Conferenza di S. Ecc.za Mons. Bernard Fellay

Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X

Villepreux (Francia), 14 ottobre 2006
in occasione delle Giornate della Tradizione

(testo italiano in formato pdf)



Il testo in francese è stato pubblicato nel n° 102 (Nov. Dic 2006) di Nouvelles de Chrétienté

I neretti sono nostri



 
 

La Fraternità San Pio X dopo il Capitolo Generale

 
Don Alain Lorans: Monsignore, a nome dei presenti la ringrazio per aver benevolmente accettato questo invito.
Grazie infinite per aver onorato con la sua presenza queste giornate della Tradizione a Villepreux. Lei ha scelto come tema per questa conferenza: La Fraternità San Pio X dopo il Capitolo Generale.
Ci si può chiedere se questo argomento sia in linea con l’attualità, nella misura in cui, da alcuni giorni, i mezzi di comunicazione parlano di un Motu Proprio che liberalizzerebbe la Messa, mentre un po’ di tempo fa si è avuta la questione dell’erezione dell’Istituto del Buon Pastore; si potrebbe essere tentati quindi di avere subito il suo parere su queste due novità… Ma mi sembra che sia opportuno attenerci al titolo che Lei ha dato a questa conferenza: La Fraternità San Pio X dopo il Capitolo Generale.
Questo Capitolo Generale, che si è svolto a luglio e nel corso del quale Lei è stato rieletto per dodici anni, è stato indubbiamente l’occasione per richiamare i grandi princìpi che il suo predecessore, Mons. Marcel Lefebvre, ha voluto fossero i princìpi della Fraternità.
Io penso che potremmo cercare di chiarire questi due avvenimenti ? l’annunciato Motu Proprio e la fondazione dell’Istituto del Buon Pastore ? alla luce di ciò che è la Fraternità e di ciò che Lei ha ascoltato da parte dei quaranta Capitolanti.
La mia prima domanda, allora, è la seguente: Può dirci, senza evidentemente tradire il segreto del Capitolo Generale, in che modo è stato riaffermato nel corso dell’assemblea lo spirito della fondazione di Mons. Lefebvre, la Fraternità San Pio X.


Mons. Bernard Fellay: Uno dei princìpi che ci ha dati Mons. Lefebvre stesso, nel corso di un Capitolo in cui era ancora presente, fu di non cambiare dei nostri statuti nulla di relativo allo spirito della Fraternità, alle sue linee generali. Evidentemente, col tempo, ciò che attiene all’aspetto amministrativo vedrà delle modifiche, vi saranno più distretti, bisognerà rafforzare questo o quel posto…
In questo modo l’amministrazione ha conosciuto delle modifiche, ma non le linee fondamentali, i princìpi. Allo scopo di seguire questa linea guida, in modo particolare in occasione di un Capitolo Generale, abbiamo consegnato ad ogni Capitolante le decisioni prese dal Superiore Generale e dai Capitoli precedenti nel corso dei trenta o trentacinque anni di vita della Fraternità. In questo modo, prima di riflettere su delle nuove decisioni, abbiamo avuto sotto gli occhi ciò che era stato deciso nel passato, così da rimanere fedeli allo spirito che ci era stato consegnato da Monsignore.
Lo spirito della fondazione lo conoscete, ma è meglio ribadirlo. 
Quando si parla della Fraternità si pensa a tante cose, ma la Fraternità ha innanzi tutto il titolo di sacerdotale: è una società di sacerdoti. Quando si parla dei suoi statuti, si tratta di un insieme di regole che espongono il modo in cui devono vivere dei sacerdoti membri di questo Istituto ? che annovera anche dei religiosi ? con l’assicurazione che rimanendo fedeli a queste regole essi andranno in Cielo.
Questo è il vantaggio delle società della Chiesa ? quelle religiose, ma anche quelle come la nostra ? si riceve la garanzia da parte della Chiesa che, una volta che la Chiesa ne ha approvate le regole, rimanendo fedeli ad esse ci si santifica e si va in Cielo. Si tratta in tutta evidenza di un consolazione straordinaria, ed è questa che ci guida prima di tutto nel corso di un Capitolo, al momento di una nuova decisione.
Si tratta di una prospettiva che non è assolutamente né politica né diplomatica.
No! È uno sguardo sul Buon Dio. Si tratta di prendere le disposizioni corrispondenti alla nostra epoca perché il sacerdote, membro della Fraternità, abbia oggi una vita tale che, seguendo le regole che gli sono state date, si santifichi e per ciò stesso possa apportare ai fedeli in modo ancora più efficace le grazie del Buon Dio che egli rappresenta. È questo l’oggetto di un Capitolo. Guardando al bilancio dei dodici anni trascorsi, ed eventualmente ancora più indietro, mettiamo in evidenza ciò che è andato bene, ciò che non è andato bene, i difetti della corazza per cercare di ripararli, per affrontare i nuovi problemi sempre in questa prospettiva.
Monsignore ci ha dato una visione sul sacerdote ed ha molto insistito dicendo: "la Fraternità Sacerdotale San Pio X non ha una spiritualità propria". Qual è la nostra particolarità? Qual è lo spirito nostro proprio? È quello di non avere uno spirito proprio. È quello di avere lo spirito della Chiesa, di essere il più vicino possibile a ciò che la Chiesa intende quando dice: sacerdote. Dire sacerdote è dire Gesù, Nostro Signore Gesù Cristo. Nel Nuovo Testamento vi è un solo Mediatore, un solo sacerdote, che è Nostro Signore Gesù Cristo.

