Don Giuseppe De Luca e Romana Guarnieri


di Don Curzio Nitoglia
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Parte seconda
Parte terza
Parte quarta
Parte quinta
Parte sesta
Parte settima
Parte ottava


ALCUNE PRECISAZIONI SU DON GIUSEPPE DE LUCA




Don Giuseppe De Luca - Card. Alfredo Ottaviani



Introduzione

In quest’articolo torno su certi temi già affrontati negli articoli precedenti e vi aggiungo alcune nuove notizie acquisite recentemente, le quali ci aiutano a capire sempre meglio la personalità, il pensiero e l’azione di don De Luca.

I rapporti col cardinal Alfredo Ottaviani

Abbiamo già visto quali siano stati i rapporti intercorsi tra De Luca e Ottaviani. Tuttavia vi è qualcosa che non era stato ancora detto e che aggiungo ora per maggior chiarezza.

ROMANA GUARNIERI in un libro a cura di GIUSEPPE ROSSINI intitolato Modernismo, fascismo, comunismo. Aspetti e figure della cultura e della politica dei cattolici nel ‘900 (Bologna, Il Mulino, 1972) dedica un ampio saggio a don De Luca titolato Don Giuseppe De Luca (1889-1962) tra cronaca e storia (pp. 249-362). In esso la Guarnieri è molto più chiara che nel libro citato negli articoli precedenti (Una singolare amicizia. Ricordando don Giuseppe De Luca, Genova, Marietti-1820, 1998).

Innanzitutto la Guarnieri nel suddetto saggio (Don Giuseppe De Luca (1889-1962) tra cronaca e storia), di cui maggiormente mi servo in quest’articolo, ammette candidamente che “il card. Ottaviani proprio in quell’ultimo mese di vita di don Giuseppe [febbraio-marzo 1962, ndr], aveva avuto qualche serio attrito con lui. Morto Tardini, il card. Ottaviani era rimasto ormai il più autorevole oppositore - tanto sul punto del Concilio quanto sull’atteggiamento della Chiesa in rapporto alla nuova politica dei cattolici italiani [il centro-sinistra, ndr] - della linea appoggiata da papa Giovanni” (cit., p. 262).

Ora la linea di papa Roncalli era anche quella di don De Luca, il quale non solo si orientava verso il centro-sinistra (il governo democristiano e socialista), ma addirittura appoggiava il movimento dei cattolici-comunisti anche dopo la scomunica del comunismo da parte di Pio XII nel 1949.

Nel libro citato negli articoli precedenti  (Una singolare amicizia. Ricordando don Giuseppe De Luca) la Guarnieri presentava l’ultimo colloquio tra il card. Ottaviani e don de Luca sul letto di morte il 15 marzo del 1962 all’ospedale Fatebenefratelli di Roma come uno sfogo di Ottaviani con De Luca sulle incomprensioni che regnavano tra il porporato e il Papa. Invece da quanto scritto nel saggio citato nel presente articolo appare chiaro che le incomprensioni sussistevano anche tra il cardinale e De Luca, che era amico intimo di papa Giovanni e ne condivideva la politica non condivisa, invece, da Ottaviani.




I rapporti con i cattolici comunisti


De Luca riteneva che nel dopoguerra vi sarebbe stata un’irresistibile avanzata del comunismo anche in Italia “e che conveniva prepararvisi non certo nello spirito da crociata pacelliano” (cit., p. 307). In breve De Luca, come Montini, reputava inevitabile la vittoria del comunismo sovietico in Europa e soprattutto in Italia e non condivideva, anzi avversava apertamente, la posizione dottrinale e pastorale di Pio XII riguardo al comunismo. Quindi, secondo lui, occorreva intraprendere una politica di distensione e di accordi con esso, dalla quale poi nascerà la famigerata, rinunciataria e fallimentare ostpolitik vaticana verso l’Urss sotto papa Montini coadiuvato dal card. Casaroli (1). Ora, a parte il fatto che la suddetta previsione delucana si è rivelata infondata mentre la linea pacelliana è stata ampiamente vincente, tale visione delle cose era iniziata già sùbito dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943) ed aveva portato De Luca ad abbandonare Bottai per dialogare, sino alla sua morte (19 marzo 1962), con i cattolici comunisti di Franco Ròdano, confluiti poi nel PCI di Togliatti, il più stalinista e sanguinario dei leader comunisti europei. Ma già Pio XI nel 1937, riprendendo gli insegnamenti del Magistero ecclesiastico sul comunismo a partire da Pio IX (Enciclica Qui pluribus del 1846), lo aveva condannato solennemente come “intrinsecamente perverso” ed aveva proibito ai cattolici qualsiasi forma di collaborazione con esso (Enciclica Divini Redemptoris Missio, 19 marzo 1937). Inoltre, nel 1949, Pio XII aveva colpito anche con la scomunica i comunisti ed aveva contribuito non poco ad arrestare la loro avanzata elettorale. De Luca, invece, ha agito in maniera diametralmente contraria agli insegnamenti e alle direttive, costantemente riaffermate lungo il corso di circa 100 anni, del Magistero della Chiesa ed ha contribuito all’avanzata del PCI, che è diventato man mano il più forte Partito comunista europeo sino a sorpassare la DC in Italia nel 1984 e a diventare, così, il primo partito italiano.

