Una risposta:
una rivoluzione e
un sovvertimento della verità

Bergoglio: l'immigrazione e l'Europa


di Giovanni Servodio




Parte prima: Bergoglio e l'immigrazione
Parte seconda: Bergoglio: l'immigrazione e l'Europa
Parte terza: Bergoglio: la Chiesa e la società
Parte quarta: Bergoglio: la Tradizione e l'Islam
Parte quinta: Bergoglio: le sfide della Chiesa
Parte sesta: Bergoglio: confidenze personali


Dopo aver spiegato a suo modo il senso dell’immigrazione in generale, Francesco si sofferma sulle cause che muovono tante persone a lasciare la loro terra e a venire in Europa.

«Il problema incomincia nei paesi da dove vengono i migranti. Perché lasciano la loro terra? Per mancanza di lavoro o a causa della guerra. Sono queste le due ragioni principali. La mancanza di lavoro perché sono stati sfruttati – penso agli Africani. L’Europa ha sfruttato l’Africa.… Non so se si può dire! Ma certe colonizzazioni europee… sì, l’hanno sfruttata

Tralasciamo l’argomentare, di sapore sessantottardo, dello sfruttamento delle povere popolazioni africane e consideriamo subito l’angolazione riduttiva dalla quale Francesco affronta il problema: in effetti non sono solo gli Africani che stanno invadendo l’Europa, ma anche popolazioni che vengono da diverse parti dell’Asia, medio ed estremo Oriente. E non per tutti vale lo stereotipo dello sfruttamento coloniale.
Non abbiamo difficoltà a riconoscere che una certa mentalità mercantilistica ha imperversato per qualche secolo ed ha condotto alla colonizzazione di terre extra europee all’insegna dello sfruttamento, come dice il Papa. Ma nel suo ragionamento manca il necessario equilibrio, poiché, sempre in perfetto stile sessantottardo, egli tralascia volutamente gli effetti positivi della colonizzazione realizzata dai paesi europei: dalla costruzione di villaggi e strade, alla civilizzazione dei costumi e, ultimo, ma primo per importanza, alla evangelizzazione. Tutto questo si è certo accompagnato allo sfruttamento delle risorse locali, sulla base della mentalità mercantilistica imperante soprattutto nei paesi anglosassoni, tutti di formazione protestante; ma al tempo stesso ha creato nuove risorse e soprattutto nuove occasioni di lavoro.

Ora, il processo di “decolonizzazione”, partito negli anni sessanta, avrebbe dovuto portare le ex colonie, non solo all’autonomia politica, ma anche all’autonomia economica: stranamente, con la dipartita dei “coloni”, in essi si è prodotto un continuo degrado, fino al punto che molti paesi si sono ridotti in uno stato di continuo bisogno e in questo quarantennale processo i responsabili sono stati e sono le stesse popolazioni con i loro governi.
Di questo il Papa non parla e meraviglia che lo si trovi fermo alla propaganda marxista degli anni sessanta e settanta, come se non fossero passati da allora più di 40 anni e i paesi da dove oggi arrivano i migranti non avessero preferito “vendersi” alle potenze economiche internazionali, incamerando fiumi di denaro che è servito solo ad arricchire i caporioni e i loro amici.

E figuriamoci che cosa sarebbe potuto succedere se queste popolazioni non avessero già conosciuto lo “sfruttamento” coloniale. Il fatto è che, abbandonati a loro stessi, questi paesi sono tornati alle loro culture tribali e oggi, manipolati a dovere, riversano le conseguenze della loro incapacità di autogestirsi nelle nostre contrade, sottoforma di migrazione di massa.

Un campione lo fornisce inconsciamente Francesco stesso, quando porta a sostegno del suo ragionamento un esempio:
«Io ho letto che un capo di Stato africano recentemente eletto, come primo atto di governo ha sottoposto al Parlamento una legge di rimboschimento del suo paese – che è stata promulgata. Le potenze economiche mondiali avevano tagliato tutti gli alberi. Rimboscare

Ci si chiede, ma allora, volendo, il lavoro c’è, e visto il ragionamento, ce ne sarebbe così tanto da azzerare questa supposta causa dell’emigrazione chiamata dal Papa: «mancanza di lavoro».
Non v’è dubbio che in questo ragionamento, troppo semplicistico, qualcosa non torna. E il Papa, incurante delle contraddizioni, prospetta la possibilità di finanziare questi paesi:
«La prima cosa che si deve fare, ed io l’ho detto davanti alle Nazioni Unite, al Consiglio d’Europa, dappertutto, è di trovare in questi paesi delle risorse per creare degli impieghi e fare degli investimenti. Vero è che l’Europa deve investire anche per se stessa, perché anche qui c’è un problema di disoccupazione

E si sorride a questa apparente ingenuità di Francesco. Se si tiene conto dell’esperienza acquisita in questi ultimi decenni, non v’è dubbio che l’impiego di risorse in questi paesi comporta anche la gestione di tali risorse, perché diversamente si finisce col finanziare tutti gli interessati, indigeni e stranieri, senza risolvere i problemi. Per decenni questo è stato fatto, seppure in maniera non organica, e se i risultati non si vedono e le popolazioni locali si riversano nelle nostre contrade, è perché non bastano le risorse, occorre innanzi tutto la loro corretta gestione… e questo possiamo farlo solo noi Europei, anche a costo di riesumare una moderna forma di “colonizzazione”.