Dicendo sacerdote, si intende anche un’azione, allo stesso modo che quando si dice occhio si dice vedere. Senza l’atto del vedere un occhio non serve a niente, non ha senso. Allo stesso modo, dicendo sacerdote, si dice atto sacerdotale: che è la Messa. Si comprende che cosa sia un occhio considerando l’atto del vedere; parimenti il sacerdote si comprende considerando la Messa. È questo il fondamento della Fraternità, la sua particolarità al giorno d’oggi, in questo tempo della Chiesa che è una tragedia ? una tragedia in cui è proprio il sacerdozio ad essere rimesso in discussione. Non si sa più che cosa sia un sacerdote. Ricordare al mondo intero, ed alla Chiesa in primo luogo, che cosa sia il sacerdote: ecco l’argomento di studio del Capitolo, con tutte le sue conseguenze… come per esempio: i dati dell’apostolato odierno, i problemi interni, il sostegno da dare ad un sacerdote. Occorre assicurarsi che egli possa santificarsi, occorre spalleggiarlo, bisogna fornirgli degli aiuti per la disciplina.
L’attenzione del Capitolo è rivolta innanzi tutto sulla Fraternità. E benché non si guardi a ciò che le è esteriore, la vita della Fraternità è condizionata da questo esteriore: il mondo che causa un somma di problemi che noi dobbiamo affrontare per poterli risolvere. Problemi, per esempio, della gioventù, della decadenza dell’educazione, della famiglia, di come aiutare le famiglie oggi. Ecco le questioni gravissime che abbiamo anche studiato.
Ci siamo anche soffermati sulla questione delle relazioni con Roma, la quale da alcuni anni ha modificato il suo comportamento nei confronti della Fraternità. Abbiamo considerato a che punto sono e in che direzione vanno. Abbiamo provato a fissare un programma considerando che molto più che un programma cronologico è importante ciò che per grandi linee si può chiamare una battaglia. È alquanto impressionante pensare che parlando delle relazioni di una società della Chiesa con la sua Gerarchia si possa parlare di battaglia. Ma è questa la realtà! E così, senza inventare niente di nuovo, abbiamo ridefinito questa linea di condotta in una dichiarazione che è stata portata a conoscenza dei sacerdoti e dei fedeli.
 

Don Alain Lorans: Monsignore, a proposito di questa dichiarazione, che effettivamente abbiamo potuto leggere perché è stata resa pubblica, i quaranta Capitolanti rigettano la possibilità di un accordo pratico. Essi dicono che questo accordo è… cosa? impossibile, chimerico nell’immediato?


