LA RIPROVAZIONE D’ISRAELE NEL VANGELO

Seconda parte


Articolo di Don Curzio Nitoglia

prima parte
seconda parte
terza parte
quarta parte


La parabola dei vignaiuoli omicidi (Mt., XXI, 33-46)




Giuseppe Ricciotti

Anche questa - secondo Giuseppe Ricciotti, nella Vita di Cristo - è  «una parabola di riprovazione, in cui Gesù volle riassumere l’intera storia d’Israele, confrontata con l’economia prestabilita da Dio riguardo alla salvezza umana. L’insegnamento velato in questa nuova parabola era eguale a quello impartito da Gesù poche ore prima, con l’azione simbolica di maledire e far disseccare l’albero di fico; l’immagine… era già stata impiegata, sette secoli prima per lo stesso scopo, dal profeta Isaia (V, 1 ss.)». 

«La spiegazione […] aveva ricordato che l’ingrata vigna era la nazione d’Israele e il suo padrone era Dio […], il quale però, esacerbato dalla sterilità della vigna, ne avrebbe abbattuto il recinto abbandonandola a devastazione e lasciandovi crescere rovi e spine».

«Tale immagine che prediceva, settecento anni prima di Cristo, la riprovazione, maledizione e abbandono d’Israele da parte di Dio (questi sono termini impiegati nelle Scritture, Is., V, 1 ss. e Mt., X, 2-42), viene ripresa e ampliata nel Vangelo di Matteo testé citato: “C’era un uomo che piantò una vigna […]. Quando si avvicinò il tempo dei frutti, inviò i suoi servi ai vignaiuoli a prendere i suoi frutti, ma i vignaiuoli, presi i suoi servi, ne percossero uno, ne uccisero un altro […]. Alla fine; inviò loro, il figlio suo […]. Ma essi […] presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l’uccisero […]. Dice loro Gesù […] per questo vi dico che sarà tolto a voi il regno di Dio e sarà dato a una nazione che ne tragga i frutti […] e avendo udito i sommi sacerdoti e i farisei, le sue parabole, conobbero che Egli parlava di loro».

Ricciotti continua: «La vigna era Israele, il padrone era Dio e i servi malmenati o uccisi erano i profeti […]. Ma a questa parte riguardante il passato, Gesù aveva aggiunto, a guisa di conclusione, una parte riguardante il futuro ed era quella ove aveva detto che lo stesso figlio […], era stato percosso e ucciso; evidentemente in questo figlio l’oratore aveva adombrato se stesso, e così si era proclamato implicitamente figlio di Dio e aveva accusato in anticipo i colpevoli del loro futuro delitto» (1).


Severiano del Paramo

L’esegeta gesuita scrive: “Questa parabola è una delle più importanti di tutto il Vangelo. Infatti, contiene in sé, in un certo senso, tutta la storia della Chiesa. La figura della vigna indica il popolo d’Israele. […]. Quando il padrone della vigna decide di mandare il suo figlio amatissimo nella supposizione che essi l’avrebbero rispettato, lo uccidono. Ora, secondo san Giovanni Crisostomo, negli omicidi della parabola Gesù intendeva simboleggiare i sinedriti e il popolo ebreo. […]. La vigna rappresenta il Regno messianico promesso agli ebrei, i fittavoli sono gli Israeliti, specialmente coloro che li ammaestrano e guidano, il padrone della vigna è Dio […], il figlio unico è Gesù. […]. Il popolo ebreo inciampò sulla pietra angolare, ossia sul Cristo, con la conseguenza che il Regno, che era destinato agli Israeliti in primo tempo, passò ai Gentili” (Commento al Vangelo secondo Matteo, Roma, Città Nuova, 1970, pp. 315-319).


I Padri decclesiastici

I Padri della Chiesa spiegano così: “Questa seconda parabola serve a dimostrare ancora di più la colpevolezza dei farisei” (CRISOSTOMO, ut supra). Il padrone “è Dio” (ORIGENE, ut supra). La vigna del Signore è “la famiglia d’Israele (Is., V, 2)” (GIROLAMO, ut supra).

Isaia accusa la vigna di non fruttificare. Mentre qui nel Vangelo i coloni sono i colpevoli, poiché nel Profeta la vigna è Israele. Invece, in Matteo la vigna è la verità rivelata e contenuta nelle Scritture; il frutto sono le opere buone che i fedeli devono trarre dalla verità rivelata, sotto la guida dei loro capi: gli scribi e i farisei, ossia i coloni, i quali non fanno il loro dovere. I coloni sono i sacerdoti e i leviti. Ora, come al colono non giova lavorare la terra, se questa non dà frutti, così, il sacerdote non fa il suo dovere, se non è d’aiuto al popolo fedele” (CRISOSTOMO, ut supra).