Peraltro, lo stesso Francesco riconosce che quando si parla di risorse, bisogna anche considerare che i primi corretti investimenti bisognerebbe farli in Europa, perché il tasso di disoccupazione continua a crescere, e crescerà ancora in maniera direttamente proporzionale al numero di immigrati che vengono ad occupare le nostre contrade e i nostri posti di lavoro.

«L’altra ragione delle migrazioni, sono le guerre. Si può investire, la gente avrebbe una fonte di lavoro e non avrebbe più bisogno di partire, ma c’è la guerra, e devono ugualmente scappare. Ora, chi fa la guerra? Chi fornisce le armi? Noi

Abbiamo parlato di ragionamento sessantottardo, ma qui il Papa va oltre, e riesuma la tipica propaganda marxista di quegli anni, che accusava l’Europa di fomentare le guerre, per vendere e vendendo le armi, e che con questo camuffava e giustificava il medesimo commercio delle armi, copioso e proficuo, condotto dai cosiddetti “paesi dell’Est”, cioè dai paesi comunisti, Unione Sovietica in testa… Francesco ha mai sentito parlare del Kalashnikov?

Ma tralasciamo questo aspetto che rasenta il ridicolo e consideriamo che Francesco nomina i fornitori delle armi: “Noi”, ma dimentica di nominare i guerreggianti, che non siamo “noi”, ma sono quelle stesse popolazioni “morte di fame” che, pur di prevalere le une contro le altre, dal tempo della “decolonizzazione”, si scannano tra loro, sborsando peraltro ingenti somme per armarsi, magari usando quelle stesse somme che sono state loro elargite per “aiutare il terzo mondo”.
Siamo alla farsa. E non tanto per l’avvilente situazione in cui si trovano queste popolazioni, non solo africane, ma anche medio ed estremo orientali, ma soprattutto perché un certo linguaggio interessato, lo stesso che usa il Papa, continua a veicolare il messaggio che le guerre nel terzo e nel quarto mondo verrebbero come dall’alto, mentre invece si tratta di guerre tribali più o meno estese e tutte fondate sulla voglia di prevaricare, di depredare, di comandare ad ogni costo.
Non v’è dubbio che c’è chi in Occidente inzuppa il pane in questo brodo maleodorante, ma è ancor più vero che ci troviamo al cospetto di un mondo diverso dal nostro, un sentire diverso dal nostro, un tipo d’uomo diverso dal nostro, che compongono un contesto in cui tutti gli approfittatori arrivano come avvoltoi. Non bisogna cercare in Europa le cause delle guerre in quei paesi, perché esse si trovano nelle teste e nelle mani delle persone che compongono le stesse popolazioni interessate.

E quando parliamo di approfittatori, non trascuriamo certo quei poteri più o meno occulti che, approfittando della condizione di questa gente, la spinge a riversarsi in Europa per destabilizzarla e per snaturarne usi, costumi e religione, portando a casa dei profitti inzuppati nel sangue di povera gente che sembra fatta apposta per essere strumentalizzata.
Ma sembra che la “preparazione” di questo papa venuto dalla fine del mondo, non comprenda queste evidenze.
Comprende piuttosto dei fattori di riflessione che appaiono bizzarri.

«Io credo che l’Europa è diventata una «nonna». Mentre io vorrei un’Europa madre. Per quanto riguarda le nascite, la Francia è in testa tra i paesi sviluppati, con, credo, più del 2%. Ma l’Italia, intorno allo 0.50%, è molto più debole. La stessa cosa per la Spagna. L’Europa può perdere il senso della sua cultura, della sua tradizione. Pensiamo che sia l’unico continente ad averci dato una così grande ricchezza culturale, e questo lo sottolineo. L’Europa deve ritrovarsi, ritornando alle sue radici. E non deve avere paura. Non deve aver paura di diventare l’Europa madre»

Un discorso un po’ confuso, in apparenza, ma in realtà un discorso interlocutorio, poiché, mentre sembrerebbe che Francesco auspichi l’aumento delle nascite, senza peraltro preoccuparsi di dirlo apertamente, di fatto, usando l’espressione “Europa madre”, ha in vista una Europa che si apra all’accoglienza indiscriminata degli stranieri; tanto da far capire che il richiamo alla ricchezza culturale e alle radici europee è solo uno specchietto per le allodole. L’“Europa madre” di cui egli parla non è l’Europa cristiana e per ciò stesso civilizzatrice, a cui peraltro non accenna neanche, e non a caso, ma un’Europa immaginaria figlia dei suoi preconcetti e oggetto delle sue mire globaliste e mondialiste per le quali non smette di spendersi.