Tutto ciò, come una Penelope di segno contrario, lo portò “terminata la guerra nella disfatta, spazzato via il fascismo”, a “tessere pazientemente la sua tela di sempre [v. il suo rapporto con Giuseppe Bottai, ndr] stracciata dall’uragano; questa volta accanto a De Gasperi [secondo cui “la Democrazia Cristiana è un partito di centro che guarda a sinistra”, ndr]” (cit., p. 308).

In breve, se durante il fascismo De Luca aveva tessuto la sua tela col ministro Bottai nella speranza di poter raggiungere il suo piano grazie al regime mussoliniano, dopo la guerra, ritenendo la DC perdente e il PCI vincente, iniziò a tessere la medesima (e non contraria per lui) tela con i cattolici-comunisti e con Togliatti (come abbiamo visto negli articoli precedenti) e con quella parte della DC che, pur essendo di centro (e quindi, secondo lui, destinata alla sconfitta), guardava a sinistra (e perciò capace di ottenere una certa benevolenza dal comunismo vincitore).

La storia della “Pietà” italiana avrebbe, secondo de Luca, servito quale “originalissimo ponte, attraverso il quale, nel nome della ricerca disinteressata del vero, gli uomini tornavano ad incontrarsi; una casa, in cui ritrovarsi e riconoscersi fratelli e parlarsi nel linguaggio universale della scienza pura” (cit., p. 310).

Tuttavia si riscontra un divario tra questo programma puramente scientifico, erudito,  idealistico e l’azione di don De Luca. Infatti De Luca “che operò  sempre dietro le quinte, nel silenzio e nel nascondimento più rigoroso” (cit., p. 316), ritenendo che “l’unica grande forza politica e umana (anzi, secondo lui, immensa forza religiosa, ancorché senza Dio, nella prospettiva cioè della ‘Pietà’ da lui teorizzata), con la quale la Chiesa avrebbe prima o poi dovuto misurarsi, era il comunismo” (cit., p. 317).

Ora non si riesce a capire come il comunismo “senza Dio” potesse essere reputato una “immensa forza religiosa”, se non in un’ottica che stravolge completamente il concetto di religione, definita dalla Chiesa come la dottrina che rilega, riunisce (2) l’uomo a Dio, e che viene presentata, al contrario, da don De Luca come la “Pietà” esoterica, la letteratura gnosticheggiante del Libero Spirito (fatta propria, per esempio, da Margherita Porrete), che porta l’uomo all’indiamento grazie alla conoscenza salvifica o gnosi.

Solo così l’immanentismo radicale di Gramsci o di Togliatti poteva conciliarsi con la “Pietà” di don Giuseppe, poiché l’uomo che si fa Dio coincide con il “Dio” immanente nel mondo, con il quale fa un tutt’uno panteisticamente. Parrebbe inconcepibilmente strano questo concetto se Paolo VI non lo avesse esplicitato in un suo famigerato discorso. Infatti papa Montini nell’Omelia della nona sessione del Concilio (7 dicembre 1965) ha detto:
“La religione di Dio che si è fatto uomo s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’uomo che si fa Dio. Che cosa è avvenuto? Uno scontro, una lotta, un anatema? Poteva essere, ma non è avvenuto. […]. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso. […]. Dategli merito in questo almeno, voi umanisti moderni, rinunciatari alla Trascendenza delle cose supreme, e riconoscerete il nostro nuovo umanesimo: anche noi, noi più di tutti siamo i cultori dell’uomo! […]. Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. […]. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette” (Enchiridion Vaticanum, Documenti. Il Concilio Vaticano II, EDB, Bologna, IX ed., 1971,  p. [282-283] - vedi testo).

