LA SACRA ORDALIA DOTTRINALE.

L’UNICA VIA PER RISOLVERE IL PROBLEMA
DELLA PRESUNTA ERETICALITÀ DI PAPA FRANCESCO.

CRITICA DELLA LETTERA APERTA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA.
E CONTRO-PROPOSTA IN DUE ATTI: I°, UNA DOMANDA; II°, UNA SUPPLICA.


di Enrico Maria Radaelli


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5 maggio 2019. Letta la Lettera aperta ai Vescovi della Chiesa cattolica pubblicata il 30-4-2019 su chiesaepostconcilio. Da condividere pienamente il to-no, le parole appropriate, la contrarietà espressa per le enormi, troppe e troppo acute nefandezze dottrinali e pratiche rilevate, il senso di disgusto e di orrore per la situazione sempre più indegna di Dio nostro Padre, in cui i Pastori e Papi modernisti stanno da cinquant’anni spingendo la Chiesa.
La Lettera indica una svolta nella percezione presente nella Chiesa oggi del rapporto tra Pastori e dogma: è la prima volta che un congruo numero di fedeli, religiosi e laici, si fa notare per aver saputo individu-are persino nel sommo dei Pastori il principio delle attuali deviazioni dottrinali dalla fede, raccogliendo di converso, e con notevole acribia, l’insegnamento della Chiesa corretto, perenne e vero da contrapporre.

0 (A). PERCHÉ NON È BENE INTRAPPRENDERE, PARTECIPARE O APPROVARE LA STRADA SCELTA DAGLI AUTORI DELLA LETTERA APERTA AI VESCOVI.
   
Detto ciò, va però rigettata altrettanto decisamente la grave distorsione dottrinale su cui si regge la Lettera, e ciò sia nelle premesse teologiche, che, specialmente, nella soluzione semi-conciliarista che la conclude, che si appoggia su assunti gravemente eretici, come illustra molto esaurientemente l’articolo “Deporre il Papa?”, Sì sì no no n. 8, aprile 2019, molto utile anche sotto l’aspetto bio-biblio-storiografico, cui senz’altro rimando.

Dico “soluzione semi-conciliarista” perché questo è il nome specifico da attribuire all’azione di quei fedeli che pretendono, come gli autori della Lettera, di sollecitare dei vescovi, anche se non raccolti precisamente in un concilio, ma pur sempre in una compagine di fatto antipapale, ad « ammonire pubblicamente » Papa Francesco, il pur odierno Monarca assoluto per diritto divino, al quale peraltro, come si vedrà, non è pensabile rivolgere in alcun caso una qualsiasi ammonizione, rimprovero, biasimo, richiamo, ma che ciò costoro pretendono, persino, « ingiungendogli di abiurare », e, qui rivolgendosi direttamente ai Pastori con parole che celano neanche troppo velatamente una ingiunzione pure nei loro confronti, « di compiere il Vostro dovere – sancito dal Vostro ufficio – di dichiarare che egli [il Papa] ha commesso il delitto canonico di eresia e ne deve subire le conseguenze previste dal Diritto della Chiesa ».

Ma “ammonire un Papa”, “ingiungere qualcosa a un Papa”, “dichiarare che il Papa ha commesso un delitto d’eresia”, “dichiarare che il Papa ne deve subire le conseguenze”, sono tutte azioni che, nel regime di monarchia assoluta per diritto divino nato da Mt 16,18, Lc 22,32 e Gv 21,17, restano decisamente e assolutamente impossibili, ma, radicando esse tutte dalla stessa convinzione eretica che diede luogo al conciliarismo, per il quale si ritiene che la Chiesa offra un organo giuridico superiore al Papa, le si chiamerà anch’esse con lo stesso nome, o al massimo con un nome che lo richiami, come “semi-conciliarismo”.

Sotto tali nomi vanno infatti messe tutte quelle convinzioni che, pur non formalizzando direttamente il contrasto con un Papa in un contraltare conciliare, promuovono contro di lui una qualsiasi azione contraria al suo governo: dall’ammonizione all’ingiunzione di una sua ritrattazione, dal giudizio pubblico e formale sul suo operato al ritenere che egli stesso con certe sue affermazioni si auto-espellerebbe dalla Chiesa: tutte queste opinioni, che in realtà sono tutte vere e proprie eresie, non hanno nomi specifici, e per dar loro un nome si possono raccogliere tutte, per appropriazione, nella comune radice da cui tutte comunque germinano e che ha dato vita e nome al “conciliarismo”. 

Infatti, tutti e tre gli atti sollecitati dagli autori della Lettera sono macchiati dallo stesso vulnus, il conciliarismo, perché nessun inferiore, neanche un vescovo, può pretendere che Pietro compia una qualsiasi azione in quanto ingiunta da qualcuno; né è sancito alcun dovere del vescovo di dichiarare a chicchessia che Pietro deve « subire le conseguenze » delle sue azioni; né è permesso l’atto di « ammonire pubblicamente » Pietro, perché anche quello che parrebbe l’atto meno sovvertitore dei tre resta sempre atto dove nel fedele o chierico ammonitore non solo si configura un inaccettabile sovvertimento della gerarchia conferita da Cristo, ma, ancor più grave, anche con un atto apparentemente blando, ancora lontano da pretenziose ingiunzioni, processi, deposizioni, si insinua la radice della mentalità protestante, come illustra bene quell’articolo di Sì sì no no sopra citato, notando che: « “Se il Concilio, i Vescovi, i Cardinali e i fedeli, invece, pretendessero di essere non gregge ma Pastore supremo almeno de facto, non sarebbero il Pastore scelto da Cristo, che è solo Pietro e i suoi successori, ma sarebbero un Pastore “abusivo” o un lupo travestito da Pastore” (A. PIOLANTI, Enciclopedia Catt., voce “Primato di san Pietro e del Romano Pontefice”) ». Se in qualsiasi modo si fa decadere il Papa da Supremo Giudice, ognuno si fa giudice, e toglie a Cristo, che ha conferito la sua vicarietà a quel Giudice, la sua divina Autorità, quell’Autorità che sa perché a uno essa dà, e all’altro no.

0 (B). ECCO LA STELLA POLARE CHE ILLUMINA IL CAMMINO DELLA CHIESA.
   
Ora, vorrei che ci si rendesse tutti conto che in questo momento così particolare della Chiesa, iniziato con l’elezione al Trono Pontificio di Papa Giovanni XXIII, il Papa che portò il Modernismo sul Trono più alto, l’argomento decisivo intorno a cui gira ogni altra problematica, e risolto il quale si scioglie insieme ogni altra difficoltà, è senza alcun dubbio quello posto dalla figura di Pietro: il suo principato su ogni altro trono o cattedra della terra, religioso o mondano; l’intangibilità assoluta del suo potere; l’infallibilità e indefettibilità del suo insegnamento se dato a certe condizioni; per dire solo le prerogative più salienti.

Ciò significa che chi vuole davvero risolvere la crisi della Chiesa deve por mano agli insegnamenti che essa offre intorno a questa figura centrale: Pietro. E qual è il documento dottrinale che più di ogni altro raccoglie con la massima sapienza, completezza, perfezione e divina infallibilità ogni insegnamento al riguardo?
Non c’è dubbio: è la Costituzione dogmatica Pastor Æternus, che Papa Pio IX fece approvare e promulgare nel 1870 dal Vaticano I.

Stando così le cose, non c’è da fare altro che girare intorno a quel documento, impossessarsene, entrarci dentro, farlo proprio, crederci.
E non solo crederci con l’assenso de fide che comunque gli è dovuto, ma con la pienezza di cuore che meritano quelle manifestazioni della verità che più di altre si alzano a Stella Polare per la nostra salvezza: stupisce che non lo abbia fatto almeno uno di quelli che hanno sbattuto la faccia contro gli stessi problemi, ma più ancora stupisce che invece a farlo, e a dimostrarci così quanto sia vero ciò che si sta suggerendo, siano stati proprio loro: i modernisti, che seppero girarlo a proprio favore con ammirabile sagacia allorché il cardinale Suenens, raccolte proprio dalla Pastor Æternus le preziose scoperte dottrinali compiutecon i suoi compari di cospirazione nel Club di San Gallo, seppe dare all'amico absconditus e Papa manifesto, il non santo ma modernista ed eretico Angelo Roncalli-Giovanni XXIII, che altro non attendeva, l’indicazione più astuta che si sarebbe potuta mai congetturare per, diciamo così, spezzare i denti al dogma: volgere a proprio favore la regola che rende infallibile l’asserto papale. Al § 3 si vedrà come.

Cominciamo ora a raccogliere da quel deposito di purissimo oro dottrinale che è ciò che ci interessa particolarmente a riguardo dei temi che ci stanno davanti, per vincere le vili e abiette astuzie del Modernismo con l’intelligenza e la sagacia del Logos divino.
La Costituzione dogmatica Pastor Æternus insegna e dichiara che:

I pastori di tutti i ranghi e di tutti i riti e i fedeli, sia singolarmente che tutti insieme, sono tenuti al dovere della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza, non solo nelle questioni che riguardano la fede e i costumi, ma anche in quelle relative alla disciplina e al governo della Chiesa diffusa su tutta la terra. … Questa è la dottrina della verità cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi senza pericolo per la propria fede e la propria salvezza. (Denz 3060).
   
Inoltre, da questo supremo potere del Romano Pontefice di governare tutta la Chiesa, consegue che egli ha il diritto di comunicare liberamente, nell’esercizio del suo ufficio, coi pastori e i fedeli di tutta la Chiesa, per poterli istruire e governare sulla via della salvezza. Perciò noi riproviamo e condanniamo le opinioni di quanti affermano che si può lecitamente impedire questa comunicazione del capo supremo con i pastori e con i fedeli. (Denz 3062).
   
E perché il diritto divino del primato apostolico colloca il Romano Pontefice al di sopra di tutta la Chiesa, insegniamo e dichiariamo ancora che egli è il giudice supremo di tutti i fedeli, e che in tutte le cause di competenza della giurisdizione ecclesiastica si può ricorrere al suo giudizio. Nessuno invece potrà mettere in questione un giudizio pronunziato dalla Sede Apostolica, alla quale nessuna autorità è superiore, e nessuno ha diritto di giudicare le sue decisioni. (Denz 3063).

E con ciò, ogni sorta di insubordinazione, conciliarista o non conciliarista che sia, è servita.
Stando così le cose, che fare? Se il Pastore Supremo è intoccabile, sarà forse libero di annientare a suo piacimento la Vigna del Signore?
Uno degli autori della Lettera contattò anche lo scrivente, ma ciò che qui ho chiamato “semi-conciliarismo”, e le altre carenze dottrinali, impedendomi ogni convergenza, mi hanno spinto a elaborare la presente contro-proposta.
Suggerirei di chiamarla “PROPOSTA PIANO-PAOLINA” dal nome dei due Pastori cui si ispira nei due passaggi in cui è articolata: il beatissimo Apostolo Paolo per il primo atto e il grandissimo Papa Pio IX per il secondo.
Ritengo che tale proposta sia L’UNICA ALTERNATIVA POSSIBILE, DA PERSEGUIRE CON TUTTE LE FORZE, per vincere ogni caduta ereticale di un Papa, pur sapendo che la vittoria costerà anni di fatiche, angosce, persecuzioni.

Al § 1 sono esposte le sette asserzioni papali segnalate nella Lettera come eretiche, ciascuna seguita prima da una sintesi che ne chiarisce il concetto base, quindi dal Magistero della Chiesa che le si oppone; al § 2 si illustra se e quale di esse passa il vaglio di ‘ereticità’ in se stessa; al § 3 se e quale supera poi il vaglio di ‘ereticità’ nella sua esternazione pubblica; al § 4 si rileva che col Vaticano II, oltre al Papa, tutta la Chiesa modernista professa dottrine eretiche; al § 5 si espone la dottrina eretica perseguita da tutti i Papi dal 1962 a oggi e imposta nel Novus Ordo Missæ; al § 6 se ne rilevano gli esiti mortali per la Chiesa; al § 7 si passa dalla parte destruens alla construens e si spiega perché l’Ordalia, o Giudizio dottrinale di Dio, è la sola via per far tornare la Chiesa in se stessa; al § 8 se ne illustra il primo passo: la “Domanda paolina”; al § 9 il secondo: la “Grande Supplica al Papa”; al § 10 le vittoriose conclusioni.

1. LE SETTE ASSERZIONI DI PAPA FRANCESCO RITENUTE ERETICHE
DALLA LETTERA APERTA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA,
E LE RELATIVE CONTRO-VERITÀ INSEGNATE DELLA CHIESA.

Queste le sette asserzioni papali considerate nella Lettera e le relative opposte proposizioni del magistero della Chiesa (alle quali seguono, nella Lettera, i dovuti riferimenti dei testimoni, dei tempi e dei luoghi dei sette enunciati, qui non riportati per necessità di spazio): 

Bergoglio (d’ora in poi B). I. Una persona giustificata non ha la forza di osservare – con l'aiuto della grazia di Dio – i comandamenti oggettivi della legge divina, come se alcuni dei comandamenti di Dio fossero impossibili ad obbedirsi da parte della persona giustificata; o come se la grazia divina, quando genera la giustificazione in un individuo, non provocasse invariabilmente e per la sua stessa natura la conversione da tutti i peccati gravi, o non fosse sufficiente per convertirsi da tutti i peccati gravi.

