Presentazione dell'
Istituto del Buon Pastore


Pubblichiamo l'intervento che Don Stefano Carusi
sacerdote dell'Istituto del Buon Pastore, Francia,
ha tenuto nel corso dell'Open Forum della biennale Assemblea Statutaria della Federazione Internazionale Una Voce
svoltasi a Roma il 14 e 15 novembre 2009

L'Assemblea della FIUV si svolge ogni due anni, a Roma, e si articola in due giornate. Nella prima, il sabato, si tiene l'Assemblea dei rappresentanti delle diverse Associazioni nazionali che fanno parte della Federazione (per l'Italia: Una Voce Italia, Inter Multiplices Una Vox, Una Voce delle Venezie), nella seconda, al pomeriggio, si svolgono gli interventi di rappresentanti di gruppi ed organismi estranei alla Federazione, ma legati alla problematica della liturgia tradizionale.

Nel 2009 sono intervenuti: il Dott. Alberto Carosa, in rappresentanza del Centro Culturale Lepanto, Italia; Don Stefano Carusi, in rappresentanza dell'Istituto del Buon Pastore, Francia; Don Joseph Luzuy, in rappresentanza dell'Istituto Cristo Re Sommo Sacerdote, Italia; Don Joseph Kramer, in rappresentanza della Fraternità Sacerdotale San Pietro;  Frate Settimio Manelli, in rappresentanza  dei Francescani dell'Immacolata; Padre Vincenzo Nuara, fondatore di Amicizia Sacerdotale Summorum Pontificum.

Nel corso di questa Assemblea del 2009, la FIUV ha deliberato una integrazione degli scopi statutari, approvando una mozione presentata dell'Associazione Inter Multiplices Una Vox, Italia, in base alla quale la stessa FIUV, oltre alla salvaguardia della liturgia tradizionale, persegue anche lo scopo della difesa della dottrina tradizionale.



Ringrazio per questo invito in primo luogo il Presidente di Una Voce Internazionale Leo Darroch e con lui il segretario Rodolfo Vargas Rubio, a nome non solo mio, ma soprattutto del Superiore dell’Istituto del Buon Pastore, Padre Philippe Laguérie, che di questa relazione mi ha incaricato. Non nascondo un timore reverenziale nel parlare, giovane sacerdote, a questa consesso nel quale siedono alcuni dei veterani della battaglia in difesa della liturgia gregoriana, il cui intervento fin dalla metà degli anni ’60, mostrò, in epoca non sospetta, che quelle pericolose avvisaglie, erano segno di una lunga lotta contro il rito romano; lotta che all’epoca ha avuto incredibili contorni, come ricordava l’allora Card. Ratzinger, e che tanto male ha fatto alla Chiesa. Ricordo personalmente lo sforzo di tanti membri di Una Voce, che scorgo nell’assemblea, per salvaguardare a Roma la presenza della Messa gregoriana, negli anni Ottanta e Novanta. Erano i tempi della Chiesa dei Santi Luca e Martina al Foro, ove ebbi personalmente l’occasione di accostarmi la prima volta alla Messa di sempre. Quella Messa di cui tanto si sentiva parlare, non fosse che dai vecchi sacerdoti o dai familiari, e che tanto era osteggiata e perseguitata, da essere introvabile (internet quasi non esisteva), almeno in Italia; tanto era invisa che quello sparuto gruppo, fu costretto a sloggiare da quella chiesa, improvvisamente bisognosa di improcrastinabili restauri… Quella resistenza eroica appariva ai miei occhi d’adolescente come inverosimile, così come inverosimile era il perché di tanto odio.

