Don Giuseppe De Luca e Romana Guarnieri


di Don Curzio Nitoglia
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Parte seconda
Parte terza
Parte quarta
Parte quinta
Parte sesta
Parte settima
Parte ottava


DON GIUSEPPE DE LUCA E GIACOMO MANZÙ




Don Giuseppe De Luca - Papa Giovanni XXII - Giacomo Manzù



Introduzione

Giacomo Manzoni detto Manzù (1908-1991) iniziò da giovane la pratica artistica della scultura; dopo essersi formato appena ventenne a Parigi nel 1928/29, fece tre sculture a Milano nel 1930 per la cappella dell’Università Cattolica di padre Agostino Gemelli, il quale non apprezzò la statua raffigurante la Madonna e la fece spostare sotto il portico.



Manzù e la sua statua della Madonna
 

L’amicizia tra Manzù e De Luca

Manzù conobbe don De Luca nel 1939 tramite Cesare Brandi. Successivamente don Giuseppe presentò lo scultore all’allora cardinale di Venezia Angelo Roncalli. Anche il ritratto e il busto di Giovanni XXIII, appena eletto Papa, fatti dal Manzù son dovuti all’intervento di De Luca, come risulta da una lettera scritta da don Giuseppe al cardinal Tardini il 15 dicembre del 1959 (R. GUARNIERI, Don Giuseppe De Luca (1898-1962) tra cronaca e storia, in G. ROSSINI, Modernismo, fascismo, comunismo. Aspetti e figure della cultura e della politica dei cattolici nel ‘900,  Bologna, Il Mulino, 1972, p. 257, nota 19) (1).

Il concorso per le Porte  della basilica di San Pietro

Nel 1947 la Fabbrica di San Pietro indisse un concorso per la realizzazione delle Porte della basilica. Manzù vinse il concorso, ma vi furono molte resistenze da parte delle autorità vaticane nei confronti dello scultore, che, oltre ad essere filocomunista, era anche ateo e quindi poco adatto a rappresentare di arte sacra.

Inoltre egli aveva già fatto un ciclo di sculture, tra il 1939 e il 1942, dedicato alla Crocefissione e Deposizione di Gesù dalla Croce. Esse erano oggettivamente irriverenti. Quindi l’esecuzione delle Porte di San Pietro fu fermata sino alla morte di Pio XII (9 ottobre 1958).
 
Le opere dissacranti di Manzù

Manzù «dal 1930 al 1937 aveva fatto tre bassorilievi incentrati sulla figura di Cristo di concezione abbastanza tradizionale […], ma […] nella primavera del 1939 con il “Cristo nella nostra umanità” Gesù crocifisso era completamente nudo: un nazista panciuto, anche lui nudo, con il solo elmetto ornato dalla croce uncinata, si preparava a ficcargli la lancia nel fianco. Un cagnolino abbaiava, mentre un uomo e una donna, anch’essi nudi, pregavano e piangevano ai piedi della croce. Poi aveva fatto un Cristo inchiodato alla croce con una sola mano, mentre Maria Maddalena […] gli baciava l’altra. Era nuda, vista di schiena, e grassa. […]. L’anno dopo aveva fatto una Deposizione: Cristo era uno scheletro, e alla scena era presente un vecchio panciuto, nudo, con un cappello cardinalizio in mano. […]. Quando quelle opere erano state esposte, a Milano, lo scultore era stato attaccato dai fascisti e dalla Chiesa. Il cardinale Costantini lo aveva chiamato scandalista e il Sant’Uffizio aveva definito “sconci” quei nudi. Nel 1947 una mostra romana aveva fatto ancora più scandalo. Alcuni monsignori del Vaticano avevano fatto lega per lanciare sulla stampa cattolica una campagna contro lo scultore proprio nel momento in cui era entrato in competizione per la Porta di San Pietro. Aveva conosciuto monsignor De Luca proprio nel momento culminante della crisi. Don Giuseppe era andato a vedere una sua mostra e non aveva trovato niente di intrinsecamente peccaminoso in quelle opere. Dopo si erano incontrati altre volte e un giorno don Giuseppe aveva detto che secondo lui Manzù avrebbe fatto bene a presentarsi a Pio XII. […]. Circa una settimana dopo don Giuseppe gli aveva telefonato per avvisarlo che l’udienza con papa Pio XII era stata fissata» (CURTIS BILL PEPPER, Un artista e il Papa. Sulla base dei ricordi personali di Giacomo Manzù, Milano, Mondadori, 1968, p. 64-66). L’Autore prosegue narrando che l’incontro col Papa non andò bene. Pio XII rimproverò il Manzù per il suo modo di concepire l’arte e soprattutto per le rappresentazioni dei nudi (p. 70 ss.).

