LE FAMIGLIE CHE
 DOMINANO IL MONDO

parte decima

I ROTHSCHILD: UNA DELLE “DIECI FAMIGLIE” CHE DOMINANO IL MONDO INTERO

di Don Curzio Nitoglia







L’EUROPA E I ROTHSCHILD
VERSO LA GRANDE CRISI
DEL 1830

Gli affari dei Rothschild in tutta Europa (1820-23)

L’Austria, nel 1820, vegliava affinché nell’epoca post/napoleonica in Europa non si diffondessero i movimenti politici, eccessivamente liberal/progressisti, suscitati dal ciclone còrso.

Tuttavia in Spagna, proprio nel 1820, si accendeva il fuoco di una guerra civile, scatenata dai Liberali contro la Monarchia iberica. Allora, il Re di Spagna chiese al Re di Francia d’aiutarlo militarmente.

La questione spagnola divenne ben presto un problema europeo; il principe Klemens von Metternich (1813-1859) organizzò un “Congresso” di molti sovrani europei, che si riunì a Verona il 20 ottobre 1822, cui erano presenti, oltre al medesimo Metternich, il suo Segretario personale, Friedrich von Gentz (1802-1832) e persino l’Imperatore d’Austria Francesco I (1792-1835).

Essi, inoltre, si portavano dietro, come consulente economico/finanziario, Salomon von Rothschild della filiale bancaria di Vienna; infatti, se i grandi di questo mondo avessero dovuto decidere di muover guerra ai rivoltosi di Spagna, avrebbero avuto bisogno di molti denari, però il denaro, paradossalmente, non lo possedeva l’allora “onnipotente” Impero austriaco, ossia lo Stato o la Politica; ma – proprio come oggi – la Banca (e specificatamente, allora come oggi, quella dei Rothschild).

Salomon mise in pratica la vecchia arte appresa da suo padre, Amschel Mayer, che fu messa in atto già a Waterloo nel 1815, quando i Rothschild riuscirono a far giungere, per primi, in Inghilterra la notizia della sconfitta di Napoleone I e della vittoria di Wellington, iniziando così la loro scalata al vertice del potere bancario di tutta Europa e poi del mondo intero.

Nel 1822, a Verona, Salomon, riuscì a sapere quel che bolliva in pentola tra Austria, Russia e Francia riguardo alla Spagna, avvantaggiando così le casse della propria Famiglia, inviando prima di ogni altro informazioni utili ai suoi fratelli, permettendo ai suoi congiunti di poter speculare in borsa, ben sicuri su chi puntare gli investimenti e le scommesse vincenti e cosa suggerire a coloro che avrebbero puntato su quelle perdenti, illudendoli di essere vincitori (cfr. Egone Conte Corti, La famiglia dei Rothschild, Milano, Arnoldo Mondadori, 1938, pp. 176 – 178; ristampa anastatica, Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2021) (1).

Da Verona Salomon chiamò a raccolta James, che si trovava a Parigi. Poco dopo arrivava anche Carlo da Napoli, di modo che i tre poterono informarsi vicendevolmente – sulle faccende napoletane, veronesi e parigine – in vista di quello che sarebbe successo in Spagna dopo la chiusura del Congresso veronese, in cui si sarebbero decise le sorti del Re di Spagna e di cui la Banca Rothschild avrebbe potuto far “tesoro” con le solite speculazioni in borsa a spese di Francia, Spagna e Austria.

Infatti, qualsiasi Regno avesse vinto o perso la battaglia, sicuramente la Banca avrebbe guadagnato la guerra; avendo prestato soldi a interesse agli uni e agli altri: ai vincitori e agli sconfitti, i quali si sarebbero comunque indebitati, chi più e chi meno, con i Rothschild (2).

Il Congresso di Verona si chiuse con la decisione di dar luogo a un intervento armato della Francia in Spagna (pagato dai Rothschild) a pro del Re spagnolo Ferdinando VII di Borbone.

