ATTACCO A MARIA

Strategìe per l’oscuramento
del culto mariano

parte prima

di L. P.






La terza predica di Avvento, condotta, davanti al Papa e alla Curia Romana, dal frate Raniero Cantalamessa, di cui abbiamo letto nel servizio di Antonio Socci, riportato su questo sito – “Se in Vaticano vogliono Lutero, se lo tengano. Noi preferiamo stare con la Madre di Dio”  -  quella terza predica, dicevamo, è l’ultimo colpo delle truppe moderniste, annidate e incistate nella roccaforte della Katholica,  tirato “apertis verbis”, contro il culto mariano quale devozione in sé, ma sottilmente e palesemente funzionale ad un attacco contro la stessa figura della Vergine Maria, Madre di Dio.

Ora, volendo noi dimostrare l’esistenza di siffatta inaudita, dissacrante campagna, ed evidenziarne le tappe, crediamo necessario ripetere – ci consenta la Direzione – quanto sull’articolo citato abbiamo letto onde aver percezione chiara, e consapevolezza piena, dello stile  e dei tempi con che questa strategìa si sta rivelando, camuffata agli inizî da mariologìa sciropposa, sentimentaloide ed affettuosa ma di geneticità filosofica e antropologica immanentista, riduzionista, ma con garbo e tatto, per esplodere con le allucinanti e blasfeme affermazioni del sopra detto frate che, non dimentichino i lettori, è il “predicatore della Casa pontificia”.

L’argomento, da cui il predicatore ha tratto le sue sacrileghe affermazioni, è il tanto auspicato incontro a metà strada, con la scismatica ed eretica confessione luterana, la tanto bramata riunificazione “in diversitate” di sigillo vaticansecondista e cara all’emerito Papa, attuale cardinal J. Ratzinger. 
Ma a questa politica, a questa via ecumenistica, bastarda e, teologicamente, contro natura “per la contraddizion che nol consente” (Inf. 27, 120), si oppone, secondo il Cantalamessa, un ostacolo, un “Kathèkon”, un argine che va necessariamente rimosso. Ed ecco quale e come:
   “Tale via passa per un sincero riconoscimento da parte di noi cattolici del fatto che spesso, specialmente negli ultimi secoli, abbiamo contribuito a rendere Maria inaccettabile ai fratelli protestanti, onorandola in modo talvolta esagerato e sconsiderato e soprattutto non collocando tale devozione dentro un quadro biblico ben chiaro che ne facesse vedere il ruolo subordinato rispetto alla Parola di Dio, allo Spirito santo e a Gesù stesso”. 
Insomma, Maria è Colei che, a causa del troppo culto dedicatole, impedisce l’unione dei cattolici con i “fratelli” luterani.
Bestemmia simile non s’era mai udita!

Questa è l’ultima tappa su cui, però, faremo sosta  più in là, in fase conclusiva, dando invece notizia delle avvisaglie con le quali si è dato il via al lavoro di demolizione, e non da parte dei luterani che già di per sé, nel 1517, l’hanno iniziato ed ultimato, ma da parte della Gerarchìa cattolica col rimorchio di voci minori e più volgari.