In altre parole, il Papa sostiene che è impossibile non trasgredire i comandamenti di Dio anche per un battezzato, e anche se questi è in grazia di Dio.

Magistero (d’ora in poi M). [Concilio di Trento, Sess. VI, can. 18:  “Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili ad osservarsi, sia anatema” (Denz 1568). Vedi inoltre:  Gn 4,7;  Dt 30,11-19; Eccli 15,11-22; Mc 8,38; Lc 9,26; Eb 10,26-29; I Gv 5,17; Zosimo, 15° (o 16°) Sinodo di Cartagine, can. 3 sulla grazia, Denz 225; Felice III, 2° sinodo di Orange, Denz 397; Concilio di Trento, Sess. V, can. 5; Sess. VI, cann. 18-20, 22, 27 e 29; Pio V, Bolla Ex omnibus afflictionibus, sugli errori di Michele Baio, 54, Denz 1954; Innocenzo X, Cost. Cum occasione, sugli errori di Cornelio Jansen, 1, Denz 2001; Clemente XI, Cost. Unigenitus, sugli errori di Pasquier Quesnel, 71, Denz 2471; Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Reconciliatio et paenitentia 17, AAS 77 (1985), 222; Veritatis splendor 65-70, AAS 85 (1993), 1185-89, Denz 4964-67.]

B. II. Un fedele cristiano può possedere la piena conoscenza di una legge divina e decidere di sua spontanea volontà di trasgredirla in materie gravi, e ciononostante non trovarsi in stato di peccato mortale come conseguenza di tale azione.

Il Papa cioè sostiene, come i protestanti, che l’uomo può peccare quanto vuole, basta che abbia fede (come nel motto di Lutero “Pecca fortiter, sed fortius fide ”).

M. [Concilio di Trento, Sess. VI, can. 20:  “Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto quanto si voglia, non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata all’osservanza dei comandamenti, sia anatema” (Denz 1570).  Vedi inoltre:  Mc 8,38; Lc 9,26; Eb 10, 26-29; I Gv 5,17; Concilio di Trento, Sess. VI, cann. 19 e 27;  Clemente XI, Costit. Unigenitus, sugli errori di Pasquier Quesnel, 71, Denz 2471; Giovanni Paolo II, Esort. Ap. Reconciliatio et paenitentia 17, AAS 77 (1985), 222; Encic. Veritatis splendor, 65-70, AAS 85 (1993), 1185-89, Denz 4964-67.]

B. III. Una persona che osserva una divina proibizione può peccare contro Dio per via di quello stesso atto di obbedienza.

Il Papa cioè sostiene che la legge di Dio è contraddittoria.

M. [Sal 18,8: “La legge del Signore è senza macchia, rifà le anime”. Vedi inoltre: Eccli 15,21; Concilio di Trento, Sess. VI, can. 20;  Clemente XI, Costit. Unigenitus, sugli errori di Pasquier Quesnel, 71, Denz 2471;  Leone XIII, Encic. Libertas praestantissimum, ASS 20 (1887-88), 598 (Denz 3248); Giovanni Paolo II, Encic. Veritatis splendor, 40, AAS 85 (1993), 1165 (Denz 4953).]

B. IV. La coscienza può giudicare con verità e giustizia che i rapporti sessuali tra persone che hanno contratto un matrimonio civile – nonostante una delle due sia sposata sacramentalmente con un’altra persona o tutt’e due lo siano – possano talvolta essere moralmente giusti, o richiesti o persino comandati da Dio.

Il Papa sostiene qui che giudice delle proprie scelte e delle proprie azioni, riguardo al matrimonio, è esclusivamente il soggetto che le compie.

M. [Concilio di Trento, Sess. VI, can. 21: “Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema”, Denz 1571; Ibidem, Sess. XXIV, can. 2:  “Chi dirà che è lecito ai cristiani avere nello stesso tempo più mogli e che ciò non è proibito da alcuna legge divina: sia anatema”, Denz 1802; Ibidem, Sess. XXIV, can. 5: “Se qualcuno dirà che per motivo di eresia o a causa di una convivenza molesta o per l’assenza esagerata dal coniuge, si possa sciogliere il vincolo matrimoniale:  sia anatema, Denz 1805; Ibidem, Sess. XXIV, can. 7: “Se qualcuno dirà che la Chiesa sbaglia quando ha insegnato ed insegna che secondo la dottrina evangelica ed apostolica non si può sciogliere il vincolo del matrimonio per l’adulterio di uno dei coniugi, e che l’uno e l’altro (perfino chi, innocente, non ha dato motivo all’adulterio) non possono, mentre vive l’altro coniuge, contrarre un altro matrimonio, e che, quindi, commette adulterio colui che, lasciata l’adultera, ne sposi un’altra, e colei che, cacciato l’adultero, si sposi con un altro: sia anatema”, Denz 1807. Vedi inoltre: Sal 5,5; 18,8-9; Eccli, 15,21; Ebr  10,26-29; Gc 1, 13;  I Gv 3,7; Innocenzo XI,  Condanna delle proposizioni dei ‘Lassisti’, 62-63, Denz 2162-63; Clemente XI, Costit. Unigenitus, sugli errori di Pasquier Quesnel, 71, Denz 2471; Leone XIII, Encic. Libertas praestantissimum, ASS 20 (1887-88), 598, Denz 3248; Pio XII, Decreto del Sant’Uffizio sull’etica della situazione, Denz 3918; Concilio Vaticano II, Costit. Gaudium et spes, 16; Giovanni Paolo II, Encic. Veritatis splendor, 54, AAS 85 (1993), 1177; Catechismo della Chiesa Cattolica, 1786-87.]

B. VÈ falso che gli unici rapporti sessuali buoni nel loro genere e moralmente leciti siano quelli tra marito e moglie.

In altre parole il Papa qui sostiene che non vi sono atti sessuali buoni o cattivi, né che vi sia alcuna restrizione ad essi posta da chi, come e a qual fine li compie.

M. [I Cor 6,9-10: “Non illudetevi: né fornicatori, né idolatri, né adulteri; né effeminati, né pederasti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci, erediteranno il regno di Dio”; Gd 1,7: “Così pure Sodoma e Gomorra e le città attorno, ree allo stesso modo di fornicazione e di vizi contro natura, ci restano a esempio, soffrendo la pena di un fuoco eterno”. Vedi inoltre: Rm 1,26-32; Ef 5,3-5;  Gal 5,19-21; Pio XI, Encic. Casti connubii 10, 19-21, 73; Paolo VI, Encic. Humanae vitae, 11-14;  Giovanni Paolo II, Encic. Evangelium vitae, 13-14.]

B. VII principi morali e le verità morali contenuti nella divina rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni di carattere negativo che proibiscano in modo assoluto certi tipi di atti, in quanto sempre gravemente illegittimi per via del loro oggetto.

Il Papa cioè sostiene che né la legge naturale né la Rivelazione proibiscono in assoluto certi atti, i quali però solo per ciò vengono dalla Chiesa considerati cattivi.

M. [Giovanni Paolo II, Encic. Veritatis splendor 115: “Ciascuno di noi conosce l’importanza della dottrina che rappresenta il nucleo dell’insegnamento di questa Enciclica e che oggi viene richiamata con l’autorità del successore di Pietro. Ciascuno di noi può avvertire la gravità di quanto è in causa, non solo per le singole persone ma anche per l’intera società, con la riaffermazione dell’universalità e della immutabilità dei comandamenti morali, e in particolare di quelli che proibiscono sempre e senza eccezioni gli atti intrinsecamente cattivi”, DH 4971. Vedi inoltre:  Rm 3,8; I Cor 6,9-10; Gal 5,19-21; Ap 22,15; IV Concilio Lateranense, cap. 22, Denz 815;  Concilio di Costanza, Bolla Inter cunctas 14, DH 1254; Paolo VI, Encic. Humanae vitae 14, AAS 60 (1968) 490-91; Giovanni Paolo II, Encic. Veritatis splendor 83, AAS 85 (1993), 1199, Denz 4970.]

B. VII. Dio non solo permette, ma vuole positivamente il pluralismo e la diversità delle religioni, tanto cristiane quanto non cristiane.

Il Papa sostiene qui che, oltre agli articoli di fede della Rivelazione, anche ogni altra nozione religiosa, pur falsa e senza basi reali, è data da Dio; non esiste dunque un’unica religione, quella rivelata dal Cristo e insegnata dalla Chiesa.

M. [Gv 14,6:  “Io sono la via, la verità, la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio”. At 4,11-12:  “Questa è la pietra, da voi edificatori disprezzata, che è divenuta pietra angolare. E in nessun altro è salvezza; poiché non c’è sotto il cielo alcun altro nome dato agli uomini, dal quale possiamo aspettarci d’esser salvati”.  Vedi inoltre:  Es 22,20; 23,24; II Cr 34,25; Sal 95,5; Ger 10,11; I Cor 8,5-6; Gregorio XVI, Encic. Mirari vos 13-14; Pio XI, Encic. Qui pluribus 15; Singulari quidem 3-5; Concilio Vaticano I, Professione di fede;  Leone XIII, Encic. Immortale Dei 31; Encic. Satis cognitum 3-9; Pio XI, Encic. Mortalium animos 1-2, 6.]
           
Conclusione: Papa Francesco ritiene che una legge che distingue il be-ne dal male non c’è; che se pur esistesse è impossibile obbedirle; e che ciascuno è in realtà legge a se stesso. In concreto, ciascun uomo è dio a se stesso: è la propria religione, è la propria legge, è la propria morale.

* * *

Va previamente ricordato qui che il caposaldo fondamentale della fede – da cinquant’anni da tutti i Papi postconciliari, e, come visto, pur costituendo il punto cardinale intorno a cui tutto è imperniato, oggi anche da Papa Francesco caposaldo molto peccaminosamente dimenticato – è che la religione cattolica è l’unica religione reale esistente, e ogni nozione che se ne discosta, di qualsiasi origine, tempo, popolo, o luogo sia, è unicamente un allontanamento dalla realtà, un suo disconoscimento.
Se tale nozione erronea nasce poi nella e dalla Chiesa, essa dà luogo a una “scelta” senza basi reali, cioè dà luogo, dall’etimo, a una ‘eresia’, a una tutta e solo ideologica e mentale ‘elezione’ che si discosta dalla altissima e santissima verità della realtà, la quale verità della realtà è garantita unicamente e soltanto dalla Chiesa, sua depositaria per istituzione divina, cioè per istituzione voluta dalla stessa e unica possibile realtà soprannaturale esistente: la santissima Trinità di Dio.

2. LE SETTE ASSERZIONI DI PAPA FRANCESCO SEGNALATE DALLA LETTERA
ALLA LUCE DEL CRITERIO DI IDENTIFICAZIONE
DI UN ASSERTO ERETICALE NELLA SUA NUDA FORMULAZIONE LOGICA.
   
Chiarito ciò, va detto che un primo punto che non quadra è quello che risulta se si analizzano i sette articoli denunciati dalla Lettera come papali eresie alla luce del criterio di identificazione di un asserto dottrinale enunciato da uno o più Pastori della Chiesa come formale eresia, e, se il Pastore è un Papa, come formale eresia papale.
Tale criterio stabilisce che, affinché un’asserzione in fide et moribus sia eretica, essa dev’essere: « Una dottrina che contraddice direttamente una verità rivelata e come tale proposta dalla Chiesa ai fedeli » (G. ZANNONI, Enciclopedia Catt., voce Eresia).
Dunque in essa devono essere presenti tre requisiti: « primo, essa deve riguardare una verità rivelata, contenuta cioè formalmente almeno in una delle due fonti della Rivelazione; … secondo, essa deve riguardare una verità proposta da un intervento infallibile della Chiesa che attesti e garantisca assolutamente il suo carattere rivelato; … terzo, essa deve costituire una opposizione immediata, diretta e contraddittoria a una tale verità divinamente rivelata e proposta dalla Chiesa solo in tal modo supremo » (IBIDEM).
L’asserzione che in fide et moribus non presenta tutti e tre questi requisiti, pur non rivestendo il carattere di eresia formale, va comunque giudicata, secondo i casi, a discendere, o prossima all’eresia, o erronea, o sapiens hæresim (che sa di eresia), o offensiva per le pie orecchie, e via calando nella scala di pericolosità, decadimento della fede e scandalo.

Da questo punto di vista, cinque delle sette asserzioni papali raccolte nella Lettera sono senz’altro definibili come formali ‘eresie’, perché urtano direttamente contro alcune verità riscontrabili nelle Sacre Scritture e proposte con magistero infallibile dalla Chiesa, mentre sulle Quinta e Sesta si possono esprimere molti dubbi, perché nessuno dei documenti di magistero esibiti in loro antitesi ha valore di infallibilità, come richiesto dalla seconda condizione, sicché, oltre a non essere nessuno di essi latore di una precisa conferma che effettivamente anche la legge naturale manifesti vere e proprie proibizioni a compiere il male, come richiesto dalla Sesta, il magistero non si presenta mai col grado di insegnamento necessario, il grado dogmatico, infallibile e indefettibile, che è il solo a garantire Chiesa e fedeli della veridicità assoluta dell’asserto.
La riserva sul valore da dare alla Quinta e alla Sesta asserzione – come emerge con chiarezza anche dalla sintesi conclusiva che chi scrive ha ritenu-to utile vergare in calce al florilegio delle sette sopra viste asserzioni papali – non inficia in alcun modo la correttezza e l’esattezza di giudizio che gli estensori e i firmatari della Lettera hanno dato alle altre cinque affermazioni di Papa Francesco: queste cinque affermazioni, stanti le tre condizioni richieste per riconoscere in un’affermazione una vera e propria eresia formale, sono senz’altro giudicabili a tutti gli effetti eresie formali, e anche il sottoscritto aderisce solidamente a tale giudizio su quelle cinque.

