Intervista concessa da
S. Em. Rev.ma il Card. Darío Castrillon Hoyos
Prefetto della Congregazione per il Clero e
Presidente della Pontificia Commissione “Ecclesia
Dei”
alla rivista inglese The Latin Mass
6 maggio 2004
Eminenza, un anno dopo la celebrazione, in Santa Maria
Maggiore, della Messa secondo il rito di San Pio V, quali sono state le
reazioni che ha registrato da parte del mondo “tradizionalista”?
Direi che sono state molto positive. A tutt’oggi ho ricevuto
centinaia di lettere, provenienti da tutte le parti del mondo, che manifestano
la gratitudine e la speranza suscitate da questa celebrazione, che peraltro
è stata seguita da numerosi
fedeli in Santa Maria Maggiore.
Io credo che si sia trattato di un evento davvero provvidenziale:
nell’anno del Rosario, nel quadro del venticinquesimo anniversario del
Sovrano Pontificato di Giovanni Paolo II, i fedeli legati alle precedenti
forme liturgiche e disciplinari della Tradizione latina hanno anch’essi
potuto esprimere la loro vicinanza spirituale al Santo Padre, con l’atto
più importante che ci sia, il Sacrificio Eucaristico, preceduto
dalla recita del Rosario; e tutto questo nella festa di Santa Maria Ausiliatrice,
nella Basilica Madre di tutte le chiese dedicate alla Vergine Maria e dove
riposa il corpo di San Pio V.
Tra le tante espressioni di riconoscenza, numerosi fedeli
hanno insistito sull’emozione generata da questo nuovo gesto di sollecitudine
pastorale verso coloro che, senza negare la validità dell’attuale
riforma liturgica, si riconoscono tuttavia nella celebrazione del Santo
Sacrificio secondo il Messale Romano nell’edizione tipica del 1962.
Inoltre, questa celebrazione ha rassicurato numerosi
fedeli sul fatto che il venerabile Rito di San Pio V beneficia appieno,
nella Chiesa cattolica di Rito Latino, del “diritto di cittadinanza”, come
ebbi a dire nell’omelia.
Questo Rito non è estinto, non v’è dubbio in materia. L’avvenimento
di Santa Maria Maggiore ha contribuito a dissipare questo dubbio, laddove
avesse potuto ingenerarsi a causa di una sorta di disinformazione.
Tengo a precisare, tuttavia, che l’unico motivo di questa
celebrazione è la richiesta che mi è stata legittimamente
avanzata, come Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei,
da diversi gruppi di fedeli, che volevano esprimere in questo modo la loro
vicinanza col Santo Padre; non dimentichiamo che il Papa ha anche autorizzato
la celebrazione privata della Messa di San Pio V nella cappella ungarica
della Basilica Vaticana, a quei preti che la richiedono e che sono muniti
di un regolare permesso.
Lei, Eminenza, con quale Rito celebra abitualmente
la Messa?
Col Rito col quale è celebrata in tutta la Chiesa
cattolica latina, e cioè col Novus Ordo. Celebrando la Messa
col Rito approvato da Paolo VI, devo dire trovo una ricchezza d’amore e
di devozione che personalmente mi soddisfano anche. In piú, apprezzo
il fatto che i piú semplici possano trarre profitto nella loro lingua
della profondità sacra del Rito.
Ma questo non mi impedisce di conservare un grande amore
anche per la Messa secondo il Rito di San Pio V: la Messa della mia ordinazione
sacerdotale e dei miei primi anni di sacerdozio.
Può dirci, Eminenza, come il Santo Padre considera
il movimento dei fedeli legati alla Tradizione?
Voglio ricordare che lo stesso Paolo VI aveva già
permesso che, in certe situazioni, alcuni preti potessero continuare a
celebrare come prima della riforma liturgica; in seguito, nel 1984, la
Congregazione per il Culto Divino, con la lettera “Quattuor
abhinc annos”, ha autorizzato a certe condizioni la celebrazione
di questo Rito, e infine lo stesso Sovrano Pontefice regnante, nel 1988,
col Motu Proprio “Ecclesia Dei”, ha raccomandato
che: “ dovrà essere ovunque rispettato l’animo di tutti coloro
che si sentono legati alla tradizione liturgica latina, mediante un’ampia
e generosa applicazione delle direttive, già da tempo emanate dalla
Sede Apostolica, per l’uso del Messale Romano secondo l’edizione tipica
del 1962” (Motu Proprio "Ecclesia Dei", 2.7.1988, n. 6). Non si può
neanche dimenticare che il Rito di San Pio V è il Rito ordinario
accordato il 18 gennaio 2002, per decisione di Sua Santità, all’Amministrazione
Apostolica personale San Giovanni Maria Vianney di Campos (Brasile).
