Una risposta:
una rivoluzione e
un sovvertimento della verità

Bergoglio: le sfide della Chiesa


di Giovanni Servodio





Parte prima: Bergoglio e l'immigrazione
Parte seconda: Bergoglio: l'immigrazione e l'Europa
Parte terza: Bergoglio: la Chiesa e la società
Parte quarta: Bergoglio: la Tradizione e l'Islam
Parte quinta: Bergoglio: le sfide della Chiesa
Parte sesta: Bergoglio: confidenze personali


Non più convertire

«Ci sono i peccati dei dirigenti della Chiesa, i quali mancano di intelligenza o si lasciano manipolare. Ma la Chiesa non è i vescovi, i papi e i preti, la Chiesa è il popolo. E il Vaticano II ha detto: «Il popolo di Dio, nel suo insieme, non si sbaglia». Se si vuole conoscere la Chiesa, si vada in un villaggio in cui si vive la vita della Chiesa. Si vada in un ospedale, in cui vi sono tanti cristiani che vanno ad aiutare, laici, suore… Si vada in Africa, in cui si trovano tanti missionari. Essi bruciano la loro vita laggiù. E fanno delle vere rivoluzioni. Non per convertire, era un’altra epoca quella in cui si parlava di conversione, ma per servire

Qui papa Bergoglio ritorna alla demagogia sul popolo. Il suo modo di esprimersi è sempre approssimativo, ma alla sua maniera fa una considerazione fondata: la Chiesa è la vita che conducono i cattolici tutti i giorni, in casa, ad aiutare i bisognosi, ad evangelizzare… ma tale considerazione è monca, perché è priva della particella aggiuntiva “anche” che avrebbe ridimensionato l’assoluto errato: “Ma la Chiesa non è… la Chiesa è il popolo”. Infatti si può solo dire che la Chiesa è “anche” il popolo e, contrariamente a quanto afferma papa Bergoglio, è “anche” “i vescovi, i papi e i preti”. L’uno ha bisogno degli altri e viceversa, diversamente si scade nella popololatria che, non solo capovolge il senso stesso della Chiesa, che è madre e guida del popolo e non viceversa, ma avalla la concezione rivoluzionaria protestante, che ha abolito ogni fondamento gerarchico della Chiesa e quindi la Chiesa stessa.

Ovviamente, non poteva mancare la fisima dell’abolizione della conversione: per papa Bergoglio roba di “un’altra epoca”, come se la missione stessa della Chiesa, e quindi la sua ragion d’essere, non fossero derivate dalla volontà di Nostro Signore, ma dal fluire e dal mutare delle epoche.
Senza contare che la presunta distinzione che fa papa Bergoglio tra “convertire” e “servire”, non solo è infondata, ma è soprattutto pura demagogia.
I missionari non sono persone di buona volontà che si recano a casa degli altri per vedere se possono essere utili, ma sono ben altrimenti i fedeli di Nostro Signore che mettono in opera il suo comandamento: “andate e insegnate e battezzate”… e convertite. E in questo loro compiere la volontà di Dio, essi servono sì gli altri, perché li aiutano a salvarsi, ma servono ancor più e prima di tutto Dio, che li vuole salvi.
Se l’andare in missione equivalesse al mero “servire” gli altri, non ci sarebbe bisogno della Chiesa, bastano già le istituzioni filantropiche, quelle che oggi vanno tanto di moda col nome di “volontariato”. Ma tali istituzioni sono nate proprio per soppiantare l’azione missionaria della Chiesa, avendo in vista il rifiuto di ogni istanza superiore di salvazione e di conversione, considerate inaccettabili e contrarie alla libertà individuale e di gruppo, che si pretende titanicamente non abbia bisogno né di conversione né di Dio.

Papa Bergoglio, ribattendo su questo tasto del rifiuto della “conversione”, non solo si allinea demagogicamente con le concezioni mondane e anticristiane, ma dimostra di servire scientemente il mondo e di rifiutare di servire Dio.