3. LE SETTE ASSERZIONI DI PAPA FRANCESCO SEGNALATE DALLA LETTERA
ALLA LUCE DEL CRITERIO DI IDENTIFICAZIONE
DI UN ASSERTO ERETICALE NELLA SUA MANIFESTAZIONE PUBBLICA.
   
Veniamo ora al secondo punto
. Qui le riserve si fanno più estese. Se col primo punto infatti abbiamo circoscritto con esattezza la definizione di eresia così da poter valutare se e in che misura le sette asserzioni papali denunciate dalla Lettera di per sé lo siano, qui faremo un passo avanti e vedremo un altro aspetto, da non confondere con quello esaminato.
Valuteremo infatti ora se tali affermazioni papali, proprio nella loro specifica manifestazione pubblica, nella loro esternazione orale o scritta, nella loro esplicitazione magari anche con atti di comando papale proprio da parte di colui che li ha proferiti e resi operativi, ossia da Papa Francesco, rivestano il carattere di formale delitto di pubblica eresia.

In altre parole, si è visto che nella prima analisi è stata verificata l’ereticità di sette asserzioni in base alle note che le possono distinguere per sese dalla verità; inoltre si è visto che cinque di esse rispondono positivamente all’indagine confermandone gli assunti, ma che due di esse invece, pur rivestendo un carattere sommamente distruttivo e scandaloso, non rispondendo però pienamente a tutte e tre le note necessarie a connotare come eretica un’asserzione dottrinale, non possono essere dette precisamente ‘proposizioni formalmente eretiche’, ma richiedono di essere catalogate diversamente, p. es., con ogni probabilità, ‘prossime all’eresia’, giacché esse contraddicono una dottrina prossima alla fede, una dottrina cioè che, pur non essendo stata definita ancora dogmaticamente, potrebbe esserlo facilmente in futuro.

Ora invece, ciò appurato, si vedrà se le sette asserzioni denunciate dalla Lettera sono o non sono eretiche esaminando i caratteri che conformano il delitto d’eresia in base al mezzo con cui si manifestano, ossia verificando se tale mezzo è appropriato, e, se lo è, in quale misura.
Ebbene, va subito detto: in questa seconda analisi nessuna delle sette asserzioni papali resiste a tale criterio: nessuna delle asserzioni papali può essere definita un ‘formale delitto di eresia papale’. E tale conclusione, contrariamente a quanto possano pensare estensori, firmatari e simpatizzanti come me dello spirito della Lettera, atto a ripristinare nella Chiesa la verità necessaria alla salus animarum, è in verità un gran bene.
Un gran bene per loro, naturalmente. Per loro, per noi, per Papa Francesco, per la Chiesa, per il mondo, per tutti.

Come si è detto al § 0 (B), infatti, la Chiesa ha in cielo, nell’unica e infallibile Parola che essa stessa insegna e che la costituisce, una Stella Polare: la Costituzione dogmatica Pastor Æternus, che ci è stata già utile a chiarire l’atteggiamento corretto e viceversa il riprovevole che i fedeli possono avere verso il Santo Padre anche allorché questi esprima nozioni o dia disposizioni contrastanti in qualche modo il dogma.

Qui essa ci sarà utile per risolvere un secondo problema, perché in essa cogliamo quella regola che nel 1962 i modernisti seppero individuare per volgere ingegnosamente a loro favore l’adamantina dottrina. Cosa stabilisce infatti la definizione d’infallibilità? Stabilisce (Denz 3074):
Il vescovo di Roma, quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo il suo ufficio di pastore e di dottore di tutti i cristiani, definisce, in virtù della sua suprema autorità Apostolica, che una dottrina in materia di fede o di morale deve essere ammessa da tutta la Chiesa, gode, per quell’assistenza divina che gli è stata promessa nella persona del beato Pietro, di quella infallibilità, di cui il divino Redentore ha voluto fosse dotata la sua Chiesa, quando definisce la dottrina riguardante la fede o la morale. Di conseguenza queste definizioni del vescovo di Roma sono irreformabili per se stesse, e non in virtù del consenso della Chiesa.

E qual è il ragionamento dei cospiratori? Semplice: se il Papa è infallibile solo quando parla ex cathedra, ciò significa che quando invece non lo fa, non lo è più, ossia che se non parla ex cathedra, cioè nella pienezza del suo e solo suo pronunciamento, o entelechia, può anche sbagliare, ossia, estremizzando, può anche dire eresie.

In sintesi: locutio ex cathedra = infallibilità; non locutio ex cathedra = fallibilità = possibili errori = persino possibili eresie. Ma attenzione: esse non potranno mai essere considerate eresie formali, perché non sono mai pro-nunciate al livello formale proprio soltanto al Papa, la locutio ex cathedra.

Da qui la regola: se il Papa parla al massimo della pienezza consentitagli, non può nel modo più assoluto dire eresie; ma ciò vuol dire, viceversa, che un’espressione papale può essere considerata formalmente una papale eresia soltanto quando è espressa al massimo della pienezza di espressione consentitagli, perché i gradi di espressione inferiori non ricevono la formalità nella pienezza che solo il Papa ha, ma la ricevono nella pienezza che può avere un qualsiasi vescovo; ma, posto che quando il Papa parla al massimo della pienezza d’espressione consentitagli, egli può pronunciare solo verità adamantine e complete in ogni loro aspetto, un Papa non potrà mai incorrere in un’eresia.

Questa regola costituirà la spina dorsale dei modernisti del Club di San Gallo, che manovreranno il Vaticano II in questo senso: se infatti il Papa convoca un concilio cui toglie ogni possibilità di enunciare una locutio ex cathedra, p. es. prescrivendogli la forma di magistero cosiddetta “pastorale”, le definizioni che quel Papa esporrà in quel concilio “non correranno mai il ‘rischio’ di essere infallibilmente vere”, ed è questo l’obiettivo che il card. Suenens e Papa Roncalli hanno raggiunto: “Non essere costretti a dire verità infallibili, ma, al contrario, essere certi di poter dire qualsiasi cosa, magari anche delle eresie (purché non si veda, ma per questo basta equivocare sul linguaggio), tanto: primo, il Papa non potrà mai essere accusato di eresia formale, cioè di eresia; secondo, non sarà mai intaccato il dogma dell’infallibilità, che ci garantisce proprio questo”.

Questo perverso meccanismo non fu mai pubblicamente segnalato da nessuno, tranne che da chi scrive, che lo illustra da due decenni sotto il nome di “Guerra delle Forme”, o “Guerra delle due Forme”.

Nessuno ha mai discusso, o comunque trattato pubblicamente la cosa. Sarebbe bene farlo, frigido pacatoque animo, s’intende. Da cui in ogni caso si ricavano la terza e quarta condizione di eresia formale: la congruità con i limiti giuridici cui è sottoposta ogni espressione di magistero e l’entelechia o pienezza di magistero permessa al parlante.

Detto questo, le condizioni perché si appalesi nella Chiesa un’eresia, o, che è uguale, che un suo Pastore esprima manifestamente un’eresia, non sono due, come enumera la Lettera al secondo paragrafo, ma quattro. Eccole:

-    1), il mezzo con cui un’eresia viene manifestata dev’essere pubblico (prima condizione, ravvisata anche dalla Lettera);
-    2), l’eresia dev’essere pertinace (seconda condizione, ravvisata anche dalla Lettera); la pertinacia costituisce l’elemento specifico della colpevolezza morale del Pastore, perché non consiste solo in una speciale ostinazione, ma nella precisa consapevolezza di opporsi alla regola della fede; sicché il peccato sarà formale se, raccolte le quattro condizioni, è pertinace, materiale se non lo è;
-    3), poi, tornando al mezzo, esso dev’essere perfettamente congruo all’ambito giuridico su cui il Pastore esercita la sua potestà, limitata e sub condicione per religiosi, preti, parroci, Vescovi, Cardinali, Superiori, Abati eccetera; ma universale, diretta e immediata per il Papa (terza condizione, non ravvisata dalla Lettera),
-    4), l’eresia dev’essere manifestata al massimo grado di pienezza di magistero permessa a quel Pastore, o entelechia: entelechia pastorale per tutti i Pastori della prima categoria; ma dogmatica per il Papa e solo per il Papa, o per un Concilio se unito al Papa, da cui riceve il necessario Munus Clavium di cui il Papa e solo il Papa è detentore (quarta condizione, non ravvisata dalla Lettera).

Come si vede, delle quattro condizioni o note necessarie affinché si appalesi un delitto d’eresia nella Chiesa la Lettera ne considera solo due, e neanche le più significative, sicché l’accusa a Papa Francesco, di essere autore di sette precisi delitti di eresia formale, mancando tutte e sette le sue affermazioni di due delle condizioni che permettono di identificarle precisamente come ‘formali delitti di eresia’, sotto quest’aspetto decade.

Ciò non toglie che nell’augusto Autore delle sette affermazioni e degli atti che ne sono seguiti in ordine al papale Munus regendi si possano ravvisare colpe che mettono in grave pericolo la Chiesa da lui condotta: che Papa Francesco stia calpestando da anni e con la più stolida disinvoltura articoli di fede primari è sotto gli occhi di tutti ed è cosa di cui da anni chi scrive è il primo ad aver rilevato scientificamente metodo, cause, obiettivi e risultati, v. La Chiesa ribaltata (Gondolin, Verona 2014), e Street Theology (Fede e Cultura, Verona 2016).

Se qui si ritiene di dover derubricare dei convincimenti non è perché l’augustissimo Soggetto non avrebbe commesso i fatti addebitati, affatto, ché anzi, a mio avviso, come documentato in quei libri e in altri miei scritti, oltre che in queste pagine, ne ha compiuti anche di peggiori, ma perché è prima di tutto necessario che i fedeli che a diverso titolo hanno elaborato e firmato la Lettera d’accusa non si trovino a loro volta in torto per non aver valutato con la massima prudenza, intelligenza e attenzione le cose, posto che si tratta delle più alte e sante.

Di queste quattro imprescindibili note, assente una sola delle quali non si può accusare nessuno di aver compiuto un formale delitto di eresia, il sottoscritto parla da anni in tutti i suoi libri, specie nel saggio intitolato Che cosa può cambiare e che cosa non può cambiare nella dottrina della Chiesa, in Dogma e Pastorale, Edizioni Leonardo da Vinci, Roma 2015.

Nessuno mi ha mai fatto sapere di una sua perplessità, o disaccordo, od opposizione su quanto scrittovi, e il mons. prof. Antonio Livi ha voluto pubblicare quel mio lavoro proprio perché lo condivide pienamente, pur se minoritario, ma se a identificare un’eresia formale non sono necessarie le note di copertura giuridica (limitata o universale, secondo se non papale o papale), e di pienezza di manifestazione, o entelechia, non lo sono neanche quelle della sua evidente ed esplicita manifestazione pubblica e della sua cosciente e comprovata pertinacia.

Eppure è proprio a motivo della loro esistenza che nessun Papa è mai potuto essere accusato formalmente di un delitto di eresia, e di conseguenza, stante quest’indubbia purità dottrinale, Papa Pio IX ha potuto imporre la sua santa e motivata convinzione a tutto un Concilio facendogli riconoscere e legiferare il celeberrimo, molto discusso, ma anche più che sacrosanto dogma dell’infallibilità pontificia.

Infatti è solo per la mancanza della terza e quarta nota che p. es. Papa Giovanni XXII non cadde nel delitto formale d’eresia, perché le sue del tutto false convinzioni, pur essendo state manifestate in pubbliche e reiterate omelie, proprio in virtù del mezzo usato, le omelie appunto, non avevano presentato i caratteri di universalità e di dogmaticità che le avrebbe incatenate nel peccato più efferato possibile a un Pastore.

Ciò vale anche per tutti quei Papi, pochi per la verità, di cui è documentato che come Giovanni XXII si spinsero a professare dottrine viete: Liberio, (che poi divenne e venne riconosciuto dalla Chiesa persino santo), Vigilio, Onorio I e Pasquale II, ma nessuno di costoro, avessero anche formulato nozioni che avessero potuto adempiere a tutte e tre le condizioni necessarie a che fossero inchiodate nella loro fattispecie di eresia, ne propalò mai almeno una rispettando tutte e quattro le note necessarie a incastrarla formalmente come delitto di pubblica eresia.
E così il dogma dell’infallibilità del magistero papale è salvo.

Ciò non vuol dire che Papa Bergoglio non sia riconosciuto autore di orrende e ingiustificate invenzioni para-teologiche che gridano vendetta a Dio per la loro inaudita violenza concettuale anti-cattolica, per la loro inusitata spericolatezza nel calpestare un articolo di fede dopo l’altro come farebbe una torma di inferociti cinghiali sguinzagliati tra i filari di una vigna: la forma è salva, ma materialmente il Sommo Pastore, tramutato così nel suo nemico più acerrimo, e sappiamo bene tutti di chi si sta parlando, un danno maggiore di certo non lo potrebbe fare.