Da questo momento i Rothschild si focalizzarono specialmente sulla borsa di Parigi (dove operava James), poiché la guerra contro i rivoltosi spagnoli sarebbe stata guidata militarmente dalla Francia, con l’aiuto dell’Inghilterra (dove operava Nathan) e della Russia, ma sotto la supervisione austriaca (dove operava Salomon) e specialmente di Metternich, il quale si era già consultato con i tre banchieri di Napoli, Parigi e Vienna per avere i mezzi economici con i quali fare la guerra.

Tuttavia l’Inghilterra, economicamente avanzata e liberista, era riottosa a ottemperare i desiderata degli elementi politicamente più conservatori della Russia e dell’Austria. Ora Nathan, il più capace dei cinque fratelli Rothschild, operava a Londra e, quindi, si trovava in difficoltà con le posizioni politicamente conservatrici dell’Austria, della Russia e della nuova Francia oramai “restaurata”, in cui operavano finanziariamente i suoi altri quattro fratelli (Napoli, in cui viveva Carlo, dipendeva in pratica dall’Austria). Dunque, “a lungo andare, anche tra i Rothschild non poteva mancare di sorgere un certo piccolo dissidio, anche se superficiale” (Egone Conte Corti, cit., p. 179).

Infatti – da una parte – Salomone a Vienna, Amschel a Francoforte, James a Parigi e Carlo a Napoli, si schierarono col conservatorismo di Metternich; mentre – dall’altra parte – Nathan a Londra, pur se a malincuore, dovette sposare il “progressismo moderato politicamente liberale”, non potendosi alienare il governo britannico, ma era una questione di pura opportunità economica e di opportunismo politico, non era assolutamente una divergenza sostanziale tra gli “Scudi/Rossi”.

La Casa Rothschild finanziò, così, la campagna spagnola, prestando soldi alla Francia e facendoglieli recuperare mediante un cospicuo risarcimento dei danni di guerra, che alla fine del conflitto sarebbe stato erogato dalla Spagna “liberata” alla Francia “liberatrice”. I Rothschild, nel frattempo avendo saputo al Congresso di Verona (9-14 ottobre del 1822) dell’imminente soluzione bellica, avevano aperto una filiale anche a Madrid.

Tuttavia, nella capitale spagnola, i “Cinque Fratelli” (dai quali nasceranno le “Sette Sorelle” (3), non avevano relazioni finanziarie soltanto con il Re iberico e il suo partito, ma trasversalmente anche con l’opposizione (proprio come fecero a Waterloo con Napoleone e Wellington).

Addirittura, come ci svela Egone Conte Corti, “per mezzo di agenti e corrispondenti segreti, la Casa Rothschild, era in relazione anche con quel partito liberale, che avversava il Re di Spagna” (cit., p. 179).

Intanto, il 7 aprile 1823, la Francia interveniva militarmente in Spagna.

Il primo Ministro francese, Villéle, sebbene “mostrasse una certa diffidenza verso i banchieri francofortesi, nei quali scorgeva soprattutto avidi cacciatori di denaro” (Egone, cit., p. 180); tuttavia, per poter muovere guerra, dovette chiedere un buon aiuto finanziario a James Rothschild.

Ebbene, nessun problema, “poecunia non olet”, ora per James si trattava a) di prestare (a interesse) alla Francia, che si sarebbe rifatta sul Re di Spagna a guerra finita e b) di guadagnare sia con i monarchici sia con i repubblicani spagnoli. Bisognava pensare agli affari, non agli ideali, questa era ed è la “filosofia” dei Rothschild; infatti, i “Cinque Fratelli” hanno trovato finalmente la vera “pietra filosofale” alchemica, che tramuta il ferro in… vero oro: prestare a usura (moderata) a tutti i Re (come a tutti i nemici dei Re) per diventare, poi i “padroni economici dei Re di questo mondo” e… dei loro nemici.

Ecco come, pian piano, essi sono diventati i veri “padroni occulti” di tutta l’Europa e poi, nel secolo XX, anche degli Stati Uniti d’America (e dunque di tutto il mondo).