Mons. Bernard Fellay: Oggi è impossibile.
E perché? Perché non è l’accordo in quanto tale, in astratto, che è impossibile, visto che Roma ce lo offre, che Roma ci dice: "siamo pronti per un accordo". Non è l’accordo in sé, ma il contesto nel quale questo accordo si realizzerebbe.
Supponendo che si faccia l’accordo, quale sarebbe la nostra situazione?
In quali circostanze verremmo a trovarci?
La conseguenza immediata di un tale accordo consisterebbe in una situazione vivibile per noi? Evidentemente no!
Nel corso dell’udienza del 29 agosto dell’anno scorso, ho detto testualmente al Papa: "Oggi, la situazione della Chiesa è tale che una vita cattolica normale, e cioè tradizionale, è resa impossibile". Questa vita è impossibile nella pratica, ed è allora impossibile parlare di accordo pratico prima che questa vita sia resa possibile. E rendere possibile questa vita cattolica non dipende da noi, ma dal Papa, dalla Gerarchia cattolica che deve adottare delle misure, delle disposizioni che, per un verso reprimano e condannino le deviazioni e gli abusi, e per l’altro promuovano in maniera positiva i princìpi cattolici, le regole cattoliche di sempre, che si tratti della disciplina, della liturgia o della vita religiosa. A partire dal Vaticano II è tutto un mondo che è stato cancellato dalla realtà: la vita cattolica di un tempo oggi non esiste più! Occorre ripristinarla.
Evidentemente non aspetteremo che tutto venga ristabilito per dire: "Adesso siamo pronti". Ma i princìpi che reggono questa vita debbono essere ricordati e reimposti. Fintanto che questi elementi non saranno presenti, pretendere un accordo pratico equivale ad un suicidio puro e semplice.
Nel corso del Capitolo Generale abbiamo fatto degli esempi.
Supponiamo che oggi si faccia l’accordo. Cosa comporterà domani? Noi siamo perfettamente riconosciuti come membri della Chiesa ufficiale, e il reverendo Parroco ci invita ad aiutarlo, in una cappella dove vi è tanta gente, per dare la Comunione. Eccoci subito di fronte al primo problema, poiché quella Comunione io non la do, e dico: "La nuova Messa, questa nuova Messa è cattiva, io non posso parteciparvi e non vi partecipo, dunque non do la Comunione con lei".
Si parte subito male! Si possono considerare le cose da tutti i lati, ma le relazioni con coloro che ci stanno vicini sarebbero immediatamente conflittuali.
Allora saremmo obbligati a rimanere chiusi in noi stessi, a barricarci per non avere dei problemi, il che costituirebbe un ulteriore problema.
Tutto questo mostra bene che non è possibile incominciare facendo un accordo pratico. Ci metteremmo in una situazione impossibile, e fin dalla sera dell’accordo ci si troverebbe già in un tale disaccordo che saremmo nuovamente “scomunicati”. È per questo che diciamo che non è questa la strada giusta e che occorre cominciare modificando l’attuale stato di fatto. Da qui l’insistenza su ciò che noi chiamiamo i preamboli. Vale a dire degli atti che non ci riguardano direttamente, ma che riguardano tutta la Chiesa e che, un volta posti, andranno a modificare a poco a poco quella condizione di spirito in cui si trova oggi la Chiesa ufficiale.
Noi chiediamo due preamboli come due segni per cominciare ad andare avanti. Poiché non bisogna pensare che una volta attuati i due preamboli si firmerà l’accordo. Non si tratta di condizioni contrattuali, per cui adempiuta la prima e poi la seconda, si firma. Si tratta di una realtà: la vita della Chiesa che a poco a poco verrà modificata da questi preamboli e la vita cattolica normale che a poco a poco si renderà nuovamente possibile. A poco a poco noi potremo avere una normale relazione col nostro prossimo, il cattolico della Chiesa ufficiale.
Questo ritorno sarà estremamente delicato, poiché il rischio di confusione è grande, ma proviamo a riflettere e a chiederci: che cosa è possibile? In che modo la Chiesa potrà subito rimettersi in sesto… o in carreggiata?
Vi sono due soluzioni, una è il miracolo, la conversione istantanea non solo di una persona, ma di tutta la Chiesa, che di colpo si ritrova in carreggiata come se niente fosse. Miracolo prodigioso. Niente è impossibile a Dio. Ma dal punto di vista umano e con la Fede stessa la cosa è molto improbabile. Fino ad oggi, il Buon Dio non ha mai usato questo metodo. Egli può farlo, e il famoso "Alla fine il mio Cuore immacolato trionferà" corrisponderà forse a questo, o forse no.
Contare su questa guarigione miracolosa della Chiesa non è cosa ragionevole. Il metodo abituale del Buon Dio è una guarigione graduale, come quando ci si rimette da un’influenza o da qualche altra malattia. Lo stesso si deve pensare di questa crisi della Chiesa, almeno secondo le nostre forze e le nostre capacità d’azione. Gradualmente la Chiesa uscirà da questa crisi, con delle tappe intermedie nel corso delle quali ci si riavvicinerà. Per noi sarà un periodo molto difficile, perché, da un lato occorre conservare la fermezza e, dall’altro lato, bisogna constatare i progressi che si fanno in proposito. Si deve avere una carità, una misericordia verso il prossimo, mantenendo nel contempo questa fermezza. Il che è molto più difficile di una battaglia in cui le due posizioni sono chiaramente e francamente determinate. Se mi piazzo sulla mia posizione, anche il nemico fa lo stesso: si sa dov’egli è, [si sa] come colpirlo. Ma se egli comincia a spostarsi…, ogni cacciatore sa bene che è più difficile sparare su di un animale che si muove, non è difficile da capire. Lo stesso sarà per noi. Sarà molto più difficile, ma il Buon Dio ci donerà tutte le grazie necessarie.
Per questo innanzi tutto insistiamo sui preamboli; è necessario che Roma faccia qualcosa.
E quando chiediamo a Roma questi preamboli abbiamo in vista diversi scopi o, per meglio dire, una intenzione più ampia. Noi diciamo: "Così potete darci dei segni con i quali potremo ridarvi un po’ della nostra fiducia". Infatti, se Roma farà questo gesto ci proverà di desiderare del bene per la Tradizione. In effetti, noi non chiediamo mezze misure. Noi chiediamo la libertà totale della Messa. Non chiediamo una pezza del tipo: la Messa, sì, a condizione di riconoscere il Concilio e la nuova Messa e di essere sottomessi al Vescovo, che imporrà nuove condizioni.
No! La libertà, a parità di diritto!
E perché la Messa? Noi l’abbiamo già, quindi non è per noi. È proprio per la Chiesa che noi chiediamo la Messa. La Messa è il cuore della Chiesa. Il cuore è quella pompa che distribuisce il sangue, l’ossigeno in tutto il corpo, e per ciò stesso distribuisce la vita in tutto il corpo. Parimenti è questa pompa che invia la grazia in tutto il Corpo Mistico. E una Messa fruttuosa, piena di grazie, rivivifica la Chiesa. La nuova Messa è una pompa estremamente difettosa, è un cuore dopo un infarto, e ancora peggio… non si sa se si potrà andare molto lontano prima che sopraggiunga la morte. 
Reintrodurre la Messa tradizionale significa riaprire le cataratte della Grazia sulla Chiesa. Si tratta innanzi tutto di un atto giuridico. La Messa tradizionale non è interdetta. Pretendere che sia interdetta è un falso giuridico. È un’ingiustizia, e Roma, orribile a dirlo, riconosce che questa Messa non è mai stata abrogata. Si ha piena coscienza di questo. E dire che essa non è mai stata abrogata significa riconoscere che si tratta di una legge ancora in vigore nella Chiesa. La Messa antica è una legge che non è mai stata soppressa, mai stata abrogata, essa è in vigore ancora oggi nella Chiesa.
E si proibisce di applicarla. Giuridicamente è mostruoso! Noi reclamiamo che alla Messa sia fatta giustizia. Essa ha il diritto di essere celebrata e i sacerdoti hanno il diritto di celebrarla. Il semplice fatto di ristabilire la giustizia nella Chiesa, anche se nessuno celebrerà questa Messa, questo ripristino della giustizia assicurerà delle grazie alla Chiesa. Non fosse che questo!
Per di più, vi è un desiderio crescente della Messa. A ben guardare con attenzione si vede che questo desiderio esiste soprattutto presso i giovani. Oggi sono i giovani sacerdoti, non ancora in maggioranza, ma in numero assai importante, che desiderano la Messa. Le testimonianze che riceviamo di sacerdoti che sono ritornati all’antica Messa sono impressionanti. Io stesso ne ricevo, e sono molto confortanti. Come quel sacerdote con dieci anni di sacerdozio che mi diceva: "Celebrando l’antica Messa ho scoperto che cos’è il sacerdote". Il che non significa che prima non sapesse che cosa fosse il sacerdote: ma ne aveva appena un’idea, senza una conoscenza profonda.
Vi è una profondità infinita nel sacerdozio, e questa profondità non la si può trovare nella nuova Messa. In questo senso, il sacerdote che è inchiodato alla Messa nuova non sa chi è. Un prelato di alto rango, a Roma, ha osato dire che il sacerdote non può trovare la sua identità nella nuova Messa. È pesante, ma è vero. È più che importante che il sacerdote sappia chi è. Se sa chi è, comprende meglio le esigenze del suo sacerdozio, i suoi doveri. Di conseguenza li compirà meglio, e tutta la Chiesa, tutte le anime ne avranno un beneficio. 
Per dare un esempio di questa aspettativa dei sacerdoti: da alcuni anni, relativamente recenti, in alcuni paesi abbiamo cominciato ad offrire ai sacerdoti la possibilità di imparare a celebrare la Messa antica, di scoprire la Messa antica. Dato che non sempre possiamo recarci da loro, né loro possono sempre venire da noi, noi proponiamo loro un filmato, e cioè un video su un moderno DVD.
Vedete, la tradizione sa anche utilizzare i mezzi moderni, non v’è contraddizione!
Così, a partire dagli Stati Uniti, abbiamo offerto un filmato in cui vengono spiegati tutti i gesti del sacerdote, il loro senso mistico, spirituale, affinchè i sacerdoti familiarizzino con la Messa a possano imparare a dirla. Quest’anno abbiamo fatto lo stesso in Germania, paese ritenuto molto moderno e poco permeabile all’idea della Tradizione e in cui noi non abbiamo molti corrispondenti tra il clero ufficiale, solo alcuni sacerdoti… Non di meno, abbiamo lanciato questa iniziativa e, fino ad oggi abbiamo inviato alla metà del clero tedesco la seguente proposta: "Se la presentazione della Messa tradizionale Le interessa, può richiederla a noi, che gliela invieremo gratuitamente". In meno di tre mesi abbiamo ricevuto più di mille domande, esattamente 1050, di cui 100 seminaristi e 950 sacerdoti. E finora abbiamo preso contatto solo con la metà del clero tedesco!
Questo dimostra che vi è un’attesa e noi, evidentemente, porteremo avanti questa iniziativa.
Al tempo stesso, questa Messa è un test su Roma. Noi sappiamo perfettamente che liberalizzare la Messa significa provocare un contraccolpo nella Chiesa. Non tutti saranno contenti, vi sarà dell’opposizione, si avrà un po’ di guerra, forse anche una forte opposizione contro Roma. E sappiamo perfettamente che se un giorno noi ci ritroveremo uniti, l’opposizione sarà quasi la stessa. È per questo che diciamo a Roma: "Volete un accordo? Cominciate col liberalizzare la Messa e vediamo quel che succede. Se veramente terrete duro, se veramente siete convinti della necessità della Messa, allora vi batterete per difenderla e si potrà pensare che sarete anche pronti ad impegnarvi per difenderci nel momento in cui verremo aggrediti da quella quantità di Vescovi ? e altri ? che non vorranno saperne di noi".
Fin dal 2000 chiediamo a Roma questa liberalizzazione della Messa. Allora ci si diceva: "Siete completamente pazzi, che vi prende di chiedere una cosa simile? Voi chiedete la luna". Vedete, oggi se ne parla come se fosse domani. Io non so se sarà domani, ma in ogni caso questa liberalizzazione della Messa, con molta probabilità, sembra un realtà di domani o di dopodomani. 
E se si ottiene un bene così grande in meno di sei anni, davvero valeva la pena chiederlo!
 

