Lettera di Mons. Camille Perl ad un fedele
sulla relativa importanza della Tradizione cattolica
e degli organismi dell'Ecclesia Dei
(18 novembre 1993, Prot. N. 109/92)



 
 
 

Pubblichiamo qui di seguito una lettera che il Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, Mons. Camille Perl, scrisse ad un fedele nel lontano 1993. 
La lettera è stata pubblicata e diffusa sulla rete dall’Associazione Una Voce, sezioni delle Venezie, ed è reperibile sul sito internet all’indirizzo: http://www.unavoce-ve.it/perl-01.htm

 
 
Breve premessa

Il problema della Commissione Ecclesia Dei è sempre esistito, fin dal suo nascere. A 14 anni di distanza dalla sua costituzione, molti hanno dimenticato che essa è nata per contrastare e, soprattutto, per disturbare la Fraternità San Pio X. Si potrebbe quasi dire che, nella realtà, la Commissione non è nata con una sua propria vocazione, ma contro la vocazione altrui. Il che la dice lunga sulla supposta buona volontà «di facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti, seminaristi, comunità o singoli religiosi e religiose finora in vario modo legati alla Fraternità fondata da Mons. Lefèbvre, che desiderino rimanere uniti al Successore di Pietro nella Chiesa Cattolica, conservando le loro tradizioni spirituali e liturgiche, alla luce del Protocollo firmato lo scorso 5 maggio dal Cardinale Ratzinger e da Mons. Lefèbvre» (Motu proprio Ecclesia Dei).
Vero è che in tanti anni di pratica ecclesiale la Commissione, anche senza volerlo, ha finito col far proprie molte istanze dei tradizionalisti cattolici, ma è anche vero che sono innumerevoli gli esempi che stanno a dimostrare che essa ha sempre avuto lo scopo di trasformare i tradizionalisti cattolici in modernisti della Chiesa post-conciliare.
La vicenda della Fraternità San Pietro è ancora lí a testimoniare della precisa volontà di insinuare a tutti i costi, negli organismi dell’Ecclesia Dei, quanti piú elementi tipici è possibile della liturgia e della pastorale moderne, col convincimento profondo che questa azione avrebbe condotto piano piano al definitivo “ammodernamento” dell’àmbito tradizionale cattolico.

In particolare, già noi abbiamo avuto occasione di parlare del Segretario della Commisione, Mons. Camille Perl, in relazione alle variazioni del Messale tradizionale da lui proposte, su carta intestata della Commissione Ecclesia Dei, ma da questa mai ufficialmente avanzate, anche per la sua formale incompetenza in materia (La Messa dell’indulto alla Misericordia di Torino, giungo 1998). 
Variazioni che sono state adottate, con altrettanti personali adattamenti, da diversi preti che officiano col rito antico. Variazioni che, tra l’altro, hanno praticato, ognuno alla loro maniera, Abati, Vescovi e Cardinali. Non ultimo il Cardinale Ratzinger, che a Fontgombault, dove si è recato in compagnia di Mons. Perl, ha officiato la Messa Pontificale col rito antico, adottando le variazioni in uso nella stessa Abbazia: calendario e lezionario del rito nuovo, Per Ipsum cantato, orazione universale, ecc.

Chi in questi anni ha avuto modo di dialogare con la Commissione, e spesso col suo Segretario Mons. Perl, ricorda bene i convicimenti di questo sacerdote che, in perfetta buona fede, ha sempre affermato che, in fondo, la stessa Fraternità San Pietro costituiva una sorta di fenomeno ad esaurimento. Essa, come gli altri organismi sacerdotali che mantengono la liturgia tradizionale, presto o tardi avrebbe perduto ogni mordente, avrebbe abbandonato le posizioni di difesa della buona dottrina e si sarebbe adeguata all’ineluttabilità del nuovo corso, voluto dal Concilio, dal Papa e da tutti i Vescovi. Il fenomeno del mantenimento della tradizione liturgica nella Chiesa è destinato ad esaurirsi, sia per suo conto, sia per la precisa volontà dei Vescovi.

In definitiva, Mons. Perl non ha fatto altro che esprimere i convincimenti diffusi in seno alla Curia romana, dove i tradizionalisti vengono illusoriamente considerati come una categoria in estinzione.
D’altronde, Mons. Perl, al pari di un numero indefinito di chierici, ha acquisito l’abitus mentale moderno in base al quale l’affermazione “storica” di un dato comportamento o di una data idea starebbe a dimostrare la verità di tale idea o comportamento. La concezione normale (oggi si dice “tradizionale” quasi per dire “antica”), invece, ha sempre tenuto fermo che la verità è tale al di là della storia e dello storicismo.
Questo abitus mentale è quello che ha condotto al Concilio Vaticano II, alla riforma liturgica, all’affermazione del modernismo nella Chiesa, i quali hanno prodotto una nuova dottrina della Chiesa, in base alla quale non è vero quello che la Chiesa ha sempre insegnato trasmettendo la dottrina tradizionale, ma è vero quello che la Gerarchia insegna oggi perché è condiviso dagli uomini moderni.

