PAPA FRANCESCO I,
L’ISOLA, I CLANDESTINI

parte seconda

vedi la parte prima


di L. P.



Papa Franesco a Lampedusa - 8 luglio 2013


Non sappiamo quanti tra fedeli, sacerdoti, teologi e prelati che ancora si ostinano a credere nella natura e nella vocazione missionaria della Chiesa, abbiano còlto appieno il significato del commosso saluto papale rivolto, in quel di Lampedusa l’8 luglio scorso, “ai cari immigrati musulmani che oggi iniziano il ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali”.

La stampa mondialista ne ha esaltato lo spirito ecumenico, lo spirito di rottura con il passato, indicandolo quale segnale di una paternità universale che non distingue più tra cattolici, islamici, ebrei, buddisti e atei. Tutti pari, tutti uguali, tutti salvi, tutti meritevoli davanti a Dio e agli uomini: il trionfo della democrazia nel Regno dei Cieli!
Le trombe di Gerico fanno, al confronto di questa grancassa mediatica, la figura dei pifferi.  Tutto secondo un ecumenismo che intende l’unità della Chiesa – secondo l’emerito Papa cardinal  J. Ratzinger – mera unione (?) di più confessioni: “Unità nella diversità”, formula degna del più criptico e sottile pensiero moroteo. 

Noi, ingenui che non abbiamo frequentato l’università di Tubinga e che non conosciamo le verità  di Balthasar, di Rahner, di Küng e compagnia elencando, credevamo che, quando Gesù parlò di “Un solo gregge e un solo Pastore” (Gv. 10,16) volesse dire: UNA CHIESA SOLTANTO, la SUA, - affermazione che nel testo originale greco suona di più forte e precisa semantica : “mou ten ekklesian”, cioè, la Chiesa di ME – (Mt. 16, 18), unica,  secondo il Suo comando: “Ut unum sint” e non “ut plures sint”.
Noi ci domandiamo, e rivolgiamo la domanda ai teologi, perché mai Papa Francesco I non abbia completato quel “cari immigrati musulmani” con la necessaria aggiunta “In Cristo”.
I lignei calice e  pastorale, che in un precedente scritto, abbiamo definito  indecorosi per la gloria di Dio e per la funzione imperiale del Pontefice, sbiadiscono di fronte a simile omissione. Il Papa – Vicario di Cristo e successore di Pietro – ha il dovere, il C – O – M – P – I –T – O,  assunto nel momento di mettersi al servizio del Signore,  di annunciare la Parola del Vangelo “anche” agli islamici, anche a coloro che “non sono del suo ovile” (Gv. 10, 16), anche a coloro che appaiono essere i più ostili e refrattarii al richiamo di Cristo, e i più reattivi, perché costoro “ascoltino la Sua voce”. Ma, in quel saluto, Papa Francesco I ha preferito non annunciarla e costoro non hanno potuto ascoltarla. 

Che vale parlar di dolore, di sofferenza, di fratellanza se poi  questi valori si omette, volontariamente, di fondarli e innestarli nella persona di Cristo?
Questa ritirata, la seconda da quando il cardinal Bergoglio è assurto al trono di Pietro – la prima essendo l’omissione della benedizione trinitaria, nell’udienza  alla stampa mondiale il 16 marzo 2013, omissione giustificata dalla delicatezza di non offendere chi non credente era -  accende in noi sdegno maggiore di quello ci pervase all’annuncio delle dimissioni di Benedetto XVI.
Questa ritirata, dicevamo, altro non è che apostasìa camuffata da ecumenismo irenico e da sbilanciato senso di carità, apostasìa e tradimento dell’impegno alla evangelizzazione “in partibus ‘infidelium’”  contratto e sottoscritto con Cristo Gesù, ma verniciato da una patina di quella ipocrita cultura che va sotto il nome di “correttezza politica”.
Sono cose  che si scontano.

Santità: è troppo comoda e troppo agevole questa strada; troppo semplice parlare di “spirito missionario” e attribuire, alle confessioni altre, valenza soteriologica e virtù; troppo comodo fingere di evangelizzare andando a braccetto con l’ateo, il buddista, l’islamico e l’ebreo nello spirito della disonesta dichiarazione di Balamand (Libano) con cui, il 24 giugno 1993 la “Commissione internazionale mista per il dialogo tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa” definiva “inaccettabile” l’opera di proselitismo – id est: evangelizzazione – e ne proscriveva la doverosa pratica ritenendola sorpassata e oltremodo offensiva per  coloro che si intendeva convertire.
Santità: la Chiesa, per chi sta lavorando? Per il Signore Gesù, per Dio S.S. Trinità o  per Allah e il suo profeta? Non crediamo affatto che questo sia l’intendimento di Gesù. Anzi, non siamo noi a rendere seria questa riflessione, ma è Cristo stesso che la espone e la spiega. Dia una lettura al Vangelo, vedrà che ciò che Ella ha detto e compiuto non è per nulla in linea con il pensiero di Cristo.
E poi, Santità, ci consenta di meravigliarci, come minimo – se non di ulteriormente indignarci -  per come la Chiesa, da Lei rappresentata, riesca a rendere omaggio alla pratica islamica del Ramadan dopo che Essa, invece, sedotta dallo “spirito del tempo”, ha cancellato,  dalla  pratica  e  dalla  dottrina  millenaria,  il digiuno  quaresimale cristiano. Abrogazione giustificata – quasi per tacitare la coscienza e il senso di vergogna - da una pletora di attenuanti e di motivazioni afferenti più all’aspetto anacronistico di una devozione dichiarata sorpassata e priva di significato (meglio essendo un digiuno spirituale) che da fondate ragioni teologiche.

