BENEDETTO XVI

Notizie recenti

di Luciano Pranzetti





La nostra rassegna, dedicata al pensiero e alle opere del defunto Papa, Benedetto XVI, che nella seconda parte ha effettuato una puntata sul rapporto Ratzinger-Ebraismo, sospende, momentaneamente, il corso investigativo di marca cronologica, per dirigere l’attenzione di questa ulteriore indagine sulla sua postuma novità editoriale, di recente in libreria, il testo CHE COS’È IL CRISTIANESIMO, definito, in prima di copertina “Quasi un testamento spirituale” e, pertanto, allo scopo di coglierne i contenuti e i significati reali, onde parlarne per conoscenza diretta, cioè, con onestà intellettuale, è stata nostra cura provvederne all’acquisto.

Nella prima parte, pubblicata su www.unavox.it, sottolineammo come, ad onta della “ingravescente aetate”, causa prima e unica delle sue dimissioni dal ministero pastorale, “l’emerito Papa”, trascorso un periodo di calma, si gettò in un turbinìo di manifestazioni, di interventi, di visite, di dibattiti, di incontri pubblici e privati. 
Non ci inventammo un alcunché e la cosa ci rasserena la coscienza poiché, nella PREFAZIONE, l’autore snocciola una sequenza di eventi di cui fu ‘magna pars’. 
Così inizia, confessando che “Quando l’11 febbraio 2013 annunciai le mie dimissioni dal ministero del successore di Pietro, non avevo piano alcuno per ciò che avrei fatto nella nuova situazione. Ero tropo esausto per poter pianificare altri lavori. Inoltre, la pubblicazione dell’Infanzia di Gesù, sembrava una conclusione logica dei miei scritti teologici. Dopo l’elezione di papa Francesco ho ripreso lentamente il mio lavoro teologico. Così, nel corso degli anni, hanno preso forma una serie di piccoli e medi contributi, che sono presentati in questo volume”. 

Segue un breve catalogo degli eventi per come elencati nella prefazione:
 -  lezione tenuta in occasione dell’inaugurazione dell’aula magna presso l’università pontificia Urbaniana il  21 ottobre 2014;
 -  pubblicazione di un testo su tema “religioni e dialogo con la fede cristiana”;
-  testo sul tema “dialogo cristiano-islamico”.
-  conferimento laurea ‘honoris causa’ da parte della pontificia università di Cracovia;
-  prefazione per l’edizione russa della sua Opera Omnia;
-  testo sul tema rapporto ebrei-cristiani;
-  intervista con padre Daniele Libanori;
- due testi sul tema sacerdozio-Eucaristia;
-  conferenze storiche.

Nel libro, composto da sei capitoli, BXVI espone i temi con un vigore e una vitalità che lascia stupiti per come egli si sia dimesso e, pertanto, sorgono varie ipotesi sull’accaduto delle quali due, supponiamo essere, le più gettonate.

La prima si può configurare – per le voci trascorse – in motivazioni di conio ricattatorio legate e collegate a scandali – vedi: pedofilìa – in cui si vociferava essere coinvolto (?) il fratello Georg, di tre anni più grande. Ma di tutta la vicenda niente è stato approfondito e concluso. Se fosse questa la causa, avremmo un papa che, al primo guaìto di alcuni botoli, abbandona la postazione. Eh sì, che quando il 19 aprile del 2005, venne eletto Sommo Pontefice della Chiesa cattolica, sollecitò i fedeli che pregassero affinché non fuggisse davanti ai lupi. Ragion per cui non sembra a noi l’ipotesi efficiente.
La seconda scaturisce dalla precedente dacché la fuga non era stata suggerita dai lupi urlanti ma era buono e tempestivo motivo per mascherare una sua innata debolezza di carattere e, pertanto, un’incapacità a sopportar pesi e ad assolvere impegni quali la guida della Chiesa cattolica né tanto meno a combattere come si conviene a un Vicario di Cristo.

La prova, una delle tante, che convalida la seconda ipotesi è data dall’indizione di Assisi 2011, la replica della prima adunata interconfessionale tenutasi sempre nella stessa città, nel 1986, alla quale egli non partecipò – si disse – per diversità di opinione ma, non sufficientemente forte da resistere all’invito a riproporla, espressogli dalla Curia e dall’episcopato mondiale. Il libro conferma la nostra convinzione sulla sua poca forza di resistenza.