Don Alain Lorans: Monsignore, grazie di averci ricordato i princìpi che guidano la vostra azione, e credo che questa ampiezza di vedute sia necessaria. Non si tratta di aggrapparsi al sensazionale. Non di meno, dei fatti esistono, ed essi hanno monopolizzata l’attenzione… Lei dice che si augura si crei questo clima di fiducia, per ridare alla Chiesa questa possibilità di diffondere le grazie per mezzo della Messa tradizionale.
Ex confratelli della Fraternità hanno fatto un’altra scelta, quella dell’accordo pratico, ed hanno ottenuto l’esclusività della celebrazione della Messa di San Pio V. In che questa posizione si differenzia dalla sua? In cosa essa non la soddisfa?


Mons. Bernard Fellay: Vi sono due aspetti. Per un verso: qual è il significato di questa esclusività? Essa sta a significare qualcosa di nuovo, un di più. Il che mostra che la Tradizione avanza, malgrado tutto. Si promette a questi sacerdoti che avranno il diritto di celebrare solo la Messa antica. Hanno cioè il diritto di rifiutarsi di celebrare la nuova Messa, se glielo si chiede. È questo che implica il termine “esclusivo”. Tuttavia, questo termine può anche nascondere dell’altro. È in questo che inganna, e il Cardinale Ricard si è premurato a sottolineare quest’altro aspetto. E cioè che nessuno può impedire a un sacerdote che gode di questo diritto all’esclusività, di celebrare la nuova Messa se egli stesso lo vuole.
 

Don Alain Lorans: Secondo Lei, neanche i suoi superiori?


Mons. Bernard Fellay: Questo è detto chiaramente in un decreto di Roma del 1999, chiamato all’epoca protocollo 1411. Quando alcuni superiori dei gruppi Ecclesia Dei, e in particolare don Bisig, aveva punito dei preti della Fraternità San Pietro che erano andati a celebrare la messa crismale col Vescovo del luogo, Roma aveva risposto dicendo: "Caro reverendo, e tutti voi superiori delle comunità Ecclesia Dei, voi non avete il diritto di proibire ai vostri preti di andare a celebrare con il Vescovo del luogo". È esattamente quello che ha ricordato il Cardinale Ricard in occasione dell’erezione dell’Istituto del Buon Pastore: "Voi avete diritto all’esclusività della Messa antica, certo, ma se uno dei vostri preti vuole celebrare la nuova Messa egli ha perfettamente in diritto di farlo". In altre parole, si è loro preparato un magnifico recinto con una porta aperta. Io non so se voi avete mai provato a mettere dei polli in un magnifico pollaio e a lasciare poi la porta aperta. L’esclusività è l’insieme, i muri, ma ciò che non è detto è che la porta è aperta. Non c’è bisogno di tante spiegazioni per capire come vanno le cose.
 