Perché ricordare le sofferenze di quegli anni? - si chiederà qualcuno di voi - perché? Ora che tutto sembra andar bene? Ebbene, perché è giusto non cancellare la storia, perché è doveroso ricordare quanti si batterono all’epoca e non poterono vedere l’alba di questo nuovo giorno. Infine perché le sofferenze di allora sembrano già così lontane, ma non è detto che altre sofferenze in difesa della Messa di sempre, non ci saranno chieste in futuro, tuttaltro. Recentissime storie destano preoccupazione, come coraggiosamente accennato dal relatore che mi ha preceduto (…)
Non voglio tediare l’uditorio, ma solo riportare il clima storico che molti dei presenti hanno vissuto ben più direttamente di chi vi parla. Quel clima storico dicevo (…) mi è stato chiesto di parlare della storia e degli sviluppi del Buon Pastore e da quel clima storico non posso prescindere (…), fu infatti quella situazione incresciosa di persecuzione alla Tradizione la causa che portò tanti dei suoi membri attuali, la maggioranza direi, oltre a tutti i fondatori, a scegliere l’opera di Mons. Lefebvre. Uomo di santa memoria, cui ci sentiamo tutti legatissimi e grati. Legati a gran parte della sua coraggiosa impresa, con quelle difficili scelte di campo che la prudenza gli suggerì di percorrere in quei frangenti straordinari. Legati a tanti di quei passi coraggiosi, che gli fecero assaporare l’amaro fiele della persecuzione. Quei suoi passi in difesa della Messa e della dottrina di sempre (è un dato di storia e non di retorica) hanno fatto sì che quel patrimonio, che altri avrebbero voluto cancellare dalle memorie, possa oggi tornare con la sua ricchezza feconda. Mirabile potenza della vitalità della Chiesa!

Quella scelta tuttavia, necessaria a nostro avviso in quel momento, non poteva e non voleva che essere temporanea. La dolorosissima realtà che si era venuta a creare, metteva di fatto in una spiacevolissima situazione di rapporti col Vicario di Cristo, il Romano Pontefice.

All’elezione al soglio del regnante Pontefice, Iddio lo conservi, l’eccezionalità di quella situazione parve essere giunta ad un epilogo. Diverse visioni della situazione nella Chiesa cominciavano a profilarsi tra preti e seminaristi della Fraternità, molti dei quali desiderosi di trovare una soluzione che fosse più manifestamente rispettosa del divino ruolo del Pontefice, nella chiarezza e nel rispetto della verità. Una congiuntura provvidenziale volle che spiriti diversi si ritrovassero in una situazione nuova, che li avrebbe portati ad una maggiore visibilità della loro comunione col Papa. Comunione mai perduta durante quegli anni difficili, ma forse non pienamente visibile, non foss’altro per l’aspetto canonico, il quale, seppur secondario rispetto alla dottrina e alla comunione gerarchica, non può tuttavia essere tralasciato.

Viviamo ora un’epoca tanto diversa da quella di pochi anni or sono e gli sviluppi che oggi vediamo nella Chiesa, rendono in qualche modo ragione della giustezza di quelle analisi dell’anno 2006, momento in cui fummo fondati. Il motu proprio sembrava lontano, i pessimisti di bottega vociferavano che mai sarebbe stato pubblicato, eppure già dei segni si annunciavano all’orizzonte. Senza cadere nell’attuale euforia che, ingenua o interessata, percorre certo mondo tradizionale, si può tuttavia affermare che la Provvidenza è stata generosa, forse oltre le aspettative. Non solo in liturgia il ritorno della Tradizione sembra affermarsi, ma anche nel campo teologico e dottrinale le autorità ecclesiastiche sembrano interrogarsi su una crisi del mondo cattolico. Crisi dottrinale a lungo negata e semplicisticamente descritta come “tappa transitoria” del mondo occidentale, allorché già da tempo si vedevano pericolose derive, le quali, invece di essere occultate, avrebbero dovuto indurre ad un lucido studio delle cause.

Il discorso pronunciato dal Sommo Pontefice alla Curia Romana il 22 dicembre 2005 contribuì creare un clima nuovo, di apertura e confronto scientifico.