Abbiamo iniziato la lettura del testo e già incontriamo delle affermazioni di aperto stampo modernista, quello concepito e fatto nascere col forcipe del CVII e allevato con lo “spirito di Assisi”.
Leggiamo, infatti, a pag. 11 secondo capoverso, quinta riga: “Le religioni tribali sono di questo tipo: hanno il loro momento storico e tuttavia sono in attesa di un incontro più grande che le porti alla pienezza”, affermazione con che accredita le confessioni tribali - “che una volta venivano semplicemente definite come paganesimo” - di un quid di spirituale, “che conoscono divinità ordinate a singoli ambiti di vita” in cui egli vede “venerare in modo gioioso il mistero della fecondità” (pag. 15).

Per un teologo del suo livello, quanto affermato dimostra scarsa conoscenza del concetto di divino e del philum storico della liturgia tribale con conseguente deprezzamento della Chiesa cattolica messa alla pari di queste religioni (?) gentilmente depurate della connotazione pagana, non tacendo della messa in oblìo del salmo 95 dove, al versetto 5, il sacro scriba dichiara “omnes dii gentium daemonia” = tutti gli idoli dei pagani sono diavoli.

Ora, è cosa nota come i riti connessi alla fecondità – riconducibili al mito della Grande Madre – venissero caratterizzati da sacrifici umani “voluti dalle loro divinità” così come afferma lo stesso BXVI (pag. 24) smentendosi con quanto affermato in precedenza circa la gioia erogata dal mistero della fecondità e ancora smentendosi laddove – pag. 28 – trattando del culto di Baal, idolo deputato alla fertilità, così scrive: “I culti di Baal sono culti di fertilità, nei quali la frontiera fra Dio e uomo si dissolve in una sregolatezza senza pari”.   La sottolineatura mostra un azzardo che un teologo cattolico non dovrebbe compiere, vale a dire immettere il termine maiuscolo Dio nella oscura demoniaca liturgia pagana perché, in questi culti, non si può e non si deve parlare di frontiera fra Dio e uomo, ma fra idolo – id est: demonio – e uomo proprio perché i detti culti si risolvono in riti sanguinarî la cui natura è del tutto luciferina.

Riguardo al problema del rapporto fede cristiana-politeismo egli dice che “vi sono due vie d’uscita dalla fede negli dèi. Dapprima le religioni monoteiste originate dalla radice di Abramo nelle quali l’unico Dio come persona determina il mondo intero. Accanto a queste vi è una seconda uscita, vale a dire le religioni mistiche con il buddismo Hinayana come forma centrale” (pag. 18).

Un teologo cattolico, tradizionalista come egli è ritenuto, avrebbe distinto, tra le religioni monoteiste, l’intrusione dell’Islam, confessione accreditata come monoteista in quanto fatta discendere da Abramo ma connotata di caratteri lontani da Dio-Trinità, così come attribuire al Buddhismo, un’aura di misticismo che, come ben sappiamo, è un pantheon di idoli legati con lo spago delle varie tecniche di meditazione che niente hanno da spartire con la mistica cristiana.
I vari tipi di yoga – tecnica prima per acquisire stati di elevazione – hanno, tutti in comune, lo scopo di raggiungere l’isolamento e l’annullamento dell’io disperso nel grande nulla i cui effetti distruttivi sono noti alle cronache psichiatriche che narrano di individui alienati mentalmente con profonde aberrazioni e permanenti lesioni della personalità. Diversamente, nella mistica cristiana il soggetto, che si pone in intima comunione con Dio, non si annulla nel supremo stato di rapimento estatico ma, al contrario, mantiene integra e maggiormente luminosa, la coscienza di sé.
Le religioni mistiche, come le denomina, non sono una via d’uscita dal politeismo ma ne rappresentano un ingabbiamento, come dire “dalla padella alla brace”.

Procedendo nella lettura - a pag. 26 – ci imbattiamo in un complesso ragionamento sul rapporto fra monoteismo e tolleranza, con un focus sull’episodio di Elia e i sacerdoti di Baal (I Re, 18-19).