4. SE PAPA FRANCESCO SIA L’UNICO PASTORE DELLA CHIESA
A MUOVERSI OGGI IN UNA LINEA PIÙ O MENO FORTEMENTE ERETICALE.
   
Detto ciò, vi è un terzo punto da considerare. Si rivelerà il più grave. Il fatto è che proprio ora si è parlato non solo di un cinghiale solitario, ma di una torma di cinghiali, perché Papa Francesco può distruggere e sta in effetti distruggendo con viva protervia e selvaggia violenza la vigna del Signore non solo perché lui siede dove siede, ma perché tutti i Pastori che lo attorniano, tutte le centinaia di cardinali e le migliaia di vescovi sparsi nel mondo e dalle cui fila lui stesso proviene sono, nella loro straripante maggioranza, dello stesso suo sangue, dello stesso suo pelo, dello stesso suo cuore, e oltre a ciò sono tutti indistintamente proni fino al midollo alle direttrici e alle idee-guida poste dal modernistico ed ereticale concilio Vaticano II, compresi quei cardinali e vescovi “biliturgici” che a parole paiono difendere gli ultimi baluardi del dogma e del suo Rito, ma che in realtà obbediscono solo a quel ben ricercato e ambiguo paradigma di “continuità dottrinale” esposto da Joseph Ra-tzinger quand’era Papa nel fin troppo celebre Discorso alla Curia Romana del 22-12-2005 e il cui escamotage non è altro che la “scoperta” del vecchio e trito refrain conciliare del « rinnovamento nella continuità ».
Però si faccia attenzione: a parte il fatto davvero bislacco per cui a dare le regole del gioco qui è il disobbediente e non l’obbediente, il modernista cioè e non il fedele, e con “modernista” ci si sta riferendo proprio a quel cattivo se pur esimio Autore di un testo fortemente eterodosso e da lui mai sconfessato, Introduzione al cristianesimo, Joseph Ratzinger appunto, a parte ciò, dicevo, si cita sempre questo famoso discorso, e pure osannandolo, perché nella sua semplicità parrebbe risolvere tutti i problemi, ma non si citano mai quelle altre righe che si trovano nella stessa allocuzione, in cui quel Papa ammette un fatto gravissimo, cioè tanto grave da tagliare alla radice tutta la potenza del primo: « [In quel Concilio] sono stati emanati dei testi ambigui per giungere ad una più grande maggioranza, ad un consenso maggiore ».

Il già Papa Benedetto XVI ammette qui l’esistenza di quella che mons. Francesco Spadafora avrebbe chiamato una “zeppa” da infilare sotto il portale del Vaticano II così da scardinare l’intero Concilio (e di conseguenza la Chiesa che ne ha seguito gli assunti): l’ambiguità è la dolosa scappatoia, o meglio la machiavellica astuzia, per realizzare il falso ideologico su cui è stato impiantato il Vaticano II e gli anni a seguire; essa è il  – diciamolo pure – truffaldino escamotage che chi scrive denuncia da decenni, raccomandato dal cardinale Suenens all’accorto orecchio del “Papa buono”, di Giovanni XXIII, che lo mise subito in atto: non utilizzare mai il grado dogmatico di magistero, ma sempre e solo il grado detto pastorale, così da non essere costretti in un insegnamento infallibile (sia straordinario e definitorio che ordinario e definitivo), che natura sua deve essere perfettamente vero e sicuro oltre che perfettamente indefettibile.

Utilizzando invece solo il grado pastorale, la Chiesa, e qui si intende la Chiesa modernista e antidogmatica salita sul Trono più alto appunto con Papa Roncalli, si può permettere: primo, di esprimersi nella doppiezza che si è detta; secondo, di non dire poi tutta la verità, ma solo quella che interessa mettere in luce, tralasciando precisazioni e specifiche anche decisive; terzo, di affermare infine, come già accennato e in altre sedi ben documentato, veri e propri errori dottrinali in fide et moribus, vedi i lavori sul Concilio dei prof. Romano Amerio e Roberto de Mattei, di mons. prof. Brunero Gherardini, di S. E. mons. Marcel Lefebvre e di mons. prof. Francesco Spadafora, per dire dei più insigni.

Benedetto XVI dunque si rende conto, sa, e non è l’unica volta che raddoppia la sua posizione enunciando in una prima indicazione quel che annulla poi nella seconda, come si vedrà a proposito di liturgia.
Ma nostro Signore proibisce l’ambiguità: « Il vostro parlare sia sì sì no no. Tutto il resto viene dal Maligno » (Mt 5,37), e dal Maligno, disobbedendo all’ordine divino, in quel « tutto il resto » si deve intendere che viene anche il voler « giungere ad una più larga maggioranza », perché la verità non cerca la maggioranza, mai, v. la scelta tra Gesù e Barabba, e, non bastasse, la maledizione paolina, cioè divina: « Se anche noi stessi, o un Angelo del Cielo, venisse ad annunciarvi un Vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato noi stessi, sia anatema » (Gal 1,8).

Dunque per la Chiesa vale il principio per il quale la Parola divina è sempre e in ogni caso da più di qualsiasi parlante umano che la proferisce, fosse anche l’esito della ricerca di una maggioranza cui comunque la verità non può piegarsi nell’ambiguità o altro, e infatti quella indicata da Papa Ratzinger è una pista falsa, perché la verità la disse bene padre E. Schillebeekx op., v. il mio Il domani del dogma (Aurea Domus, Milano 2013, p. 140): « Nous l’exprimons d’une façon diplomatique, mais après le Concile nous tirerons les conclusions implicites »: le conclusioni implicite, una volta approvato dal Concilio l’aspetto cattolico del testo, saranno quelle che ne emergeranno leggendolo con gli occhiali modernisti.

Ma oltre all’ambiguità, come si è detto, i testi conciliari sono pieni di errori dottrinali gravi, tutti voluti, tutti ben calibrati, tutti ben studiati per i nuovi orizzonti ideologicamente ecumenici prefissati dai molto riveriti chierici modernisti della Nouvelle Théologie: sulla regalità di Cristo e conseguente diritto pubblico della Chiesa come da Immortale Dei, in primis, ripudiati per favorire una libertà religiosa ereticamente inclusivista, sul rapporto con le altre nozioni religiose come formulato da Nostra Ætate, e persino sulla sacra liturgia, tutti spostati in un’ottica modernista e tutti approvati dalla maggioranza plebiscitaria dei Pastori, nessuno dei quali, salvo quei due che ora si vedranno, si rifiutò, o, recedendo da decisioni precedenti, tuttora si rifiuta di sottoscriverli.

Tutti indistintamente i cardinali, i vescovi e i superiori della Chiesa sono decisamente convinti della bontà intrinseca degli insegnamenti dottrinali scaturiti dal Vaticano II e tutti indistintamente hanno altrettanto erroneamente approvato e sottoscritto la bontà del conseguente Novus Ordo Missæ.
Gli unici vescovi che, in cinquant’anni e in tutta la compagine ecclesiastica, si sono rifiutati di concordare sia sull’uno che sull’altro per la loro intrinseca, gravissima e tutta modernistica ereticità, pur se esposta a un livello di magistero che ne permette la truffaldina sopravvivenza invece di impedirglielo, furono a loro tempo i vescovi Marcel Lefebvre e Antonio de Castro Mayer e poi a seguire, a tutt’oggi, tre dei vescovi da loro consacrati.

E questo è il punto. Qui ci stiamo cominciando ad avvicinare al cuore del problema posto dall’ereticità di un Papa nella Chiesa d’oggi.
E il cuore del problema, come si vedrà, travalica di gran lunga quello che si crede di aver centrato. Ma, riconosciutolo, sarà facile aggiustare il tiro, mirare, assestare il colpo: il Dogma vince, questo è sicuro.
Ma bisogna prima riconoscere il bersaglio. E ora lo facciamo.

Perché di certo cinque delle sette asserzioni di Papa Francesco segnalate dalla Lettera e qui analizzate sono chiaramente eresie, in senso tecnico, cioè formale, ossia sono chiaramente enunciazioni che contrastano decisamente col dogma cattolico, sono quelle che, come sopra visto, vanno senz’altro definite “dottrine che contraddicono direttamente una verità rivelata e come tale proposta dalla Chiesa ai fedeli”, così come formalmente lo sono però anche alcune nozioni enunciate dal Vaticano II, pur se nessuna di queste, proprio come quelle di Papa Francesco, può essere identificata e catalogata come “eresia formale”, e ciò per via della mancanza di corrispondenza assoluta alle precise richieste del secondo punto visto, pur corrispondendo a quelle del primo.

Contrastando con l’insegnamento cattolico, sia quelle formulate dal Papa di oggi che quelle formulate dal Concilio di ieri sono veri e propri delitti, colpe, peccati, e gravi anche, di chi li elabora, li enuncia, li propala, li approva, e di certo esse fanno scandalo, rovinano la Chiesa, la distruggono, e questo è ciò che segnalano anche gli elaboratori e i firmatari della Lettera, ma essi lo fanno solo limitatamente al Papa di oggi, senza avvertirne l’infelice e malsana origine nel Concilio di ieri.

Ma esse, e qui torniamo a parlare, oltre che delle sette odierne, delle ben più gravi elaborazioni di ieri, ossia di cinquant’anni fa, suscitano poi anche un’altra conseguenza, che nessuno segnala, che nessuno ha mai segnalato, ma che è invece più grave ancora: esse muovono allo sdegno Dio Padre, e lo muovono allo sdegno sia per essere esse dottrine che nella loro falsificazione feriscono direttamente il Logos suo Figlio, sia e ancor più perché portano a compiere verso di Lui, il Santo, il Sommo, il Terribile su tutti i Re della terra, una liturgia che, pur pienamente legittima e valida, è del tutto inadeguata, non congrua come le è rigorosamente richiesto, alla sua Maestà, come si vedrà fra poco, al terzo punto del riassunto della situazione proposto qui sotto.

E vorrei calcare sul fatto che quello di compiere una liturgia inadeguata verso Dio Padre non è un fatto secondario, accidentale, come il lumino che è stato spostato in una cappella laterale per segnalare la presenza nelle cattedrali dell’Altissimo e Vivente, ma, come questa, è il centro cardine della religione, è il momento che la fa. E ho detto tutto.

5. UNA “REDENZIONE DOLCE”, SVUOTATA DEL SUO MOMENTO SACRIFICALE.
QUESTO È L’ERETICO OBIETTIVO DI TUTTI I PAPI DELLA CHIESA
DAL CONCILIO VATICANO II A OGGI. QUESTO, E NON ALTRO.
   
Sviluppiamo qui in quattro punti quanto esposto al § 4 appena visto:
           
- primo: è da cinquant’anni che i Papi abbracciano con convinzione ed esprimono  anche gravi e inaccettabili eresie, dal Vaticano II a oggi, di cui la più eclatante, oltre a tutte le altre, esposta prima dal non affatto santo ma prossimo all’eresia Papa Paolo VI in Nostra Aetate, poi dal non affatto santo ma prossimo all’eresia Papa Giovanni Paolo II nei convegni di Assisi e in Marocco nel 1995, poi ancora dal non affatto santo ma prossimo all’eresia Papa Benedetto XVI in Vaticano nel 2006, infine oggi dal certo non santo ma più scatenato di tutti Papa Francesco, è che i cattolici adorerebbero lo stesso Dio adorato da ebrei e islamici, nozione decisamente ereticale che, nella moltiplicazione e nella promiscuità dei Numi, ha portato agli sciagurati convegni di Assisi e che si deve considerare quasi la “nozione madre” della Settima eresia esposta nella Lettera, dove Papa Francesco asserisce che « Dio non solo permette, ma vuole positivamente il pluralismo e la diversità delle religioni, tanto cristiane quanto non cristiane ».
Con queste nozioni che pareggiano quello che dovrebbe risultare per tutti uno iato abissale, incolmabile, tra l’unicum cristiano e la molteplicità delle nozioni religiose in giro per il mondo – e ripeto: nozioni, nient’altro che nozioni, cioè solo fantasie, invenzioni, che di reale non hanno nulla, e non possono quindi chiamarsi religioni perché non “legano” l’uomo ad alcun Dio –, la “Redenzione dolce” smussa e appiana la differenza tra verità del reale e falsità ideologica, primo gradino necessario al continuum teilhardesco elaborato ancora nel 1968 dall’ereticaleggiante prof. Ratzinger nel suo egualmente ed estremamente ereticaleggiante Introduzione al cristianesimo, v., di chi scrive, Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo, Aurea Domus, Milano 2017;   

