Alcune riflessioni in seguito alla lettera del 7 maggio 2017

[dei sette Decani francesi della FSSPX]


26 maggio 2017

di Don Thierry Gaudray, FSSPX





Don Thierry Gaudray è uno dei Decani firmatari della Lettera Aperta ai fedeli della Fraternità San Pio X del 7 maggio 2017.
In questo scritto, Don Thierry, per brevità, espone delle considerazioni che necessiterebbero un buon approfondimento. Tuttavia, esse sono sufficienti per cogliere il nocciolo della questione, tali cioè da far capire come il vero problema non stia nei rapporti con Roma, né nelle disposizioni unilaterali di Papa Francesco, bensì all'interno stesso della Fraternità: nei rapporti seriamente cattolici tra i membri della Fraternità e la sua dirigenza.

Don Thierry Gaudray risiede nel Priorato della Santa Croce, a Croix, nel nord della Francia.


Croix, 26 maggio 2017

La Lettera dei Decani sui matrimoni nella Tradizione vi ha sorpreso. Essendo nell’impossibilità di rispondere a tutti i messaggi che ho ricevuto dopo che la lettera è stata letta, io scelto di scrivere un testo comune.
Molti mi hanno espresso la loro riconoscenza. Altri, lo sono, ritengono di non potere approvare il metodo usato. Altri forse non sono d’accordo con lo stesso contenuto della lettera.

L’agitazione è sempre cattiva consigliera. E’ nella preghiera e nella preoccupazione di lavorare per la salvezza delle anime – e prima di tutto della propria – che la difesa della fede dev’essere considerata, ed è con questo spirito che io scrivo.
E’ nella pace che possono essere superati i desideri, i timori e le speranze che troppo facilmente oscurano il giudizio. Per contro, non si tratta di rifugiarsi nel silenzio allorché le anime si perdono.
La Chiesa è infiltrata da nemici che non dormono e che sono arrivati a fare apostatare milioni di battezzati. Il silenzio può e dev’essere conservato in certe circostanze, ma quando si è con le spalle al muro, quando si dovrebbe finire col compiere un atto che non è onesto, allora il rifiuto dev’essere netto.
Il fatto che certi sacerdoti non valutino subito le conseguenze degli atti che si vogliono imporre loro, non cambia la natura delle cose. Il tempo farà il suo lavoro di decantazione per tutte le anime di buona volontà.

Ci è stato rimproverato di aver approfittato dei fedeli, sottoponendo loro un problema che non sarebbero stati in grado di risolvere. Io rigetto tale accusa, innanzi tutto perché il matrimonio è una cosa pubblica; la sua celebrazione riguarda gli sposi, che sono i ministri del sacramento, e riguarda anche tutti i fedeli.
Certo che la lettera dei Decani richiede un po’ di riflessione, ed è certo che alcuni l’hanno capita nel modo sbagliato. Ma con simili argomenti, bisognerebbe rinunciare a fare il più piccolo corso di catechismo.
Bisognerebbe rinunciare a condannare gli errori del Concilio perché essi spesso sono difficili da capire?

Io mi spingerei ancora oltre e ribalterei l’accusa. E’ dei sacerdoti che si è approfittato, ed è per questo che essi non possono tacere. Roma aveva appena pubblicato il suo testo, ed ecco che subito si imponevano a tutta la Fraternità ringraziamenti profondi e pubblici, rivolti al Santo Padre. In un commento ufficiale pubblicato dalla Casa Generalizia su Internet è stata subito annunciata la direzione che avrebbero preso i sacerdoti della Fraternità
La rivista DICI se ne è fatta eco per annunciare che i sacerdoti sarebbero entrati nel quadro imposto da Roma e dai Superiori della Fraternità.
Bisognava accontentarsi di obbedire senza fiatare? I sacerdoti dovevano modificare il modo di esercitare il ministero senza riflettere?

Al di là della questione del diritto, io cercherò di esporre di nuovo il problema di coscienza che si pone.
Oggigiorno, l’attacco principale degli inferi contro la povera umanità, verte sul matrimonio. Nessuno può ignorare questo attacco, poiché la famiglia è la cellula base della società. Tutti hanno il dovere di difendere l’unione matrimoniale nella sua natura, nei suoi fini e nelle sue proprietà.
Inoltre, i battezzati che credono nel carattere sacramentale del matrimonio cristiano, devono proteggere la professione di fede che comporta ogni consenso matrimoniale. I futuri sposi che saranno i ministri di questo sacramento (non è il sacerdote che sposa) non hanno il diritto di celebrarlo in maniera equivoca. I sacerdoti hanno il dovere di ricordarglielo e di aiutarli a proteggersi dai trucchi del clero modernista.

Il 4 aprile, il cardinale Müller faceva conoscere l’autorizzazione accordata dal Santo Padre ai vescovi del mondo intero di delegare un sacerdote diocesano a far benedire il matrimonio dei fedeli della Fraternità o, in caso di impossibilità, di concedere ai sacerdoti della Fraternità le facoltà necessarie.
A quel punto è stato annunciato che questa decisione del Santo Padre cambiava tutta la nostra attuale pratica. La quale consiste, come sapete, nell’indurre i fedeli ad approfittare delle disposizioni del canone 1098. Questo canone permettete di sposarsi senza ricorrere al clero conciliare, in ragione del grave danno per la fede che questo comporta. Invece, da allora in poi bisognava rivolgersi ai vescovi e agire in funzione delle loro risposte.
Certi sacerdoti propongono una cooperazione minimale a questa nuova pratica, accontentandosi di informare i vescovi successivamente (senza parlarne ai fedeli…) su ciò che ritengono di fare nella linea o nel quadro della lettera del cardinale Müller.
Ora, è proprio qui che si pone un vero problema di coscienza.
E’ lecito allinearsi o entrare in questo quadro? Basta considerare le diverse possibili risposte – che ognuno può darsi – per rendersi conto dell’immensa difficoltà.
La possibilità di fare intervenire in linea di principio un sacerdote modernista nella cerimonia del matrimonio è cosa evidentemente impensabile. Penso che non sia neanche il caso di soffermarsi su questa ipotesi.

