Obiezioni ad una pace canonica con Roma

di Germain



pubblicato su Le Forum Catholique l'8 maggio 2016


Considerazioni preliminari

Ciò che segue riguarda essenzialmente le persone che si riconoscono nella battaglia della Fraternità San Pio X (FSSPX) e che fino ad oggi l’hanno sostenuta nelle scelte che sono stati indotti a fare.
Probabilmente altri leggeranno questo testo: è del tutto evidente che dal momento che essi considerano illegittima l’attuale posizione della FSSPX (scismatica, non in comunione con Roma…), la questione degli accordi non può porsi allo stesso modo e sono possibili ogni sorta di obiezioni. Ma il dibattito, per interessante che sia, non è lo stesso, poiché l’accordo canonico diventa una necessità in sé.
Io non intendo rispondere qui alle obiezioni basate sull’illegittimità dell’attuale posizione della FSSPX.

Nessuno può negare che una pace pratica con Roma avrebbe delle conseguenze importanti, da qui il dovere di un’approfondita riflessione preventiva.
Certuni sperano molto in questa pace canonica. Per quanto mi riguarda, io tento di spiegare qui perché la temo molto più di quanto la speri, al punto che la considero un prevedibile disastro.
La questione è qui affrontata solo sotto il punto di vista prudenziale: in altre parole, se il fine da raggiungere è il ritorno della Chiesa a tutta la Tradizione, che ci si può aspettare da questo mezzo consistente negli accordi con Roma? Un tale giudizio non potrebbe essere completo; qui mi accontenterò del punto di vista storico.

Una parola a proposito di alcuni termini qui impiegati. Essi rischieranno certo di urtare qualcuno, che parlerà di scorciatoia e di semplificazione; e tuttavia io li impiego per facilitare certi sviluppi del ragionamento.
Per riconciliati, io intendo tutti coloro che storicamente hanno avuto l’occasione di iniziare o di perseguire un accordo o una pace con la rivoluzione, accordo pratico o dottrinale.
Per rivoluzione, io intendo il movimento che difende le idee rivoluzionarie, sia sul piano politico sia sul piano religioso (Mons. Suenens non parlò del Concilio come dell’89 nella Chiesa?), movimento contro il quale noi lottiamo da più di duecento anni.
Infine, per pace, io intendo gli accomodamenti politici, canonici o dottrinali, siano essi negoziali o unilaterali (comprendendo quindi un eventuale riconoscimento canonico unilaterale, attualmente in discussione).

Obiezioni storiche

Tre storici esempi di «pace» mi sembrano mostrare sotto diversi aspetti delle similitudini con la situazione attuale.
Il concordato del 1801, la riconciliazione con la repubblica del 1892 e la riconciliazione di alcune comunità tradizionali nel 1988 o dopo; essi rappresentano delle situazioni molto differenti, e tuttavia hanno come punto in comune la realizzazione di una pace, sia che si voglia «strategica» o «pratica», con la rivoluzione.
A partire da questo, i punti di paragone sono tali che la prudenza obbliga di analizzarli per valutare la fondatezza di una tale strategia nel contesto attuale. Peraltro, essi superano il semplice punto di vista storico, tanto da poterne trarre una vera «psicologia» della riconciliazione. Chiunque abbia accarezzato o accarezzi l’illusione di una pace pratica, potrebbe chiedersi se vi si riconosce. Io qui mi limiterò ad abbozzare certi aspetti… ci sarebbe da scrivere un libro.

Certo, bisogna evitare di essere troppo schematici. È difficile sapere con esattezza cosa sarebbe successo se in ognuno dei casi la Chiesa avesse rifiutato la pace proposta. È impossibile rifare la storia al condizionale. Bisogna, in particolare, mettere da parte il caso del concordato; sarebbe stato meglio un’epoca di persecuzione per la Chiesa di Francia o la pace napoleonica? Che sarebbe avvenuto se il Papa avesse rifiutato il concordato? Bisogna riconoscere che dal punto di vista umano in questo caso specifico è impossibile rispondere. È impossibile dare un giudizio definitivo su ciò che è stata, di fatto, la prima pace pratica con la rivoluzione.