Il Primo Ministro francese, Villéle, di fronte alla dura realtà, si mise (con la Francia intera) nelle mani dei Rothschild, che sarebbero stati ancora una volta gli unici veri vincitori assoluti di tutte le guerre; ossia, i “Padroni dei padroni”, avendo prestato a tutti (vincitori e vinti) e non avendo perso neppure un solo uomo e un solo capello in guerra, dato il loro spirito filantropico e pacifista.

Ora ci resta da studiare le gesta dei Rothschild a Vienna e a Francoforte nel 1823; cercheremo, così, di arrivare sino alla grande crisi economica del luglio 1830, che attanaglierà l’Europa intera, mettendo un tantino in difficoltà (soltanto temporaneamente) persino i fratelli Rothschild.

1823: i Rothschild davanti alla loro prima grande crisi:1830

La conduzione della Banca Rothschild, oramai (1823) ricca di cinque Filiali in tutta l’Europa “contante”, era diventata cosa di non poco conto.

A Londra, Nathan Rothschild, esercitava il primato nella Famiglia e nella Banca, essendo un tipo tutto “casa, banca, loggia e sinagoga”; armonizzando gli indirizzi, spesso – ex natura rerum – divergenti delle Filiali di Napoli, Parigi, Vienna e Francoforte.

Tuttavia, per quanto abile, “date le cattive comunicazioni dell’epoca e il servizio d’informazioni ancor primitivo, non era in grado di tener d’occhio ogni cosa” (Egone Conte Corti, La famiglia dei Rothschild, Milano, Arnoldo Mondadori, 1938, p. 202; ristampa Proceno di Viterbo, Effedieffe, 2021).

A Napoli, ove si trovava come Banchiere il “fratello” Carlo Rothschild, la situazione – attorno al 1822 – si era fatta assai ingarbugliata: infatti, le truppe austriache, che stazionavano nella Capitale partenopea, richiedevano un’ingente spesa di mantenimento, che doveva essere erogata dall’Impero Austroungarico, tramite la Banca “Carlo Rothschild”, ma il primo a farne le spese era soprattutto il Regno di Napoli sul quale si rivaleva poi l’Austria.

Per questo motivo al “Congresso di Verona” si era già deciso di ridurre le truppe austriache nel Regno di Napoli a soli 35 mila uomini, ma la decisione fu attuata solo nel 1824 e, quindi, il Governo austriaco aveva cumulato una spesa di ben 6 milioni di Fiorini, che avrebbe dovuto essere rimborsata immediatamente dal Regno di Napoli, il quale poi sperava di essere rifuso dall’Impero Austroungarico.

I Borbone temevano che la presenza austriaca potesse protrarsi sino al 1826, facendo cumulare loro un ulteriore debito, che difficilmente avrebbero potuto accollarsi senza inasprire il fisco sovraccaricando di tasse il popolo napoletano, già abbastanza provato dalle spese “militari”.

Perciò vi fu una certa entrata in collisione tra la Banca Rothschild di Napoli, che cercava di non urtare troppo gli interessi dei Borbone con quella di Vienna, la quale non voleva inasprire le buone relazioni con gli Asburgo. Perciò, Nathan, da Londra dovette mediare tra i due “rami figli” (napoletano e viennese) della medesima “Famiglia/Banca Madre” (cfr. Egone Conte Corti, La famiglia dei Rothschild, cit., p. 203).

Inoltre, nacque pure una certa tensione tra Stati, ossia tra la Corte di Vienna e quella di Napoli. Infatti, la Capitale partenopea, avrebbe voluto essere rimborsata dall’Austria, per le somme versate precedentemente, in supporto del mantenimento delle truppe imperiali sul suolo del Regno delle Due Sicilie; invece l’Austria non aveva nessuna fretta di rimborsare Napoli ed esitava a liquidare, pertanto Napoli chiese a Carlo Rothschild di fungere da intermediario. L’Impero austriaco, però, non cedeva e Carlo Rothschild anticipò la somma di un milione e 200 mila ducati al Regno delle Due Sicilie, entrando così nei favori dei Borboni, proprio com’era successo a Nathan con i Britannici e a James con i Re di Francia.