La santità ordinaria


«Vi è così tanta santità. E’ questa una parola che voglio utilizzare nella Chiesa di oggi, ma nel senso della santità quotidiana, nelle famiglie… E questa è un’esperienza personale. Quando parlo di questa santità ordinaria, che altre volte ho chiamato la “classe media» della santità… sa che cosa mi fa venire in mente? L’Angelus di Millet. E’ questo che mi affiora allo spirito. La semplicità di questi due contadini che pregano. Un popolo che prega, un popolo che pecca e poi si pente dei suoi peccati. Vi è una forma di santità nascosta nella Chiesa. Vi sono degli eroi che partono in missione. Voi, i Francesi, avete fatto molto, certi hanno sacrificato la propria vita. E quello che mi colpisce di più nella Chiesa è la sua santità feconda, ordinaria. Questa capacità di diventare un santo senza farlo notare

Anche qui, papa Bergoglio dimostra la sua abilità nel ribaltare ogni nozione cattolica. Stavolta tocca alla santità, con l’immediata avvertenza che non dei santi di Dio intende parlare, ma della “santità quotidiana”.
Non v’è dubbio che la vita ordinaria del fedele cattolico è mossa dall’istanza di santificazione e quindi è normale, edificante e lodevole vedere “due contadini che pregano”; così come è apprezzabile ed esemplare la “capacità di diventare un santo senza farlo notare”; ma Papa Bergoglio non può fare a meno di abbassare tutto questo fin quanto può, di semplificarlo, quasi di banalizzarlo, per giungere all’assurdità dell’apprezzamento di “un popolo che pecca e poi si pente dei suoi peccati”.

Chi potrebbe mettere in dubbio il valore positivo espresso dal peccatore che si pente dei suoi peccati? E’ proprio la contrizione, il pentimento, l’espiazione che aiutano a santificare la vita del fedele che ha peccato. Ma il Signore ha ammonito: “va e d’ora in poi non peccare più” (Gv. 8, 11). Così che l’istanza prima è fuggire il peccato.
Per papa Bergoglio, invece, l’istanza prima è la stessa di quella di Lutero: “un popolo che pecca e poi si pente dei suoi peccati”; riconoscendo quindi che il peccare è un’attitudine ordinaria di quella stessa “santità ordinaria” di cui fa l’elogio, ed avallando la valenza positiva della deliberata volontà di peccare, come lodevole fattore propedeutico al pentimento.

Il ribaltamento dell’insegnamento di Nostro Signore è palese e in poche parole papa Bergoglio esprime quasi una sintesi del rivoluzionario insegnamento di Lutero, il famoso “pecca fortiter, sed crede fortius” – pecca fortemente, ma credi più fortemente -, col quale l’eresiarca tedesco fa diventare il peccato conditio sine qua non per salvarsi.

E ancora ci si chiede se Papa Francesco è un papa cattolico o un capopopolo protestante.


La morale non è un precetto



«Ma noi cattolici come insegniamo la morale? Non si può insegnare con dei precetti come: “Non puoi fare questo, devi fare quest’altro, devi, non devi, puoi, non puoi”. La morale è una conseguenza dell’incontro con Gesù Cristo. Per noi cattolici è una conseguenza della fede. E per gli altri è una conseguenza dell’incontro con un ideale, o con Dio, o con se stessi, ma con la parte migliore di se stessi. La morale è sempre una conseguenza

«Dio allora pronunciò tutte queste parole: “Io sono il Signore, tuo Dio, … non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, … Non pronuncerai invano il nome del Signore…
Ricordati del giorno di sabato per santificarlo… Onora tuo padre e tua madre … Non uccidere. Non commettere adulterio. Non rubare. Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo. Non desiderare la casa del tuo prossimo. Non desiderare la moglie del tuo prossimo […]
«Mosè disse al popolo: “Non abbiate timore: Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore vi sia sempre presente e non pecchiate”» (Esodo, 20, 1-17 e 20).

Ebbene, delle due l’una: o ha ragione Bergoglio o ha ragione Dio.
Bergoglio dice: “Non si può insegnare con dei precetti come: «Non puoi fare questo, devi fare quest’altro, devi, non devi, puoi, non puoi».”
Dio comanda: fai questo, non fare quest’altro, e Mosè precisa “Dio è venuto per mettervi alla prova e perché il suo timore vi sia sempre presente e non pecchiate.”