Il padrone partì “lasciando agli uomini il tempo e la possibilità di adempiere, col libero arbitrio, la loro santificazione” (GIROLAMO, ut supra). Quando venne il tempo dei frutti: “La fede e la carità, la morale e il dogma” (RABANO MAURO, ut supra), Dio mandò i suoi servi, “i Profeti dell’Antico Testamento” (CRISOSTOMO, ut supra), ma i coloni li presero e “con la mano vuota di bene fanno il male” (CRISOSTOMO, ut supra), alcuni li picchiarono “come Geremia” (GIROLAMO, ut supra), altri li uccisero “come Isaia” (ibidem), altri ne lapidarono “come Nabot e Zaccaria” (ibidem). Infine, mandò il suo figliolo “il Verbo incarnato” (CRISOSTOMO, ut supra), pensando: almeno avranno riguardo di lui, perché “veniva non per punirli, ma per salvarli” (GIROLAMO, ut supra); tuttavia “sapeva che lo avrebbero rigettato” (CRISOSTOMO, ut supra), ma “essi avrebbero dovuto e potuto – con il loro libero arbitrio – accoglierlo e amarlo” (CRISOSTOMO e GIROLAMO, ut supra). I coloni, “coloro, che avrebbero dovuto e potuto conoscere il Figlio di Dio, avendo la Rivelazione, lo rinnegarono odiandolo” (ORIGENE, ut supra). Infatti, dicono “costui è l’erede”, quindi “non per ignoranza invincibile e non colpevole, ma per invidia e gelosia, odiandolo, lo crocifissero; e anche coloro, che odiano il Vangelo e perseguitano i suoi Apostoli, tentano per quanto è possibile di dare la morte a Gesù” (RABANO MAURO, ut supra).

Qui si vede come già i Padri e poi san Tommaso d’Aquino facessero la distinzione tra causa efficiente, fisica e reale, della morte di Cristo (i giudei infedeli) e causa morale o finale (tutti gli uomini per i quali Cristo è morto); quindi, non è corretto dire che non i giudei ma, tutti gli uomini, e specialmente i cristiani, hanno crocifisso Cristo.

Così – dicevano tra sé – “avremo la sua eredità”, vale a dire “non volevano perdere il retaggio delle cerimonie estrinseche della Legge antica (perché cedesse il passo a quella nuova), della quale non sarebbero stati più i beneficiari e non avrebbero più potuto trarne lucri e autorità, come invece continuavano a fare” (CRISOSTOMO e RABANO MAURO, ut supra). Lo buttarono fuori “di Gerusalemme, ove fu crocefisso, come straniero alla vigna, ossia scomunicato dalla sua Chiesa dell’Antica Alleanza, che loro mal coltivavano” (ORIGENE, ut supra). Essi dovettero rispondere a Gesù che li interrogava, che il padrone li avrebbe giustamente castigati. “Si giudicano da sé, tutti in coscienza sentivano che la pena era giusta, ma - lo dicevano - chi con la bocca soltanto e chi col cuore, chi di buona voglia e chi indispettito” (CRISOSTOMO, ut supra).

Anzi, aggiunsero che il padrone “avrebbe dato la vigna ad altri coloni”: ossia, “la parola di Dio doveva passare da Israele alle Genti”, vale a dire il vecchio patto stipulato tra Dio e i primi coloni è scisso poiché questi ultimi sono stati infedeli; perciò, si passa da una vecchia a una nuova alleanza, così che l’Antica Alleanza è stata realmente revocata e a essa è subentrata una Nuova ed Eterna Alleanza. Questo è l’insegnamento moralmente unanime (e quindi infallibilmente vero) dei Padri della Chiesa, allontanarsene significa giudaizzare, ossia apostatare.

Gesù, infatti, termina così: “Vi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a gente che lo farà fruttificare” ossia il regno è “la verità rivelata da Dio nell’Antica Alleanza ad Israele” (ORIGENE, ut supra) e i capi dei sacerdoti e i farisei “capirono che parlava di loro”.

San Girolamo (ut supra) commenta: “Quantunque istupiditi dalla passione dell’invidia e gelosia, sentivano in coscienza che le cose stavano realmente così, ma, per ignoranza voluta, non lo confessavano pubblicamente”; anzi “cercavano di prenderlo” per ucciderlo ma “temevano ancora il popolo” che poi travieranno, disinformandolo e persuadendolo (col “passa-parola”) subdolamente.

Gesù specifica che “la pietra scartata dagli edificanti diverrà pietra angolare”, ossia Cristo, rigettato dai Capi d’Israele, diverrà “la pietra di un nuovo edificio: il Nuovo Testamento; essa sarà pietra angolare, ossia unirà in sé due muri o popoli, Israele e i Pagani, che entreranno tutti con pari dignità nella nuova Chiesa cristiana” (CRISOSTOMO, ut supra).

Inoltre, Gesù ammonisce: “Chi inciamperà su di essa si ferirà ed essa stritolerà colui sul quale cade”; vale a dire che “non è la pietra o Cristo che fa cadere ma, chi non credendo in lui si scandalizzerà, cadrà per colpa propria.

Infine, Gesù, predice la caduta di Gerusalemme, quando afferma che la pietra stritolerà la città deicida - ricadendo il suo sangue, ossia la responsabilità della sua morte, su Gerusalemme - dopo essere stato respinto da lei” (CRISOSTOMO, ut supra). 

La stessa parabola la troviamo anche in Luca (XX, 9-19). Essa è stata commentata anche da S. AGOSTINO (De cons. evang. II, 69), S. Cirillo, s. Beda il Venerabile, TEOFILATTO (super Cavete a fermento Pharisaeorum e super Quia vero resurgant mortui), Eusebio, s. AMBROGIO (In Lucam lib. 10), S. GREGORIO MAGNO (super Arborem fici habebat quidam, hom. 26), tutti nello stesso senso.



Fine seconda parte

continua








aprile 2023

Ritorna al Sommario articoli diversi