In questo quadro il nostro Istituto vide i natali, con le due peculiarità volute dal Sommo Pontefice:

1 ) L’uso esclusivo della Messa gregoriana, fondato sulla convinzione della straordinaria chiarezza di questa liturgia nell’esprimere la realtà del sacrificio eucaristico. Dove straordinario sta anche per soprannaturale, come soprannaturalmente questa liturgia è nata e si è arricchita nel corso dei secoli, recita Summorum Pontificum. Usiamo a bella posta questo termine di “straordinario” in senso equivoco, poiché da più parti è in voga l’uso di un’accezione “riduttiva”, che va ben oltre la lettera del “Motu proprio”. Quest’ultimo parla di “extraordinaria expressio”, poiché valuta una realtà pastorale di fatto, ma non perché vuol parlare di “rito straordinario”, quasi fosse un soprammobile in più del già variegato panorama liturgico…..Quest’idea, tanto stolta quanto irriverente, è in contraddizione con l’art. 5 dello stesso documento, che parla dell’onore dovuto al rito gregoriano, e si rivela quindi lontanissima dalla “mens” del Redattore.

2) La critica costruttiva di alcuni testi del Concilio Vaticano II, ossia, come recita la formula dei nostri impegni : “a proposito di alcuni punti insegnati nel Concilio Vaticano II concernenti alcune riforme posteriori della liturgia e del diritto e che ci sembrano difficilmente conciliabili con la Tradizione, noi ci impegniamo ad un’attitudine positiva di studio e di comunicazione con la Sede Apostolica, evitando la polemica. Quest’attitudine di studio vuole partecipare per mezzo di una critica seria e costruttiva alla preparazione di un’interpretazione autentica da parte della Santa Sede su questi punti del Vaticano II”.

Questa nuova disponibilità nello studio delle problematiche sollevate dai testi del Vaticano II, questa riapertura del dibattito teologico, diviene per il nostro Istituto stimolo allo studio e alla critica teologica, nel senso più nobile del termine. L’elezione al soglio di un Papa che non teme la verità, di un Papa-teologo, che ha passato tanta parte dei suoi studi nel confronto scientifico universitario, facilita senza dubbio le cose. Ferma restando la convinzione che, aldilà dello studioso, Egli resta Colui che da Cristo ha ricevuto le chiavi, Colui che, per divina volontà, specie quando parla ex cathedra è “ultima istanza” in materia di dottrina.

Ecco i primi grandi “sviluppi del Buon Pastore”, sui quali sono stato chiamato a parlare. Sviluppi poco appariscenti forse, ma significativi in questo nuovo panorama che ci offre la Chiesa. Sviluppi in cui scelte liturgiche e dottrinali si intersecano, in una volontà di guardare alla Tradizione come rimedio contro i mali che oggi affliggono la Chiesa.

Queste posizioni - serve a qualcosa negarlo? – non sempre hanno determinato l’entusiasmo di tutti i piani dell’edificio ecclesiastico, così come non determinano entusiasmi le coraggiose denunce di Vescovi audaci o le misure necessarie a favore della Tradizione invocate dal Papa. Tuttavia, malgrado le innegabili difficoltà di una fondazione, non ultimi i problemi pratici, l’Istituto ha potuto concentrarsi su ciò che vi è di più basilare nella Chiesa, la formazione dei sacerdoti. Fin dalla prima ora emerse l’importanza del Seminario, come la storia della Chiesa insegna, e su di esso si sono concentrati gli sforzi, in un lavoro che non guadagna le prime pagine dei giornali, poiché lungo e laborioso. Abbiamo nel nostro Seminario di Courtalain, presso Chartres, una comunità di circa quaranta persone, di cui cinque sacerdoti, il resto sono dei giovani che si preparano al sacerdozio. A partire da quest’anno siamo in grado di garantire tutto l’iter di studi, dall’anno propedeutico, alla filosofia e fino alla teologia. Né manca la volontà di permettere ai chierici, una volta terminati i loro studi di base, di conseguire i gradi accademici, in questo quadro abbiamo studenti a Roma, Tolosa, Lione, Bratislava. In America Latina si opera a Santiago del Cile, contemporaneamente in Colombia e in Polonia si sviluppano centri che vedono un’attività pastorale regolare.