Non a caso il grande teologo domenicano padre Innocenzo Colosio ha definito a più riprese don De Luca un “agnostico” (I. COLOSIO, Don Giuseppe De Luca storico della pietà, Firenze, 1962 , p. 9 (3)).

Questo (della “Pietà” esoterica) è il concetto chiave o il pilastro per capire il pensiero e la prassi delucana coadiuvata dalla Guarnieri, la quale è stata nel caso De Luca una sorta di “Messia” femminile come lo erano state Margherita Porrete e Guglielmina la Boema così come insegna la cabala ebraica (cfr. G. SHOLEM, Le messianisme juif, Parigi, Calmann-Lévy, 1974).

Luisa Mangoni scrive che la Casa Editrice di De Luca con il suo programma era definita da lui stesso “la summa della sua vita” (L. MANGONI, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Torino, Einaudi, 1989, p. X) e che la sua opera è stata “una vicenda fatta d’intrecci culturali espliciti o sotterranei” (ivi).

Fu così che De Luca divenne il “rifugio” dei cattolici-comunisti invisi alla Chiesa e sfruttati, come insegnava Ernst Bloch, dal comunismo per il trasbordo inavvertito del cattolicesimo progressista e rinunciatario nel marxismo-leninismo, fagocitatore dei rinunciatari privi della loro identità tradizionale.

Inoltre, come scrive la Guarnieri, per De Luca non esisteva una “politica cattolica”, ossia una politica che ha una sua dottrina o filosofia, la quale è la morale sociale (come la Chiesa ha sempre insegnato, fondandosi sulla filosofia politica di Aristotele e S. Tommaso d’Aquino), ma esistevano solo dei “cattolici che fanno politica, magari informandosi a determinate idee marxiste” (cit., p. 318, nota 153). Quindi secondo don Giuseppe la dottrina sociale della Chiesa era inesistente, mentre vi era pieno accordo tra cattolicesimo e marxismo, contraddicendo il Magistero ecclesiastico, che a partire da Pio IX ha condannato costantemente il comunismo in quanto ateo e materialista e quindi apostatico.

Inoltre la Guarnieri rivela che sempre secondo De Luca non era possibile “una società cristiana, ma solo una società in quanto tale, un fatto essenzialmente naturale” (cit., p. 319, nota 153). Invece la storia insegna che da Costantino sino a Bonifacio VIII “la filosofia del Vangelo ha informato i regni” (Leone XIII), la Chiesa con Pio XI, nel 1925, aveva promulgato l’Enciclica Quas primas sulla Regalità sociale di Cristo e, nel 1926, aveva istituito la festa liturgica di Cristo “Re della società civile” proprio per insegnare con più forza ciò che sempre aveva professato, ossia che la società civile è sì una creatura naturale di Dio, dacché l’uomo naturalmente è animale sociale, ma come l’uomo singolo deve essere sottomesso a Gesù così anche la società familiare e quella civile debbono esserlo, lo Stato deve essere subordinato alla Chiesa come il corpo all’anima e la Chiesa ha un potere indiretto sullo Stato in temporalibus ratione peccati.

In breve si notano molte idee di De Luca diametralmente opposte a ciò che la Chiesa aveva insegnato anche durante la sua vita sacerdotale e che perciò egli non poteva ignorare o aver dimenticato.