Don Alain Lorans: Possiamo chiedere dove esattamente il Cardinale Ricard ha dichiarato ciò che Lei ha appena detto?


Mons. Bernard Fellay: Lo si trova ne La Croix, che riprende l’editoriale del Cardinale Ricard di ottobre apparso su L’Aquitaine, giornale ufficiale della diocesi di Bordeaux, secondo il quale non si ha il diritto di proibire loro la celebrazione della nuova Messa e la concelebrazione col Vescovo o col Papa.
 

Don Alain Lorans: Dunque possiamo fare riferimento a La Croix.


Mons. Bernard Fellay: Sì, a La Croix.
 

Don Alain Lorans: Lo riporterò su DICI.
Monsignore, si parla di un Motu Proprio sulla Messa, che non c’è ancora. Evidentemente è difficile commentare un documento di cui si è solo annunciata la pubblicazione. Non di meno, si parla di un unico rito, il Rito Romano, ma in due forme: la forma "ordinaria", quella di Paolo VI, e la forma "straordinaria", di San Pio V. Se questa informazione fosse confermata, potrebbe offrirci un commento? 


Mons. Bernard Fellay: È difficile. Perché? Perché si sa che qualcosa è in preparazione. Questa la cosa certa. Vi è un progetto per il permesso della Messa antica, che è in preparazione, e fino ad ora possiamo constatare che questo lavoro si sta facendo nel più grande segreto. Le cose filtrano un po’ la volta, e ci si agita, a Roma e altrove… La cosa più sicura è che il Papa, con una decisione sua propria, e cioè con un Motu Proprio, vuol correggere, migliorare la situazione della Messa antica nella Chiesa. Secondo quanto si sente, sembra che egli abbia prevista una liberalizzazione totale. Ma si vede anche che vi sono molti contrasti e che non sono pochi coloro che vogliono decisamente provare a ridurre questa libertà totale. Fino a che punto arriveranno gli oppositori? A cosa potranno opporsi? Quali sono le restrizioni che saranno capaci di imporre al Papa? Lo vedremo solo quando il documento verrà pubblicato.
Prima è molto difficile parlarne. Attualmente abbiamo sentito che il documento è stato presentato al Papa due volte, ed è tornato indietro. Questo significa che il Papa non era affatto contento del testo approntato. Il documento quindi passa da una commissione all’altra, da una Congregazione all’altra, viene rivisto da tale o da tal’altro Cardinale. Un articolo dell’altro ieri, che io reputo il più affidabile tra quelli pubblicati fin qui dalla stampa, l’articolo di Tornielli su Il Giornale, ci dice che il documento è stato rivisto dal Cardinale Herranz e che è passato alla Congregazione per il Culto, dove è stato contrastato parecchio. Vi sono dei compromessi, si è cercato di imporre il diritto del prete di celebrare la Messa senza il permesso del Vescovo, anche nel caso di una Messa pubblica, a condizione che vi fossero cento persone ad assistervi. Poi si è depennato il cento e si è scesi a trenta. Non appena si fa un passo in una direzione, si esige una concessione nella direzione opposta, cancellando il richiamo agli abusi liturgici della nuova Messa.
Come si vede, si tratta di un do ut des, una specie di compromesso a livello di Curia. Così un sacco di gente si agita per cercare di limitare il più possibile l’atteso effetto positivo.
Fintanto che il testo circola, è impossibile dirne qualcosa. Vi sono troppi rischi per potersi pronunciare. Quando verrà pubblicato? Anche su questo non si sa niente. Alcuni ci dicono: è firmato. Più probabilmente non è stato ancora firmato. Ci si dice: il Papa aspetta l’occasione favorevole. Ma quando arriverà questa occasione favorevole? Sentite, lasciamola alla sua saggezza! Preghiamo per lui. E poi si vedrà!
 

Don Alain Lorans: Monsignore, mi piacerebbe ritornare su ciò che Lei ha detto due giorni fa a Radio Courtoisie. Lei ha impiegato questa espressione: "Non bisogna soccombere alla tentazione dell’ufficialità". E ascoltandola mi sono chiesto se una regolarizzazione della Fraternità sia lungi dall’essere prioritaria per Lei. Può spiegare che cosa intende per "tentazione dell’ufficialità", e come Lei vede il ruolo della Fraternità nella attuale crisi della Chiesa? In poche parole: qual è la priorità, la regolarizzazione? E se non è la regolarizzazione, qual è secondo Lei?


