Il Duomo di Pontedera
“si pronuncia”
contro i Vespri in latino e in canto
Il 10 novembre 2006, alle ore 18,30, nella chiesa
di San Giuseppe a Oltrera, a Pontedera, diocesi di Pisa,
la Milizia del Tempio(Ordine dei Poveri Cavalieri
di Cristo) di Poggibonsi (SI),
il Comitato “Una Vox Pisa”,
i Cattolici Pisani Fedeli alla S. Tradizione,
Il Centro Universitario Studentesco “G. Toniolo”
di Pontedera
hanno invitato i fedeli per la recita dei Vespri secondo
l'uso antico: in latino e in canto.
Per quanto possa sembrare incredibile, la cosa non è
andata giù al Consiglio Pastorale Parrocchiale del Duomo di Pontedera,
luogo religioso che ospita strani personaggi a far da preti.
L'iniziativa è stata anche annunciata tramite due
articoli apparsi su Il Tirreno e La Nazione.
La Domenica successiva (il 12.11.069) Il Duomo,
Notiziario della Propositura di Pontedera, pubblicava un articolo atto
a precisare che l'iniziativa non era stata gradita, anche per la risonanza
che aveva avuta (l'art. incomincia proprio così. Di fronte
agli ultimi articoli apparsi su vari giornali…)
La presa di posizione de Il Duomo trovò
subito eco sui giornali locali, che la segnalarono.
A questo hanno fanno seguito le precisazioni di alcuni
lettori, nonché quelle degli stessi organizzatori, correttamente
e opportunamente ospitate negli stessi giornali.
La cosa, in verità, non desta alcuna sorpresa,
ci troviamo infatti in quel di Pisa, ove fan da preti personaggi come Alessandro
Plotti e Claudio Desii, certo non noti per la loro evidente ortodossia
cattolica. Il secondo noto soprattutto per le sue fisime pseudo cattoliche
che qualche volta abbiamo segnalate (vedi: caso
A; caso
B; caso
C;). Il primo tristemente noto per aver negato malamente la celebrazione
della S. Messa tradizionale nella diocesi di Pisa (vedi),
e per diverse altre cosette in stile catto-comunista (vedi
esempio), nonché per aver protetto le malefatte dei suoi presbiteri
(vedi
esempio), come il sunnominato Desii.
Pubblichiamo:
- La nota contraria de Il Duomo
di Pontedera
- Copia della segnalazione su La Nazione
del 13.11.06
- Copia della pagina di uno dei quotidiani
che ospita la puntualizzazione degli organizzatori
- Una nostra breve nota di commento
La nota de Il Duomo
La lingua "latina" nella liturgia
Di fronte agli ultimi articoli apparsi su vari giornali, desideriamo
proporre alcuni spunti di riflessione, per aiutarci a collocare in un quadro
di riferimento più ampio la questione del "latino" nella liturgia.
Il latino è la lingua della Chiesa, perciò, tutti i documenti
ufficiali sono ancora scritti : in latino. Questo permette, per esempio,
di non dover scegliere una lingua moderna I rispetto ad un'altra, cosa
che potrebbe essere letta come opzione per una cultura rispetto alle altre.
Inoltre, per secoli, il latino ha costituito una sorta di lingua comune
tra tutti i cristiani che potevano pregare, e spesso parlare, insieme.
Tutto questo ha costituito un patrimonio (letterario, musicale, artistico...)
di grande valore all'interno della storia della Chiesa e nessuno vuole
perderlo o non riconoscerlo.
Il Concilio Vaticano 11°, il primo Concilio veramente ecumenico
(come ha osservato K. Rahner), al quale, cioè, hanno la possibilità
di partecipare i Vescovi di tutto il mondo, di tutta la Chiesa sparsa nei
cinque continenti, ha compiuto una scelta fondamentale e di grande significato
per i credenti: quella di usare nella liturgia le lingue moderne, quelle
parlate dai diversi popoli. E' una scelta di "inculturazione" come era
avvenuto per la chiesa delle origini, che adotta la lingua della gente
(il greco), una scelta che privilegia la comunicazione della fede, la partecipazione
del popolo, la comprensione e il dialogo...rispetto al senso del mistero
del rito che si celebra (come invece avviene nella Chiesa ortodossa).