Soprattutto Pio XII era inviso a De Luca, non solo come persona privata (Eugenio Pacelli) come soleva dire quasi a giustificarsi, ma specialmente come Papa per il suo insegnamento dottrinale e la sua azione pastorale specialmente in politica. Infatti Giovanni Antonazzi scrive: “ad accrescere il turbamento [di De Luca nei confronti di Pio XII, ndr] aveva contribuito un recente colloquio [di De Luca, ndr] con Alcide De Gasperi, amareggiato per il rifiuto dell’udienza da parte di Pio XII, messo su (sospettava De Luca) da qualcuno della pericolosa banda (Gedda, p. Lombardi, ecc. (4))” (G. ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca. Uomo, cristiano e prete, Brescia, Morcelliana, 1992, p. 149). De Luca si lamentava dell’insensibilità di Pio XII per la sua opera: “le Edizioni [di Storia e Letteratura, ndr] e l’Archivio [Italiano per la Storia della Pietà, ndr], che costituiscono due pilastri nel pensiero di De Luca” (G. ANTONAZZI, cit., p. 243). Pio XII non fu propenso a finanziare né le Edizioni né l’Archivio. Antonazzi scrive: “la consapevolezza [di De Luca, ndr] del prestigio che […] De Luca (5) conferiva alla Chiesa, gli fu cagione di incomprensibile amarezza, delusione, sconforto, per l’insensibilità della S. Sede. Da essa non gli giunse alcun segno di riconoscimento né una risposta positiva ai reiterati appelli di aiuto finanziario, di cui aveva sempre impellente bisogno” (G. ANTONAZZI, cit., p. 244). Nel 1951 De Luca domandò udienza a Pio XII per perorare la causa della sua opera e chiedere un sovvenzionamento; il 13 agosto venne ricevuto in udienza privata dal Papa a Castel Gandolfo. Don Giuseppe ha lasciato un resoconto di quell’udienza: «Pio XII si fermò poco sul contenuto dell’Archivio. Non son cose che gli premono. Ebbe soltanto lodi generiche. […]. Della memorabile udienza De Luca descrisse alcuni dettagli anche a monsignor Baron, il 29 agosto, terminando la lettera così: “tu sai che cosa io penso di Eugenio Pacelli, ma sai anche che cos’è il Papa per me: non ti dico la battaglia nel mio cuore”» (cit., p. 276). Luisa Mangoni (cit., p. 346) parla addirittura di “ostilità” di papa Pacelli nei confronti di De Luca, Antonazzi la ridimensiona, ma sicuramente vi è una certa ostilità di De Luca nei confronti di Pio XII. Infine Antonazzi scrive che «il giudizio [di De Luca, ndr] su Pio XI e Pio XII, come la valutazione del loro governo pastorale […], e certe affermazioni drastiche e categoriche degli ultimi anni […] deploravano i due pontificati come “tremendi” e “tirannici”» (cit., p. 360).

Per questi motivi i giovani cattolici-comunisti, “conoscendo la sua [di De Luca, ndr] aperta, decisa, durissima avversione alla politica di chiusura dell’epoca pacelliana [nei confronti del comunismo, ndr], avvicinarono don De Luca […] puramente come un sacerdote” (cit., p. 319). Anche qui non ci siamo. Infatti 1°) il sacerdote deve dare ai fedeli l’insegnamento della Chiesa e non il suo e per di più difforme da quello ecclesiastico; 2°) i giovani catto-comunisti avvicinarono De Luca poiché sapevano che era in disaccordo con la linea dottrinale e pastorale di Pio XII riguardo al comunismo e, quindi, era favorevole verso di loro.

Quel che è più grave è il fatto che secondo De Luca questi giovani avevano rischiato e corso un grave pericolo non per la loro vicinanza al comunismo, ossia per la loro apostasia dal Cristianesimo, ma per la loro condanna e il loro isolamento da parte dell’autorità ecclesiastica simile a quella, vissuta da lui quand’era giovane seminarista, che capitò ai modernisti durante l’epoca di San Pio X (cit., p. 320).





Il rapporto con Togliatti


Abbiamo già visto il caso del telegramma di auguri di Krusciov a Giovanni XXIII per il suo ottantesimo compleanno (25 novembre 1961).

La Guarnieri in questo suo saggio è ancora più chiara. Infatti ella scrive che “don Giuseppe fu senza alcun dubbio tra gli artefici dei primi esili approcci tra la S. Sede e l’Urss. […]. Quello scambio di messaggi augurali tra Krusciov e Giovanni XXIII annunciò discretamente al mondo sbalordito che il vento, così in Vaticano come in Russia, era cambiato” (cit., pp. 322-323).

Nella nota 157 a pagina 322 precisa: “Egli [De Luca, ndr] fece presente a Togliatti, in partenza per Mosca, come, per il fine che ci si proponeva di raggiungere, ci sarebbe voluto da parte di Krusciov un ‘gesto’, che ovviamente non sarebbe rimasto senza risposta, e al perplesso Togliatti suggerì, appunto, l’invio da parte del leader sovietico di un telegramma augurale per gli ottant’anni del Papa. Avendone concordato di massima - tramite il De Luca - il testo e la relativa risposta, Togliatti ne parlò di persona a Krusciov, il quale gradì e attuò il suggerimento avuto”.