L’Europa in questo momento ha paura. Chiude, chiude, chiude… (…) E poi l’Europa, è una storia di integrazione culturale, multiculturale come dice lei, molto forte. Da sempre. I Longobardi, i nostri Lombardi di oggi, sono dei barbari che sono arrivati da lungo tempo… E poi, tutto s’è mischiato e noi abbiamo la nostra cultura

E’ questo il vero pensiero di Francesco, la sua risposta precedente serviva solo ad introdurre la sua vera concezione della civiltà.
Intanto, per prima cosa, egli batte sul famoso tasto dell’Europa che dovrebbe “aprirsi”, molto di più di quanto abbia fatto finora con grandi fatiche e interminabili disagi e perfino con tanti morti… dovrebbe spalancare le porte all’invasione… e questo perché, secondo la moderna vulgata bergogliana, “L’Europa è una storia di integrazione culturale”.

Ed è proprio partendo dall’esempio dei Longobardi che Francesco rivela la sua mala fede mista alla sua interessata ignoranza.
I Longobardi vennero in Italia per “romanizzarsi”, per “latinizzarsi”, per “cristianizzarsi” e non per apportare chissà quali nuovi “fermenti culturali”. Vennero da noi, al pari di altri popoli, fin dal tempo di Roma antica, per cogliere a piene mani quella cultura e quella civiltà che non aveva pari in Europa. Certo che portarono con loro la propria identità, ma non per “mischiarla” con quella già presente in loco, bensì per arricchirla prima con la romanità e poi col cristianesimo. Se nel corso della crescita della nuova Europa sono evidenti i contributi dei cosiddetti “barbari”, e questo fin dal tempo di Roma, è ancora più evidente la romanizzazione e poi la cristianizzazione di questi stessi “barbari”: è la “cultura”, prima romana e poi cristiana, che ha fatto la nuova Europa e non un immaginario “miscuglio” di “culture” diverse.

D’altronde, se tutto questo interessato discorrere non fosse informato da una palese ignoranza, ci si ricorderebbe che stesso termine “cultura” indica come la coltivazione di una data identità fatta di credenze, morale, usi e costumi, la quale amalgama ogni specificità in un unicità a priori, tale che non sono gli elementi diversi a generare sempre nuove identità, ma è la primaria identità ad informare di sé tutti gli elementi diversi e sopraggiunti.
Questa visione della realtà la si evince bene dallo stesso concetto di cattolicità, che non è il risultato di “miscugli”, ma è l’impronta che ogni diversità riceve di qualcosa che la trascende e la comprende, attraverso un’incisiva e continua “coltivazione” degli animi dei singoli.

E Francesco continua a chiarire meglio il suo pensiero:
«Ma qual è la cultura europea? Come definirei oggi la cultura europea? Sì, essa ha importanti radici cristiane, è vero. Ma questo non è sufficiente per definirla. Vi sono tutte le nostre capacità. Queste capacità di integrare, di ricevere gli altri. Vi è anche la lingua nella cultura. Nella nostra lingua spagnola, il 40% delle parole sono arabe. Perché? Perché essi sono stati là per sette secoli. E hanno lasciato la loro traccia… »

E l’ignoranza di cui dicevamo prima, porta Francesco ad affermare tre cose diverse tutte sbagliate e frutto dei suoi preconcetti.
La cultura europea non ha “importanti radici cristiane”, la cultura europea è cristiana, al punto che se non fosse così non si potrebbe neanche parlare di cultura europea. E questo lo si comprende meglio oggi, dopo che la cultura europea ha finito col rigettare le sue componenti cristiane per adottare le nuove componenti anticristiane, a causa di quel moto di degenerazione che sembra voler “trasformare” le credenze, gli usi e i costumi, ma che in realtà mira a distruggerli. E l’attuale movimento migratorio serve proprio a portare a compimento questo processo rivoluzionario degenerativo.