Appare, nel 1993, per i tipi della Editrice San Paolo – e te pareva! – un libretto scritto dal prolifico saggista, al limite della grafomania, Mons. Tonino Bello, vescovo di Molfetta, detto semplicemente “Don Tonino”.
Il titolo è tanto accattivante quanto fuorviante: “Maria donna dei nostri giorni”. E' il cavallo di Troia che entra, tra gli applausi bischeri ed ingenui dei distratti e svaporati fedeli, nella cittadella del dogma; un cavallo gravido, all’interno, di un ammasso di sottili, tossiche larve eretiche che svolazzano, nuotano e galleggiano nel liquido di un sentimentalismo mieloso, vischioso, ma etichettato come prodotto DOCG,  un prodotto bio-domestico cioè, familiare, di naturale semplicità che, a chi lo fa suo, garantisce un nuovo e più autentico senso mariano, quello, appunto detto “dei nostri giorni”, ecologico al punto da ritenersi, senza dubbio alcuno, anticipo della lettera enciclica “Laudato si’”. Quanto danno farà in seguito, i lettori lo sapranno quando, più oltre, renderemo noto un dilettantesco, supponente ma sacrilego al postutto, tentativo esegetico condotto da un locale dulcamara- teologo “fai da te” il quale teneva, con mostra e pompa di un “maestro in Israele”, una raffazzonata  quanto saccente, vanitosa ma devastante rubrica  su  un foglio parrocchiale che, diciamolo subito, siamo riusciti a far sopprimere e bandire con l’intervento dell’autorità diocesana.
Maria, donna feriale”, è l’esordio dell’opera, con cui l’autore ci presenta la Madonna non nello splendore della sua Immacolata Concezione, piena di Grazia, ma nella sola ed unica umiltà terrena, familiare. Una donna comune che “pestava il grano nello stesso mortaio. Si sedeva al fresco nello stesso cortile. Anche a lei, un giorno dissero: «Maria, ti stai facendo i capelli bianchi». Si specchiò allora, alla fontana e provò anche lei la struggente nostalgìa di tutte le donne, quando si accorgono che la giovinezza svanisce” (pag. 11).

Cosa c’è di più naturale e di più dolce collocare la Vergine Maria, Madre di Dio, tra le miriadi di donne che davanti allo specchio avvertono il trascolorar della bellezza? Perché mai Maria non avrebbe dovuto provare il deliquescente ed amaricante sentimento della malinconia, spremuto dal tempo che passa e che muta le fattezze fisiche seco involandosi la giovinezza? 

Questo ci dice don Tonino, ignaro che il salmo 44, v. 14 ci insegna che la bellezza della figlia del re è interiore, spirituale nostalgìa non recando per la decadenza fisica.
Come tutte le mogli, avrà avuto anche lei dei momenti di crisi nel rapporto con suo marito, del quale, taciturno com’era, non sempre avrà capito i silenzî. Come tutte le madri, ha spiato pure lei, tra timori e speranze, nelle pieghe tumultuose (!) dell’adolescenza di suo figlio. Come tutte le donne, ha provato pure lei la sofferenza di non sentirsi compresa, neppure dai suoi due amori più grandi che avesse sulla terra. E avrà temuto di deluderli. O di non essere all’altezza del ruolo. E dopo aver stemperato nelle lagrime il travaglio di una solitudine immensa (!), avrà ritrovato finalmente nella preghiera, fatta insieme, il gaudio di una comunione sovrumana. . . Santa Maria, se per un attimo osiamo toglierti l’aureola, è perché vogliamo vedere quanto sei bella a capo scoperto” (pag. 12).

Vi immaginate quali alterchi possano essere esplosi tra un “uomo giusto” (Mt. 1, 19) e una “piena di grazia” (Lc. 1, 28), una “benedetta fra le donne” (Lc. 1, 42)?
Posto che, ragiona don Tonino, litigi, incomprensioni  sono il condimento di ogni matrimonio e di ogni normale coppia coniugale, va da sé che anche Maria e Giuseppe si saranno affrontati, garbatamente per carità!, a rimproveri e a colpi di ragione e di torto, rasentando, dice il vescovo, vere e proprie crisi. Entrambi, poi, che avevano ricevuto la visita dell’Angelo, non avrebbero capito, secondo l’esegeta, i reciproci silenzî che altro non erano che momenti di meditazione (Lc. 2, 51).
E Gesù, che stava loro sottomesso e cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini, quali tumulti adolescenziali e quali mutazioni organiche, tali da ingenerar timore nella madre, avrà vissuto?