- secondo: va ricordato che il pur ereticante e scandaloso Papa Francesco è stato ben eletto da qualcuno, ossia da una forte mag-gioranza di cardinali riuniti in conclave nel 2013, ed è tuttora in formidabile compagnia di personalità ereticali come lui, e questo va detto per chiarirsi bene che la situazione drammatica odierna della Chiesa non ricade unicamente sulle spalle di un solo Pastore, se pur il sommo, ma, fatti salvi i due vescovi di cui sopra, della totalità della Chiesa stessa, che a questo è arrivata perché è da cinquant’anni che sta navigando volutamente, appositamente, studiatamente, con machiavellico e tortuoso disegno, ovvero con un falso ideologico e una spudorata contraffazione del diritto divino, in acque putride ben sapendo che sono putride, come chi scrive denuncia da almeno un decennio in ogni suo libro e scritto anche se nessun Pastore ha mai raccolto pubblicamente la cosa, condividendo o confutando la sua denuncia, pur chiarissima, neanche i Pastori considerati ancor oggi i più osservanti, quali i cardinali Brandmüller, Burke, Müller, Sarah, i defunti Caffarra e Meisner, il vescovo Schneider, lo stesso cardinale Ratzinger, che a furor di popolo si pretende di mettere tra i Pastori più osservanti, ma che chi scrive dimostra essere invece fin dal 1967 il più decisivo e profondo teorico della nuova dottrina della Redenzione, la “Redenzione dolce”, dunque il più illustre e tenace modernista vivente.
Anche quando poi Papa Ratzinger pubblicò la Spe salvi, che con i suoi nn. 45-6-7, come rilevo nei miei scritti, abolisce Inferno e Purgatorio e tramuta il Paradiso in un luogo senza corpi, nessuno ha mai detto niente, pur sapendo che un’eresia, se formulata in una Lettera Enciclica papale, è certamente più manifesta, istituzionale e formale di tutte quelle di cui viene accusato ora Papa Francesco, queste essendo espresse tutte e sempre comunque in forma privata (anche l’Amoris Laetitia è una semplice Esortazione apostolica, sicché non ha veste magisteriale).
Resta che anche Spe salvi non è in se stessa una manifestazione di eresia papale formale, e sono il primo a dirlo, giacché, pur se i concetti espressi sono reiterati (sono gli stessi enunciati nel già citato libro scritto dal prof. Ratzinger nel 1968, Introduzione al cristianesimo) e naturalmente sono pubblici e universali, gli errori ivi espressi non sono rivestiti però dalla pienezza ultima, o entelechia, propria di un’enunciazione papale, per un Papa riscontrabile solo in una straordinaria locutio ex cathedra. Su quattro note, anche qui manca la quarta, quindi niente da fare.
Però questo vale per far rilevare a tutti quanto la situazione di ereticità della Chiesa odierna, tutta “vaticansecondista”, vada riconosciuta in una vastità che va ben oltre la singolarità di una persona e di un momento: è l’ereticità di pressoché tutta la Chiesa, sviluppatasi continuativamente nei suoi ultimi cinquant’anni.

-     Terzo: per non parlare delle ancor più gravi “eresie liturgiche”, ossia delle ereticali nozioni simil-protestanti su cui cinquant’anni fa sono stati appoggiati i nuovi atti liturgici, eresie diffuse in tutto il mondo attraverso il Novus Ordo Missae, e nozioni che a mio avviso gridano vendetta a Dio, ma, anche qui: chi mai ha sollevato il problema opponendovi tutta la più cattolica forza?
<>Non lo sollevarono nemmeno i pur molto encomiabili cardinali Bacci e Ottaviani, che dovettero riconoscere che malgrado tutto esso delinea un Rito sia liturgicamente valido che giuridicamente legittimo, ma non misero in rilievo che, malgrado ciò, esso presenta almeno due problemi ereticali enormi, entrambi irrisolti: il primo è il mancato inginocchiamento del celebrante appena dopo le parole della Consacrazione e prima dell’ostensione delle sacre Specie all’assemblea, come se la transustanziazione del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo avvenga solo dopo la loro ostensione all’assemblea e sia dunque l’assemblea, e non le parole sacerdotali, a realizzarla e a conferire al celebrante il motivo di adorare subito, in esse, Dio, il che è per l’appunto eretico; il secondo con la soppressione del “placatus” nell’Hancigitur.
<>Ripeto: a mio avviso sono entrambi due gravi errori, ed entrambi irrisolti, ma ritengo in specie gravissima la soppressione del “placatus”, perché essa sottrae alla Messa il suo carattere essenzialmente sacrificale, già annientato da decine di cambiamenti delle rubriche e dalla stolida definizione di Messa che si riscontra nel Breviario: « Gloria a te, Signore, per la mensa del Corpo e del Sangue di Cristo », « Gloria a te, Signore, per la mensa della tua parola », e così di seguito, ma il Concilio di Trento pone il problema su un terzo piano, oltre a quelli visti di validità e legittimità, perché lo pone su quello della sua congruità, o adeguatezza a essere gradito da Colui per il quale è compiuto, Dio Padre santissimo: « Il santo Sinodo – enuncia infatti il dogma – insegna che questo sacrificio è veramente propiziatorio. … Placato infatti da questa offerta, il Signore, concedendo la grazia e il dono della penitenza, perdona i peccati e le colpe, anche le più gravi » (Dottrina e canoni sul sacrificio della Messa, Cap. 2, DenzSe qualcuno dirà che il sacrificio della Messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o una semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, o non un sacrificio propiziatorio, … e che non deve essere offerto … per i peccati, le pene, le soddisfazioni e altre necessità, sia anatema » (Ibidem, Can. 3, Denz1743), con simmetrico anatema: « 1753).Ma, come può rilevare ogni persona di buon senso (e Romano Amerio, essendo tra queste, è così che ne scrive in Iota unum, Epilogo, §§ 30-1), per negare qualcosa non è necessario che si affermi positive la sua negazione, ma basta che di quella tal cosa comunque non se ne parli, che non la si rilevi, che non se ne accenni in alcun modo: che ci si passi sopra come non ci fosse.
<>
<>Sicché, per stare al Novus Ordo e all’anatema che colpisce « chi dirà che il sacrificio della Messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento… », come visto, per i modernisti è stato sufficiente che non si faccia menzione alcuna della necessità che essa rivesta anche il carattere di « sacrificio propiziatorio … offerto … per i peccati, le pene, le soddisfazioni », così da renderla perfettamente coerente alla nuova natura di “Redenzione dolce” impressa alla dot-trina dalla Nouvelle Théologie di Rahner, Ratzinger eccetera: soppresso il “placatus” dell’Hanc igitur, è soppresso il carattere propiziatorio del sacrificio. È così che, come suggerito dal modernista Bonaiuti, si vince Roma senza che Roma se ne accorga.
<>O faccia finta di non accorgersene.
<>Quelle sottese da queste scelte liturgiche sono evidenti eresie, se pur materiali, di cui qui si sono segnalati solo due esempi sommi, ma sono eresie, materiali o no, cui da cinquant’anni si sono piegati tutti i mille e mille vescovi e Pastori della Chiesa con incredibile inettitudine, tranne quei due e chi oggi li segue.
Qui, in questa liturgia depurata dal suo carattere drammaticamente e – come lamenta Papa Ratzinger – “crudelmente” sacrificale (!), si concentra e solidifica la pacificante “Redenzione dolce” affabulata da Giovanni XXIII, vagheggiata dal Concilio, massimamente teorizzata da Benedetto XVI, realizzata infine nelle sue dimensioni più ecumeniche da Giovanni Paolo II e nelle più individuali da Papa Francesco.

- quarto: c’è da mettere in conto infine, a chiudere definitivamente la porta a ogni speranza di ritorno veloce e senza traumi alla situazione in cui bene o male si trovava la Chiesa prima del Concilio, l’ultima considerazione, relativa all’insegnamento della filosofia, della teologia, e, a discendere, del catechismo a tutti i livelli, da dove ormai da tempo essa ha espulso dai propri piani di studio la sacra scienza metafisica e ogni orizzonte che possa prevedere e anzi proprio imperniarsi su di essa, giacché ormai in ogni ambito di studio essa ha accolto con decisione e da tempo l’impostazione opposta, quella dell’inquadramento storicistico, mosca cocchiera e supremo vanto della Nouvelle Théologie malgrado sia riconosciuta essere in realtà il suo massimo e più evidente contraltare, come si può ben constatare dagli scritti di Karl Rahner sj e più ancora dal già citato Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger, libro che, venduto in tutti i seminari del mondo per decenni in milioni di copie, offrì a tutti i chierici, vescovi e cardinali della Chiesa d’oggi la più larga e potente prospettiva per impostare storicisticamente ogni problematica teologica scalzando esplicitamente la metafisica a favore di una lettura teilhardiana, dando come risultato quella che possiamo senz’altro chiamare ben a ragione, come visto, “Redenzione dolce”, che ha il pregio di essere ben più conveniente e ben meno traumatica di quella insegnata dalla Chiesa fino al Vaticano II.
In Introduzione al cristianesimo il suo esimio Autore afferma che « l’ora della metafisica è ormai venuta a scadenza » (p. 59), come se possa morire la scienza, anzi la più alta delle scienze.
Ma è il piccolo Ratzinger che muore, semmai, cattolicamente parlando, e con lui moralmente muoiono tutti coloro che, come i vari Piero Coda, Rinaldo Fabris, José I. Gonzáles Ruiz, Antonio Staglianò eccetera, credono d’uccidere la metafisica solo perché è questa la loro molto cattiva e quindi non affatto intelligente volontà, e dunque a venire “a scadenza” è chi crede di dare impossibili e mortali scadenze a realtà immortali, non quelle realtà: i modernisti, come ogni altro eretico, non si rendono conto delle enormità che affermano, ma poi sono essi i primi a pagarne le conseguenze: non è la metafisica il carapace, il guscio vuoto andato in scadenza, ma chi ciò insegna.
La polpa del carapace infatti, dell’esoscheletro in cui si vorrebbe mutare la metafisica, per rimanere in metafora, non è una polpa qualsiasi, ma, se non lo si è ancora capito, è Dio. Dio.

6. LA “REDENZIONE DOLCE” HA FATTO DELLA CHIESA UN CARAPACE.
UN GUSCIO DI CATTEDRALI E DI POPOLI SEMPRE PIÙ SVUOTATI DI DIO.
E INCAPACI PERSINO DI REAGIRE ALLE PROVOCAZIONI DEL MONDO.
   
In sintesi, chi vede nell’occhio di Papa Francesco una trave, anzi sette travi, dovrebbe riconoscere piuttosto che, di fronte alle enormità di quelle che si trovano nell’occhio dei mille e mille Pastori della Chiesa d’oggi e con tutta probabilità anche nel proprio, quelle sette gran putrelle segnalate nel bulbo pontificale, al confronto, in realtà non sono che sette miserrimi moscerini.
“E con tutta probabilità anche nel proprio”, ho detto, perché, per essere rigorosi fino in fondo, è necessario che estensori e firmatari della Lettera, che ben a ragione si scandalizzano e ancor più ben a ragione denunciano gli errori dottrinali e pratici del Papa, compiendo così un salto di qualità auspicato e atteso da anni, siano pronti a rigettare oggi essi per primi, se non l’han già fatto, la fellonesca impostazione che si è rilevata riguardo al Vaticano II, come chi scrive documenta da decenni nei suoi libri, per non dire di quanto è denunciato dalle profonde, puntuali e cattolicissime analisi di personalità come Amerio, de Mattei, Gherardini, Lefebvre, Spadafora, sciagurata impostazione impiantata da Papi che quell’Assise hanno voluto, aperto e concluso e poi da coloro che fino a oggi l’hanno riconosciuta santa, idonea e impeccabile in ogni suo insegnamento quasi fosse dogmatica, dopo averla appositamente snaturata in una forma magisteriale certamente inadeguata, che però ha permesso loro una libertà d’espressione e di linguaggio che la forma dogmatica avrebbe invece di certo loro sbarrato.

E con ciò non credano, Papa Francesco e i Pastori che lo appoggiano, che quegli stessi cattolici osservanti che ne denunciano le malefatte dottrinali, “litigando tra loro” e rilevando che molti di essi risulterebbero essere eretici tanto quanto il Papa che accusano, abbiano loro tolto le castagne dal fuoco.
Al contrario, proprio la bianca veste che estensori e firmatari della Lettera son pronti oggi a indossare riconoscendo ogni devianza commessa e convertendosi alla più santa e pura dottrina, essi: gli estensori, i firmatari e poi tutti noi che conduciamo questa santa battaglia per far tornare il Dogma e le leggi di Dio a forma della Chiesa, si fanno qui nuovi e sani portatori dell’unica cosa da fare: prendano esempio, Vescovi e Papa, e lo prendano proprio da coloro che, al sommo della loro miserabile pienezza d’espressione, privata per i semplici fedeli, pastorale per religiosi, diocesani e monsignori, hanno rigettato qui tutte le ereticità, le ambiguità e le omissioni eventualmente abbracciate finora, insegnate dal non e anzi anti-dogmatico Vaticano II e presenti nel Novus Ordo Missæ, e ogni anche minima traccia poi di conciliarismo, la più scaltra e subdola delle eresie, mossa come parrebbe da un sacro e santissimo amore proprio per la purezza della Chiesa e dei suoi Pastori.

Noi miserrimi fedeli siamo più uniti che mai: tutti stringendoci, cattolici osservanti come professiamo d’essere, alla dottrina cattolica insegnata dogmaticamente nei secoli dalla Chiesa e alle verità connesse insegnate da tutti quei Papi che con animo semplice, cioè non doppio, ne hanno sviluppato la necessaria estensione negli ambiti più casuistici.
A questo punto, proprio per la potente svolta data da quella Lettera, tutto il problema del Papa eretico merita ora d’essere impostato più largamente di quanto lì fatto, perché solo a partire da un orizzonte come quello che qui si sta indicando si potrà giungere presto, chiaramente e correttamente all’unica soluzione atta a far tornare la Chiesa in se stessa, tutta una col dogma, tutta una sola cosa, quasi, col Logos.