Mons. Bernard Fellay: Cominciamo con l’ufficialità. Io credo, molto semplicemente, che appartenga alla natura umana, che è una natura sociale, il vivere in società, il vivere in pace con questa società, il riconoscere gli organismi, la struttura di questa società.
Che si tratti della famiglia, della società in generale nella quale viviamo, è normale che noi si cerchi di vivere nell’ordine, nella tranquillità dell’ordine, che si chiama pace. Ciò significa che si riconoscono le autorità e che queste autorità riconoscono e approvano ciò che noi facciamo. La polizia non è per i buoni, ma per far rispettare le leggi e sanzionare quand’esse non sono rispettate. Questa preoccupazione di essere in pace con l’autorità, di avere questo riconoscimento, questa approvazione dell’autorità, è una cosa perfettamente normale, inerente alla nostra natura umana, e la si ritrova in ogni società. Dunque la si ritrova anche nella Chiesa, ed ecco che diventa ciò che io chiamo la tentazione dell’ufficialità, e cioè la tentazione di trovarsi d’accordo con l’autorità ufficiale proprio nel momento in cui si è in conflitto con questa autorità per delle ragioni estremamente gravi. Questa autorità fa un gesto verso di noi, ci tende la mano, ed ecco che si vede solo il buon gesto, dimenticando tutto il resto. "Ma guardate, sono d’accordo". Si coglie allora l’occasione offerta pensando che tutto sia in regola: "Questa volta va tutto bene, è la Tradizione che trionfa. Ecco abbiamo la Messa. Abbiamo vinto."
Ebbene… No! Non è così.
Ma questa tentazione è veramente forte e bisogna fare attenzione. Questo fenomeno l’abbiamo sotto gli occhi con l’Istituto che è stato appena creato a Bordeaux: perché si ha un pezzo di carta col timbro, tutto è a posto! D’un colpo tutto è in regola! Questo non è vero per niente! Che cos’è che si ha? Che cosa è cambiato? Un pezzo di carta. Che cosa è cambiato nella vita della Chiesa? Niente! Solo un pezzo di carta. Ecco, voi siete riconosciuti da Roma. Questo è ciò che io chiamo l’ufficialità.
È ufficiale, sono riconosciuto dall’autorità ufficiale. Ma le relazioni col Vescovo del luogo sono al meglio? Si tratta di una relazione di pace? Considerate un po’. Anche qui si vede, ancora una volta, che quest’accordo pratico, che in sé è una cosa buona, non può essere la priorità. Nella Fraternità, da lungo tempo, dal tempo di Mons. Lefebvre, siamo stati abituati a considerare le cose più in profondità. Perché siamo in questa situazione di opposizione all’autorità? Perché le autorità ufficiali non ci vogliono? Abbiamo forse fatto qualcosa di male? No! Noi siamo fedeli a ciò che abbiamo sempre fatto. Ma diciamo a queste autorità: "Vi è qualcosa che non va, e voi ne siete la causa". Cosa che esse non amano affatto. Certo, dire "voi ne siete la causa", può essere un po’ provocatorio, e potremmo limitarci a dire: "Vi è qualcosa che non va, per favore, occupatevene e riparatela, vi è una crisi nella Chiesa" Questo è quello che abbiamo cercato di fare intendere. Fino a poco tempo fa, queste autorità ci rispondevano: "Una crisi? Dove? Ma no, va tutto bene!". Oggi si è fatto qualche progresso. Oggi ci dicono: "Si, effettivamente non va tutto bene. Ma, voi lo sapete, va già molto meglio." E allora, noi ricominciamo a mostrare loro con dei disordini concreti che le cose non vanno affatto. È un lavoro penoso, che dimostra una volta di più che la priorità, la cosa essenziale è cogliere il vero problema, il problema di fondo, che non è ricevere un timbro o meno. 
La nostra preoccupazione è la situazione della Chiesa, che sicuramente avrà una incidenza sulla nostra vita; e quando diciamo a Roma: non possiamo obbedire ai vostri ordini perché sarebbe un suicidio, abbiamo detto quasi tutto. Bisogna che Roma rimetta le cose a posto, ed allora ubbidendo non vi sarà più un suicidio. Rimettere le cose a posto equivale semplicemente a ritornare a ciò che la Chiesa ha sempre detto e ha sempre fatto. Perché? Perché la verità è eterna, essa non cambia. Nella Chiesa vi sono dei princìpi che sono stati definiti chiaramente, che sono infallibili; essi non possono cambiare.
Dal momento in cui vi si apportano dei cambiamenti, si è creata un’altra cosa, che non è più la Chiesa. È questa la situazione in cui ci troviamo. La maggior parte, se non molti, dei cattolici di oggi credono di essere ancora cattolici, ma non lo sono più. Essi sono diventati un’altra cosa; la loro fede non è più la fede cattolica. Guardate i sondaggi! Quando vi si dice che tra i praticanti più del 50% non crede alla Resurrezione; e i praticanti, nei sondaggi, sono quelli che vanno a Messa almeno una volta al mese o ogni mese e mezzo; e tra loro la metà non crede che Nostro Signore è resuscitato: se non credono che è resuscitato, non credono che è Dio e quindi non sono più cattolici. Hanno perduto la fede. Oggi è questa la realtà della Chiesa. Essi credono di essere ancora cattolici, ma non lo sono più. Qual è la parte di ignoranza invincibile? Qual è la parte di riflessione impedita? Difficile a dirsi. Bisogna lasciare questo nelle mani del Buon Dio, ma, oggettivamente, questo popolo, che era il popolo cristiano, in gran parte ha perduto la fede: perché le autorità che hanno il compito di annunciare, di proclamare questa fede, non lo fanno più!
E quando ci rivolgiamo a Roma e diciamo loro: "Ma che fate? Così non va bene". Allora ci si risponde: "Tacete, obbedite! E se non obbedite: un colpo di pastorale". Ecco qual è la nostra situazione. Ed allora si sarebbe tentati di pensare: "Non voglio più ricevere colpi di pastorale, sto zitto", ma noi non ne abbiamo il diritto. Noi non abbiamo il diritto di tacere.
Ora, il rischio, dopo aver ricevuto il timbro è di dire: "Questo timbro è estremamente prezioso, occorre assolutamente che lo conservi, occorre che io eviti il colpo di pastorale, e dunque devo stare zitto…".
Vedete da voi stessi: questo non va!
Necessariamente la priorità è costituita da questa difesa della fede. Senza la fede è impossibile andare in Cielo. Anche il semplice cristiano ha il dovere di professare la sua fede. Il che significa che quando si è interrogati: "Cosa credete?", si è obbligati a rispondere. È possibile tergiversare, ma quando si è posti davanti alla domanda non si ha il diritto di evitarla, anche a costo della vita, bisogna professare la fede, altrimenti la si rinnega. È terribile! E da questi esempi si comprende bene che vi sono delle cose che sono molto più importanti di altre. E, ancora una volta, il pezzo di carta col timbro viene solo dopo. È come la glassa sul dolce. A che serve la glassa se non vi è sotto il dolce? Noi vogliamo il dolce, per la glassa vedremo dopo.
 