Non riusciamo a raffigurarci un Gesù dodicenne in preda a sconvolgimenti ormonali perché, a quell’età, Egli se ne stava a disputare con i dottori nel Tempio, insegnando loro la Scrittura e i passi relativi alla sua venuta e alla sua missione.

Come immaginare, poi, una Madre di Dio, afflitta e sofferente per non esser compresa dai suoi due più grandi amori? Gesù non mi capisce, Giuseppe se ne sta silenzioso. . .

A noi pare ben altra la tipologìa del dolore che Maria provò per tutta la vita, diciamo di quell’acre dolore causato e portato da una spada che il profeta Simeone le aveva predetto, una spada che le avrebbe trapassato il cuore (Lc. 2, 35) nel futuro momento, tremendo, della Passione, Crocifissione e Morte di quel piccolo bimbo di soli 8 giorni. Ma per Lei, quel futuro momento sarebbe stato un tempo presente e continuo, per tutta la vita, per Lei che verrà salutata “Mater dolorosa”!.
Altro che baruffe coniugali, incomprensioni o fantasiose crisi coniugali!

Maria, che aveva risposto all’Angelo “avvenga a me secondo la tua parola” (Lc. 1, 38); Maria che porterà in grembo il figlio di Dio, Dio Lui stesso; Maria che lo alleverà e lo avrà per sé fino ai trenta anni di Lui; Maria che ebbe accanto a sé la figura amorevole, premurosa, rispettosa di Giuseppe, uomo giusto e “padre” giusto, Maria, secondo l’autorevole don Tonino – di cui stanno per esser ordite le carte per la canonizzazione – stemperò, talora, nelle lagrime, il morso alienante della “immensa” solitudine che la attanagliava, trovando ristoro e consolazione nella preghiera.
La benedetta tra le donne, a cui gli angeli stessi si recano come messaggeri, soffre di immensa solitudine che si esterna nelle  segrete lagrime e nell’abbandono disperato di una crisi esistenziale!
Un quadro patologico da figurare negli annali della psichiatria! Vera roba da matti!
Sciocca, poi, e untuosamente umile, quella intenzione di toglierLe l’aureola, seppure per un attimo, tanto per vederLa a capo scoperto - come se questa fosse un orpello posticcio e non, invece, coesistente a Lei -  perché la corona Le è naturale, congenita, in quanto Ella è Madre di Dio Re Onnipotente e Immacolata Concezione; perché questa Le è stata conferita nel momento in cui Il Signore Iddio La pensò ab aeterno, La profetizzò allorché, rivolto a Satana/serpente, annunciò una Donna che gli avrebbe schiacciato il capo con la forza del suo tallone (Gen.3, 15); perché la corona regale è con Lei in ogni sua apparizione.
E c’è, poi, un’ulteriore ragione, non meno profonda, che vieta di levarLe l’aureola anche per un nanosecondo. Ed è questa: 
il 12 aprile del 1947, presso la località romana Le Tre Fontane, Maria, la “Vergine della Rivelazione” apparve a Bruno Cornacchiola, noto agitatore ateo, e ai suoi figli. La Chiesa ha riconosciuto l’apparizione come  vero ed autentico evento soprannaturale tanto da averne autorizzato il culto e la venerazione.

Ora,fra i varî  misteri che Ella rivelò, notevole e primario è quello con cui ci dice essere “Colei che sono nella Trinità Divina”, essere “la calamita della Trinità Divina, che attira le anime alla salvezza”. E quale annuncio, e sigillo di conferma dell’imminente dichiarazione del dogma dell’Assunzione, proclamato da lì a poco il giorno 1 novembre del 1950, dal venerabile Pio XII, Ella rivelò che “il mio Corpo non marcì, né poteva marcire. Mio Figlio e gli Angeli mi vennero a prendere al momento del mio trapasso”.
Donna, cioè, immune dal peccato e dalla corruzione siccome recita il salmista “Non abbandonerai la mia anima nel sepolcro né lascerai che il tuo santo veda la corruzione” (Ps.15, 10).