Di contro, inevitabili o no, di ciò che è stato nel 1801, nel 1892 e nel 1988, noi abbiamo un bilancio reale  delle conseguenze di queste paci. Anche da questo punto di vista, non tutto è così semplice; negli esempi citati vi sono state anche delle conseguenze positive, quantunque parziali, sempre temporanee e in definitiva minori in rapporto agli effetti globalmente negativi.
Certo, il concordato [1801] ha permesso una certa rinascita della Chiesa in Francia (molto più relativa di come ci viene spesso presentata, basta citare le cifre delle ordinazioni: 6000 stimate annualmente prima della rivoluzione, 2350 nel momento migliore del XIX secolo [1830], con una popolazione nettamente aumentata).
La riconciliazione del 1892 ha avuto in maniera marginale, al suo inizio e prima dell’arrivo dei governi radicali, alcuni (molto modesti) effetti benefici, sotto il governo Méline del 1895.
La comunità riconciliate, dopo il 1988 hanno permesso a certi fedeli di conoscere la Messa di San Pio V, e i più coerenti tra questi sono arrivati in seguito fino a ricorrere alla FSSPX.
È vero, occorre riconoscerlo e tenerne conto, per amore dell’esattezza e per non cadere nella caricatura. Ma è per lo stesso amore per l’esattezza che si deve riconoscere che questi pochi effetti positivi sono ben poca cosa in rapporto ad un bilancio fondamentalmente negativo.

In ogni caso, ogni volta sono stati numerosi coloro che hanno militato per queste paci e che per questo, separandosi dagli «intransigenti», ne hanno reso possibile l’applicazione.
Piuttosto che rifare la storia di questi accordi, cosa che è stata già fatta e che occuperebbe non poco spazio, è interessante cercare di descriverne le motivazioni profonde, poi l’evoluzione di coloro che sono stati prima i difensori e poi, spesso, le vittime.

Si nota così che ogni volta questa pace sembra agire come una tentazione sotto l’apparenza del bene.

Una tentazione…

La tentazione è la spinta più difficile da cogliere, perché è anche la meno confessabile, ma è anche, a guardare più da vicino, la più profonda e la più potente. Per la maggior parte del tempo, essa non si appalesa allo stesso interessato, che ha bisogno di un ritorno in sé per riconoscerla onestamente. In ogni caso essa non è mai pubblicamente confessata da coloro che vi cedono coscientemente o incoscientemente.

Questa tentazione può avere spinte e forme diverse, a seconda dei contesti e delle epoche, pur avendo come punto in comune fondamentale il cedimento nella battaglia. Che fosse molto semplicemente il conforto di una vita pacifica infine ritrovata, per lo “chouan” [NdT] o il contadino vandeano (1801); o fosse una più brillante carriera politica per quei deputati monarchici che sostenevano una causa che sembrava quasi perduta alla fine del XIX secolo; o più generalmente la prospettiva della fine di un’emarginazione nella società, per gli elettori cattolici e monarchici (1892). Che fossero ancora gli onori ritrovati o ricercati, le amicizie ricostituite, la paura dell’emarginazione (maggio 1988). Che fosse infine, oggi, la fine delle persecuzioni verbali, la pressione sociale e mondana, i modi di vita e i modi di essere, più rilassati. A meno che si trattasse di tutte queste cose insieme…

…sotto l’apparenza del bene

È tanto più difficile smascherare queste tentazioni per quanto più esse si nascondono dietro un’illusione o un’apparenza di bene: pensare che la pace ritrovata renderà alla Chiesa l’irraggiamento di un tempo (1801), pensare che i Francesi finiranno con l’eleggere in maggioranza un governo cattolico (1892) (nonostante avessero avuto già da due decenni la possibilità di farlo eleggendo dei deputati monarchici…), pensare che avendo rispettato la necessità di evitare uno scisma si riuscirà a ricondurre dall’interno la Chiesa conciliare verso la Tradizione (nonostante si sarà condannati al silenzio e cioè al compromesso attivo) (1988).

L’apparenza del bene è costruita, consciamente o inconsciamente, con una facile argomentazione. Lo specioso ragionamento che ne scaturisce lascia pensare che la vittoria sarà facilitata da una pace pratica con la rivoluzione.
E vi si crede tanto più volentieri per quanto il proprio foro interno è disposto a cedere alla tentazione. Essa permette di giustificarsi sia nei confronti di se stessi sia nei confronti degli altri, al punto tale che si finisce col convincersene. D’altronde, è una necessità morale credere a questa illusione, per evitare di fare i conti con la parte meno confessabile delle proprie motivazioni.

Beninteso, qui non si tratta di emettere dei giudizi sui partigiani di una pace con Roma o su tutti coloro che hanno qualche esitazione. E tuttavia chiunque rifletta onestamente sull’argomento potrà porsi le stesse domande.

Conseguenze

Stabilito l’accordo, una sola preoccupazione finirà col guidare i riconciliati: mantenere ad ogni costo l’accordo, la pace con i rivoluzionari. Se l’accordo fallisse, sarebbe la prova dell’errore da essi commesso, sarebbe il ritorno forzato verso coloro che si sono rifiutati di seguirli e che sono divenuti i ribelli dai quali ci si vuole continuamente allontanare (gli scismatici della FSSPX, ma anche i monarchici intransigenti o ancora gli irriducibili “chouans” che continuano ad opporsi a Napoleone). I vescovi concordatari, scelti da Napoleone, sono legati mani e piedi. Il deputato riconciliato non può più difendere gli interessi della Chiesa e combattere certe leggi, pena il mandare a monte l’alleanza con i repubblicani. Il sacerdote Ecclesia Dei vive nella paura delle conseguenze di una predicazione contro il Concilio.

L’efficacia di ogni azione è come paralizzata dalla preoccupazione di salvaguardare la pace. Mentre l’ex combattente, divenuto riconciliato, aveva prima ogni libertà per agire, l’attuale riconciliato deve sempre calcolare, soppesare, comporre e avere timore di ogni iniziativa troppo chiaramente ostile alla rivoluzione. Come impegno di buona volontà e per dare maggiore solidità all’accordo, i riconciliati si trovano costretti ad incensare le autorità rivoluzionarie: sono le lodi continue dei vescovi concordatari rivolte a Napoleone, «restauratore della Chiesa in Francia» (ovviamente gli devono i loro posti); è l’accanita difesa della democrazia ormai vista come solo legittimo regime possibile (Sangnier, Piou); è la papolatria delle comunità riconciliate nei confronti di un Giovanni Paolo II o di un Benedetto XVI.
In compenso, i riconciliati non guadagnano chissà quale fiducia delle autorità rivoluzionarie, le quali, diffidenti, chiedono sempre delle nuove testimonianze.

La realizzazione dell’illusione che aveva giustificato l’accordo è come paralizzata, rimandata a più tardi: una volta guadagnata la fiducia dei rivoluzionari e consolidato definitivamente l’accordo. Questa illusione, che era il motivo ufficiale dell’accordo, diventa una strategia sempre più sfocata, la cui realizzazione concreta è continuamente rimandata o ridotta a quasi niente, in nome della prudenza travestita da ragioni puramente umane. Al posto della battaglia contro la rivoluzione e le autorità rivoluzionarie, si stabilisce un silenzio assordante, puntellato tutt’al più da qualche interrogativo o da qualche testo timido ed edulcorato. Il vescovo concordatario che deve tutto a Napoleone si trova imbarazzato a criticare gli articoli organici che costituiscono dal 1802 una considerevole ingerenza nelle garanzie poste dal concordato. Il deputato riconciliato è paralizzato nella critica della politica anti-clericale del governo: ogni opposizione lo renderebbe sospetto di cripto-monarchismo. Il Padre Louis-Marie de Blignières pressa - con successo – Dom Gérard perché non consegni al cardinale Ratzinger il piccolo memorandum di Don Schaeffer su “Dignitatis humanae”: «consegnando questo testo azzerate tutto!». E Dom Gérard cede! (risultato: dieci anni dopo, Le Barroux, per la penna del Padre Basile, difenderà ormai la continuità di “Dignitatis Humanae” col magistero tradizionale).

Di rimando, ognuno può ormai cedere pienamente alla motivazione oscura della riconciliazione, e cioè la tentazione stessa, e può farlo, per così dire, in tutta impunità, tanto più che essa non appare più direttamente peccaminosa e che le barriere che impedivano di soccombervi sono cadute. Il fatto di cedervi sarà il primo passo che condurrà più o meno rapidamente a sposare le idee della rivoluzione.

Esempio, 1802: il contadino vandeano è nuovamente installato nella sua fattoria e può finalmente godere la tranquillità ritrovata, tanto più con la benedizione del suo parroco, magari un vecchio irriducibile. Egli «subisce» le esortazioni del suo vescovo che predica il rispetto delle autorità temporali costituite sotto il regime concordatario. La fine della battaglia a livello fisico, comporta a poco a poco l’indebolimento della battaglia a livello spirituale e morale, e poi alla fine a livello dottrinale o ideologico. Progressivamente, il vecchio soldato e soprattutto le generazioni che lo seguono, diventano più permeabili ai discorsi che sono loro rivolti. E questo, tanto più facilmente per quanto i governi rivoluzionari, malgrado le tensioni più o meno accese via via che il secolo avanza, beneficiano sempre del riconoscimento ufficiale della Chiesa. Verso la fine del XIX secolo, ecco che ritorna una politica chiaramente anticlericale. Ma i discendenti dei contadini vandeani, nel 1882 o nel 1905, non hanno più la forza di opporvisi moralmente e fisicamente come i loro antenati, nonostante la loro religione si trovi nuovamente perseguitata. I migliori si accontenteranno di manifestare in maniera più o meno energica al momento dei bilanci, mentre una parte non trascurabile di essi, discendenti degli “chouans”, eleggerà quegli stessi governanti apertamente anticlericali. Senza neanche rendersene conto, sono già passati nel campo della rivoluzione.

1892: alla fine del XIX secolo, gli ex deputati monarchici lavorano adesso braccio a braccio con i loro avversari di ieri: ormai possono pensare alla loro carriera in seno all’azione liberal popolare o ai democratici cristiani. Certuni spingono la loro buona volontà fino a votare le leggi anticlericali della separazione della Chiesa e dello Stato, o i bilanci, spingendo fino al parossismo la logica della riconciliazione.
Quanto agli elettori cattolici, eccoli pienamente integrati in questa società della fine del XIX secolo. Ormai essi vedono la repubblica come un regime accettabile, ben presto rispettabile, se non addirittura il solo legittimo, rassicurati in questo dal Papa, dal vescovo, dal parroco e quindi da un buon numero dei loro capi politici di ieri. Certo, non è questo quello che vuole o dice Leone XIII, né certe élite cattoliche che, all’inizio, hanno giuocato la carta della riconciliazione come una pura strategia politica. Molti fedeli si sentiranno a disagio nel difendere le idee e un regime che avevano avversato fino a ieri. Ma nessuno si trova che li metta in guardia e li inviti a raddoppiare la prudenza nei confronti della natura rivoluzionaria delle istituzioni repubblicane: necessariamente, al pari dei loro predecessori un secolo prima, e al pari dei loro successori un secolo dopo, i chierici partigiani della riconciliazione si trovano imbavagliati, pena il vedere condannata la strategia della riconciliazione.

1995: delle comunità Ecclesia Dei difendono ormai con accanimento i testi del Concilio (Le Barroux con Padre Basile che difende Dignitatis Humanae).
Ci sono stati sufficienti chierici o riviste che hanno descritto questo percorso, perché ci sia bisogno di tornarci su.

Una gran parte dei «riconciliati», in particolare le masse, adottano molto presto i costumi e poi le idee rivoluzionarie; e spesso questi sono quelli i cui modi di vita erano già i più vicini e ai quali non vengono più ricordati i principi di dottrina e di prudenza.

In effetti, chi c’era più nel 1802 per ricordare che la firma del concordato non impediva a Napoleone di rimanere legato ai principi della rivoluzione e di continuarne insidiosamente l’opera? Certo non l’episcopato concordatario che gli era tutto devoto.
Chi c’era, nel 1892, negli ambienti dei riconciliati, per spiegare agli elettori che la riconciliazione predicata da Leone XIII era solo una tattica temporanea per cristianizzare il regime repubblicano “dall’interno”?
Chi, nel 1988, negli ambienti Ecclesia Dei, aveva ancora sufficiente libertà di parola per spiegare che il rifiuto delle consacrazioni non significava l’accettazione della nuova Messa e dei testi del Concilio?
Richiami penosi del passato, ma che aiutano a mantenersi sulla retta via, diventati però impossibili, almeno pubblicamente, in nome della salvaguardia dell’accordo.

Un buon numero di fedeli passano dalla riconciliazione pratica alla riconciliazione ideologica e cioè dottrinale. Questo rinnegamento è spesso preceduto o accompagnato da un rilassamento morale, dovuto ai contatti continui con i modi di vita dei rivoluzionari, i quali sono un'altra conseguenza della riconciliazione. Questo rilassamento morale facilita il cambiamento dottrinale, poiché «a forza di non vivere come si pensa si finisce col pensare come si vive». Tuttavia, una minoranza di riconciliati, senza passare presto nel campo rivoluzionario, tacciono. I migliori ricordano le loro idee solo debolmente e così sottilmente che diventano inascoltabili. Questi ultimi, dopo qualche anno, rappresentano solo una percentuale molto minoritaria dei riconciliati che avevano accettato l’accordo, gli altri diventano rivoluzionari. A questo stadio vi è una piccola parte che forse opera un mezzo ritorno, quando gli avvenimenti aprono loro gli occhi (1999: crisi della Fraternità San Pietro. 1905: separazione fra Chiesa e Stato); sfortunatamente si tratta solo di casi isolati, troppo tardi per far riflettere efficacemente i più deboli, che ormai da lungo tempo sono diventati dei rivoluzionari (nel senso ideologico del termine, che a seconda delle epoche può prendere il nome di «bonapartisti» -1802 -, «repubblicani» - 1892 - o «conciliaristi» - negli ultimi decenni).
Gli ultimi riconciliati, troppo orgogliosi per riconoscere lo stallo in cui si trovano, continueranno a tacere e vedranno la generazione che segue sposare pienamente le idee rivoluzionarie, in mancanza del fatto che non hanno potuto loro ricordare efficacemente i principi, e per averli fatti crescere in contatto continuo con le false dottrine e per averli fatti vivere in contatto continuo con i modi di vita e i modi d’essere più rilassati.

Applicazione alla situazione attuale

Comparazione non significa aver ragione, come ho già detto prima, e si riveleranno certamente molte differenze tra la situazione odierna e quelle del passato. Tuttavia, per andare oltre le lezioni della storia e impegnarsi senza timori nella via di una pace pratica, la Prudenza esigerebbe che si provi una differenza fondamentale tra la situazione attuale e le tre situazioni precedenti.

Ora, le similitudini con le situazioni precedenti sono al contrario numerose e di gran lunga. Quale partigiano attivo di un «accordo» può dire, in fondo a se stesso, di essere totalmente indenne dal genere di tentazioni descritte prima (fine delle persecuzioni verbali, per certuni, pressione sociale e mondana, per altri, o ancora rilassamento nei modi di vita e di essere più facili da abbracciare giorno dopo giorno, superamento degli scrupoli o tutto questo insieme…)?

A fianco della tentazione vi è anche l’illusione, tanto potente nel 1988, di «trasformare la Chiesa dall’interno», che non suona tanto diversa dal «cristianizzare la repubblica» o dalla «libera Chiesa in libero Stato» o ancora dalla «Chiesa restaurata dall’imperatore».
Ogni volta, de jure o de facto, stesso legame di subordinazione con i rivoluzionari, stesso complesso di dover continuare ad opporsi a coloro che hanno teso la mano e hanno fatto magnanimamente dono dell’accordo. Chi può negare che tutto questo non lo si ritrovi anche questa volta?

La FSSPX non sfugge a questa evoluzione, i fedeli vi sfuggiranno ancora meno. È già così difficile trasmettere oggi la fiaccola, visto che, malgrado gli appelli insistenti e le barriere messe in essere, tanti fedeli si compromettono con i modi di vita e le pratiche contemporanee.
Nel contesto di un accordo, molte delle dighe saranno infrante e i contatti col mondo conciliare renderanno la pressione incontenibile, soprattutto nei confronti della generazione successiva. Cedendo sul piano comportamentale, essi cederanno poi sul piano dottrinale e liturgico. La corrente che coinvolge facilmente l’80% della prima generazione «firmataria», a breve termine coinvolgerà ineluttabilmente la totalità della generazione successiva, salvo Grazie particolari.

Tali accordi sono tanto più frustranti per quanto si producono spesso nel momento in cui certe vittorie sono a portata di mano o nel momento in cui un po’ più di fermezza potrebbe alla fine essere ripagata. Per esempio, Napoleone confessò che non sarebbero passati tre anni dal 1802 e dall’eventuale scacco dei colloqui con Pio VII, che egli avrebbe «ceduto», perché aveva un gran bisogno della Chiesa per stabilizzare la società all’indomani della rivoluzione. Più recentemente, è certo che il messaggio della FSSPX, se non fosse sfocato come lo è oggi, avrebbe certamente un maggiore impatto presso gli ambienti riconciliati o conservatori, visto che Papa Francesco I continua a seminare disordini nei loro ambienti.

La storia non è il solo elemento per un giudizio prudenziale. Tuttavia si è costretti a riconoscere che nella situazione attuale essa recita fortemente e in tutta evidenza contro una pace canonica con Roma.


NdT - “Chouan” è il soprannome dato ai combattenti controrivoluzionari che, in contemporanea con i Vandeani nel sud-ovest della Francia, si sollevarono contro la Rivoluzione nei dipartimenti nord occidentali della Francia: Bretagna, Mayenne e Normandia. Il soprannome era proprio della famiglia che si mise a capo della rivolta.



maggio 2016

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