Tutto questo mostra chiaramente che questo Rito, per concessione del Santo
Padre, ha pieno diritto di cittadinanza nella Chiesa, senza che con questo
si voglia diminuire la validità del Rito approvato da Paolo VI e
attualmente in vigore nella Chiesa latina.
Io penso che i ripetuti segni di vicinanza che il Santo
Padre ha dato ai fedeli legati alla Tradizione, testimoniano largamente
l’affetto di Sua Santità per questa parte del Popolo di Dio che
non si può assolutamente trascurare né tanto meno ignorare;
questi fedeli, in piena comunione con la Sede Apostolica, si sforzano,
anche attraverso numerose difficoltà, di mantenere vivi il fervore
e la devozione della fede cattolica attraverso l’espressione di un particolare
attaccamento alle forme liturgiche e devozionali dell’antica Tradizione,
nelle quali essi si riconoscono.
In effetti, mi sembra che l’adesione di questi fedeli
all’antico Rito voglia esprimere legittimamente una percezione religiosa,
liturgica e spirituale particolarmente legati alla Tradizione antica: quando
questo è vissuto in comunione con la Chiesa, è un arricchimento.
Io non amo, infatti, le concezioni che vogliono
ridurre il fenomeno “tradizionalista” alla sola celebrazione del Rito antico,
come se si trattasse di un attaccamento nostalgico e ostinato al
passato. Questo non corrisponde alla realtà che si vive all’interno
di questo vasto gruppo di fedeli. In effetti, qui siamo spesso in presenza
di una visione cristiana della vita della fede e della devozione - condivisa
da molte famiglie cattoliche spesso arricchite da numerosi figli - che
possiede le proprie particolarità; questa visione comporta, per
esempio, un forte senso di appartenenza al Corpo Mistico di Cristo, un
desiderio di mantenere solidamente i legami col passato - che si considera
non in opposizione al presente, ma nella continuità della Chiesa
- per conservare i piú forti punti di ancoraggio del cristianesimo,
un desiderio profondo di spiritualità e di sacralità, ecc.
All’interno della visione cristiana tipica di questi fedeli, l’amore per
il Signore e per la Chiesa trova cosí la sua espressione piú
alta nell’adesione alle antiche forme liturgiche e devozionali che hanno
accompagnato la Chiesa nel corso della sua storia.
È interessante poi sottolineare come in seno a
questa realtà si trovino numerosi giovani, nati dopo il Concilio
Ecumenico Vaticano II. Direi che essi esprimono come una “simpatia istintiva”
per una forma di celebrazione, e anche di catechesi, che secondo la loro
“percezione” lascia un ampio spazio al clima di sacralità e di spiritualità
che giustamente conquista anche i giovani di oggi: non si può certo
definirli come dei “nostalgici” o come un vestigio del passato. Vorrei
ricordare, inoltre, che questo venerabile Rito ha formato nel corso dei
secoli numerosi santi, ed ha modellato il volto della Chiesa, che ancora
oggi riconosce i suoi meriti, come è provato dall’indulto Ecclesia
Dei di Giovanni Paolo II.
Nella Chiesa vi è una tale varietà di doni
messi a disposizione di coscienze e di sensibilità diverse,
con le loro specificità, che trovano giustamente il loro posto in
questa abbondante ricchezza della cattolicità. Non si può
impedire che nel seno di questa varietà di doni e di sensibilità
siano presenti anche i fedeli detti “tradizionalisti”; non bisogna trattarli
come “fedeli di secondo ordine”, ma bisogna proteggere il loro diritto
a poter esprimere la fede e la pietà secondo una sensibilità
particolare, che la Santa Sede riconosce come del tutto legittima. Non
si tratta dunque di opporre due diverse sensibilità come se fossero
antagoniste: quella detta “tradizionale” e quella detta “moderna”; si tratta
invece della libertà di professare la stessa fede cattolica con
delle sottolineature e delle espressioni legittimamente diverse, nel pieno
rispetto fraterno e reciproco.