Don Alain Lorans: Monsignore, su questi preamboli, Le si rimprovera spesso di moltiplicare le manovre dilatorie, di non considerare una soluzione in maniera concreta, ed è vero che gli accordi pratici danno almeno l’impressione ? o l’illusione… ? che si abbia qualcosa in mano, fosse pure un semplice timbro, ma quanto meno… un documento ufficiale. Ricordiamo l’esigenza dei due preamboli che Lei ha posto prima di ogni discussione dottrinale: la liberalizzazione della Messa di sempre per tutti i preti in tutto il mondo e il ritiro del decreto di scomunica che colpisce i quattro Vescovi ordinati da Monsignore nel 1988, non perché Lei consideri valida questa scomunica, ma perché essa ha una validità mediatica riconosciuta, e cioè la demonizzazione della Tradizione.
Si tratta di manovre dilatorie o di convincimenti ? Poiché è da un po’ che si dice: "Monsignore è esigente, mira troppo in alto, ma non è realizzabile. Ottenere un documento ufficiale è più facile, è più pratico…".


Mons. Bernard Fellay: Effettivamente è più facile, ma noi ci troviamo al cospetto di una Roma che da un lato cerca di farci un sorriso e dà l’impressione di essere favorevole; allora noi facciamo un po’ come quel capretto che voleva farsi mostrare la zampa bianca, che voleva essere sicuro che quel sorriso fosse accompagnato da una realtà: "Se voi siete favorevoli alla Fraternità, alla Tradizione, dimostratelo!". E dire: "dimostratelo" non è una manovra dilatoria. Significa: "Noi non vi crediamo più. Ci avete ingannati a sufficienza. E se tutto a un tratto vi avvicinate a noi è possibile che questa volta veniate con delle buone intenzioni, ma ci avete ingannati tante di quelle volte che non vi crediamo più. Quindi, prima di credervi vogliamo dei fatti tangibili, non delle belle parole, ma una realtà che segue le belle parole". Questa è la prima cosa.
In secondo luogo, non è così esorbitante ciò che chiediamo.
Se ne ha la prova in ciò che si vede oggi per la Messa. Non siamo molto lontani dal giungere a ciò che è annunciato. Vedremo se la cosa si conclude o no. Ma si ha l’impressione che in questa direzione si faccia un serio passo avanti. E per ciò che riguarda la scomunica, da quasi un anno Roma sembra che non veda più ostacoli, secondo l’uno o l’altro commento e secondo ciò che ci si dice, Roma sembra che realmente non abbia più delle obiezioni per togliere questa scomunica.
Il solo problema che rimane è che si vorrebbe che ci si metta in ginocchio. Noi non vogliamo metterci in ginocchio. Perché? Perché non abbiamo alcuna contrizione, e Roma vorrebbe un po’ di contrizione. Ma noi vogliamo essere sinceri con noi stessi e con i nostri interlocutori e diciamo loro in faccia: "No, noi non abbiamo alcuna contrizione, noi non ci pentiamo". È questa la situazione. Sul fondo, sul fatto stesso, Roma riconosce che non si tratta di ciò che si è preteso, e cioè riconosce che non vi è stato uno scisma, che noi abbiamo agito in circostanze estreme. E se lo riconoscono si capisce bene che a loro piacerebbe un do ut des. Da un Cardinale abbiamo sentito dire: "Non è una scomunica formale".
In diritto canonico si distingue una scomunica formale da una scomunica materiale, È formale quando è vera. È materiale quando un Vescovo o il Papa l’ha emessa, ma senza "fondamento" e cioè senza una causa. Così, il Papa ha detto: "Ho scomunicato", ma dal momento che non esisteva la causa, che è un peccato mortale, essa non ha effetto. Essa non ha effetto sull’anima. Normalmente una scomunica separa dalla Chiesa e dalla grazia. Sta in questo la forza della scomunica. Ma perché una tale censura sia valida è necessario che sia stata causata da un peccato grave, un peccato mortale, e per di più un peccato mortale molto grave. E nel nostro caso noi diciamo loro: "Desolati, ma noi non abbiamo peccato". E se si guardano le cose un po’ seriamente, i Cardinali e forse lo stesso Papa sono obbligati a riconoscere che non esistono tutte le circostanze che farebbero sì che si tratti veramente di un peccato. E per questo che si può dire che si tratta di una scomunica materiale.
E come per la Messa noi diciamo a Roma: "Voi riconoscete che è in vigore, allora dite che è anche permessa", così per la scomunica diciamo: "Voi riconoscete che non vi è fondamento e che dunque non è valida, ed allora ritiratela senza chiederci nulla". Ed essi possono rispondere: "Sì, no, occorrerebbe quanto meno che si trattasse di qualcosa di bilaterale". Cosa che a questo punto riguarda più la diplomazia. In ogni caso ciò dimostra che noi non chiediamo qualcosa di impossibile.
 