Dulcis in fundo non si può tralasciare di parlare della parrocchia personale di Bordeaux, la nota chiesa di Saint Eloi, dove, in felice collaborazione con l’Arcivescovo Card. Ricard, quattro sacerdoti lavorano stabilmente in un’attività che va dalla scuola, allo scoutismo, alla quotidiana vita di parrocchia nel vivace centro storico di una città. A Parigi le attività si svolgono al Centre Saint Paul, sempre in Francia una nuova scuola per ragazzi è stata fondata nei pressi di Bourges, con l’incoraggiamento del Vescovo locale.

Aldilà degli sviluppi concreti questi carismi propri del Buon Pastore, vogliono essere a servizio della Chiesa universale, in questo quadro l’aiuto al clero diocesano si concretizza in sessioni di studio e di apprendistato liturgico per i tanti giovani parroci che vorrebbero imparare la celebrazione della Messa gregoriana. Un’attività concreta di sostegno alle parrocchie comincia a delinearsi all’orizzonte con più convinzione. E’ doveroso riconoscere che alcuni Vescovi, conformemente alle stesse indicazioni del Codice e del Motu proprio, sono disponibili rispetto del nostro carisma di esclusività della Messa gregoriana e si impegnano a rispettarlo e favorirlo. Posso con gratitudine menzionare ad esempio il Vescovo di Chartres, col quale collaboriamo sul territorio da qualche anno, il quale sua sponte ci ha affidato un nuovo apostolato tradizionale, in un clima di fiducia reciproca e rispetto della nostra scelta. Né ciò significa che la nostra esclusività sia segno di un rifiuto della validità del Novus Ordo, la cosa non sarebbe nemmeno in linea con la dottrina cattolica dell’ex opere operato. Non è questo il nostro avviso, ma ci uniamo senza riserve a quanti chiedono a gran voce una progressiva riforma della nuova Messa. Una revisione dell’offertorio in primis, un orientamento del sacerdote coerentemente al significato sacrificale del gesto che compie, l’estensione generalizzata della comunione in bocca, sono a nostro avviso le urgenze dell’ora presente. Speriamo che un movimento si inneschi, già in parte spontaneamente messo in pratica da tanti buoni parroci, di ritorno verso il modo tradizionale di pregare. In una prospettiva che non è quella di creare un nuovo ibrido, un tertium quid, a metà strada tra vecchio e nuovo, che invece di risolvere i problemi liturgici ne creerebbe di nuovi. Quando c’è un malato, non lo si uccide, lo si cura. Né lo si cura attaccando un po’ della sua malattia al medico, ma lo si cura con un medico che lo aiuta a ristabilirsi in sempre migliore salute. Quanto al medico esso, per curare, sarebbe meglio che non si ammalasse. Questo medico è la Tradizione di sempre, è ciò che ci viene da Cristo, dagli Apostoli, dalla Chiesa, è un faro per illuminare le tenebre, come la Messa di sempre è faro della preghiera. Non affievoliamo questa luce, quasi avendo paura di esserne gli apostoli, ma difendiamola per il bene di tutta la Chiesa e mettiamola in alto, perché sia vista da tutti. Speriamo che in questo sforzo si crei il terreno umano propizio, che guardi lontano e non al beneficio immediato. Speriamo in una prospettiva di ritorno alla Tradizione in tutta la Chiesa, che tenga realisticamente conto della situazione attuale, con la fermezza dovuta nei principi di fede.

Vi ringrazio per l’attenzione paziente



gennaio 2011

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