Lettera di

Mons. Alfonso de Galarreta
Mons. Bernard Tissier de Mallerais
Mons. Richard Williamson

della Fraternità Sacerdotale San Pio X

al Superiore Generale Mons. Bernard Fellay
e al Consiglio Generale della Fraternità

7 aprile 2012


in calce alla lettera si trova la copia dell'originale


Si legga la risposta del Consiglio Generale a questa lettera




LETTERA AL CONSIGLIO GENERALE
DELLA FRATERNITA' SAN PIO X


7 aprile 2012

Signor Superiore Generale
    Signor Primo Assistente
        Signor Secondo Assistente

Da diversi mesi, come molti sanno, il Consiglio Generale della FSSPX considera seriamente le proposte romane in vista di un accordo pratico, dal momento che i colloqui dottrinali del 2009-2011 hanno dimostrato che un accordo dottrinale con la Roma attuale è impossibile. Con questa lettera i tre vescovi della FSSPX che non fanno parte del Consiglio Generale desiderano far conoscere, con tutto il dovuto rispetto, l’unanimità della loro opposizione formale ad ogni accordo del genere.

Certo, sull’attuale divisione tra la Chiesa Conciliare e la FSSPX, molti da entrambe le parti desiderano che si ristabilisca l’unità cattolica. Onore a costoro, da una parte e dall’altra. Ma la realtà che domina tutto, e alla quale devono cedere tutti questi sinceri desideri, è che a partire dal Vaticano II le autorità ufficiali della Chiesa si sono staccati dalla verità cattolica, ed oggi esse dimostrano, del tutto determinate come sempre, di voler rimanere fedeli alla dottrina e alla pratica conciliari. I colloqui romani, il «preambolo dottrinale» e Assisi III ne sono degli esempi eclatanti.

Il problema posto ai cattolici dal Concilio Vaticano II è profondo. In una conferenza rivolta ai sacerdoti della sua Fraternità a Ecône a sei mesi prima della sua morte, e che sembra essere stata come l’ultimo testamento dottrinale di Mons. Lefebvre, dopo aver riassunto brevemente la storia del cattolicesimo liberale uscito dalla Rivoluzione francese, egli ha ricordato come i Papi abbiano sempre combattuto questo tentativo di riconciliazione fra la Chiesa e il mondo moderno, ed ha dichiarato che la battaglia della Fraternità contro il Vaticano II era esattamente la stessa battaglia. Ed ha concluso:

«Più si analizzano i documenti del Vaticano II e la loro interpretazione da parte delle autorità della Chiesa, e più ci si rende conto che non si tratta di errori superficiali, né di alcuni errori particolari come l’ecumenismo, la libertà religiosa, la collegialità, quanto piuttosto di una totale perversione dello spirito, di tutta una filosofia nuova fondata sul soggettivismo… È molto grave! Una perversione totale!… Veramente spaventoso.»

Ora, da questo punto di vista, il pensiero di Benedetto XVI è migliore di quello di Giovanni Paolo II? Basta leggere lo studio di uno di noi tre su La fede in pericolo per la ragione, per rendersi conto che il pensiero del Papa attuale è ugualmente impregnato di soggettivismo. Tutta la fantasia soggettiva dell’uomo al posto della realtà oggettiva di Dio. Tutta la religione cattolica sottomessa al mondo moderno. Come si può credere che un accordo pratico possa risolvere un tale problema?

Ma, ci si dirà, Benedetto XVI è veramente benevolo verso la Fraternità e la sua dottrina. In quanto soggettivista, egli può ben esserlo, perché i liberali soggettivisti possono tollerare perfino la verità, ma non se essa rifiuta di tollerare l’errore. Ci si accetterebbe in un quadro di pluralismo relativista e dialettico, a patto di rimanere nella «piena comunione» nei confronti dell’autorità e delle altre «realtà ecclesiali». Ecco perché le autorità romane possono tollerare che la Fraternità continui ad insegnare la dottrina cattolica, ma non sopportano assolutamente che essa condanni la dottrina conciliare. Ecco perché un accordo perfino puramente pratico farebbe necessariamente tacere progressivamente ogni critica del Concilio o della nuova messa da parte della Fraternità. Cessando di attaccare queste vittorie, più importanti di tutte, della Rivoluzione, la povera Fraternità cesserebbe necessariamente di opporsi all’apostasia universale della nostra epoca deplorevole e vi rimarrebbe invischiata essa stessa. In ultima istanza, chi ci garantirà che rimarremo così come siamo, protetti rispetto alla curia romana e ai vescovi? Il Papa Benedetto XVI?

È inutile negarlo, questo scivolamento è inevitabile. Non si notano già in seno alla Fraternità dei sintomi di questo ammorbidimento nella confessione della Fede? Oggi, purtroppo, è l’inverso che sarebbe «anormale». Appena prima della Consacrazione del 1988, quando tante brave persone insistevano con Mons. Lefebvre perché concludesse un accordo con Roma, che avrebbe aperto un ampio spazio all’apostolato, egli manifestò il suo pensiero ai quattro consacrandi: “Un ampio spazio all’apostolato, forse, ma nell’ambiguità, seguendo insieme due direzioni opposte, cosa che avrebbe finito col farci marcire.» Come obbedire e continuare a predicare tutta la verità? Come fare un accordo senza che la Fraternità «marcisse» nella contraddizione?

E quando, un anno più tardi, Roma sembrava compiere dei veri gesti di benevolenza verso la Tradizione, Mons. Lefebvre continuò a non fidarsi. Egli temeva che si trattasse solo di «manovre per staccare da noi il più gran numero di fedeli possibile. È questa la prospettiva entro la quale essi sembrano cedere sempre un po’ di più e perfino spingersi più lontano. Noi dobbiamo assolutamente convincere la nostra gente che si tratta solo di una manovra, che è pericoloso mettersi nelle mani dei vescovi conciliari e di Roma modernista. Si tratta del più grande pericolo che minaccia la nostra gente. Se da 20 anni lottiamo per resistere agli errori conciliari, non è per metterci adesso nelle mani di coloro che professano questi errori.» Al seguito di Mons. Lefebvre, è proprio della Fraternità, più che il denunciare gli errori con i loro nomi, opporsi efficacemente e pubblicamente alle autorità romane che li diffondono. Come potrebbe conciliarsi un accordo con questa resistenza pubblica alle autorità, dunque al Papa? E dopo aver lottato per più di quarant’anni, la Fraternità dovrebbe mettersi adesso nelle mani di modernisti e liberali dei quali abbiamo appena constatato la pervicacia?

Monsignore, signori abbé, fate attenzione, voi conducete la Fraternità ad un punto dal quale non potrà più cambiare strada, ad una profonda divisione senza ritorno e, se concluderete un tale accordo, sotto delle potenti influenze distruttive che essa non sopporterà. Se fino ad oggi i vescovi della Fraternità l’hanno protetta è proprio perché Mons. Lefebvre rifiutò un accordo pratico. Poiché la situazione sostanzialmente non è cambiata, poiché la condizione posta dal Capitolo del 2006 non si è affatto realizzata (cambiamento dottrinale di Roma che permettesse un accordo pratico), date ancora ascolto al vostro Fondatore. Egli aveva ragione 25 anni fa. Egli ha ragione ancora oggi. Nel suo nome noi vi scongiuriamo: non impegnate la Fraternità in un accordo puramente pratico.

Con i nostri saluti più cordiali e fraterni, in Cristo e Maria,

Mons. Afonso de Galarreta
Mons. Bernard Tissier de Mallerais
Mons. Richard Williamson

Copia dell'originale della lettera







maggio 2012

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