Don Alain Lorans: Grazie, Monsignore, per questa pubblica confessione nel corso della quale abbiamo capito che Lei ha il fermo proposito… di perseverare, e questo ci rassicura. A questo punto, prima di separarci, Le pongo un’ultima domanda su ciò che Lei si aspetta dalle associazioni che oggi sono qui riunite. Siamo a Villepreux e tutte le associazioni che sono presenti qui operano a favore della Tradizione. Mi permetto di riprendere due delle sue dichiarazioni, per dire che nel distretto di Francia, il cui Superiore, M. l’abbé de Cacqueray, è momentaneamente assente perché si trova a Lisieux a fianco di don de La Motte per il gran pellegrinaggio in onore di Santa Teresa, ma che ci raggiungerà domani… Nel distretto di Francia verrà riproposto ciò che è stato fatto in Germania, attraverso il canale della Lettre à nos frère prêtres (Lettera ai nostri fratelli preti) di don de La Rocque: i preti in Francia riceveranno la proposta di imparare o di reimparare a dire la Messa tradizionale. 
Sulla vera causa della crisi, poi, e su ciò che Lei ha affermato essere prioritario, e cioè individuare ove veramente la Chiesa è in crisi, il congresso di sì sì no no, che quest’anno si terrà a Parigi, alla Mutualité, il 5 e il 7 gennaio prossimi, sotto la sua effettiva presidenza, avrà per tema La crisi nella Chiesa: cause, effetti, rimedi. E credo di sapere che lo scopo sarà giustamente quello di mostrare che non si possono applicare i rimedi solo agli effetti. Se si curano solo gli effetti ci si limita a praticare ciò che si chiama medicina sintomatica, ma non si guariscono le cause. E in genere i felici beneficiari di questa medicina sintomatica muoiono… guariti della loro febbre, ma non del focolaio infettivo che li mina!
In questo modo, Monsignore, cerchiamo di rispondere alle sue aspettative anche in questo distretto.
Può anche darci qualche parola di incoraggiamento e dirci come Lei vede l’avvenire della Tradizione, di queste famiglie, di ciò che questo rappresenta nella battaglia che Lei conduce e forse anche nei confronti delle discussioni che Lei ha con Roma. Sappiamo che Lei ha chiesto delle preghiere, ha chiesto un milione di Rosari. Come vede l’avvenire?


Mons. Bernard Fellay: Una volta ottenuti i due preamboli, certo la cosa non è finita, e la prossima tappa, se così si può dire, sarà costituita dalle discussioni dottrinali. Queste discussioni teologiche sono capitali e al tempo stesso noi ci rendiamo ben conto che l’argomento più forte non è quello teorico. Già diverso tempo fa, Mons. Lefebvre amava dire: "A Roma si può dire tutto ciò che si vuole, questo non li turba. Per contro, sono i fatti che li toccano. Contro un fatto non vi è argomento da opporre".
È quello che abbiamo visto al momento del nostro pellegrinaggio a Roma, nel 2000. Si trattò semplicemente di un fatto. Voi eravate là, a pregare, è questo ha colpito il mondo romano, il Vaticano… e la loro coscienza, molto più e molto meglio di un argomento teologico. Un Prelato responsabile di uno dei Dicasteri, non appena ci ha visti ha detto: "Ma questa gente è cattolica, noi dobbiamo fare qualcosa per loro".
Semplicemente con la vostra vita, i vostri sforzi quotidiani, le vostre croci da sopportare e offerte costi quel che costi, le vostre preghiere, la vostra vita cristiana, oggi nelle circostanze che ci riguardano, con tutte le pene che sopportate per piacere al Buon Dio, per santificarvi, voi siete l’argomento forte, l’argomento cioè della Tradizione vivente. Intesa questa volta in senso non ambiguo. Voi vivete la Tradizione, voi vivete della Tradizione della Chiesa, voi vivete secondo i suoi princìpi, le sue virtù, che hanno fatto il cristiano, dal tempo di Nostro Signore Gesù Cristo e degli Apostoli fino ad oggi.
E questo argomento non ammette assolutamente alcuna obiezione.
L’argomento decisivo contro il modernismo è la vostra vita cristiana, è la famiglia cristiana, sono queste scuole. Se noi ci aspettiamo qualcosa da voi è innanzitutto questo. Semplicemente vivete come cattolici. È molto, è un programma esigente è vero! Ma io penso che tra tutti gli argomenti questo è veramente il più potente nei confronti di una Roma, di teologi, che sono infestati da una filosofia completamente squilibrata, che non sanno più che cosa sia la realtà o la verità, con i quali è molto difficile parlare perché sono sufficientemente intelligenti o furbi per provare a svirgolare, per trovare non si sa quale obiezione.
Ma la vostra vita non teme le obiezioni. È una vita alla sequela di Nostro Signore Gesù Cristo. Ed io vi invito a vivere molto semplicemente questa vita cristiana. Per un verso essa vi ottiene tutte le grazie e perfino la certezza del Cielo, questa fedeltà nelle piccole cose di tutti i giorni. Ed in più essa è l’argomento decisivo contro questa crisi della Chiesa. Io non credo che arriveremo a riguadagnare "i cristiani della porta accanto", i "cattolici della porta accanto", mi si passi l’espressione, semplicemente con una dichiarazione dottrinale.
No, è con l’esempio.
Ciò che colpisce sono dei bambini ben educati, composti. È questo che interpella, come si dice oggi, che pone il problema, che obbliga a riflettere, e se si riflette onestamente è questo che permette di giungere alla conclusione. Molti non traggono alcuna conclusione perché questa vita che voi conducete è esigente, obbliga.
Riflettiamo: perché questa crisi? Ma perché si è voluta una vita facile! E ciò che voi predicate col vostro esempio non è la vita facile. Ma è una vita! Che non è poi così difficile! Vi sono certi giorni con delle croci, è vero, ma vedete da voi stessi che questa vita cristiana non ci procura un’aria triste. Al contrario, la vita cristiana è piena di gioie.
Ed è proprio questa gioia, questo slancio, questa vivacità, che costituiscono un argomento.
San Paolo ha avuto la bontà di farci sapere, su ispirazione dello Spirito Santo, che i frutti dello Spirito Santo sono la gioia, la pace, la carità.
Si comincia così e poi i frutti parlano da soli. Dunque, noi ci attendiamo molto da voi, enormemente, chiedendovi in fondo poco, e nello stesso tempo, tutto!

(testo italiano in formato pdf)


gennaio 2007

Ritorna a Documenti