Sicché, a Lei, “umile ed alta più creatura/termine fisso d’etterno consiglio” (Par. XXXIII, 2/3), inserita, unica e sola, nel mistero insondabile della Trinità Divina, c’è qualcuno che chiede di levarsi l’aureola tanto per il vezzo democratico di poterla conoscere nelle fattezze di “donna dei nostri giorni”.

Ma la Vergine de Le Tre Fontane, quasi ripetendo quanto anticipato a La Salette (1846), a Lourdes (1858) e a Fatima (1917), aveva previsto anche che, negli anni successivi, in ispecie quelli postconciliari
molti dei miei figli Sacerdoti si spoglieranno nello spirito, internamente, e nel corpo, esternamente, cioè gettando i segni esterni sacerdotali. Le eresìe  aumenteranno, gli errori entreranno nel cuore dei figli della chiesa. Vi saranno confusioni spirituali, vi saranno confusioni dottrinali, vi saranno lotte nelle stessa Chiesa, interne ed esterne. Il male organizzato aumenterà nel mondo e negli eremi e nei conventi entrerà il carname del mondo”.

Non è difficile scorgere, nelle lontane parole della Vergine Maria, la radiografìa dei nostri tempi e degli eventi che, in termini di apostasìa, di sincretismo, di relativismo, di corruzione, di scomparsa della talare distintiva del consacrato a pro’ di un abbigliamento laico, stanno caratterizzando il degrado dogmatico, morale e culturale del cattolicesimo e della società così detta civile .
E poi: abbandono della vocazione, ruberìe, pedofilìa, sodomia – l’ex Mons. Charamsa, l’ex abate di Montecassino, sorella Cristina che canta e saltabecca sui palcoscenici del mondo, le suore americane che esigono abiti eleganti e libertà d’uscita -  e poi scandali che rimbalzano dalle sacre stanze amplificati dal megafono dei massmedia.

Difficile, ancora, non ravvisare nel libretto di don Tonino – di cui  ci sono stati sufficienti i primi squarci -  la confusione dottrinale e spirituale, l’appiattimento della devozione mariana ridotta al desiderio di vedere nella Madre di Dio, una delle tante donne di oggi, una di noi, similmente a Papa Bergoglio che ama definirsi “uno della porta accanto”, uno di Piazza San Pietro che ama mascherarsi, ad esempio, da pagliaccio; uno che confessa di sentire, come struggente, la mancanza di  “un’uscita per la strada, andare e camminare per le strade, oppure, andare in pizzerìa e mangiare una pizza” (ADN Kronos 25/5/2015); uno che, tra le tante sofferenze, avverte la “solitudine e la mancanza di amici” (Il Messaggero, 20/1/2014).

Prima di procedere alla fase successiva della strategìa antimariana, diamo ancora due piccoli esempî  - ché bastan questi già dati a disegnare la grana dell’opera -  un cincischiar verboso e barocchetto da cui il lettore potrà notare, oltre alla confusione dottrinale dell’autore, anche una certa confusione intellettuale ambulante sui trampoli di esagerazioni retoriche.
Si legge, proprio nel cap. 2 “Maria, donna senza retorica”, a pag. 14: “Donna vera, perché acqua e sapone. Perché senza trucchi spirituali. . .”. Ed ancora: “Icona dell’antiretorica, non posa per nessuno. Neppure per il suo Dio. Tanto meno per i predicatori che l’hanno spesso usata per gli sfoghi della loro prolissità” (pag. 15).

