghiere, non vi sarà piú pace, in eterno.


Visioni apocalittiche, le chiamano, con accento dispregiativo e aria di sufficienza.
Sarà pure eccessivo il modo di presentare riflessioni come queste, ma i fatti e i “segni” sono incontestabili. 
Un mondo in rovinosa caduta libera verso la perdizione, in compagnia degli uomini di chiesa che, accecati dalla passione per il mondo, non si accorgono piú del precipizio lungo il quale stanno rotolando, avvoltolati nella massa della valanga che si ingrossa via via che scende verso il basso, per prodursi finalmente nel boato fragoroso e rovinoso della sua fine.

Che il Signore preservi i suoi fedeli dalle conseguenze della disgrazia di questo mondo e preservi la Sua Santa Chiesa dagli errori degli uomini di chiesa.
Possa la Santa Madre di Dio accordarci il suo aiuto materno: pregando per noi, adesso e nell’ora della nostra morte.

(aprile 2002)


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