Tra l’altro, Mons Perl, in occasione dell’accordo raggiunto tra i Padri di Campos e il Vaticano, non ha fatto mistero di questa diffusa concezione che è anche la sua, affermando, in alcune occasioni, che, in fondo, Mons. Rangel ha voluto solo concludere la sua esistenza terrena in pace con la Chiesa, e ha fatto bene ad accordarsi, tanto di prospettive non potevano essercene. Cosí facendo, ha anche risolto una volta per tutte il problema dei suoi sacerdoti, che pian piano capiranno la necessità di adeguarsi alla Chiesa post-conciliare. Con molta probabilità i frutti si vedranno a breve termine. Il successore di Mons. Rangel potrebbe essere un vescovo diocesano, che assommerebbe nella sua persona l’incarico di Ordinario e di Amministratore Apostolico: in questo caso ecco risolto il problema della “esclusività” dell’uso della liturgia preconciliare. Il nuovo Amministratore Apostolico officierebbe col nuovo rito e col vecchio rito, conducendo pian piano per mano i Padri e i fedeli di Campos verso l’accettazione indiscrimanata della Chiesa post-conciliare.

Se questa è la prospettiva che intravede Mons. Perl, c’è da chiedersi se si tratta di sue illazioni personali o di sue interpretazioni delle reali intenzioni di qualcun altro: per esempio del Cardinale Castrillon-Hoyos, Presidente della Commissione Ecclesia Dei e Prefetto della Congregazione per il Clero.
Da quello che si dice a Roma, il Cardinale è da tempo che non utilizza piú i buoni servigi del suo Segretario, tanto da far pensare che non ritenga piú si tratti di “buoni servigi”. Ma come escludere che invece non si tratti della emarginazione di un uomo di Curia che, in fondo, ha piú buoni rapporti con i tradizionalisti di quanto si potesse immaginare 14 anni fa?
Cercare di capire cosa accade a Roma è sempre stata un’impresa difficile, ma da quando a Roma impera il nuovo corso è praticamente impossibile.

Allo stato dei fatti, leggendo questa vecchia lettera, non si può che concluderne, con amarezza, che Roma ha sempre agito con una forte riserva mentale, rilasciando assicurazioni che non sono mai state seguite dalle decisioni corrispondenti. L’esempio piú clamoroso lo abbiamo avuto con i contatti tra la Fraternità San Pio X e il Cardinale Castrillon-Hoyos: mentre prima sembrava che tutto fosse facile, al dunque, sono rientrate tutte le profferte, che non erano venute, peraltro, dalla Fraternità, ma dallo stesso Cardinale.

Non possiamo che affidarci alla Misericordia di Dio.

(gennaio 2002)

(sulla buona volontà dei vescovi circa l'applicazione del Motut Proprio si veda il 
Messaggio che l'Arcivescovo di Strasburgo ha inviato alla Comunità tradizionale locale)


 

Lettera del Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei 
del 18 novembre 1993, Prot. N. 109/92

Egregio Signore,

La Sua lettera del 19 ottobre u. s. contiene due domande diverse, alle quali si risponde come segue: 

1) nella Messa celebrata secondo il Messale del 1962 si usa normalmente il calendario proprio di questo messale. Però essendo l’Indulto una concessione che non è destinata a durare sempre, (il rito romano infatti, non può avere per sempre due forme!), tutto ciò che potrebbe contribuire ad avvicinare le due forme del rito romano, è da favorire. Quindi è possibile pure l’uso del nuovo Calendario riformato da Paolo VI. L’unità dei cattolici di rito romano si conserva meglio se venissero celebrate (sic) le stesse feste negli stessi giorni.

2) Per quanto riguarda la "tomba" (che è in realtà un catafalco vuoto) il suo uso era sempre retto da consuetudini locali. Si può cantare "l’absolutio ad tumbam" anche davanti l’altare, come preghiera di intercessione per i defunti.

Il Suo amore per la santa Liturgia è molto lodevole. Le Sue lettere arrivate qui sin dal 1988 danno però prova di una certa preoccupazione per i minimi dettagli dell’ordinamento liturgico. Non potrebbe esserci il pericolo di una concentrazione eccessiva su questo a danno del vero senso della liturgia e della partecipazione interna?

È da rendersi conto che la celebrazione della messa secondo il Messale del 1962 è l’eccezione, la regola invece, la riforma liturgica introdotta dalla Chiesa 25 anni fa, e seguita dal 99% della Chiesa. Ci si domanda, se tanti sforzi per riattivare la vecchia liturgia con tutti i dettagli - ormai spesso materialmente irrealizzabili - non fossero più utili a rendere possibile una celebrazione della liturgia riformata in maniera classica, cioè con canto gregoriano, usando l’altare maggiore e paramenti classici.
Così si renderebbe un servizio a tutta la Chiesa, non soltanto ad un gruppo ristretto. Se questo si attuasse, in molte diocesi, non provocherebbe tanta resistenza da parte dei vescovi responsabili per la liturgia nella loro diocesi, e si eviterebbe il pericolo di un isolamento dei fedeli tradizionalisti.

Propongo queste considerazioni alla Sua attenzione, invitandoLa ad una maggiore riflessione, forse potremmo continuare questo dialogo un giorno qui a Roma.

Invocando su di Lei la benedizione divina, La saluto cordialmente

Mons. Camille Perl
Segretario





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