Metternich non fu contento dell’intromissione finanziaria e, dunque, implicitamente politica dei Rothschild anche nel Regno delle Due Sicilie, infatti, egli temeva il sempre maggiore peso economico della loro Banca in tutte le Corti d’Europa; in un certo senso il Principe austriaco avrebbe preferito che la faccenda fosse stata regolata direttamente dall’Austria con i Borbone di Napoli, insomma dallo Stato e non dalla Banca, essendo un assertore del primato della politica sull’economia, che oramai dal Trecento – già con la “rivoluzione oxfordiana/occamista” – non aveva più reali possibilità di riuscita (cfr. Egone Conte Corti, cit., p. 205).

L’Imperatore austriaco, Francesco d’Asburgo, verso la fine del dicembre del 1826, decise – di comune accordo con il Metternich – di ritirare le truppe imperiali dal Regno delle Due Sicilie; inoltre, Vienna mostrò tutta la sua indignazione verso Carlo Rothschild negando di conferirgli un’onorificenza, che era stata sollecitata indirettamente proprio da quest’ultimo, prima di sgomberare il campo e di richiamare le truppe in Austria.

Insomma la questione si era fatta abbastanza tesa e complicata non solo tra “Fratelli Banchieri”, ma anche tra i vari Stati dell’Europa post-napoleonica.

Tuttavia, fu il re di Napoli che dovette cedere, per mantenere la quiete e non turbare la buona armonia con dei Regni molto più grandi del suo (Inghilterra, Francia, Austria e il più potente di tutti, quello dei Rothschild). L’Austria pagò solo 340 mila fiorini (su sei milioni…) e il resto dovette esborsarlo il Re di Napoli. Chi ci guadagnò furono soprattutto, ancora una volta, i Rothschild che avevano prestato sia all’Austria sia a Napoli, ma non avevano speso nulla, non avendo combattuto da veri filantropi, essendo però passati poi a riscuotere puntuali come una… “cambiale”… sia “ducati” sia baronie nobiliari certificate con tanto di “de” e di “von” (4) da apporre al Cognome …

Per quanto riguarda le onorificenze e i “titoli nobiliari” il più abile dei Fratelli Rothschild fu il parigino James, mentre il londinese Nathan lo fu soprattutto per “titoli di borsa” (pur avendo ricevuto, anche lui – che era un cittadino naturalizzato inglese – dall’Austria il titolo di Barone e il “von” da mettere davanti al suo cognome) (5); anche perché la Francia dopo la caduta dell’Ancien Régime e pure di Napoleone era meno strettamente paludata in nobiltà di sangue che l’Austria e la Britannia; quindi era assai propensa a concedere un po’ di baronie a destra e a sinistra e persino a un Banchiere ebreo e di recente arricchito quale era James Rothschild.

Giovanni Leone – ex “Presidente della Repubblica Italiana” -quando insegnava Procedura penale all’Università di Roma era solito dire: “Un pezzo di pane e una Laurea in Legge non si negano a nessuno”. Così, pure i potenti dell’Europa della “Restaurazione”, non negavano un “von” o un “de” neppure a un Rothschild…

Frattanto in Francia, nel 1828, aveva assunto il ruolo di Ministro il Villéle, che era reputato un reazionario e un clericale; i Rothschild ne furono grandemente preoccupati, ma il re Carlo X lo licenziò sùbito prima che la Banca potesse dar noie al Trono.

Infatti, oramai, si era passati dall’alleanza tra “Trono e Altare” (sino al Settecento) a quella tra “Trono e Banca” (Ottocento), la quale avrebbe poi scalzato anche i Troni, che oramai si erano allontanati da Dio e dalla sua Chiesa, e li avrebbe rimpiazzati con le Repubbliche (seconda metà del Novecento) per poi abbattere anche quelle e impiantare, infine, un “Gran Reset” del “Nuovo Ordine Mondiale” (1990/2021) in cui non c’è più né Trono, né Altare, né Stato, ma un’unica “entità” sopranazionale, in cui il “Tempio Universale” e la “Repubblica Universale” spadroneggiano sull’Orbe intero con l’aiuto della Dittatura sanitaria, che procede spedita con “TSO” e “Vaccinazione sperimentale obbligatoria”.