Adesso, se il vescovo vuole inviare un sacerdote della sua diocesi (o venire lui stesso), ebbene, come rimproverargli di voler fare esattamente quello che il Papa lo invita a fare?
Come si fa a ringraziare profondamente il Papa per la sua decisione, scrivere al vescovo nel quadro di questa decisione, e poi rifiutare la risposta positiva del vescovo?
Come si può lodare una decisione e insieme considerare il «grave inconveniente» quando essa è applicata?
Peraltro, è impossibile far ricorso a dei falsi argomenti, come per esempio: dire che sarebbe la coppia che rifiuta questa presenza di un sacerdote conciliare, o che è la perplessità che la cosa genererebbe nei nostri fedeli che ci obbligherebbe a rifiutare la proposta del vescovo.

Il pastore deve precedere le pecore. I sacerdoti della Fraternità non si nascondono dietro la perplessità dei fedeli, ma la chiariscono. Se il vescovo rifiutasse ogni delega, come si potrebbe dire allora che il ricorso al canone 1098 ne risulterebbe rafforzato, dal momento che il grave inconveniente sarebbe diventato una questione personale?
Qui non sarebbero più gli sposi a rifiutarsi di ricorrere ad un’autorità pericolosa per la fede, ma sarebbe quel tal vescovo che rifiuta a quel tale sacerdote, in tal luogo e in tale momento, una delega che i primi si sono sentiti in diritto di chiedere. La logica di questa procedura non permette di vedervi un’ingiustizia, che peraltro non è mai stata il problema fondamentale.
Infine, se il vescovo concedesse la delega senza alcuna condizione, ma sempre nel quadro della lettera del cardinale Müller, come accoglierla con gioia senza provocare dei « turbamenti di coscienza nei fedeli che aderiscono alla Fraternità»? E senza mettere in problematica tutti gli altri matrimoni che sono stati o saranno celebrati nelle nostre cappelle?

Inserendosi nelle disposizioni pontificie, si ammetterà che nelle nostre cappelle si celebrerano due tipi di matrimoni e si sancirà tra i due una gerarchia ingiusta.
Invece di onorare i coraggiosi fedeli che hanno fatto ricorso al ministero dei sacerdoti della Fraternità, li si considererà: sia con compassione, perché non hanno avuto la fortuna di trovare un vescovo compiacente, sia con ostilità perché, non hanno voluto inserirsi nelle disposizioni esplicitamente stabilite per offrire una illusoria «piena comunione».

In definitiva, questo sigillo conciliare che si ritiene «mettere in sicurezza» i matrimoni dei nostri fedeli, non è un invito a rivolgersi alle ufficialità diocesane che stabiliscono dei veri a propri «divorzi cattolici» in nome del Codice del 1983, rivisto in maniera ancora più lassista da Francesco?
I poveri sposi che sono pronti a mettere in pericolo la loro fede, a violare i loro impegni matrimoniali e a praticare l’adulterio, sfortunatamente troveranno sempre un sacerdote per benedirli, anche nel rito tradizionale. E’ giusto allora indebolire le convinzioni di tutti i fedeli per rendere meno facile il tradimento di alcuni?

L’annuncio di un direttorio, che si dice dovrebbe stabilire una disciplina per la celebrazione dei matrimoni nella Fraternità, esigeva una reazione dei sacerdoti, perché era in ballo direttamente il bene dei fedeli. La natura del «comunicato ufficiale» e del «commento autorizzato» indica infatti chiaramente la linea del direttorio annunciato.
La questione è pubblica per sua natura e per volontà dei Superiori della Fraternità. I Decani, con le spalle al muro, hanno preferito manifestare la loro opposizione prima che gli ordini annunciati fossero effettivamente imposti.

Certi confratelli sono decisi a non tenere conto di questo direttorio. Peraltro, la stessa lettera ai Decani dimostra che il ricorso al canone 1098 non è assolutamente sotto l’autorità dei Superiori. Né i vescovi diocesani, né i Superiori della Fraternità possono arrogarsi il diritto di padroneggiare il diritto dei fedeli a sposarsi senza «grave inconveniente».
Ciò detto, il sacerdote esercita il suo sacerdozio in seno ad una società di cui assume le posizioni ufficiali. Personalmente, non vedo come un sacerdote possa adottare questo comportamento senza attirare su di sé tutti i rimproveri che si avanzano nei confronti dei sacerdoti che dipendono dalla vergognosa Commissione Ecclesia Dei.

Si è rimproverato ai Decani di voler far fallire gli sforzi della Casa Generalizia per ottenere da Roma una prelatura personale. Era questa la loro intenzione? La stessa lettera dei Decani richiama questa preoccupazione, quindi non c’è alcun mistero.
Procedure così contorte per la semplice celebrazione dei matrimoni determinano insormontabili difficoltà per l’esercizio del ministero sacerdotale nella piena ed intera professione di fede cattolica.

Ciò detto, le obiezioni formulate nella lettera mantengono il loro valore al di fuori di questo contesto, e richiedono delle risposte.



giugno 2017

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