Ora, se la Chiesa oggi è invece come le sue cattedrali: un carapace, un guscio vuoto, è perché non la riempie lo Spirito di Dio, non la riempiono i suoi fedeli, non la riempiono il dogma e le virtù che ne promanano, e se questo carapace non riesce neanche più a reagire almeno per istinto di sopravvivenza ai fendenti che gli danno da decenni, di continuo e sempre più duramente i suoi nemici, da fuori e da dentro, è perché i suoi Pastori restano ostinatamente stretti tutti a quel Rito che pur tanto sdegno solleva in Dio malgrado sia stato proprio uno di loro, e torniamo al cardinale Ratzinger, ad aver messo a nudo la nuova liturgia come non avevano fatto neanche i cardinali Bacci e Ottaviani.
« La riforma liturgica – era giunto infatti a scrivere l’esimio Porporato – nella sua realizzazione concreta, si è allontanata sempre di più da questa origine [della liturgia gregoriana]. Il risultato non è stato una rianimazione ma una devastazione. Da una parte si ha una liturgia degenerata in show, nella quale si tenta di rendere la religione interessante con l’aiuto della stupidità, della moda e di massime morali provocanti, con successi momentanei nel gruppo dei fabbricatori liturgici. Ciò che è accaduto dopo il Concilio significa tutt’altra cosa; al posto della liturgia, frutto di uno sviluppo continuo, è stata messa una liturgia fabbricata. Si è usciti dal processo vivente di crescita e di sviluppo per entrare nella fabbricazione. Non si è più voluto il divenire e la maturazione organica di Dio che vive attraverso i secoli e lo si è sostituito a mo’ della produzione tecnica, con una fabbricazione banale del momento » (J. RATZINGER, Prefazione a K. GAMBER, La réforme liturgi-que en question, ed. Sainte Madeleine, Le Barroux 1992).
Queste non sono parole. Sono sciabolate. Sono eccezionali e ammi-revoli sciabolate che dove calano non lasciano più niente.

Ma la domanda è: e allora, quando poi colui che calò quei fendenti, proprio lui, salì sul Trono da cui poteva troncare le detronizzazioni, bloccare le devastazioni, annientare le fabbricazioni banali del momento, sgominare per sempre i frutti della stupidità, delle mode e delle massime morali provocanti, così da arrestare finalmente il sempre più forte e motivato sdegno di Dio Padre verso i malfattori che sempre di meno gli rendevano il culto dovuto, perché mai non lo ha fatto?
Perché mai si è limitato a quell’insensato e fellonesco contorcimento, cui peraltro quasi tutti i vescovi e vescovucci del mondo hanno girato infastiditi le terga, che, chiamando Rito Straordinario l’Ordinario e Ordinario lo Straordinario, sovverte la verità e dà al culto unico e santo il nome del devastante e al devastante quello dell’unico e santo?
Perché mai ha lasciato che il Vetus Ordo, in realtà Perennis Ordo, restasse appeso al filo sottile e incerto di una volontà soggiacente ai più volubili capricci umani, invece di riconoscergli il diritto di essere celebrato come dovuto in qualsiasi tempo e luogo, come era fino al 1969?

Le finalità del Rito della Messa sono quattro: propiziatoria, latreutica, eucaristica, impetratoria. Perché mai ha lasciato che all’unico e vero Dio ogni giorno salissero quasi cinquecentomila Messe clamorosamente e peccaminosamente deprivate della prima delle finalità, probabilmente la più imprescindibile, per le quali il Cristo ha compiuto il suo Sacrificio e con quelle Messe ne ha istituito poi il vivo memoriale?
Temeva forse uno scisma, un sollevamento universale? E allora perché Dio Padre non ha temuto lo scisma universale che poi infatti si è avuto, e che scisma, con processo-farsa e crocifissione dell’Agnello, allorché, v. Mt 3,17, ha proclamato Gesù Cristo suo Figlio diletto?
Perché mai infine egli stesso non ha mai, e dico mai, neanche una volta, celebrato un solenne Pontificale Romanum nella Basilica maggiore di San Pietro, come avrebbe pur dovuto, né lo ha fatto almeno nella cappelluccia più dimessa e sperduta della Città del Vaticano, di cui è stato per ben otto anni il pur assoluto e sommo Sovrano?
Ecco cosa dico quando parlo di carapaci, di gusci vuoti, di spolpati esoscheletri che nemmeno reagiscono più, anestetizzati, quasi morti e sempre più insensibili da anni e decenni allo Spirito, alla Grazia, a Dio.

Il fatto è che, come si può vedere anche solo da queste poche righe, è evidente che la reazione ai cataclismatici soprusi realizzati cinquant’anni fa è su tutta la linea decisamente inadeguata, come se la Chiesa fosse sotto morfina, sedata da anestesisti endogeni, e bisogna dire che, se non fosse per il carattere marcatamente conciliarista delle sue conclusioni, la Lettera aperta ai Vescovi della Chiesa cattolica segnerebbe anche un giro di boa, perché evidenzia una grande acribia e nell’individuazione dei punti di problematicità sollevati dal Papa, e nella raccolta dei documenti che comprovano per ciascuno la corretta posizione del Magistero, così dando la misura dell’alto livello di coscienza dell’origine dottrinale della crisi morale che pervade la Chiesa. 

7. L’UNICA COSA DA FARE DAVANTI A UN PAPA “QUASI ERETICO”:
IMPLORARE QUEL PAPA DI ESPRIMERSI AL MASSIMO DELL’ENTELECHIA
PERMESSA A UN SUO PRONUNCIAMENTO: LA LOCUTIO EX CATHEDRA.
È L’ORDALIA, IL GIUDIZIO DI DIO SULL’ERETICITÀ DI UNA DOTTRINA.
   
Ma la via d’uscita a una situazione della Chiesa come questa, che più drammatica non potrebbe essere, la via d’uscita c’è, ed è una sola: sia bandita ogni tentazione “conciliarista”, ogni tentazione di prevaricare, magari anche con i più apparentemente innocenti sotterfugi giuridici, un Trono che provvidenzialmente è e resta nei secoli imprevaricabile, e ci si ponga sulla via aperta da san Paolo – cioè da Dio attraverso san Paolo – e straordinariamente illuminata da Papa Pio IX – cioè sempre da Dio, ma stavolta attraverso Papa Pio IX, e più avanti se ne capirà il perché –, via che tornerà a garantire la stabilità della verità nella sua Chiesa, e proprio a partire dal Trono più alto, come dev’essere.
E allora, qual è questa via? Come si chiama questa strada benedetta che tanto bene si appoggia su Sacre Scritture e Tradizione?
Si chiama Ordalia. Essa nasce proprio dai quattro requisiti sopra visti che delimitano le definizioni di eresia nella sua manifestazione esterna: tutti noi fedeli osservanti, uniti agli estensori e ai firmatari della Lettera, dobbiamo farci latori di una pressante richiesta ai Pastori più sicuri della più solida ortodossia, posto che ancora qualcuno ve ne sia, risvegliato dal suo sonno dall’agitazione della stessa Tragedia in cui vive, di pregare pubblicamente e con grandi penitenze il Santo Padre di prendere finalmente la decisone che mette in gioco pienamente e apertamente il suo Munus Clavium e si esprima così, finalmente, in una santa, doverosa e ormai decisamente improcrastinabile locutio ex cathedra.

Vediamo bene la cosa. Dobbiamo chiarire i due aspetti sotto cui si pone. In primo luogo dobbiamo capire in cosa consista l’Ordalia. In secondo dobbiamo vedere come attuarla nella precisa fattispecie odierna.
Si è già visto che le quattro ‘condizioni d’infallibilità’ escludono che i Papi possano essere autori di un delitto d’eresia formale, pur se alcuni vi si sono accostati pericolosamente. Queste quattro condizioni danno la dovuta giustificazione filosofica e teologica al dogma dell’infallibilità pontificia, che garantisce la Chiesa che mai, mai e poi mai un Papa può incorrere in un flagrante delitto di eresia, e si intende di ‘eresia formale’.
Per questo motivo è chiaro che dunque cadono tutte le varie opzioni relative alla casuistica che vorrebbe far fronte alla realtà di un Papa eretico, perché, non realizzandosi la cosa, il problema non si pone:
   
1), non si pone il problema se sia o no possibile ammonire un Papa;
2), né se sia o non sia possibile deporlo;
3), né se, con le sue espressioni, un Papa si auto-deponga o non si auto-deponga “in automatico”, ovvero per via delle sue stesse enun-ciazioni, latæ sententiæ.
In altre parole, come si vede, se ben utilizzate, le quattro ‘condizioni d’infallibilità’ mettono al riparo tutti i sottoposti, tutti i sudditi, da ogni tentazione di conciliarismo, patente o latente che sia, nella loro santa opera di correzione del loro Superiore, il Papa felicemente regnante. 

Perché il punto critico che farebbe scattare uno qualsiasi di questi tre terribili e quasi apocalittici atti non è stato e non sarà mai raggiunto.
Ai Pastori della Chiesa non si porrà mai il problema – viceversa molto sentito nella Lettera – di cosa fare davanti a un Papa eretico, neanche come ipotesi di scuola, perché il dogma dell’infallibilità papale esclude in senso assoluto che un Papa possa cadere in un’eresia formale (ciò potrebbe avvenire se il Papa non fosse vero Papa, almeno formalmente, ma ciò è impossibile, perché si dovrebbero dimostrare invalidità e illegittimità di elezione, il che, se essa non è stata impugnata all’indomani del conclave responsabile, è improponibile), e la quarta condizione d’infallibilità si pone a strategica barriera di garanzia della cosa sia sul terreno teoretico che sul piano storico-pratico.

Ecco perché i Papi degli ultimi cinquant’anni, e ora l’attuale, hanno voluto e vogliono tutt’ora utilizzare sempre e solo il grado “pastorale” di enunciazione magisteriale invece del dogmatico anche allorché sarebbe stato o sarebbe doveroso l’uso di quest’ultimo: ciò permetteva, permette e sempre permetterà loro, che non sentono alitare sulle loro sacre mozzette il fiato vivo della Giustizia divina, che pur gli imporrebbe di legiferare sempre e comunque secondo il dogma, anche allorché non è impegnato direttamente, permetteva, permette e sempre permetterà, dicevo, di dribblare la quarta e decisiva condizione.
Ma così comportandosi, tutti questi Papi, dal 1962 a oggi, hanno tentato e tentano Dio perché, facendo passare per dogmatici e dunque per assolutamente veridici anche insegnamenti, nozioni e dottrine che viceversa possono non esserlo affatto, rigettano su Dio una responsabilità, un onere, una causalità che Dio non ha affatto e a cui, anzi, la natura di Dio è essenzialmente, intimamente, cioè proprio per sese repellente.
Non so se qualche Pastore si rende conto dell’efferatezza compiuta verso lo Spirito Santo. Dalle recenti canonizzazioni di Papi, da nessun Pastore rigettate come pur sarebbe stato doveroso, direi proprio di no.

Con il macroscopico e ben articolato sotterfugio di utilizzare il livello pastorale di magistero invece del dogmatico, la Chiesa modernista si sta comportando come Anania e Saffira con san Pietro nel celebre episodio di At 5,1-10: i due, infatti, avevano fatto passare l’offerta che avevano deciso di fare alla Chiesa come se fosse tutto il provento della vendita del loro campo mentre lo era solo in parte. E così oggi: il grado pastorale non copre tutta la garanzia di veridicità e certezza di insegnamento coperta dal grado dogmatico, ma solo una parte. Sicché per l’uno e per l’altro falso ideologico vale il tremendo giudizio dato da Pietro ad Anania: « Tu non hai mentito [solo] agli uomini, ma a Dio » (At 5,4).
Si rendono conto, i vescovi e tutti i chierici d’oggi, della gravità della cosa? Sono coscienti o non sono coscienti che le menzogne fatte a Dio sul piano del Munus docendi dalla Chiesa modernista del Vaticano II e di oggi sono in tutto analoghe alla menzogna fatta a Dio sul piano del Munus sanctificandi da Anania e Saffira, e che fino a quando ciascuno di loro non rigetterà gli insegnamenti distorti del Vaticano II e non riconoscerà l’estrema inadeguatezza del Novus Ordo Missæ, ciascuno di essi sarà correo dello stesso misfatto nei confronti di Dio?  

I Papi dribblano la quarta e decisiva condizione, dicevo, e in tal modo credono di sottrarsi al loro dovere morale di avvicinarsi sempre il più possibile, per quanto cioè lo permettano le situazioni e le discipline cui debbono appoggiarsi, alla più rigorosa e obbediente esattezza e completezza veritativa anche in tutti quegli insegnamenti che, per intrinseche necessità di aggiornamenti gnoseologici, debbono confrontarsi con dati scientifici, storici o altro, quali gli effetti teologici dei fatti dogmatici, le canonizzazioni stabilite in osservanza alle norme canoniche, la legislazione liturgica e disciplinare, l’approvazione di ordini e congregazioni religiose, e, per tali commistioni con verità passeggere, non possono essere direttamente dogmatici, cioè di valore eternale.
Questi Pastori che tentano Dio peccano dunque, con questo atto di subdola, non dichiarata ribellione, come fosse sottotraccia, in peccati di omissione e di falsità, ma, loro e tutti i Pastori che pur osservandoli non li disobbediscono, renderanno certo conto a Dio di questa loro condotta altamente immorale che svuota la Chiesa e i suoi insegnamenti della verità del Logos.


8. ECCO COME DOVREBBE MUOVERSI LA CHIESA PER COMPIERE L’ORDALIA
SULLE SETTE ERESIE PAPALI DENUNCIATE NELLA LETTERA AI VESCOVI.