Insomma, come scriveva Egone Conte Corti: “La situazione interna della Francia, nel 1828, dava motivo di preoccupazione ai Rothschild e anche la situazione generale europea non appariva confortante” (cit., p. 216).

Tuttavia – già nel 1828 – lo Zar Nicola di Russia, avendo bisogno di denari per iniziare la guerra contro la Turchia, si dovette rivolgere ai Rothschild, i quali ancor prima del 1968 avevano capito che era molto più conveniente fare la “Carità, la Filantropia o l’Amore” piuttosto che fare la “Guerra”. Infatti, coloro che fanno la guerra, non solo vanno incontro alla possibile sconfitta, poiché tra due belligeranti almeno uno ne uscirà sconfitto totalmente; ma vanno incontro anche al probabile fallimento economico (almeno per lo sconfitto) e alla semplice “lieve” crisi finanziaria per il “vincitore”, che dovrà, così, indebitarsi con la “Big Bank”, avverando il proverbio secondo cui: “Sopra la Banca la Patria campa, sotto la Banca la Patria crepa”.

Lo Zar, allora, si rivolse alla Filiale parigina di James Rothschild verso la fine del marzo del 1828, ma i Rothschild – in quel momento – non avevano molti interessi in Oriente e tantomeno in Russia che allora aveva assunto una posizione politica decisamente anti-metternichiana; quindi, i Rothschild reputarono molto prudentemente che non fosse conveniente pestare i piedi al Principe Metternich per schierarsi con lo Zar.

James, da Parigi, fece chiedere ancor più prudentemente (per non dire furbescamente) da suo fratello Salomone di Vienna e dall’altro fratello, Amschel, di Francoforte al Metternich, se fosse opportuno che la loro Banca prestasse soldi alla Russia per una guerra contro la Turchia.

Il Metternich rispose negativamente e, così, i Rothschild potettero, filantropicamente, negare i soldi allo Zar senza indisporselo ulteriormente (Egone Conte Corti, cit., p. 216), trincerandosi dietro il paravento del “niet” d’Inghilterra e Austria.

Ora, si chiedeva Egone (p. 217), la questione era di sapere se la Russia avesse potuto trovare in tutta Europa un altro Banchiere capace di finanziare un’impresa come la guerra Russo/turca, al di fuori dei Rothschild. Secondo lo storico austriaco, sarebbe stato difficile a un solo Banchiere trovare la somma sufficiente per permettere tale sforzo bellico senza rischiare di rimetterci “le pezze e l’unguento”.

Inoltre, anche l’Inghilterra (oltre l’Austria) si schierò contro la guerra alla Turchia; perciò Nathan dovette risolversi definitivamente a non finanziare la guerra, per amor di… “pace”.

Egone fa, a questo punto del suo libro (p. 217), una considerazione molto interessante e significativa: il Metternich si sopravvalutava e pensava di poter dirigere lui la Banca Rothschild; invece, i Banchieri – a loro volta – lasciarono il Principe austriaco nella sua pia illusione, frattanto, molto più furbi di lui, fecero in modo di dar l’impressione di rinunciare (in teoria e filantropicamente) al finanziamento della Russia in ottemperanza dei desideri dell’Impero d’Asburgo; tuttavia – in pratica – agirono secondo gli interessi economici della loro Casa, sotto apparenza di trionfo dell’opinione politica dell’Impero Austriaco e “riconoscendo la debolezza della vanità del Metternich, la sfruttarono accortamente” (p. 218) a favore delle finanze della loro Casa.