Vorremmo sapere che cosa vogliano dire quei “trucchi spirituali”, se espedienti magici per apparire bella come una fata – e in tal caso la dizione è mal messa ed incongrua perché l’opera di Dio è onnipotenza e non magìa – o se è da intenderli come “grazie, benedizioni, doni” -  ed in tal caso vien da pensare che l’autore attribuisca a Maria un essere semplice, tipo acqua e sapone, bella per natura e non per grazia di Dio, privilegiando, in tal modo, l’immagine di una donna che resta tuttavìa irriconoscibile in mezzo a tante -  Eppure, non è Colei che, nel sublime canto sgorgatole davanti ad Elisabetta, dichiara. “Megalýnei he psyché mou ton KyrionMagnificat anima mea DominumL’anima mia magnifica il Signore” perché “ Apò tou nyn, makarioùsin me pàsai ài geneài ex hoc beatam me dicent omnes generationesda questo momento tutte le generazioni mi diranno beata” (Lc. 1, 1 -2)?.

Ed ancora: oscuro ci appare il senso del secondo esempio, laddove don Tonino afferma che Maria, mai méssasi in posa per alcuno, non lo fa nemmeno per “il suo Dio”. Noi diciamo, tanto per tagliar corto, che simile incomprensibile espressione con che l’autore si preoccupa di distinguere Maria da una delle tante femmine civettuole o modelle, è fuori luogo se non addirittura offensiva per il solo averlo accennato seppur al negativo.
Mettersi in posa per il suo Dio? Non ha senso e collocazione logica, perché Ella conosceva bene il salmista che dice: “ O Signore, tu mi conosci sia che stia seduto o che mi alzi. . . . Conosci dal profondo i miei pensieri. . . se salgo in alto Tu sei lì, se discendo in basso Tu sei presente. . .” (Ps.138, 1 – 3 – 8).
Quale necessità ideale spinge, allora, l’autore a figurare situazioni neppur lontanamente pensabili e neppure da formulare figura retorica virtuale di antitesi?
La smania, rispondiamo, solo la smania di questa nuova mariologìa a tinta democratica, che vola orizzontalmente e piatta, secondo il disegno comunardo del “tutti uguali”, con divieto di elevarsi.

Infine: di quali prolissi predicatori parla don Tonino? Di San Domenico, di San Bernardo, di San Tommaso, di San Pier Damiani, di San Luigi Grignion de Monfort, di San Giovanni Bosco, di San Pio V, del beato Pio IX, del venerabile Pio XII, di San Pio da Pietrelcina, di San Massimiliano Kolbe, di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, di Lacordaire, di Sertillanges, di Segneri?  O alludeva a fra’ Cantalamessa?
E a quali sfoghi di vanesia prolissità si riferisce?
Noi, stando all’esperienza passata e presente, vissuta personalmente, troviamo, come dato statistico dei grandi numeri, assai prolissi, impacciati, incartati e banali i moderni predicatori che non sanno formulare un periodo completo, non diciamo costrutto su subordinate, ma scolasticamente lineare – soggetto, predicato, complemento – se non ricorrendo all’ausilio dell’omelìa stampata, banale anch’essa.   

Da ultimo, il lettore che durerà fatica a leggersi il libro del vescovo di Molfetta, troverà che, inconsciamente, la nota critica vergata contro i predicatori prolissi, sarebbe, come in realtà è, da riferire all’autore stesso, perché la prolissità non consiste soltanto nel garbuglio dei voli pindarici, nel marinismo  e nella magniloquenza, ma anche, e soprattutto, nel linguaggio espressivo di untuose e vezzose basse sciocchezze, ornate da una prosa confidenziale, sfacciatamente sempliciotta, giulebbosa e di taglio sociologico, fatte passare per profonde verità come le rubriche seriose, presenti nelle riviste di pettegolezzo allo scopo di dare dignità al ciarpame delle stesse. E come, in effetti, è il libro “Maria, donna dei nostri giorni”, apripista alle ruspe e alle maestranze che, più tardi, entreranno nel santuario mariano per demolirlo e trasformarlo in salotto logorroico dove possibile potrà essere lo sterile amoreggiamento, l’ipocrita ma tanto ecumeno-democratico dialogo fraterno cattoluterano.
segue

parte prima
parte seconda
parte terza
parte quarta





gennaio 2016

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