Un De Luca insolitamente aperto

Nel libro del giornalista e storico dell’arte Curtis Bill Pepper la figura di De Luca appare, finalmente, chiara e senza nascondimenti: egli si rivela francamente un radicale oppositore dei conservatori della Curia romana, un ammiratore di Giovanni XXIII e un critico di Pio XII.

Il libro è stato composto dal Pepper  grazie all’aiuto del Manzù, che gli ha rilasciato lunghe interviste registrate e gli ha messo a disposizione molti appunti, lettere e materiale vario.

Nel retrocopertina il libro viene così riassunto: “Due uomini si incontrano, un giorno, e scoprono di avere molte cose in comune, pur appartenendo a mondi diversi. Papa Giovanni e Giacomo Manzù, l’uomo di Chiesa e l’artista, si ritrovano ad un certo punto del loro cammino, di là dalle barriere ideologiche, nell’amore comune per l’uomo”.

Tuttavia le barriere e le divergenze non erano solo ideologiche, ma di fede poiché Manzù era ateo. Inoltre il vero amore per il prossimo è finalizzato all’amor di Dio. Ora se non si crede in Dio neppure si può amarlo e amare il prossimo per amor di Dio. Questo “amore comune per l’uomo” è pura filantropia e non ha nulla a che vedere con la carità o l’amore soprannaturale.

L’elezione di Giovanni XXIII

Con l’elezione di Giovanni XXIII (novembre 1958) le cose si sbloccarono. L’ostacolo (Pio XII) oramai non sussisteva più, era passato a miglior vita e in Vaticano tirava un altro vento.

Quando Manzù, dietro interessamento di don De Luca, fu incaricato di fare un ritratto e un busto di papa Roncalli appena eletto, questi gli disse di iniziare i lavori per le Porte di San Pietro.

Lo stesso Manzù scrisse a don De Luca: “anche la Porta di San Pietro, che è stata proseguita solamente per le tue instancabili parole, viene a te giustamente e con tutta l’amicizia dedicata” (G. MANZÙ, Il mio amico più vero, in Don Giuseppe De Luca. Ricordi e Testimonianze, a cura di M. PICCHI, Brescia, Morcelliana, 1963, p. 244) (2).

Nonostante tutto ciò monsignor Loris Capovilla (il segretario personale di Giovanni XXIII) ha scritto: “Giacomo Manzù, artista cristiano, sensibilissimo alla dignità e libertà dell’uomo […] cantore di Giovanni XXIII e di don Giuseppe De Luca. […]. La Porta della Morte [della basilica di San Pietro, ndr] documenta l’avvenuta riconciliazione dell’arte con gli uomini di Chiesa, si deve anche a don Giuseppe De Luca sia per avere determinato l’intimidito e talvolta irritato artista a non arrendersi alle difficoltà incontrate [provenienti dalla Curia romana, ndr], sia per la scelta dei temi biblici e storici. Non per nulla a fianco della firma di Giacomo Manzù figura la dedica a De Luca, che lo scultore incise nel bronzo. […]. Il De Luca assisté l’autore della Porta in tutte le fasi della creazione di essa e in tutti i dettagli. Poi vi fu rappresentato prima che fosse compiuta. Ecco perché a lui l’Autore volle dedicarla. La piccola iscrizione di dedica è poco sotto la figura di papa Giovanni con don De Luca (3)” (L. CAPOVILLA, Introduzione a G. ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca. Uomo, cristiano e prete, Brescia, Morcelliana, 1992, pp. 23-24) (4). 