La Russia, pur se non preparata ed equipaggiata ottimamente, partì egualmente in guerra contro la Turchia; fu così che nell’agosto del 1829 i soldati dello Zar sfondarono le resistenze turche ed entrarono nei Balcani, che allora erano sotto il dominio dell’Impero Ottomano, spingendosi sino ad Adrianopoli, l’attuale Edirne, la città della Tracia sita nelle zona più occidentale della Turchia, vicino al confine con la Grecia e la Bulgaria, che era stata Capitale dell’Impero Ottomano sino al 1453. La Russia, infine, costrinse la Turchia alla capitolazione e al pagamento di un’enorme indennità.

Che cosa fece, allora, la povera Turchia? Semplice! Chiese un prestito alla Banche, ossia soprattutto ai Rothschild e specialmente a Nathan di Londra; tuttavia, Albione, non fu per nulla soddisfatta della vittoria zarista che andava a “tutto detrimento dell’influenza britannica in Europa orientale” (Egone Conte Corti, cit., p. 218); invece, i Rothschild si rallegrarono enormemente dell’ingente guadagno fatto da loro sulle disgrazie altrui.

Il 1829 segnava l’apogeo ottocentesco del portafoglio della Casa di Francoforte, in un momento in cui “la situazione europea, da un’apparente bonaccia politica stava per passare a una grave crisi” (Egone Conte Corti, cit., p. 221); crisi politica che, come vedremo in appresso, intaccherà, ma non più di tanto, anche la solidissima fortezza finanziaria degli “Scudi/Rossi”.

In Francia, James, che era meno accorto di Nathan, non si accorse della gravità della situazione socio/politica che covava in Francia, la quale iniziava a scricchiolare e a incamminarsi verso la rivoluzione e continuò, allegramente, a dare sontuosi ricevimenti – accompagnati da belle musiche e da grandi danze, nel suo magnifico palazzo a Parigi – ai quali parteciparono i rampolli e i membri maturi e più noti delle Case regnanti di tutta Europa.

Occorre ricordare che nel 1824 era salito al Trono Carlo X dei Borbone di Francia, il quale godeva fama di conservatore e di cattolico; ma verso il 1828 iniziò il sommovimento che avrebbe portato, nel 1830, alla sua caduta e a quella dei Borbone francesi con la conseguente ascesa di Luigi Filippo d’Orleans, grazie all’aiuto cospicuo fornitogli da James Rothschild (cfr. P. Ratto, I Rothschild e gli altri, Bologna, Arianna Editrice, III ed., 2020, p. 18 ss.).

Carlo X († 1836) fu Re di Francia sino al luglio del 1830 e fu l’ultimo Borbone quando abdicò in favore di Luigi Filippo I († 1850) d’Orleans, detto “Egalité”, che a sua volta dovette abdicare, nel 1848, in favore del giovane nipote Luigi Filippo II.

Tuttavia, a Parigi, già il 1° giugno del 1829, nell’ambiente della Borsa, molto sensibile agli umori politici, iniziarono a spuntare i segni precursori della grande tempesta che nel 1830 minacciò di travolgere – conseguentemente al disordine politico traslato in campo economico – persino la Casa Rothschild, che era già divenuta in pochi decenni una sorta di “Nuovo Tempio di Gerusalemme”, con tanto di cambiavalute che lo affollavano sin dai tempi di Gesù, ma che dovettero assaggiare la sua frusta (Gv., II, 16) e videro i loro “Banchi di compra/vendita” (ossia, gli antenati delle “Banche”) rovesciati e abbattuti come fuscelli dalla forza onnipotente del Messia di Nazareth.

Nel luglio del medesimo anno la situazione degenerò e iniziarono le rivolte sociali che, alla fine, esplosero in tutta la loro violenza il 28 luglio per le strade di Parigi, al grido di “Abbasso i Borboni!”.