PRIMO PASSO: I VESCOVI, SULLE ORME DI SAN PAOLO, AIUTANO IL PAPA
A PRENDERE COSCIENZA DELLA CATTIVA STRADA CHE STA PERCORRENDO. 
       
Vediamo il primo aspetto dell’Ordalia. Si diceva che il riferimento scritturale cui è bene ispirarsi è dato dal confronto tra san Paolo e san Pietro nel celebre episodio di Antiochia citato dall’Apostolo in Gal 2,11-4.
Cosa fa quel grande? Quel grande, san Paolo appunto, cioè, in quel caso, il sottoposto, rivolgendosi a san Pietro, suo Superiore, fa solo una domanda.
E fa solo una domanda, a Pietro, perché Pietro non solo è un generico suo Superiore, ma per diritto divino è il Superiore di tutti i regni della terra.
E solo una domanda devono cominciare a fare i vescovi al Papa, formulata precisamente sul calco di quella dell’Apostolo: « Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere come i Giudei? » (Gal 2,14).

E qui l’interrogativo che dobbiamo farci è: come mai il sottoposto san Paolo fa questa domanda a quel tanto particolare suo Superiore?
Gliela fa per riportare quello specialissimo Superiore in sé, alla presenza della sua coscienza, la quale coscienza, se fosse stata ascoltata, gli avrebbe ricordato con esattezza quegli insegnamenti del Signore che invece, per amore del quieto vivere, della placidità, e, diremmo oggi, dell’inclusione, egli aveva voluto “dimenticare”, contagiato dalla stessa anche mortale malattia da cui si lasceranno ammorbare prima il “Papa buono”, poi il professor Ratzinger, ora Papa Francesco.

Con ciò si dimostra che: 1), lo Spirito aleggia dove vuole, come ricorda Gv 3,8, qui però abbandonando il Superiore e andando ad albergare nell’inferiore; 2), ma anche satana soffia dove gli è permesso dal Signore, v. Gb 1,13; 2,6, facendosi spazio nel Superore che per propria convenienza aveva chiuso il proprio cuore a Dio, anteponendo il timore del prossimo al timore di Dio, cioè peccando di placidità.

Di placidità?! Ma come, si può peccare di placidità? Certo: come ricorda il profeta Ezechiele, che Romano Amerio annota diligentemente nell’Aforisma 427 del suo Zibaldone proprio a proposito di Papa Roncalli, si può peccare di placidità: « Il postulatore della causa di beatificazione di Giovanni XXIII dice che “il principio del Papa era di ‘non dispiacere a nessuno’. Ma questa è la massima di quella gente che è biasimata. Ez 13,18: “Guai a coloro che fanno cuscini per ogni gomito e guanciali per ogni testa”. Il proposito di piacere a tutti implica la persuasione erronea che non ci siano uomini malvagi né parti malvagie in uomini buoni ».
E il bisogno di piacere implica per terzo, specialmente, di sottomettere il timore di Dio a quello degli uomini, che si blandiscono e si accattivano mostrando loro una bonomia che rifugge in tutti i modi dall’offenderli, così da non provocare in loro ritorsioni o vendette, a costo di non mettere in alcun conto le leggi di Dio, con le quali soltanto, viceversa, si dovrebbe voler stare sempre in pace, anche a costo di inimicarsi gli uomini, come rileva il mistico san Giovanni d’Avila commentando gli atroci patimenti subiti da san Paolo e da questi esposti in II Cor 4,8-11: « Non solo [l’Apostolo] non mormora e non si lamenta di Dio – nota il mistico spagnolo –, come fanno i deboli; non solo non si contrista come coloro che amano la gloria e i piaceri, né domanda a Dio di esserne liberato, come fanno gli insipienti che rifuggono dalle sofferenze, … ma benedice Dio proprio quand’è in mezzo alle pene ». Altro che bonomia e placidità.
Chissà che idea si saranno mai fatta, i vari Papi Roncalli, Ratzinger e Bergoglio, e a seguire, poi, tutti quei chierici e fedeli che ne sono rimasti avvinti, di questo terribile passo delle Sacre Scritture (Ap 19,11-6):
Io, Giovanni, vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco, e colui che lo cavalcava si chiamava “Fedele e Verace”: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio. Gli eserciti del cielo lo seguono su cavalli bianchi, vestiti di lino bianco e puro. Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti. Egli le governerà con scettro di ferro e pigerà nel tino il vino dell'ira furiosa del Dio onnipotente.
   
« Dalla bocca gli esce una spada affilata », dice, perché quando il Verbo parla è la giustizia che parla, ed è la giustizia che divide le genti.
Una giustizia affilata, quella divina, e che non risparmia nessuno.

Dunque san Paolo riporta san Pietro in sé, lo riporta a Gesù Cristo, al Testimone Fedele e Verace che con il coltello affilato della verità divide chi è con lui da chi non lo è: nel caso della disputa di Antiochia, di là i circoncisi nella carne, di qua i circoncisi nello Spirito.
Provvidenzialmente però, la domanda fatta a bruciapelo dall’inferiore al Superiore di tutti i Superiori, che è uomo di animo onesto e al fondo fedele a quel Gesù cui aveva per tre volte giurato fedeltà invitta, riporta il primo Papa alla realtà, a quella chiarezza cioè il cui soprannaturale splendore non sempre si ha presente quando si sta in mezzo alle realtà pratiche e quotidiane.
Allo stesso modo, sulle orme di san Paolo, come primo passo obbligato per compiere con Papa Francesco quell’atto di correctio filialis compiuto ad Antiochia dall’Apostolo, si potrebbe formulare la cosa così:

I. « Se tu, che sei Cattolico, ritieni e insegni che “Una persona giustificata non ha la forza di osservare – con l'aiuto della grazia di Dio – i comandamenti oggettivi della legge divina, come se alcuni dei comandamenti di Dio fossero impossibili ad obbedirsi da parte della persona giustificata; o come se la grazia divina, quando genera la giustificazione in un individuo, non provocasse invariabilmente e per la sua stessa natura la conversione da tutti i peccati gravi, o non fosse sufficiente per convertirsi da tutti i peccati gravi”, cioè ritieni e insegni che è impossibile, anche a chi è in grazia di Dio, non trasgredire le sue leggi, come puoi convincere i pagani a vivere come i Cattolici, che loro malgrado paiono quasi costretti a vivere come i pagani? »;
   
II. « Se tu, che sei Cattolico, ritieni e insegni che “Un fedele cristiano può possedere la piena conoscenza di una legge divina e decidere di sua spontanea volontà di trasgredirla in materie gravi, e ciononostante non trovarsi in stato di peccato mortale come conseguenza di tale azione”, cioè ritieni e insegni che un Cattolico, per salvarsi, se ha la fede può peccare quanto vuole, come potrai mai convincere i pagani a vivere come i Cattolici, che alla fin fine vivono come i pagani? »;

III. « Se tu, che sei Cattolico, ritieni e insegni che “Una persona che osserva una divina proibizione può peccare contro Dio per via di quello stesso atto di obbedienza”, cioè ritieni e insegni che la legge di Dio è contraddittoria, come puoi aspettarti che i Cattolici, liberati dalle contraddizioni, non vivano come i pagani? »;
   
IV. « Se tu, che sei Cattolico, ritieni e insegni che “La coscienza può giudicare con verità e giustizia che i rapporti sessuali tra persone che hanno contratto un matrimonio civile – nonostante una delle due sia sposata sacramentalmente con un’altra persona o tutt’e due lo siano – possano talvolta essere moralmente giusti, o richiesti o persino comandati da Dio”, cioè ritieni e insegni che ciascun uomo è legge a se stesso, come puoi aspettarti che i Cattolici poi non vivano come i pagani, tanto è uguale? »;
   
V. « Se tu, che sei Cattolico, ritieni e insegni che “È falso che gli unici rapporti sessuali buoni nel loro genere e moralmente leciti siano quelli tra marito e moglie”, cioè ritieni e insegni che gli atti sessuali non sono buoni o cattivi per il motivo di chi, di come e a qual fine si compiono, come puoi aspettarti che i Cattolici non vivano e non si comportino come i pagani, comodamente “legge a se stessi”? »;

VI. « Se tu, che sei Cattolico, ritieni e insegni che “I principi morali e le verità morali contenuti nella divina rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni di carattere negativo che proibiscano in modo assoluto certi tipi di atti, in quanto sempre gravemente illegittimi per via del loro oggetto”, cioè ritieni e insegni che legge naturale e Rivelazione non proibiscono davvero e in assoluto alcuni comportamenti sessuali, come puoi aspettarti che i Cattolici poi non vivano come i pagani? »;
   
VII. « Se tu, che sei Cattolico, ritieni e insegni che “Dio non solo permette, ma vuole positivamente il pluralismo e la diversità delle religioni, tanto cristiane quanto non cristiane”, cioè ritieni e insegni che non esiste solo una religione, la religione cattolica rivelata da Dio Trinità per opera di Gesù Cristo, come puoi aspettarti che i Cattolici poi non abbiano gli stessi idoli dei pagani, tanto è uguale? ».
   
Cioè, in sintesi: « Se tu, che sei Cattolico, ritieni e insegni che ogni uomo è legge a se stesso, come puoi aspettarti che esista ancora una religione, una legge, una morale, magari anche un Dio? ». Che nemmeno Nietzsche.

Fatto questo passo preliminare, i vescovi potranno anche passare al successivo, che è il cuore dell’Ordalia: il cuore del “Giudizio di Dio”.

    
9. SECONDO PASSO: I VESCOVI IMPLORANO IL PAPA DI ENUNCIARE
UNA QUALSIASI O ANCHE TUTTE LE PROPOSIZIONI IN OGGETTO
AL MASSIMO DELL’ENTELECHIA O PIENEZZA DI ENUNCIAZIONE PERMESSAGLI:
IN UN’INFALLIBILE E INDEFETTIBILE LOCUTIO EX CATHEDRA.

L’Ordalia, come si sa, è un “Giudizio di Dio” su cause che il giudizio degli uomini non sa risolvere, e tale è il caso dei Papi “quasi eretici”.
Come ottenere il “Giudizio di Dio”, nel nostro caso? Avendo i vescovi posto Papa Francesco, sull’esempio di san Paolo, davanti alla più chiara realtà dei sette punti di caduta compiuti, lo si ottiene implorandolo ora in tutta umiltà di compiere un atto che implichi di certo, ossia come realtà riconosciuta de fide, l’intervento di Dio: l’infallibilità di una dottrina è garantita per via che quella dottrina non origina dagli uomini, ma da Dio, come visto nella Cost. dogm. Pastor Æternus (v. § 3).
Con tale supplica si concreterà la funzione del primo dei due nomi della presente proposta “Piano-Paolina”, giacché con Papa Pio IX, che dà corpo all’infallibilità pontificia, si realizza il secondo atto della Ordalia, o “Giudizio di Dio”. E si noti che anche con tale secondo moto è escluso ogni minimo atto che non sia degno e più che degno del Trono più alto, ed escluso sul nascere qualsiasi atto che possa suonare a sua offesa, mancanza di rispetto, esuberando invece di amore filiale.

Detto ciò, si può capire che alle umilissime implorazioni dei sottoposti il Superiore può replicare solo in due modi, e a loro volta questi due modi possono essere risolti ciascuno secondo due possibilità, sicché in conclusione ci si apre davanti un ventaglio di quattro possibilità:
-    1a), il Papa accoglie benevolmente le preghiere dei sottoposti ed enuncia ex cathedra una, o più, o tutte le sue sette affermazioni in oggetto;
-    2a), il Papa accoglie benevolmente le preghiere dei sottoposti ed enuncia ex cathedra il rigetto assoluto di tutte le sue sette affermazioni in oggetto;
-    1b-2b), il Papa non accoglie le implorazioni dei sottoposti, dando luogo a due interpretazioni del suo rifiuto, il quale rifiuto con ogni probabilità non sarà seguito da alcuna giustificazione ufficiale. Queste due ipotesi interpretative si vedranno più avanti.

Dunque, a partire dalla prima risposta papale, potrebbe succedere che il Papa voglia benevolmente soddisfare la prima e più positiva aspettativa dei vescovi, e con ciò quindi degli estensori e firmatari di questa nostra, chiamiamola così, Seconda Lettera “Piano-Paolina”, dal nome dei due sommi nostri Suggeritori.

In questo caso il Papa non si fa scrupolo di accogliere le ferventi preghiere dei vescovi che in tal senso lo implorano, e si appresterà a formulare uno qualsiasi dei suoi insegnamenti, o magari tutti, nella forma più straordinaria, alta e solenne possibile a un Papa, che è la forma della locutio ex cathedra.
In tal caso, immediatamente, universalmente e direttamente la Chiesa si dovrebbe prostrare con profonda e perfetta obœdientia de fide al sommo e vincolante comando papale, certa della sua più inconfutabile verità, proclamata urbi et orbi nella forma più straordinaria e solenne.
Questa funestissima eventualità, comunque NON POTRÀ AVVERARSI MAI (come visto ai §§ 3 e 7, da « Ai Pastori… »): infatti il dogma dell’infallibilità papale preserva il Papa, la Chiesa, il mondo tutto, dalla più remota, rovinosa e studiata possibilità che un benché minimo errore possa mai infiltrarsi anche solo per sbaglio – e figuriamoci se con la più ferma e cattiva volontà – nella santa Cittadella del Dogma, nella centrale e soprannaturale Torre del Maschio – questa la straordinaria e solenne papale locutio ex cathedra – che si alza al centro della già molto fortificata e comunque nei secoli inespugnabile Cittadella della divina Verità.