Monsignor Giovanni Antonazzi addirittura rincara la dose: “De Luca si era battuto, contro i detrattori, per rivendicare il carattere non soltanto religioso, ma cattolico dell’arte di Manzù e la sua concezione cristiana, anzi ecclesiastica della storia dell’uomo” (G. ANTONAZZI, Don Giuseppe De Luca. Uomo, cristiano e prete, cit., p. 235).

Paolo VI e Manzù

Il 28 giugno del 1964 (circa un anno dopo la morte di papa Roncalli) vennero inaugurate le Porte realizzate da Manzù. Paolo VI ricevette Manzù e i suoi accompagnatori.

CURTIS BILL PEPPER nel suo libro Un artista e il Papa. Sulla base dei ricordi personali di Giacomo Manzù (Milano, Mondadori, 1968) narra che Manzù era accompagnato alla cerimonia di inaugurazione da suo figlio Pio, dal cognato e da Raffaele Mattioli, il cultore di Guglielmina la Boema e del Libero Spirito apprezzati da Romana Guarnieri e da don De Luca.

Sappiamo che tre lastre di bronzo, le quali ornavano le Porte di San Pietro fatte da Manzù, furono rimosse: una raffigurante la Crocifissione perché Gesù e i soldati romani erano raffigurati totalmente nudi; un’altra perché Paolo VI era rappresentato con un simbolo massonico (il pentalfa) sulla mano e la terza perché rappresentava Mussolini appeso a testa in giù a Piazzale Loreto in Milano (5).

Don De Luca si trovava anche lui all’inaugurazione poiché sin dal 1947 aveva operato in segreto affinché le Porte bronzee di San Pietro fossero fatte dal suo caro amico Manzù. Ora il banchiere e mecenate (in odore di massoneria) Mattioli era anch’egli amico e finanziatore di De Luca. Quindi si può ritenere che De Luca, amico intimo e di vecchia data di papa Montini, si sia adoperato per l’invito alla cerimonia di Mattioli, che aveva conosciuto personalmente Montini  quando era arcivescovo di Milano.

Majnoni, Mattioli e De Luca

Mattioli fu presentato a De Luca da Massimiliano Majnoni d’Intignano, amico di don Giuseppe sin dagli anni Trenta. Massimiliano Majnoni nacque il 25 gennaio del 1894 a Incino d’Erba da una famiglia aristocratica lombarda fedele a casa Savoia sin dal Risorgimento. Nel 1921 venne assunto presso la Direzione Centrale della Banca Commerciale Italiana (Comit) allora diretta da Giuseppe Toepliz, a partire dal 1929 lavorò nella Comit a fianco di Raffaele Mattioli col quale coltivava la passione per la vita culturale, per la politica, la bibliofilia e la storia della letteratura. Nel 1934 venne chiamato al complesso lavoro di ristrutturazione  della Comit avviato dal Mattioli e da Giovanni Malagodi. Durante il periodo fascista collaborò con Mattioli alla gestazione del Partito d’Azione valendosi come sede protetta e occulta dell’Ufficio Studi di Roma della Comit. Dopo il 25 luglio e l’8 settembre appoggiò i movimenti antifascisti che iniziavano a sorgere in Italia e ne favorì soprattutto l’elemento liberale e libertario. Nel 1947 si ritirò a vita privata nella villa seicentesca della sua tenuta di Marti (sulle colline pisane), ove si occupò a tempo pieno - nella sua imponente biblioteca - di letteratura, archivistica, genealogia e bibliofilia. Morì a Marti nel dicembre del 1957.  Con De Luca ebbe in comune una passione intensa per la storia della letteratura e specialmente della “Pietà” intesa in maniera “sovrumana” o esoterica. Stefano Majnoni (il figlio maggiore di Massimiliano) ha reso possibile la pubblicazione del Carteggio intercorso tra Massimiliano Majnoni e Giuseppe De Luca per circa un ventennio (G. DE LUCA – M. MAJNONI, Carteggio 1936-1957, a cura di S. NEIROZZI, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007 (6)).

Il monumento funebre di Mattioli

Grazie a De Luca Manzù conobbe Mattioli, il quale commissionò all’artista il suo monumento funebre: una statua scolpita in marmo bianco di Carrara e raffigurante L’Angelo della risurrezione. Il monumento è sito all’interno dell’abbazia di Chiaravalle a Milano nel sepolcro ove riposavano le spoglie dell’eretica Guglielmina la Boema († 1281), dissotterrata dietro ordine dell’Inquisizione nel 1300 dal sacello, occupato, quindi, da Mattioli alla di lui morte. La scultura dell’Angelo rappresenta una figura androgina in piena corrispondenza con le idee dell’androgino primitivo della cabalista Guglielmina e dei Guglielmiti, suoi seguaci (cfr. M. BLONDET, Adelphi della dissoluzione. Strategie culturali del potere iniziatico, II ed., Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2013).

Conclusione

De Luca mediatore tra laicismo e religione

Anche in queste circostanze ritroviamo un De Luca nel suo ruolo abituale di “mediatore ecumenista” tra la cultura profana e quella sacra, ossia:
1°) tra Manzù e Pio XII, ma quest’incontro non andò a buon fine poiché Pio XII non apprezzò l’arte impudica e dissacrante dello scultore, che per di più era comunista e ateo;
2°) tra Manzù  e Giovanni XXIII, col quale l’incontro ebbe buon esito. Papa Giovanni non ebbe nulla da obiettare a Manzù quanto al suo modo di rappresentare scene sacre commiste con nudi e tantomeno quanto al suo filocomunismo e ateismo. Roncalli addirittura lo ingaggiò per la composizione delle Porte di bronzo di San Pietro, le quali, nonostante le forti opposizioni della Curia romana, vennero inaugurate nel 1964, ma dovettero subire l’amputazione di tre pannelli (uno perché osceno, uno perché rivelava una eventuale affiliazione di Montini alla massoneria e uno perché non in linea con il culto della Resistenza);
3°) infine tra Manzù e Mattioli, il banchiere che aveva una concezione esoterica del sacro, ed anche in questo caso l’incontro andò a buon fine poiché Mattioli commissionò per sé a Manzù un monumento funebre rappresentante una figura androgina di stampo cabalistico, che fece apporre sulla sua futura tomba, la quale era appartenuta a Guglielmina la Boema, un’eretica gnosticheggiante che si presentava come una sorta di “Messia femminile”.

Finalmente un De Luca “pubblico”

Durante tutto il tempo che occorse per gli incontri tra Manzù e Giovanni XXIII, il quale dovette posare più volte perché lo scultore gli facesse un ritratto e un busto,   don De Luca fu sempre presente e Manzù lo ha raccontato a Curtis Bill Pepper tale e quale lo ha visto e sentito sino alla sua morte (19 marzo 1962). Ne risulta, quindi, grazie a queste testimonianze registrate, un De Luca pubblico e non esoterico, che si dimostra francamente avverso a Pio XII, ai cardinali tradizionalisti e conservatori della Curia romana e molto aperto alle idee progressiste sia in politica che in morale.

Il culto dell’uomo accomuna Manzù a Giovanni XXIII e Paolo VI

Il culto dell’uomo, della sua libertà e della sua dignità è ciò che ha accomunato Giovanni XXIII e Manzù, come ha scritto monsignor Capovilla. Giovanni XXIII nel Discorso di apertura del Concilio (11 ottobre 1962) ha detto: “feriscono talora l’orecchio suggestioni di persone […]  che nei tempi moderni non vedono che prevaricazione e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto con quelle passate, è andata peggiorando. […]. A Noi sembra di dover dissentire da cotesti profeti di sventura,  che annunziano sempre eventi infausti ” (Enchiridion Vaticanum, Documenti. Il Concilio Vaticano II, EDB, Bologna, IX ed., 1971, p. [39]).

Paolo VI nel Discorso di apertura del 2° periodo del Concilio (29 settembre 1963) ha detto: “Il Concilio cercherà di lanciare un ponte verso il mondo contemporaneo” (Enchiridion Vaticanum, Documenti. Il Concilio Vaticano II, EDB, Bologna, IX ed., 1971, p. [109]).

Paolo VI nell’Omelia della nona sessione del Concilio (7 dicembre 1965) ha detto: “anche noi, noi più di tutti siamo i cultori dell’uomo! […]. Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno” (Enchiridion Vaticanum, Documenti. Il Concilio Vaticano II, EDB, Bologna, IX ed., 1971,  p. [282-283]).

Il culto della persona umana lo ritroviamo sia nella massoneria sia in certi Documenti del Concilio Vaticano II, in cui la persona umana è presentata come avente una dignità assoluta e imperdibile. Non è un caso che Manzù abbia rappresentato Paolo VI (colui che ha portato a compimento l’opera iniziata da Giovanni XXIII) con un pentalfa massonico stampato sulla mano.

Nonostante tutto ciò monsignor Capovilla e monsignor Antonazzi si ostinano a presentarci un Manzù “artista cristiano”, che aveva una “concezione cristiana anzi ecclesiastica della storia” e la cui arte aveva un “carattere non soltanto religioso ma cattolico”.

Purtroppo le cose non stanno così. De Luca ha combattuto segretamente contro Pio XII, è stato intimo di Roncalli e Montini anche nelle loro aperture progressiste, ha difeso Manzù che ha leso la virtù del pudore e della religione nelle sue opere artistiche.
   

(continua)

NOTE


1 - Cfr. anche L. MANGONI, In partibus infidelium. Don Giuseppe De Luca: il mondo cattolico e la cultura italiana del Novecento, Torino, Einaudi, 1989, p. 350 e 365, nota 93.
2 - Quando morì Alcide De Gasperi, per interessamento di De Luca, fu commissionato a Manzù il monumento funebre, che avrebbe accolto le spoglie mortali dello statista trentino sotto il portico della basilica di San Lorenzo al Verano (R. GUARNIERI, Don Giuseppe De Luca (1898-1962) tra cronaca e storia, in G. ROSSINI, Modernismo, fascismo, comunismo, cit.,  p. 313, nota 144).
3 - Don De Luca è rappresentato come un prete pensoso, che si avvia verso la morte col capo chino e le mani nelle tasche della talare ed è il primo personaggio a sinistra, nella fascia in bassorilievo, sulla facciata interna della Porta, ove c’è anche - poco sotto la figura di papa Giovanni - la breve dedica a don De Luca.
4 - Cfr. anche G. SANDRI, La Porta della Morte di Giacomo Manzù, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1966, pp. 45-46.
5 - L’idea di rappresentare il cadavere profanato di Mussolini era stata di Pio XII nel 1947 quando si indisse il concorso per l’esecuzione delle Porte bronzee di San Pietro. Cfr. R. MARCHESINI, La Rivoluzione nell’arte, Crotone, D’Ettoris, 2016, p. 96.
6 - Gli altri Carteggi enumerati in ordine di pubblicazione sono: G. DE LUCA – G. PAPINI, Carteggio, I, 1922-1929, a cura di M. PICCHI, Roma, 1985; G. BOTTAI – G. DE LUCA, Carteggio, 1940-1957, a cura di R. DE FELICE e R. MORO, Roma, 1989; G. DE LUCA – G. B. MONTINI, Carteggio, 1930-1962, a cura di P. VIAN, Brescia-Roma, 1992; P. BARGELLINI – G. DE LUCA, Carteggio, I, 1929-1932, a cura di G. SCUDDER, Roma, 1998; G. DE LUCA – F. MINELLI, Carteggio, I, 1930-1934; II; 1935-1939, a cura di M. RONCALLI, Roma, 1999-2000.

 
 




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novembre 2017
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