Ora, visto che Dio è lo stesso a cui deve obbedienza Bergoglio, e Mosè, ispirato da Dio, insegna  “perché il suo timore vi sia sempre presente e non pecchiate”, non v’è dubbio che il comando di Dio e il timore di Dio sono le uniche guide comportamentali e morali, non v’è spazio per altro!
Bergoglio ha torto!
Ma trattandosi di ciò che attiene a Dio e del dovere dell’uomo verso Dio, Bergoglio ha più che torto: si rivela essere un cattivo maestro.

La malizia di papa Bergoglio, peraltro, la si evince dal resto del suo discorso, in cui la morale come “conseguenza dell’incontro con Gesù Cristo”, è un’affermazione generica, e l’equiparazione dell’incontro con Gesù Cristo con l’“incontro con un ideale” o con l’incontro “con la parte migliore di se stessi”, è un’affermazione blasfema.

Papa Bergoglio riesce a banalizzare anche Nostro Signore, e lo fa a ragion veduta, poiché il suo scopo, in tutta evidenza, è la relativizzazione di Gesù Cristo e l’assolutizzazione della coscienza individuale.

Quand’egli afferma che “La morale è sempre una conseguenza”, sta semplicemente dicendo che essa discende dal confronto con se stessi, e cioè scaturisce dai convincimenti e dai bisogni soggettivi dell’uomo, e di conseguenza la morale non è il comportamento corretto di fronte a Dio, e al prossimo per amore di Dio, fondato sugli stessi comandi di Dio. NO. La morale, per papa Bergoglio, sarebbe la conseguenza dell’incontro con un ideale o con noi stessi; cosa che “per noi cattolici” si tradurrebbe in “una conseguenza della fede”.
E dal momento che Bergoglio non distingue tra la conseguenza dell’incontro “con se stessi”, come possibilità negativa, e la “conseguenza della fede”, come possibilità positiva… ne deriva una pari banalizzazione della fede, resa equivalente ad un “ideale” o alla “parte migliore di se stessi” (?).

Ci si chiede: quando mai si è sentita dalla bocca di un papa una simile sconcia corbelleria?

La si è letta però in Amoris laetitia,
dove al n° 267 si legge:  «L’educazione morale è un coltivare la libertà mediante proposte, motivazioni … che aiutino le persone a sviluppare quei principi interiori stabili che possono muovere a compiere spontaneamente il bene.»;
e al n° 271 «L’educazione morale implica chiedere a un bambino o a un giovane solo quelle cose che non rappresentino per lui un sacrificio sproporzionato, esigere solo quella dose di sforzo che non provochi risentimento o azioni puramente forzate.»;
e al n° 301: «Un soggetto, pur conoscendo bene la norma, può avere grande difficoltà nel comprendere “valori insiti nella norma morale” o si può trovare in condizioni concrete che non gli permettano di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza una nuova colpa

Come si vede, per papa Bergoglio la morale è solo relativa e quindi prescinde dalle leggi di Dio e dai precetti della Sua Chiesa. Si tratta semplicemente di una morale come l’intende il mondo scristianizzato e orgoglioso di esserlo; basta leggere una qualsiasi definizione della cosiddetta morale laica:
«La morale laica denota la rivendicazione, da parte di un individuo o di una entità collettiva, dell’autonomia decisionale rispetto a ogni condizionamento ideologico, morale o religioso proveniente dall’esterno. … essa si fonda sull’indipendenza della ragione da ogni dogmatismo e quindi valorizza il dibattito, il confronto e l’apertura, la libertà delle scelte personali

Ci si dirà che siamo capziosi, ma come si fa a non constatare che perfino la terminologia è identica a quella di papa Bergoglio?
La conseguenza è che questo Papa apparentemente cattolico predica e pratica non la morale cattolica, fondata sui comandamenti di Dio, ma la morale laica, fondata sui principi che rigettano Dio.

E papa Bergoglio non esita a rincarare la dose.
Alla domanda perché il messaggio della Chiesa, - condannare la follia del denaro -, non viene ascoltato?
Papa Bergoglio risponde:
«Ma perché certuni, nelle omelie o nelle cattedre di teologia, preferiscono parlare di morale. Vi è un grande pericolo per i predicatori, gli annunciatori, ed è quello di cadere nella mediocrità. Di condannare solo la morale – chiedo scusa – “sotto la cintura”. Gli altri peccati, che sono più gravi, … non se ne parla tanto come di quella

Come dire che la morale è qualcosa che sta al livello della “mediocrità”.

E papa Bergoglio prende ad esempio Amoris laetitia:
«A proposito delle famiglie ferite, io dico, nell’ottavo capitolo, che vi sono quattro criteri: accogliere, accompagnare, discernere le situazioni e integrare. E questa non è una norma fissa, questo apre una via, un cammino di comunicazione. Mi è stato subito chiesto: “Ma si può dare la comunione ai divorziati?” Io rispondo: “Parlate col divorziato, parlate con la divorziata, accogliete, accompagnate, integrate, discernete!”. Purtroppo, noi preti siamo abituati alle norme fisse. Alle norme fissate

Come dire che le norme fissate dalla Chiesa sono fuori dalla realtà, mentre invece la morale scaturirebbe dal dare considerazione e valore alle argomentazioni e ai comportamenti di chi vive in maniera immorale e peccaminosa.


L’aborto


«Durante il Giubileo della Misericordia c’è stato il fatto di estendere il potere di assolvere il peccato di aborto a tutti i preti. Attenzione, questo non significa banalizzare l’aborto. L’aborto è grave, è un peccato grave. E’ l’uccisione di un innocente. Ma se peccato vi è, bisogna facilitare il perdono. Poi, alla fine, ho deciso che questa misura sarà permanente. Ormai ogni prete può assolvere questo peccato

Non v’è dubbio che l’aborto è un peccato grave. E’ l’uccisione di un innocente”, conferma papa Bergoglio. MA. Precisa papa Bergoglio: «bisogna facilitare il perdono».
Quindi, decide papa Bergoglio: «Ormai ogni prete può assolvere questo peccato».
E bisogna riconoscere che in tutto questo dire una cosa e poi negarla, c’è una certa coerenza, perché papa Bergoglio ha affermato prima che la vita della Chiesa la si comprende da «un popolo che pecca e poi si pente dei suoi peccati».
Come dire che il peccare sarebbe una positiva e apprezzabile condizione previa per potere giungere al pentimento, ed essendo il pentimento un elemento che sovrasta il peccato, ecco che “ormai ogni prete può assolvere l’aborto.”

Un diabolico giuoco di parole, dove l’aborto, pur rimanendo un peccato grave, non conosce più impedimenti per essere assolto, e quindi viene banalizzato fino al punto che il fedele potrà pensare che poco importa abortire, tanto l’assoluzione è assicurata.

E papa Bergoglio, ben sapendo che tanta ingiustificata liberalità può condurre solo all’aumento degli aborti, trova la scappatoia sentimentale e asserisce che è meglio che le persone respirino, piuttosto che sentano il peso del peccato.
«Una donna che ha una memoria fisica del bambino, perché questo è sovente il caso, e che piange, che piange per anni senza avere il coraggio di andare da un prete… quando ha sentito quello che ho detto… si rende conto del numero di persone che infine respirano?»

Ecco l’insegnamento di questo Papa: non è importante e riprovevole praticare l’aborto, ciò che è importante e apprezzabile è che finalmente le donne che abortiscono possano tirare un sospiro di sollievo: “il Papa ha detto che ci assolve”!

Non è azzardato, né mancanza di rispetto, pensare che uno solo può essere il suggeritore di papa Bergoglio: il diavolo.

Ed lo si comprende con facilità quando egli spiega ulteriormente che la rigidità nella richiesta di osservare i comandamenti di Dio  è “una incapacità di comunicare”, è “una forma di fondamentalismo”, qualcosa che viene praticata da una persona “malata”.
Queste persone, dice papa Bergoglio, “cercano la sicurezza”, sono persone “malate psicologicamente”, cercano “istituzioni forti per difendersi” e “una volta che si sentono al sicuro” ecco che “la malattia si manifesta”.

Ma chi sarebbero queste persone? Quelle che “si arruolano nella Chiesa”, dice papa Bergoglio, e cioè i preti, i quali, secondo lui e il suo psicologo di fiducia, una volta che “sono diventati sicuri di sé”, con l’esplodere della malattia, diventano anche dei “torturatori”… cioè di quelli che torturano i fedeli con l’assillo del dovere di fuggire il peccato.
Io ho paura della rigidità”, dice papa Bergoglio, “Preferisco un giovane disordinato… perché tutte queste contraddizioni fanno crescere”.

Ora, ci dica il lettore se tutta questa istigazione al male, non può essere solo suggerita dal diavolo!
Nel leggere questa prosa delirante, a noi sono venuti in mente i seguenti passi della Genesi:

«Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti» (Gn 2, 16-17)

Rigidità e minaccia di morte… in Dio…  ho paura della rigidità … in papa Bergoglio.

«Ma il serpente disse alla donna: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male”»  (Gn 3, 4-5).

Lassismo, peccato e conoscenza… blandisce il diavolo …Preferisco un giovane disordinato… perché tutte queste contraddizioni fanno crescere … conviene papa Bergoglio.

Chi è il suggeritore, se non il padre della menzogna?



Abbiamo ricostruito noi il pensiero di papa Bergoglio, ma non manchiamo di dare al lettore la possibilità di verificare personalmente, quindi adesso riportiamo il suo discorso per intero, scusandoci per la lunghezza.

Durante il Giubileo della Misericordia c’è stato il fatto di estendere il potere di assolvere il peccato di aborto a tutti i preti. Attenzione, questo non significa banalizzare l’aborto. L’aborto è grave, è un peccato grave. E’ l’uccisione di un innocente. Ma se peccato vi è, bisogna facilitare il perdono. Poi, alla fine, ho deciso che questa misura sarà permanente. Ormai ogni prete può assolvere questo peccato.

Una donna che ha una memoria fisica del bambino, perché questo è sovente il caso, e che piange, che piange per anni senza avere il coraggio di andare da un prete… quando ha sentito quello che ho detto… si rende conto del numero di persone che infine respirano?

Dietro ogni rigidità vi è una incapacità di comunicare. E io l’ho sempre constatato… Prendete questi preti rigidi che hanno paura della comunicazione, prendete gli uomini politici rigidi… Si tratta di una forma di fondamentalismo. Quando mi imbatto in una persona rigida, e soprattutto un giovane, mi dico subito che è malato. Il pericolo è che essi cercano la sicurezza. A questo proposito le racconto un aneddoto.
Quand’ero maestro dei novizi, nel 1972, si accompagnavano per uno o due anni i candidati che volevano entrare nella Compagnia. (…) Mi ricordo di uno di questi che si vedeva che era un poco rigido, ma che aveva delle grandi qualità intellettuali e che io trovavo fosse ad un buon livello. Egli ne aveva altre, molto meno brillanti, che mi chiedevo se sarebbero passate. Io pensavo che sarebbero stati rifiutati, perché avevano delle difficoltà, ma alla fine sono stati ammessi perché avevano la capacità di crescere, di riuscire. E quando è arrivato il test del primo studente, subito è stato detto no.
«Ma perché, E’ così intelligente, è pieno di qualità.
E mi è stato spiegato: C’è un problema, è un po’ ampolloso, un po’ artificiale su certe cose, un po’ rigido.
E perché è così?
Perché non è sicuro di sé»

Si sente che questi uomini percepiscono inconsciamente che sono «malati psicologicamente» Loro non lo sanno, lo sentono. E vanno alla ricerca di strutture forti che li difendano nella vita. Diventano poliziotti, si arruolano nell’esercito o nella Chiesa. Delle istituzioni forti, per difendersi. Essi fanno bene il loro lavoro, ma una volta che si sentono al sicuro, inconsciamente, la malattia si manifesta. E a quel punto sorgono i problemi.

E io ho chiesto: «Ma, dottore, come si spiega questo? Non capisco bene». E lei mi ha dato questa risposta: « S’è mai chiesto perché vi sono dei poliziotti torturatori? Questo ragazzi, quando sono arrivati, erano dei bravi ragazzi, certo, ma malati. Poi sono diventati sicuri di sé, e la malattia è esplosa.» io ho paura della rigidità. Preferisco un giovane disordinato, con dei problemi normali, che si arrabbia… perché tutte queste contraddizioni lo aiuteranno a crescere.




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ottobre 2017
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