C’è poi una seconda possibilità: il Papa, presa coscienza della realtà delle cose suggeritagli dalle sette terribili domande dei vescovi che abbiamo visto appena sopra, si appresta persino a dogmatizzare il contrario di ciascuna e di tutte le affermazioni denunciate, il che sarebbe di sicuro l’unica santa iniziativa che un Papa oggi dovrebbe avere.
Qui sarebbe però facile dire che questa si pone solo come ipotesi di scuola, come si dice. Se non che, alla luce di At 12,6-10, suggerirei di ritenere la cosa non così impossibile: se il primo Pietro fu, precisamente per le preghiere di tutta la Chiesa, liberato in quel modo così portentoso descritto, e dalle catene e dalle guardie che pur tanto rigorosamente lo imprigionavano, cosa potrà mai impedire l’Angelo del Signore dallo sciogliere un altro Pietro da altri ferri, demoni, ideologie e false convenienze, per la viva e universale preghiera piena di fede che si eleverà da tutta la Chiesa per impetrare tale e tanto immensa grazia?
Dunque si tenga realisticamente in considerazione l’ipotesi e non si tenti Dio: Dio non ha mai deluso, mai, chi ha veramente fede in Lui.
Personalmente, chi scrive ritiene questa, di tutte, l’ipotesi più realizzabile.

La terza ipotesi è che il Papa si rifiuti di esporsi in un pronunciamento ex cathedra: il Papa, pur dopo aver ascoltato e ponderato la formulazione dei suoi sette insegnamenti come propostagli dai vescovi calcando le orme di san Paolo, si rifiuta di compiere il fatidico passo. Si apre allora una forbice di due possibili interpretazioni di tale rifiuto. Eccole.

Prima interpretazione del rifiuto papale di esporsi in una locutio ex cathedra: il Papa reputa che i suoi insegnamenti non meritino la garanzia di certezza massima implorata, lasciando ogni Pastore libero di intraprendere la via ritenuta in coscienza più giusta e veridica, ma ciò spingerebbe sicuramente la Chiesa a spaccarsi in uno scisma che la dividerebbe irrimediabilmente, perché è impossibile che la schiera di vescovi – e di tutti i chierici e fedeli che li seguono – sia disposta a scendere a patti su un terreno decisivo per la fede come lo è uno qualsiasi dei sette insegnamenti segnalati, a fronte dei quali la Chiesa, come rilevato al nostro § 2, tranne che per il Quinto e Sesto, si è già espressa autorevolmente, senza tentennamenti, e specialmente in forma infallibile.
Con un’aggravante: che il Papa, almeno stando alle posizioni assunte anche all’epoca in cui ricoprì la carica di arcivescovo di Buenos Aires, si troverebbe a capo della schiera modernista, e non della schiera cattolica, il che complicherebbe terribilmente la cosa, stante che il livello magisteriale che permane è ancora quello di ‘magistero pastorale’, nel quale livello l’entelechia di deliberazione permessagli non è raggiunta.
Il Papa stesso non può non rendersi conto di ciò e non può certo permettersi di trovarsi dalla parte sbagliata, che la prospettiva di uno scisma porrebbe in tutta evidenza.
Come ai tempi della crisi ariana, o del grande scisma d’Occidente, è necessario qui per tutti estremizzare, è necessario essere decisi a polarizzare le posizioni in modo che la verità evangelica abbia con chiarezza i suoi strenui sostenitori e siano manifesti all’opposto i sostenitori dell’errore: solo davanti al pericolo, al massimo pericolo, “chi deve”, pur essendo forse bruciato da passioni contrarie, pur di scongiurare l’indubbia sciagura di un possibile scisma dove lui, ripeto, si troverebbe però dalla parte sbagliata (e oltre tutto ne sarebbe considerato dalla Storia poi, se non l’autore, l’incapace suo suscitatore o in qualche modo e misura il suo responsabile), finalmente si esporrà oltre l’umano.
Metterà mano cioè al sacro carisma del pronunciamento ex cathedra, che però lo porterà fatalmente alla soluzione n. 2, con suo forzato ravvedimento e con vittoria definitiva del dogma.
D’altronde, nell’ambito della terza ipotesi, per la quale il Papa, almeno in via presunta, si schiererebbe dalla parte sbagliata, ossia manterrebbe sine die le sue attuali posizioni ereticali, è verosimilmente opzione che non si può affatto escludere a priori: delle due, è la più probabile.
Conservando però il grado del suo magistero a livello “pastorale”, la Chiesa non ne subirebbe che gli effetti già subiti sinora dalla linea vaticansecondista, se pur aggravati dall’evidenza dell’errore data dalla consumazione dello scisma: uno scisma ci sarebbe, il Papa sarebbe dalla parte sbagliata, e tutti vedrebbero che la situazione di stallo che si avrebbe per la prima volta nella Chiesa non può durare a lungo, come non durò a lungo, ma qualche anno sì, la situazione di tre Papi – di un Papa vero e di due antipapi – ai tempi del concilio di Costanza.
Ora come allora, la Chiesa non è preparata. Ma ora come allora essa ha gli strumenti per far vincere la verità. È possibile infatti che nella Chiesa si possa consumare uno scisma causato da una divergenza dottrinale anche di tipo pratico come fu quella dei tre Papi, senza che ciò non porti anche all’anatema dell’eresia e di chi la sostiene, come avvenne infatti anche ai tempi di Costanza?
È proprio su ciò che possiamo riporre tutte le nostre speranze per giungere a un pronunciamento dogmatico, giacché un anatema può essere proferito unicamente in regime dogmatico, sicché il Papa, per anatemizzare i chierici che si opponessero alla sua linea modernista, e con loro la loro dottrina così da imporre la propria, sarebbe finalmente costretto a utilizzare proprio quel grado di magistero da cui starebbe volentieri lontano e che, con l’inevitabile plurale maiestatis pontificale e la messa in atto delle quattro condizioni con cui si attua il carisma petrino, la locutio ex cathedra, lo porrebbe in difficoltà nel sostenere gli insegnamenti che lo hanno portato fin là.
Sicché ben venga il pericolo di uno scisma. Ho detto pericolo, non scisma: la santa Vergine lo stornerà, e il miracolo di Costanza – dovuto all’umiltà del grande Gregorio XII – si ripeterà per suo mezzo con la rinnovata umiltà, ancora una volta, Deo gratias, del Trono più alto.

Seconda interpretazione del rifiuto papale di esporsi in una locutio ex cathedra: il Papa rifiuta di pronunciarsi in magistero dogmatico, ovvero di esporre in una solenne e straordinaria locutio ex cathedra le dottrine problematiche, perché non se la sente, perché cioè non è poi così sicuro della teologia proposta, ossia, per dirla con parole chiare, perché ha il ben comprensibile timore che la gloria dello Spirito Santo, che egli sa bene che sarebbe direttamente chiamato in causa unicamente e soltanto da tale forma straordinaria di magistero, potrebbe mostrare chiaramente, in un qualche modo solo da Lui conosciuto e solo a Lui permesso, di non tollerare che un Papa si pronunci impegnandosi solennemente e infallibilmente a favore di qualcosa che potrebbe essere anche per un solo iota censurabile, anche per un solo iota non aderente come sempre dev’essere alla santissima Verità, al sacro e unico Dogma.
Questo perché a Dio è dato di intervenire sulla salute del Soggetto, magari anche utilizzando opzioni “estreme”: la storia della Chiesa è piena di luminosi interventi in questo senso dello Spirito Santo, come viceversa è piena di altri momenti in cui, non essendo stato richiesto dal Sommo Pastore un Suo pur necessario intervento, rimasero tremendamente brucianti i Suoi sdegnati, severi, castiganti silenzi. Quello attuale ne è un icastico esempio, sempre che qualcuno sappia leggere le orme infuocate di Dio nel sempre doppio e triplo ordito della storia.

Ma la scelta di mantenere un basso profilo al proprio magistero non è più percorribile, perché la pressione del dogma è oggi massima: la Chiesa, oggi, è a una svolta, e la svolta ci sarà.
Parlo di pressione del dogma sulla Chiesa, in specie sul Papa suo Conduttore e unico Pastore in grado di enunciare infallibilmente, intendendo la pressione dei vescovi sul Papa, i quali a loro volta sono mossi perché pressati dagli estensori e dai firmatari di una Seconda Lettera aperta ai vescovi della Chiesa cattolica che ha raccolto e fatta propria la presente proposta.
Anche in questo caso un Papa modernista sarebbe in angolo, ci vuole solo tempo: i vescovi, se sono coscienti che a questo punto il Papa non può esimersi prima o poi di chiudere la partita, e che ciò egli può fare solo con la locutio ex cathedra a lui fatale, perché ogni altro mezzo si rivelerebbe per lui solo una più o meno peronista e più o meno gravemente dolosa gherminella denunciabile in ogni momento, i vescovi, dico, hanno già vinto, perché non debbono far altro che insistere e ancora insistere nella preghiera al Sommo Pastore di cedere e di pronunciarsi una volta per tutte nell’unica forma possibile capace di fugare ogni più minimo dubbio per i secoli dei secoli.
Ripeto: la forza dell’Ordalia sta nella sua intransigenza, nella sua assolutezza. E nella sua fermezza: l’importante, in un’Ordalia, è non cedere. Mai, per nessun motivo. È il Papa che deve cedere, è il Papa che cederà: è per lui che prega Cristo – la preghiera di Cristo è vincente natura sua –, ed è lui che dunque, ravveduto, di certo confermerà i suoi fratelli, v. Lc 22,32.

10. CONCLUSIONE: SI FACCIA AL PIÙ PRESTO L’ORDALIA.
CON LA SANTA ORDALIA LA CHIESA NON PUÒ CHE VINCERE.
   
SEMPRECHÈ CI SIANO DEI VESCOVI CATTOLICI, NON VATICANSECONDISTI,
A CONTRASTARE L’ULTIMO PAPA VATICANSECONDISTA DELLA STORIA.
   
Questa è l’Ordalia: un “Giudizio di Dio” da cui non si scappa, e da cui il Papa, un Papa “quasi eretico”, modernista e traditore, non ha linee di fuga plausibili e realistiche per far passare una che sia una delle sue molte e molto erronee, distruttrici e scandalose convinzioni.
L’Ordalia porta a un solo risultato, perché delle quattro e solo quattro opzioni che offre abbiamo visto che la prima, quella che Papa Francesco tanto sognerebbe, è proprio quella semplicemente impossibile, dunque è azzerata; la seconda, che sognerebbero invece tutti i cristiani, è l’unica auspicabile, e infatti è proprio quella che, analogamente al miracolo intervenuto a san Pietro e narrato in At 12,6-10, si attende con più fervore che si realizzi, anche perché è la più in linea con il carattere soprannaturale della Chiesa; la terza e la quarta infine sono le più probabili secondo le attese umane, una per l’altra, dipende da quanto Papa Francesco senta la pressione dei vescovi su di sé, ma entrambe portano comunque, se pur in tempi non immediati e con mille tergiversazioni, furbizie e peronismi vari, al pronunciamento fatidico, tutto dipende dai vescovi, dalla loro perseveranza, dalla loro purezza.
E questo è il problema: i vescovi. 

Abbiamo visto che su più o meno cinquemila vescovi sparsi sulla terra, solo due di loro, e dico due, trenta-quarant’anni fa hanno preso le dovute distanze dal Vaticano II e dal Novus Ordo Missæ. Eppure si è visto che due vescovi bastarono a sollevare il problema. Dunque ancora una volta non è il numero che conta.
Ma per esser realisti, ammesso che non li si possa avere tutti e cinquemila, ci vorrebbe almeno un numero eloquente, p. es. cinquecento: se cinquecento vescovi si muovessero concordi sul percorso qui tracciato e tale lo mantenessero, se necessario, anche per anni, richiedendo con inflessibilità e persistenza al Santo Padre la salita in cattedra fino al suo cedimento, la vittoria del dogma sarebbe comunque assicurata.
Purtroppo non è pensabile che oggi cinquecento vescovi siano così spiritualmente e cattolicamente forti, così da ottenere tre risultati: primo, riconoscere la verità di tutto ciò che qui si è detto del concilio Vaticano II; secondo, ridare alla Liturgia Romana perenne il posto ordinario che le spetta e cestinare per sempre la Montiniana; terzo, ripristinare nei propri seminari e atenei la metodologia tomista tanto vivamente sollecitata da Papa Leone XIII e contestualmente rigettare con eguale fermezza anche il più garbato ma falsificante e stolido storicismo.
Se però dovessero contarsene anche solo cinquanta, di vescovi, sarebbe già utile, perché diventerebbe piuttosto complicato per un Papa, già tanto discusso – e discusso proprio per i motivi che lo vedrebbero in contrasto con quei suoi sottoposti che però sarebbero dalla parte del Logos divino –, sospenderne a divinis cinquanta in un colpo solo.

Il problema è che ci siano, questi tali e santi cinquanta vescovi.
Dunque forza vescovi: tocca a voi. Non è Papa Francesco il problema, per ora: siete voi. Cominciamo a organizzarci con i primi CINQUE?


DEUS SANCTA TRINITAS FIRST 
   



luglio 2019

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