Se Gesù avesse previsto – lo diciamo per paradosso – questa inversione a U, si sarebbe ben guardato  dal praticare l’astensione dal cibo per quaranta  giorni, e non avrebbe osato prescrivere il digiuno/preghiera quale potente strumento contro i demònii (Mt. 17, 21).   E per digiuno cristiano noi intendiamo anche quella semplice, ma salutare ed altamente educativa pratica che, osservata nelle famiglie di passata memoria, andava sotto il nome di “fioretto”.
Ma tant’è.
Siccome il cristiano d’oggi è “adulto” – attributo evolutosi  in “adultero”, visto il tifo che si fa per le coppie omosessuali – e, in quanto tale, “capisce” senza bisogno di moniti o di obblighi,  la Chiesa abolisce il “suo digiuno”, ma esalta quello islamico a cui riconosce e attribuisce virtù,  fecondità e abbondanza di frutti . . . spirituali (!).

Grazie Santità per questo “rinnovamento” che, nell’esaltare le altrui confessioni, impoverisce ancor più Santa Madre Chiesa Cattolica, Apostolica e Romana liquidandola come  comunità indistinta fra tutte e dotata di solo umano sentire. Davanti a simili circostanze, a simili pericolose derive è doveroso opporsi, con filiale umiltà certamente, ma con pari franchezza, non diversamente da S. Paolo che, come egli stesso testimonia: “quando Cefa venne ad Antiochia, io mi opposi a lui apertamente perché egli si era reso degno di biasimo” (Gal. 2,11).

E’ necessario che quanti – fedeli, sacerdoti, teologi, prelati – si ostinano a credere nella Fede e nella Tradizione, si alzino e, sull’esempio di Paolo, comincino a parlare secondo lo stile di Gesù: Sì Sì No No (Mt. 5, 37) indirizzando al Pontefice le doglianze, le proteste e gli sdegni, perché non è lecito tacere o rimanere inerti davanti al progressivo e continuo  sfaldamento teologico, dogmatico e morale  che, consapevolmente e colpevolmente, la Gerarchìa sta provocando in ossequio al cosiddetto “spirito del Concilio”, di quella assise che dovrebbe chiamarsi, piuttosto, “conciliabolo” .
E  questi sono  i suoi frutti che, come attestano alcune vicende di islamici  desiderosi di convertirsi al  cattolicesimo – vedi quella riferita a Clotilde Clovis (cfr. Lecture et Tradition – B.P. Chiré en Montreuil 2013) -  venendone, però, dissuasi e respinti  da vescovi e preti, dànno motivo di scrivere:  “Benché vi siano molte conversioni dall’Islam, i convertiti vanno verso i protestanti perché solo questi li accolgono. La Chiesa cattolica, infatti, è stata paralizzata nel suo compito missionario dall’utopico ecumenismo del Vaticano II” (citato in : Sì Sì No No – 15 giugno pag. 8).
Non respinse, forse, il nunzio Apostolico Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni XXIII e futuro santo, un giovane seminarista ortodosso bulgaro desideroso di essere sacerdote cattolico, convincendolo esser meglio non aprire controversie dottrinarie e restare nello scisma (27 luglio 1926)?

La protesta, che ad alta voce deve essere  inoltrata a Papa Francesco I, trae  la sua garanzia e la sua  legittimità  dalle profetiche parole che la Santissima Vergine  pronunciò a La Salette e a Fatima, quando previde e annunciò la “Grande Apostasìa” dei vertici della Chiesa  Cattolica.
Che altro vogliono  significare queste parole: “Satana regnerà sui più alti posti determinando l’andamento delle cose. Egli effettivamente riuscirà ad introdursi fino alla sommità della Chiesa. Anche per la Chiesa verrà il tempo delle sue più grandi prove: cardinali si opporranno a cardinali, vescovi a vescovi. Satana marcerà in mezzo alle loro file e a Roma vi saranno cambiamenti. Ciò che è putrido cadrà e ciò che cadrà più non si alzerà” se non l’invito a combattere sotto il vessillo di Cristo il quale ha stabilito, comunque la Sua vittoria?

Adjutórium nostrum in Nómine Dómini,
qui fecit coelum et terram.





luglio 2013

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