Di lì a poco i Rothschild avrebbero iniziato a guardare con sempre maggiore interessa al “Nuovo Mondo” e specialmente a New York, ove avrebbero inviato come uomo di loro fiducia un ebreo di Assia (August Belmont), che – senza presentarsi direttamente come uno “Scudo/Rosso”, per non allarmare l’America del Nord circa la “Onnipotenza” e la “Onnipresenza” della Famiglia Rothschild, la quale dopo l’Europa avrebbe potuto fagocitare anche gli Usa – avrebbe curato i loro interessi (cfr. P. Ratto, I Rothschild, cit., p. 20 ss.; cfr. H. R. Lottman, I Rothschild, storia di una dinastia, Milano, Mondadori, 1994).

Il séguito alla prossima puntata …




Fine della Decima Parte (continua)

NOTE
 
1 - Il libro fu pubblicato inizialmente in Austria nel 1924; poi, nel 1927, venne ampliato e uscì in una seconda edizione aggiornata sino all’anno 1918; quindi, fu tradotto in italiano nel 1938; infine, è stato ristampato nel marzo del 2021 dall’Editore Effedieffe. Esso può essere richiesto a: www.effedieffeshop.com . Il volume conta 485 pagine e costa 20 euro; ne consiglio caldamente lo studio. La prima edizione del 1924 era stata ristampata non molto tempo fa in lingua italiana e si poteva acquistare, ma si fermava a circa mezzo secolo prima del 1918.
2 - Si noti anche che, se – apparentemente – la decisione riguardo alle sorti della Spagna furono prese nel 1822 dall’Austria, dalla Francia, dall’Inghilterra e dalla Russia; in realtà, esse poterono essere attuate solo grazie al consiglio e all’aiuto della Banca Rothschild …
3 - Enrico Mattei, chiamava così le “Sette Compagnie Petrolifere Mondiali Anglo/americane”; ossia, la statunitense Exxon/Esso del New Jersey, l’australiana Mobil, la californiana Chevron, ancora la californiana Gulf Oil, la Texaco del Texas, la londinese BP e l’anglo/olandese Shell, che nacquero il 17 settembre 1928 ad Achnacarry in Scozia nel nord dell’Inghilterra (cfr. S. Beltrame, Mossadeq. L’Iran, il petrolio, gli Stati Uniti e le radici della rivoluzione islamica, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2009).
4 - «Corsi e ricorsi storici» direbbe il Vico… anche oggi esiste una “macchietta” (come si dice ora in un linguaggio “politicamente corretto”) che ritiene di essere “Barone” poiché il papà ha cambiato cognome e da un “volgare” (secondo lui) “Di” seguìto da un comunissimo cognome (mettiamo “Mattia”) è passato a un più ampolloso “De” (maiuscolo). Poi il “De” maiuscolo è diventato cartesianamente e misteriosamente, ma non per gli assegni e gli atti ufficiali, “de” (minuscolo).
Così la “macchietta” si sente veramente “Barone”, anche se sembrerebbe stato nominato tale da Umberto II di Savoia, ma dopo il 18 giugno del 1946; cioè quando Umberto era già in esilio in Portogallo, dopo aver lasciato l’Italia il 13 giugno 1946 e quindi non era più de facto il Re dell’Italia della quale non poteva più disporre per quanto riguarda le baronie, le contee, i marchesati e di ducati…
Una volta, nell’era preconciliare, la “macchietta”, sarebbe stata chiamata (con un linguaggio etimologicamente corretto) “megalomane”; ossia: «Persona affetta da uno stato psicopatologico caratterizzato da fantasie di onnipotenza, fama e ricchezza. La parola deriva da due vocaboli greci “megas” / grande e “mania” / ossessione. Questa patologia mentale è a volte sintomo di disturbi paranoici e maniacali» (N. Zingarelli, Vocabolario della Lingua italiana, Milano, Bietti & Reggiani, I ed. 1917, II ed. 1925, III ed. 1928, IV ed. 1935; rilevato nel 1941 dall’Editore Zanichelli di Bologna, ha conosciuto innumerevoli edizioni sino a oggi).
5 -  Nathan non insisteva troppo con la sua baronia; perché, essendogli stata assegnata dalla “reazionaria Austria/Ungheria”, avrebbe potuto irritare la più “liberale” Corona britannica.








agosto 2021
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