BXVI, si domanda se l’uccisione dei 450 sacerdoti di Baal per ordine di Elia sia da considerare quale vittoria conseguita dal monoteismo sul paganesimo politeista e, pertanto, sul ritorno di Elia verso il monte Sinai dove riceverà dal Signore, le nuove istruzioni così scrive: “Resta controversa l’interpretazione secondo la quale l’incontro con Dio a lui concesso debba intendersi come una condanna della violenza utilizzata nella lotta contro le divinità. Dio non è nel fuoco e non è nella tempesta; la sua presenza si percepisce nel sussurro di una brezza leggera”.
Papa emerito Ratzinger, nel formulare tale considerazione, dimostra di condividerne il dubbio di fondo che è questo: siccome il Signore si manifesta nella brezza, vuol significare la sua avversione alla violenza, quella messa in azione da Elia nello sgozzamento dei 450 profeti di Baal e, pertanto, il suo richiamo suona monito, anzi, condanna a siffatta operazione sanguinaria.

Noi crediamo che BXVI, in questo caso, dimostri una limitata capacità di interpretazione della Scrittura nel non intendere che la brezza che avvolge il Signore che passa è nient’altro che il modo con cui si manifesta a chi lo adora, lo teme e lo ama. Il vento, il terremoto, il fuoco sono le modalità con cui Egli si manifesta a quanti non lo adorano, non lo temono, non lo amano.
Se poi BXVI avesse dato una pur fuggevole guardatina al prosieguo del capitolo, avrebbe evitato questa scivolata, perché il Signore – così si legge in 19, 15/18 – nel comandare ad Elia di tornare a Damasco, gli ordina di procedere all’unzione di “Azael come re di Aram . . . chi sfuggirà alla spada di Azael sarà ucciso da Jeu; e chi sfuggirà alla spada di Jeu sarà ucciso da Eliseo. Ma io risparmierò in Israele settemila uomini, ossia tutti i ginocchi che non si piegarono dinanzi a Baal e tutte le bocche da cui non fu baciato”. Niente di più distante dalla brezza, così come niente di più inesatto che scrivere “Dio non vince nella violenza” (pag. 26) laddove, invece v’è da intendere giustizia divina, quella esercitata nei confronti dei progenitori trasgressori, nelle piaghe d’Egitto, nel diluvio universale, nella distruzione di Sodoma e Gomorra e in tanti altri momenti.

Concludiamo questo primo assaggio con due riflessioni. La prima riguarda il titolo, la seconda la strana deferenza verso il protestantesimo.

Dunque, titolare questo libro CHE COS’È IL CRISTIANESIMO ci sembra non soltanto riduttivo ma semplicemente irrispettoso. Il Cristianesimo non è una COSA che si possa e debba trattare come tale. E’ il messaggio di Dio fattosi uomo, è la storia della salvezza, è la nuova cultura che ha edificato le nazioni e la loro civiltà. Insomma, poteva darsi un titolo corrispondente all’importanza dell’oggetto come, ad esempio: L’ESSENZA DEL CRISTIANESMO, o anche IL MESSAGGIO DEL CRISTIANESIMO e ancora IL CRISTIANESIMO E L’UOMO oppure ALCUNE DOMANDE SUL CRISTIANESIMO.

Per quanto riferito al protestantesimo a pag. 38 – quintultima riga - si legge di Adolf von Harnack, definito da BXVI grande teologo protestante. Vorremmo, una volta per tutte, dirla chiara e tonda che la teologia del protestante, dell’ortodosso, per quanto raffinata, sottile, indicibile proprio per il suo peccato di origine, id est il distacco dalla Chiesa Santa, Cattolica, Apostolica e Romana, e per il quale si autoqualifica tralcio secco, destinato ad essere bruciato, nulla di benefico può recare all’edificazione della coscienza dei fedeli. Von Harnack non serve alla Cattolicità ma, molto probabilmente, a una sollecita canonizzazione di BXVI – santo subito! – con che, santificando i Papi conciliari, si santifica il CVII legittimando l’ecumenismo, il suo prodotto più rovinoso.





gennaio 2023

AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI