Anello conciliare

di Don Denis Puga, FSSPX


Pubblicato su Le Chardonnet n. 337, aprile 2018






Don Denis Puga è il nuovo parroco della chiesa della Fraternità San Pio X a Parigi: Saint-Nicolas du Chardonnet, che pubblica il bollettino omonimo. Egli fu mandato l'anno scorso a sostituire Don Patrick de La Rocque, rimosso perché ritenuto uno dei promotori della Lettera aperta ai fedeli del 7 maggio 2017.
Don Denis Puga si è espresso su questa lettera, il 7 maggio 2017.





Ogni tipo di avvenimento significativo può segnare la vita di un uomo. Ma il primo confronto concreto con il mistero della morte riveste per ognuno di noi una dimensione particolare, indelebile.

Da parte mia, ricordo di essermi trovato per la prima volta di fronte ad un uomo morto, cinquant’anni fa. Avevo un po’ più di dieci anni. Quell’uomo era abbastanza giovane, cinquantacinque anni, ed era un vescovo e anche cardinale della Santa Chiesa cattolica. Un responsabile del mio collegio, il collegio Stanislas, quel giovedì 15 febbraio 1968 mi aveva condotto insieme a due o tre compagni in via Barbet de Jouy, nel VII dipartimento; lì dove la spoglia mortale di Mons. Pierre Veuillot, arcivescovo di Parigi, era esposta alla preghiera dei fedeli. Era morto il giorno prima, colpito da una leucemia fulminante.
In quella grande sala della residenza ufficiale del vescovo di Parigi, il prelato riposava rivestito di tutte le sue insegne episcopali.

Al dito della mano destra portava l’anello d’oro del Concilio offerto da Papa Paolo VI a tutti quelli che vi avevano preso parte. Mons. Veuillot era infatti un vescovo conciliare e rivendicava con forza questo titolo. Egli occupava la sede di Parigi da appena un anno, ma prima, per tre lunghi anni,  era stato intimo collaboratore del futuro Papa Paolo VI, alla Segreteria di Stato.
Consacrato vescovo nel 1959, egli partecipò attivamente a tutte le sessioni del concilio Vaticano II, come vescovo coadiutore di Parigi a fianco del cardinale Feltin, a cui succederà. Egli svolse un ruolo tutto speciale nel dibattito sul tema della collegialità episcopale, che diverrà un elemento chiave della nuova organizzazione della Chiesa conciliare.

L’espressione «Chiesa conciliare» impiegata qui farà forse soprassaltare alcuni. Con i tempi che corrono è di moda infatti rimproverare ai cattolici fedeli alla Tradizione l’uso dell’espressione «Chiesa conciliare». Certuni preferiscono usare l’espressione più “soft”: «Chiesa ufficiale».
Ah! Queste distinzioni sottili con le quali ci si sforza di distogliere dalle conseguenze pratiche di una denominazione”, esclamava Louis Veuillot, il grande zio del nostro defunto cardinale, nel suo eccellente libro L’illusion libérale !

Ma pensare così significa dimenticare due cose. La prima è che l’espressione «Chiesa conciliare» non è stata inventata dai tradizionalisti. Mons. Pierre Veuillot, in una intervista del 1966 al giornale Panorama Chrétien, aveva insistito sul fatto che ormai, chiuso il Concilio, il cristiano doveva essere un «membro attivo di una Chiesa post-conciliare in piena ricerca!». Ed ecco come egli definiva questo cristiano post-conciliare: « Non è né l’uomo di un ghetto, né il privilegio di una salvezza personale che lo esenterebbero dal portare con i suoi fratelli le responsabilità di un mondo più umano da costruire».

Si conosce anche la celebre osservazione fatta a Mons. Lefebvre da Mons. Benelli, il più vicino e il più ascoltato collaboratore di Papa Paolo VI, anch’egli alla Segreteria di Stato. Nella sua lettera del 25 giugno 1976, Mons. Benelli scriveva infatti che avrebbe potuto esserci un futuro per i seminaristi di Ecône solo se «fossero stati seriamente preparati al ministero sacerdotale nella vera fedeltà alla Chiesa conciliare…».

L’altro elemento da ricordare è quanto il concilio Vaticano II sia alla radice di tutta la trasformazione di cui è stata oggetto la Chiesa fin dall’inizio degli anni ’60. Esso ha ispirato tutta la catechesi, tutta la predicazione, ha dato le regole per l’organizzazione gerarchica della Chiesa, è stato la causa della riforma di tutti i sacramenti e specialmente della riforma ecumenica della Messa. E poiché l’Eucarestia è il centro della vita della Chiesa, una Messa conciliare può far crescere solo una Chiesa conciliare.
Oggi, tutta la formazione dei futuri preti è basata, centrata, impregnata dal concilio Vaticano II, Per canonizzare i nuovi santi si privilegia la ricerca nella loro vita delle virtù conciliari. Sembra anche che il semplice fatto di essere stato un papa conciliare, apra direttamente la porta ad una canonizzazione quasi automatica.
Lo stesso Codice di Diritto Canonico che regge la vita della Chiesa è stato riformato nel 1983 «per essere un mezzo efficace perché la Chiesa possa progredire nello spirito del Vaticano II», secondo la confessione ufficiale fatta dal Papa Giovanni Paolo II nella Costituzione Apostolica che promulga questa nuova legislazione.
Tutti gli Ordini e le Congregazioni religiose hanno visto la loro regola riformata da cima a fondo secondo i criteri del Concilio.

La Chiesa di oggi è esattamente una «Chiesa conciliare» e lo scopo principale che essa persegue è il radicamento dei princípi del Vaticano II nella vita di ogni cristiano.
Per fare un paragone moderno, si potrebbe dire che il concilio Vaticano II è stato la Chernobyl della Chiesa, che tutto nella Chiesa è stato irradiato degli errori liberali del Concilio e tutto quello che da allora è ufficiale nella Chiesa è divenuto radioattivo…! Guai a colui che gli si accosta troppo da vicino!
Sarebbe dunque inquietante che oggi tra i tradizionalisti apparisse una tendenza volta a far dimenticare o a misconoscere quanto il Concilio nel suo insieme, come nel particolare, sia sottilmente sovversivo, e come una decisione ufficiale possa essere materialmente buona pur rimanendo profondamente radioattiva…

Nei giardini deserti di Chernobyl, vi sono oggi degli alberi da frutta che sono belli com’erano prima, ma…




Ma ritorniamo all’anello conciliare. Papa Paolo VI lo offrì a tutti i vescovi del mondo il 6 dicembre 1965, antivigilia della chiusura del Vaticano II. Molti si misero a portarlo al posto dell’anello episcopale. Il Papa stesso lo portò fino alla morte, abbandonando il tradizionale anello del pescatore. Si trattò proprio di un simbolo: tutto l’episcopato, collegialmente col suo capo, si univano per imporre la riforma conciliare a dei fedeli perplessi.

Come tutti quelli che avevano preso parte ai dibattiti conciliari, Mons. Lefebvre aveva anche lui ricevuto questo anello. Dopo la sua morte, nel 1991 a Ecône, noi l’abbiamo ritrovato sepolto nei suoi archivi personali. L’autore di “Accuso il Concilio” non l’aveva mai portato!





aprile 2018
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