La “capacità di integrare, di ricevere gli altri” di cui parla Bergoglio è quindi in aperta contraddizione sia con la premessa sia con la conclusione. Con la premessa, perché disconosce volutamente che l’“integrazione” ha sempre significato l’inglobamento dei diversi in una stessa e sola cultura preesistente; con la conclusione, perché non è la lingua che fa la cultura, ma è la cultura che elabora una lingua per esprimere se stessa; al punto che più lingue possono esprimere la medesima cultura, quella stessa che le ha elaborate e rese idonee ad esprimerla.

L’esempio delle parole arabe presenti nella lingua spagnola è quanto di più infelice potesse offrire papa Bergoglio. Innanzi tutto perché quelle parole non determinano la cultura o concorrono a mutarla, ma, al contrario, sono adattate dalla cultura preesistente perché continuino ad esprimerla sempre per se stessa. I popoli di lingua spagnola non hanno una cultura “mischiata” cristiano-musulmana o latino-araba, ma avevano e hanno mantenuto la cultura cristiana, nonostante la presenza arabo-musulmana e i suoi imprestati lessicali.
Insinuare che lo spagnolo sia una lingua imbastardita che esprimerebbe una cultura imbastardita, non solo è falso, ma rivela tutta la malafede di Bergoglio, che in realtà intende suggerire che l’attuale invasione musulmana dell’Europa sarebbe cosa buona ed apprezzabile, se non addirittura un lodevole arricchimento.

Ed è con la risposta successiva che Francesco si dà una violenta “zappata” sui piedi… per dirla in maniera pulita.

«In Argentina, vi sono dei nativi. Abbiamo dei popoli indigeni. L’identità argentina è meticciata. La maggioranza del popolo argentino è derivato dal meticchiato. Perché le ondate di immigrazione si sono mescolate, mescolate e mescolate…»

Andiamo a prendere il vocabolario di lingua italiana e alla parola “meticcio” troviamo spiegato: «individuo nato da un genitore di razza bianca e da uno di razza diversa»; spiegazione che trova giustificazione perfino nell’etimologia del termine, derivato principalmente dal latino mixtusmiscere.
Bergoglio, da par suo, fa una tremenda confusione, sia per ignoranza sia per partito preso. Egli confonde i casi di meticciato, frutti della nascita tra un bianco e un indigeno, con i casi di matrimoni tra bianchi, peraltro aventi tutti la stessa cultura di provenienza, siano essi spagnoli, italiani – i gruppi prevalenti in Argentina – francesi o anglosassoni.
Le “ondate di immigrazione” che si sarebbero “mescolate, mescolate e mescolate”, non hanno prodotto alcun meticciato, non più di quanto ne abbiano prodotto i movimenti interni delle popolazioni europee, che nei secoli si sono spostate da nord a sud.



Ma a Bergoglio interessa suggerire che l’avvenire dell’Europa poggerebbe sui matrimoni misti tra gli Europei e gli individui di diverse razze e culture che stanno invadendo l’Europa.

«Io penso che sia accaduta la stessa cosa negli Stati Uniti, in cui le ondate d’immigrazione hanno mescolato i popoli. I due paesi si assomigliano molto

Altra balla clamorosa, poiché proprio negli Stati Uniti non c’è stato alcun meticciato tra i pellerossa e i bianchi sopraggiunti, i quali, di prevalente di formazione protestante, consideravano inizialmente i nativi poco più di semplici animali selvaggi.
Come non c’è stata alcuna mescolanza tra gli stessi bianchi, almeno agli inizi, al punto che si dovette giungere ad una guerra civile per andare oltre le nette distinzioni tra i protestanti del Nord e i cattolici del Sud, con i primi che imposero ai secondi la loro supremazia, per giungere successivamente alla costituzione di una mentalità comune fondata sul mito dell’“americanismo”: un misto di “sogno americano” – il famoso self-made-man – e di destino superiore e prevaricatore rispetto alla stessa cultura europea di provenienza.
Ma questo è un altro discorso.

E il convincimento profondo di Bergoglio lo rivela lui stesso:
«Per noi era assolutamente normale avere a scuola diverse religioni insieme»

Come se l’Argentina fosse stata da tempo la culla del sincretismo religioso e l’incubatrice della religione unica mondiale. In realtà, questa è l’aspirazione di Bergoglio e nient’affatto la condizione dell’Argentina in cui lui è cresciuto; la quale è sempre stata essenzialmente cattolica, almeno fino a quando, ultimamente, le sette di ogni genere non hanno incominciato a soppiantare il cattolicesimo condotto allo sbando dalla nuova gerarchia conciliare. E proprio Bergoglio si rivela essere un tipico frutto di questo disastro, passato ormai da oggetto a soggetto dello sfascio generalizzato che interessa da anni l’intero ecumene cattolico.

La prossima volta ci soffermeremo sulle confessioni di Bergoglio a proposito dei rapporti tra la Chiesa e la società.


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settembre 2017
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