Questa decisione del Concilio si inserisce all'interno di una riflessione
più ampia, quella ecclesiologica, che rinnova profondamente la vita
della Chiesa (Lumen Gentium) e la apre, con coraggio, al mondo contemporaneo
(Gaudium et spes) in un contesto storico che diventa
sempre più mondiale, nel quale genti diverse si riconoscono
un solo popolo, fratelli nell'unica fede in Gesù Cristo.
Un solo Signore una sola fede, un solo battesimo (Ef4,5)... pur nella
diversità di culture, di storia, di vita. Rimane sempre la possibilità
di celebrare in latino, qualora serva a unire, a facilitare la partecipazione
di tutti, in particolari circostanze.. .ma senza tornare indietro dalla
scelta ecclesiologica del Vaticano 11°. Non si tratta infatti, di scegliere
il latino in contrapposizione al rinnovamento conciliare, né neppure
di voler celebrare dei riti privi di vita, solo per un gusto estetico e
nostalgico, o, peggio ancora, in opposizione al cammino della Chiesa tutta.
E' la motivazione che giudica la rettitudine di certe scelte, che le
rende corrette o meno, che le fa essere scelte di comunione o scelte di
divisione e polemica.
Perciò è necessario quantomeno chiederci, di fronte ad
alcune proposte, se sono opportune o meno, se rendono manifesto il volto
della Chiesa e annunciano il Vangelo o se al contrario, creano disorientamento
e separazione e dicono, nei gesti, un rifiuto e una chiusura.
Il Comitato di Presidenza del Consiglio Pastorale Parrocchiale |
 |
La Nazione, lunedì 13.11.2006
Curiosa polemica nella chiesa per il vespro in latino
a S. Giuseppe
PONTEDERA — C'è spazio, nella chiesa italiana di Papa Benedetto,
e nella chiesa pontederese in particolare, anche per i cattolici tradizionalisti,
quelli che senza invocare nessuno scisma, anzi dichiarandosi fedelissimi
del Papa, amano il canto gregoriano, gli ordini religioso-cavaliereschi
medioevali e vorrebbero anche qualche messa in latino?
Intorno a questo interrogativo, introdotto dal canto del vespro (in
latino) di venerdì scorso in una cappella della chiesa di S.Giuseppe,
si è aperta ufficialmente una polemica nella chiesa cittadina.
"Il Duomo", organo della Parrocchia Propositura, ha dedicato ieri una
sua intera pagina proprio al vespro nella cappella di S.Giuseppe, giudicandolo
legittimo ma "di gusto estetico e nostalgico" e accusandolo di rappresentare
un gesto di chiusura nei confronti della chiesa conciliare.
Nella chiesa di San Giuseppe, venerdì alle 18,30, c'erano una
quarantina di persone ad ascoltare, e in parte a cantare — come il Salve
Regina che un po' tutti i fedeli conoscono — il vespro che gli ultracinquantenni,
magari a suo tempo chierichetti, cantavano tutte le domeniche pomeriggio.
Al termine, i quaranta radunati nella cappella hanno unanimemente apprezzato
il canto, condotto da quattro appartenenti all'Ordine della Milizia del
Tempio, nome che richiama i Templari ma che è una associazione religiosa
moderna, pur se guarda anche al passato.
Il suo responsabile, e guida nel canto, aveva presentato l'iniziativa
come "semplicemente una preghiera in latino, lingua mai abolita dalla chiesa,
così come mai sono state vietate le messe anche in latino se un
gruppo di fedeli la chiede e magari si dà sa fare per organnizzarle.
Fino a ora ci voleva però il placet del vescovo, ora il Papa lo
ha abolito, — ha concluso il responsabile del gruppo in mantello bianco
e croce rossa — e noi pensiamo che possa esserci uno spazio, sia pur piccolo,
anche per chi ama il latino, la messa tridentina e il canto gregoriano.
Se poi nessun fedele si presenterà, la cosa cadrà da sé".
Ma il consiglio parrocchiale del Duomo la pensa diversamente. E la
polemica è aperta.
M.M. |
 |
La Nazione, sabato 18.2206

Nostra nota di commento
Che dire ?
Indubbiamente il Comitato di Presidenza del Consiglio
Pastorale Parrocchiale del Duomo di Pontedera è padronissimo
di dire ciò che vuole. Tanto più se l’argomento di cui si
tratta è la liturgia della Chiesa Cattolica: è nota infatti
la profonda competenza che certi preti di Pontedera hanno in materia !
Tra l’altro, senza farlo apposta, scopriamo dell’esistenza
di un Comitato di Presidenza del Consiglio Pastorale Parrocchiale.
Roba da Curia Romana !
Consigli, Presidenze, Comitati di Presidenza, … non ci
si meravigli poi se i preti di Pontedera non hanno più tempo per
fare i preti di Pontedera.
E fin qui, passi. Ma quando ci si accorge che certi preti,
o certi laici loro manutengoli, non conoscono quasi niente dell’argomento
di cui trattano, diventa legittimo e doveroso, come cattolici, fare qualche
piccola precisazione (seconda delle sette opere di misericordia spirituale:
insegnare agli ignoranti).
Si scrive: "Il latino è la lingua della Chiesa,
…" e questo permette, "per esempio, di non dover scegliere
una lingua moderna rispetto ad un'altra, cosa che potrebbe essere letta
come opzione per una cultura rispetto alle altre."
Forse è bene ricordare che il latino è
la lingua della Chiesa da sempre (San Pietro e San Paolo a Roma, oltre
che parlare necessariamente il latino, celebravano in latino), ed è
rimasta tale per espressa volontà della Chiesa stessa (i Padri,
i Papi, i Vescovi e i fedeli) non per mere motivazioni “culturali” (che
non c’entrano assolutamente niente con la Chiesa, Una Santa Cattolica,
Apostolica ? per chi ci crede, ovviamente), ma semplicemente perché
non esiste e non è mai esistito al mondo alcun contesto sacro o
semplicemente religioso che non conoscesse la necessità di una lingua
liturgica fissa, cioè fissata una volta per tutte, a cui tutti
i fedeli si adattavano orgogliosamente proprio per amore della loro religione.
Il latino, infatti, pur non essendo una lingua
sacra, cioè una lingua che risalga direttamente a Dio, è
una lingua liturgica: e lo è per espressa volontà
degli Apostoli, i quali, ovviamente, lo decisero per ispirazione divina
e in perfetta aderenza agli insegnamenti ricevuti dal Signore Gesù
(anche se la cosa non garba ai preti moderni !).
Fu così che il latino divenne ed è la lingua
liturgica della Chiesa d’Occidente, esattamente come il greco fu ed è
la lingua liturgica della Chiesa d’Oriente, esattamente come a partire
dal IX secolo divenne lingua liturgica lo slavonio o slavo ecclesiastico,
derivato peraltro dal dialetto di Salonicco (Grecia) ed usato ancora oggi
fin nella Siberia.
Qual è il senso di tutto ciò ?
Semplice. Da che mondo è mondo gli uomini si
sono preoccupati di usare sempre la stessa lingua liturgica perché
non accadesse che con i cambiamenti linguistici sopraggiungessero anche
dei cambiamenti dottrinali.
Non è che i Padri Conciliari del Vaticano II non
lo sapessero, infatti in nessun documento del Concilio si parla dell’abolizione
del latino, e lo sapevano anche i Padri del dopo Concilio, i Vescovi, i
liturgisti, lo stesso Paolo VI, ma loro preferirono giuocare d’azzardo
e sacrificarono la dottrina alla moda popolare di sessantottina memoria.
Se non fosse così, pur nel suo squallore, si dovrebbe
allora pensare che la Gerarchia del dopo Concilio abbia deliberatamente
voluta la confusione nella Chiesa.
Lo squallore, l’ignoranza e il sacrificio della dottrina,
peraltro, sono facilmente riscontrabili in questo scritto del Consiglio
Parrocchiale.
"… la scelta fondamentale … di usare nella liturgia
le lingue moderne … è una scelta di “inculturazione” come era avvenuto
per la Chiesa delle origini, che adotta la lingua della gente (il
greco) …"
Squallore: poiché è davvero cosa
miserevole fare il paragone con duemila anni fa (quando ancora non esisteva
una lingua liturgica) tralasciando bellamente la quisquilia che ancora
oggi nelle liturgie orientali si usa il greco antico.
Ignoranza: o forse malevolenza: poiché
una scelta del genere il Concilio non l’ha mai fatta, anzi non ha fatta
alcuna scelta: si è raccomandato invece che il latino e il canto
gregoriano (rigorosamente in latino) avessero il posto d’onore nella liturgia
sia per quanto riguarda i fedeli, sia per quanto riguarda il coro (Sacrosanctum
Concilium, 36, 54, 116). Chi fa mostra di non saperlo o è ignorante
o è mentitore, in ogni caso è uno che vuole male alla Chiesa.
Sacrificio della dottrina: poiché si dimentica,
a volte anche dolosamente, che la liturgia è la preghiera della
Chiesa, la quale rende a Dio il culto dovutoGli, e per ciò stesso
essa non ha niente a che vedere con la “cultura”, con l’ “inculturazione”
e con fisime del genere più o meno intelligenti.
Se per rendere a Dio il culto dovutoGli ci si dovesse
rifare alla cultura: in duemila anni avremmo avuto più che la torre
di Babele, così come in questi anni abbiamo avuto e abbiamo centinaia
e centinaia di liturgie tutte diverse e tutte “calate” nel contesto culturale
in cui si celebrano.
Tralasciamo la questione della riflessione ecclesiologica,
poiché qui ci addentreremmo in un terreno minato: inutile riempirsi
la bocca di richiami tanto universalistici quanto utopici, la semplice
verità è che “li riconoscerete dai frutti”, e in termini
di ecclesiologia i frutti sono sotto gli occhi di tutti: chiese
vuote, numero dei matrimoni religiosi sempre più
ridotto,
aumento vertiginoso delle separazioni e dei
divorzi,
complessivo abbandono dei figli a loro stessi, crollo vertiginoso
delle vocazioni sacerdotali e religiose, numero elevato di abbandoni
del ministero e di rinunce ai voti, e … dulcis in
fundo …dopo quarant’anni di applicazione del Concilio la società
è ancora più scristianizzata di prima e l’insegnamento della
Chiesa vale quanto un qualsiasi editoriale “laico”.
Alla faccia dell’ecclesiologia del Vaticano II "che
rinnova profondamente la vita della Chiesa (Lumen Gentium) e la apre, con
coraggio, al mondo contemporaneo (Gaudium et spes)".
Sta scritto: Guai a voi, guide cieche !
Su una cosa il Consiglio Pastorale ha ragione: non si
può trattare della soddisfazione di velleità di tipo “estetico
o nostalgico”: chi si ostina a seguire la liturgia antica non lo fa perché
“gli piace”, sarebbe davvero ridicolo e contraddittorio.
Siamo cattolici fedeli alla Tradizione non perché
“ci piace”, ma perché sentiamo che è cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza, mantenere integra la liturgia trasmessaci
dai nostri Padri, per il bene delle ànime e di tutta la Santa Chiesa.
D’altronde, sarebbe assurdo e davvero anticattolico che
il Santo Padre si decidesse a rendere libera la celebrazione della liturgia
secondo i libri del 1962, solo per motivi di “piacevolezza”.
Benedetto XVI, invece, è profondamente consapevole
che non si possono più tenere le posizioni degli anni ’80, e che
il ritorno alla liturgia antica è uno dei fattori essenziali per
cercare di rimettere la pastorale, la catechesi e la pratica della vita
cristiana sui giusti binari.
gennaio 2007
AL SOMMARIO ARTICOLI DIVERSI |