Eminenza, l’erezione dell’Amministrazione Apostolica
San Giovanni Maria Vianney di Campos, in Brasile, sembra essere un tentativo
riuscito di congiungere queste diverse sensibilità all’interno della
Chiesa?
Certamente! E innanzi tutto dobbiamo riconoscere l’opera
della Provvidenza: chi avrebbe mai immaginato, solo due anni prima del
Grande Giubileo, che una situazione irregolare come quella di Campos diventasse
un segno di speranza per tutto il mondo tradizionalista, e una prova concreta,
tra tante altre, che nell’unica Chiesa di Cristo possono coesistere sensibilità
differenti?
In effetti, la
situazione era piuttosto complicata: dopo la rinuncia di S. E. Mons.
De Castro Mayer al governo della Diocesi di Campos, si era formata progressivamente
l’associazione San Giovanni Maria Vianney - con dei preti, delle
forme di vita religiosa e delle comunità di fedeli ? e di fatto
essa era una struttura parallela alla Diocesi. Si trattava evidentemente
di una situazione grave, anche a causa dell’ordinazione episcopale ricevuta
da Mons. Rangel, che era a capo della struttura; ordinato dai vescovi scomunicati
della Fraternità San Pio X, egli incorse a sua volta nella scomunica
automatica (latae sententiae). Grazie a Dio il gruppo di Campos è
uscito da una situazione che poteva condurre ad uno stato di scisma formale.
Dove vi era un vescovo con dei preti, dei religiosi e
dei fedeli autonomi, con un atto di umiltà e di pentimento, lo stesso
Mons. Rangel e i suoi preti, rispondendo all’invito del Santo Padre, hanno
considerato in coscienza che era loro dovere rientrare nella piena comunione
con la Chiesa, constatando che le condizioni che essi stimavano costituissero
“uno stato di necessità”, non esistevano piú. Cosí
è nata una situazione completamente differente. Occorre davvero
ricordare le splendide parole del Signore: “Ecco che io faccio nuove tutte
le cose”.
Ma io tengo a sottolineare che questo è stato
possibile grazie ad “un atto di umiltà e di pentimento” da parte
dell’Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney, che ha riconosciuto
che non si poteva condurre una battaglia al servizio della Tradizione senza
il legame, affettivo ed effettivo, col Vicario di Cristo e la Sede Apostolica.
In effetti, la storia, forse maestra piú di ogni
altra, insegna che mai alcuno ha portato dei frutti nella Chiesa senza
la benedizione del Santo Padre.
Occorre marciare con Pietro per non perdere il
retto cammino. S. E. Mons. Licinio Rangel, con tutta la Comunità
di Campos, ha ottenuto dopo la riconciliazione un accordo storico con la
Sede Apostolica, e adesso è in piena luce, mentre prima direi che
era come nell’ombra di una situazione irregolare che faceva soffrire loro
come noi.
Adesso non vi sono piú “loro” da un lato e “noi”
dall’altra: vi è piena unità. Poiché il clima di collaborazione
instauratosi tra l’Amministrazione Apostolica San Giovanni Maria Vianney
e la Diocesi locale, e non solo a Campos, ma anche in altre Diocesi del
Brasile, è veramente positivo. Vi sono dei Vescovi che chiedono
all’Amministrazione Apostolica di inviare loro dei preti per assistere
nelle loro Diocesi i fedeli legati all’antica Tradizione. In una Diocesi
è stato chiesto a questi preti di assicurare un tempo di permanenza
per le confessioni nella Cattedrale locale.
L’attuale Amministratore Apostolico, S. E. Mons. Fernando
Rifan, è un infaticabile iniziatore di “ponti”. La sua personale
testimonianza dimostra che questa collaborazione con gli episcopati locali
è veramente possibile, senza sacrificare niente di quella identità
che il Santo Padre ha riconosciuta legittima per i cattolici legati alle
precedenti forme liturgiche e disciplinari della Tradizione latina. E il
fatto che il Santo Padre abbia accordato a questa Amministrazione
Apostolica il Rito di San Pio V come Rito ordinario, mostra una volta di
piú che Sua Santità e la Sede Apostolica hanno generosamente
risposto alle legittime richieste di questi preti e di questi fedeli di
Campos.
Eminenza, mi permetta una domanda forse indiscreta.