Il fatto è inquietante: un Togliatti perplesso è imbeccato da un De Luca decisionista e non viceversa, come si sarebbe potuto credere inizialmente, di far da tramite tra Krusciov e papa Roncalli (6). Il testo del telegramma che Krusciov avrebbe dovuto inviare fu concordato da Krusciov e Togliatti col De Luca così come la risposta di Giovanni XXIII. Il risultato prossimo fu che i comunisti crebbero e di molto alle successive elezioni poiché si ritenne dall’opinione pubblica che la scomunica del “Papa cattivo” (Pio XII) fosse stata abrogata dal “Papa buono” (Giovanni XXIII) e che fosse lecito al cattolico (buono) votare comunista. Non è inopportuno ritenere che i governi di centro-sinistra, le riforme e le leggi (divorzio, aborto, unioni omosessuali, gender…) seguite a quel telegramma ne siano state l’effetto remoto. Il vento in Vaticano era realmente cambiato anzi aveva invertito rotta ed era diventato un ciclone già prima dell’inizio del Concilio Vaticano II, ma al Cremlino non era ancora così.  

Giovanni Antonazzi commenta: “la rivendicazione della paternità dell’idea non esclude che una trattativa così delicata  sia passata per altri canali di natura ufficiosa e diplomatica, anche per il fatto che l’ambasciatore dell’Unione Sovietica presso il Quirinale era stato collega del Nunzio Apostolico Roncalli a Parigi” (G. ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca. Uomo, cristiano e prete, Brescia, Morcelliana, 1992, p. 262).

L’operazione De Luca-Krusciov, quindi, è stata un’operazione di alta diplomazia ed è stata portata avanti, molto verosimilmente, anche con l’interessamento dei servizi segreti, dei vari Ministeri degli Interni e degli Esteri vaticani, italiani e sovietici. 

Questo fu un autogoal di De Luca e di Roncalli o fu voluto con tutte le sue conseguenze? Certamente Togliatti e Krusciov le avevano previste e desiderate ed è difficile pensare che Roncalli e De Luca fossero così ingenui da non intravederle. Roncalli era stato un abile diplomatico in Turchia, Bulgaria e Francia; per quanto riguarda De Luca, che potrebbe apparire un sognatore ingenuo e facilmente manipolabile, la Guarnieri scrive che egli, avendo lavorato in Curia, aveva “una conoscenza diretta e intima di quell’organismo così delicato ed essenziale per la vita della Chiesa, che è la Curia romana. L’esperienza, e l’intelligenza, giovanile della Curia gli permise sin da allora di accostare personalità ecclesiastiche molto in alto nel governo della Chiesa” (cit., p. 325).    

Conclusione

Si fa sempre più chiaro il quadro secondo cui De Luca, in pieno disaccordo con il cardinale Ottaviani e con Pio XII, ha appoggiato il comunismo poiché lo riteneva vincente in Europa dopo la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale.

Ciò lo ha portato a stringere rapporti “segreti” con i cattolici comunisti di Ròdano e con lo stalinista Palmiro Togliatti, Segretario del PCI, come durante il ventennio fascista li aveva stretti (sempre “segretamente”) con Bottai e Federzoni, ritenendo allora il fascismo vincitore.

La teoria gramsciano/togliattiana del “compromesso storico”, ripresa da Berlinguer nel 1973, era stata già fatta propria da De Luca a partire dal 26 luglio del 1943 (7).

Tuttavia il suo rapporto “segreto” prima col fascismo e poi col comunismo non lo si deve vedere solo come una questione di convenienza politica o di sopravvivenza del cattolicesimo in un’epoca di regimi totalitari o autoritari, ma anche come il tentativo di rendere di massa la sua dottrina elitaria della “Pietà” immanentistico/panteista dell’indiarsi dell’uomo mediante la gnosi esoterica. Questo è il cavallo di battaglia, il pilastro o la “summa” di De Luca e della Guarnieri. E bisogna dire che col Concilio (8) e post-concilio (9) vi sono pienamente riusciti.

De Luca si è sempre schierato contro la Regalità sociale di Cristo, contraddicendo la Rivelazione, la Tradizione, la storia e il Magistero della Chiesa. 