Dopo l’erezione dell’Amministrazione Apostolica di Campos, in numerosi
ambienti tradizionalisti è nata la speranza che quanto era
stato accordato ai fedeli brasiliani potesse essere accordato, in un modo
o in un altro, anche ai fedeli tradizionalisti del mondo intero. Che può
dirmi a questo proposito?
Qui occorre innanzi tutto distinguere la situazione di
Campos, che è limitata ad uno specifico territorio, dalla situazione
degli altri fedeli che godono dell’indulto Ecclesia Dei e che sono sparsi
nel mondo intero. La soluzione trovata per Campos è una conseguenza
della loro specifica situazione locale.
Io posso dire che il Santo Padre, già con l’indulto
Ecclesia Dei e la creazione della Pontifica Commissione dello stesso nome,
ha voluto difendere le legittime aspirazioni dei fedeli legati alla Liturgia
antica; è lungo questa linea che la Commissione continua a lavorare.
Piú di quindici anni dopo questo Motu Proprio, considerando le numerose
difficoltà che sono sorte tra questi fedeli e diversi Vescovi che
rimangono perplessi o che sono piuttosto esitanti ad accordare i permessi
necessari, prende sempre piú corpo un’idea in base alla quale è
divenuto necessario rendere effettiva la concessione dell’indulto in scala
piú ampia e in modo corrispondente alla realtà; il che significa
che si considerano maturi i tempi per una nuova forma di garanzia giuridica,
chiara, di questo diritto già riconosciuto dal Santo Padre con l’indulto
del 1988. I Cardinali e i Vescovi Membri della Pontificia Commissione Ecclesia
Dei hanno studiato con molta attenzione questa situazione, cercando i migliori
suggerimenti da offrire a chi di dovere.
Tutto questo, evidentemente, sarà valutato alla
luce di quella prudenza e di quella saggezza che deve sempre caratterizzare
l’azione della piú alta Autorità della Chiesa.
Da parte mia posso dire che non perdo mai la speranza;
non mi considero mai vinto, perché so che la pazienza, come dice
Santa Teresa d’Avila, ottiene tutto!
Senza voler abusare del suo tempo, né delle
sua pazienza, mi perdoni un’ultima domanda: vi sono delle speranze
di riconciliazione con la Fraternità San Pio X?
Io ho fortemente a cuore anche questa speranza; che condivido
col Vicario di Cristo, che mantiene le braccia aperte in attesa della Fraternità
San Pio X. Ma non nego una certa perplessità davanti alle esitazioni
che esprimono i Superiori della Fraternità San Pio X in ordine a
questo ritorno alla piena comunione, esitazioni espresse ancora recentemente
nel corso della famosa
conferenza stampa a Roma di S. E. Mons. Bernard Fellay.
Malgrado tutti questi segni di esitazione, credo tuttavia
alle parole che lo stesso Mons. Fellay ha ripetute in questa conferenza
stampa del 2 febbraio, e cioè che egli non vuole rompere il dialogo
con Roma.
Io mi auguro quindi che questo dialogo conduca alla tappa
tanto desiderata della piena regolarizzazione della Fraternità San
Pio X, e che si possa costruire insieme, nella Chiesa, l’unità di
intenti voluta da Cristo, nel pieno rispetto delle legittime diversità,
che bisogna considerare non come opposizioni, ma come complementarietà.
In coscienza, devo dire che il Santo Padre e i suoi collaboratori
piú stretti hanno fatto e fanno, in effetti, tutto quello che è
loro possibile per far comprendere alle Autorità della Fraternità
San Pio X la profonda convinzione che oggi è giunto il tempo favorevole
per il loro auspicato ritorno, un autentico Kairos di Dio.
Se la Chiesa non fosse stata fondata sulla Roccia del
Primato di Pietro, le diversità non potrebbero avere la garanzia
della loro unità e del loro centro di gravità nel Vicario
di Cristo, e diventerebbero inevitabilmente delle opposizioni che separano;
ma grazie alla Volontà di Cristo la Chiesa, anche in mezzo alla
tempesta, è sempre sostenuta dallo Spirito Santo, e il suo governo
è stato affidato a Pietro perché le potenze dell’inferno
non prevalgano su di essa.
Si veda l'informativa del Presidente della
FIUV nella quale il Cardinale parla degli stessi argomenti.(13.3.2004)
Si veda l'intervista rilasciata dal card.
Castrillon a Il Giornale, (31.5.2004).
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