Infine il ruolo di De Luca quale suggeritore di Togliatti nella di lui missione da “007” nella Russia di Krusciov toglie ogni perplessità sulla sua piena responsabilità nel dialogo catto-comunista: egli non è stato una vittima, ma un artefice e al grado più elevato. Il giudizio su De Luca non può essere positivo, anzi più si studia questo personaggio più se ne scorge la furbizia e la perizia non al servizio della Chiesa gerarchica e petrina, ma di una “chiesa” gnostico/giovannea molto simile a quella di Margherita Porrete.

Non voglio essere irriverente, ma esiste un personaggio che aiuta a capire la figura enigmatica di De Luca. Quando ero ragazzo in televisione trasmettevano una simpatica serie di polizieschi intitolata “Il tenente Colombo”, in cui l’attore (che impersonava il tenente di polizia) era apparentemente e volutamente ingenuo, stravagante, tra le nuvole di modo che l’assassino lo sottovalutasse, abbassasse la guardia e venisse colto in fallo perché il tenente Colombo in apparenza era “semplice come le colombe”, ma in realtà era “astuto come un serpente”. Ora, studiando De Luca, non posso fare a meno di ricordare il “tenente Colombo” mutatis mutandis e, con rispetto parlando, il lettor non me ne voglia.   

(continua)

NOTE 

1
- Cfr. U. FLORIDI, Mosca e il Vaticano, Milano, Casa di Matriona, 1972.
2 - Religione dal latino religio = religare, ossia riunire l’uomo a Dio.
3 - Di padre INNOCENZO COLOSIO su De Luca cfr. anche Il mistero dell’abbé Henri Bremond 1865-1933, in “Rivista di ascetica e mistica”, n. 2, 1966, p. 204 ss.
4 - Pio XII aveva tolto ogni stima a De Gasperi dopo i suoi discorsi su la DC come Partito aconfessionale e di centro, ma che guarda a sinistra, e le lettere, pubblicate da Giovanni Guareschi, in cui De Gasperi si rallegrava per il bombardamento angloamericano sul quartiere di San Lorenzo di Roma nel luglio del 1943, poiché avrebbe affrettato la caduta del fascismo, nonostante le numerose vittime provocate.
5 - Questa “consapevolezza” di De Luca sul prestigio che conferiva lui alla Chiesa e non viceversa lascia increduli e attoniti, ma così sta scritto e così lo riporto.
6 - «Lo storico Gabriele De Rosa in un suo quaderno di appunti relativi a conversazioni avute con De Luca, alla data 30 novembre 1961, riporta le parole dettegli da don Giuseppe: “Sono stato io a provocare quel telegramma. Parlai a Togliatti e gli dissi che Krusciov scegliesse quell’occasione per fare veramente qualcosa di serio”» (R. GUARNIERI, cit., p. 322, nota 157)
7 - Si dice che in Italia sino al 25 luglio del 1943 vi erano circa 40 milioni di fascisti e dopo il 25 luglio circa 40 milioni di antifascisti.
8 - Cfr. il succitato discorso di Paolo VI alla chiusura del Concilio.
9 - Giovanni Paolo II afferma nella sua prima enciclica (del 1979) ‘Redemptor hominis’ n. 9: «Dio in Lui [Cristo] si avvicina ad ogni uomo dandogli il tre volte Santo Spirito di Verità» ed ancora ‘Redemptor hominis’ n. 11: «La dignità che ogni uomo ha raggiunto in Cristo: è questa la dignità dell’adozione divina». Sempre in ‘Redemptor hominis’ n. 13: «non si tratta dell’uomo astratto, ma reale concreto storico, si tratta di ciascun uomo, perché […] con ognuno Cristo si è unito per sempre […]. l’uomo – senza eccezione alcuna – è stato redento da Cristo, perché, con l’uomo – ciascun uomo senza eccezione alcuna – Cristo è in qualche modo unito, anche quando l’uomo non è di ciò consapevole […] mistero [della redenzione] del quale diventa partecipe ciascuno dei quattro miliardi di uomini viventi sul nostro pianeta, dal momento in cui viene concepito sotto il cuore della madre». Gli stessi concetti sono stati espressi nelle altre due Encicliche successive: Dives in misericordia (1980) e Dominum et vivificantem (1986)

 
 




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novembre 2017
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