LA RIPROVAZIONE D’ISRAELE NEL VANGELO

Terza parte


Articolo di Don Curzio Nitoglia

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seconda parte
terza parte
quarta parte


La parabola dei due figli (Mt., XXI, 28-43)




Prologo

Un uomo aveva due figli, che impiegava nel coltivare la sua vigna. Un giorno disse al primo: “Figlio, oggi va a lavorare nella mia vigna”. Quello rispose: “Sì, vado”. Ma, non v’andò. Più tardi il padre dette al secondo figlio lo stesso ordine, che rispose: “Non voglio”. Tuttavia dopo, pentendosi, andò. Gesù allora interroga i farisei: “Chi dei due fece la volontà del padre?”. Gli risposero: “L’ultimo”.

Allora, Gesù, applicò la parabola al tema dei rapporti tra il fariseismo, il paganesimo e il Messia:

“In verità vi dico che i pubblicani e le meretrici [pentiti], vi precederanno nel regno di Dio. Venne, infatti, a voi Giovanni Battista in via di giustizia e non credeste in lui, mentre i pubblicani e le meretrici [pentendosi e convertendosi] credettero in lui; voi - al contrario - dopo aver veduto, non vi siete pentiti neppure più tardi, così da credere in lui” (Mt., XXI, 31-32).


Giuseppe Ricciotti

L’Abate Giuseppe Ricciotti commenta: “Gli inappuntabili scribi e farisei erano adombrati in quel figlio che a parole obbediva, ma a fatti era ribelle; al contrario, lo scarto della nazione eletta, cioè pubblicani e meretrici, avevano indubbiamente errato ma poi erano rinsaviti accettando la missione di Giovanni il Battista, e così avevano imitato il figlio dapprima ribelle e poi obbediente. Tra i due figli, colui, che dopo aver fatto il male, cambia di mente e passa a fare il bene è da preferirsi a colui, che non si decide mai a fare il bene pur dichiarandosi sempre pronto a farlo” (1).  Questa parabola, sempre secondo l’Abate Ricciotti, “era stata una sentenza di riprovazione per coloro che allora si stimavano le guide e i più insigni rappresentanti della nazione eletta” (2).



Severiano del Paramo

Padre Severiano del Paramo (Commento al Vangelo secondo Matteo, Roma, Città nuova, 1970) scrive: “Il secondo figlio, quello che assicura al padre che farà la sua volontà, ma poi non la fa, simboleggia i prìncipi dei sacerdoti, gli scribi e i farisei, i quali si vantavano di essere osservanti della Legge, zelanti della gloria di Dio e giusti al suo cospetto, ma non vollero ascoltare il Battista, che Egli aveva inviato, e tanto meno il Messia: per la durezza del loro cuore, saranno esclusi dal regno di Dio. Il primo figlio, quello che risponde al padre con un no chiaro e tondo, ma poi riconosce la sua colpa ed esegue gli ordini ricevuti, simboleggia i pubblicani e le meretrici, cioè gli elementi più abbietti della società, che ascoltarono il Battista e, quando si manifestò loro, anche il Messia non esitarono a entrare a far parte del suo Regno. In realtà, quando Gesù narrava questa parabola, le vicende stavano andando precisamente in questo modo: a mettersi sulle orme di Gesù non erano stati gli ottimati del popolo ebreo, ma gli strati più miseri di esso e i pubblici peccatori, tranne qualche eccezione” (cit., p. 314). 

I Padri decclesiastici

I Padri ecclesiastici interpretano così questa parabola: “L’uomo rappresenta Dio che vuole essere amato come padre più che essere temuto come Signore” (S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Super Matth., Op. imperf., hom. 40).  “Il primo figlio, essendo maggiore d’età, rappresenta i Gentili ai quali Dio parlò con la legge naturale” (S. GIOVANNI CRISOSTOMO, Super Matth., ut supra). Il lavoro nella vigna al quale il padre li chiama significa “le opere buone, fare il bene, vivere virtuosamente; ma con l’idolatria e altri vizi i Gentili risposero no a Dio” (S. GIROLAMO Super Matth., in prologo ad Eusebium e anche S. GIOVANNI CRISOSTOMO, ut supra). Il pentimento del primo figlio rappresenta “le Genti o i Pagani, che intesero poi la parola di Cristo e si pentirono del loro modo sbagliato di ragionare e di agire e fecero ammende lavorando alla loro santificazione alacremente” (S. GIROLAMO, ut supra).
Il secondo figlio è “Israele” (CRISOSTOMO, ut supra); egli rispose: vado “come risposero i loro padri a Mosè: faremo tutto ciò che il Signore ci comanderà [Esod., XXIV]” (GIROLAMO, ut supra), ma non andò. “Infatti, poi mentirono a Dio [Sal., XVII]” (CRISOSTOMO, ut supra). Quando i farisei rispondono che il primo figlio ha fatto la volontà del padre “si giudicano da sé, ammettono implicitamente di non obbedire a Dio con i fatti ma solo a parole” (CRISOSTOMO, ut supra). I pubblicani e le meretrici stanno a significare che “non solo i pagani sono migliori di loro [giudei], ma addirittura che tra i pubblici peccatori, i quali si convertiranno, vi saranno di più giusti di loro” (CRISOSTOMO, ut supra). Essi li precederanno “poiché crederanno più prontamente dei giudei e faranno il bene prima di loro” (RABANO MAURO, Super Matth., anche S. ILARIO, In Matth., can. 22), ma “da ultimo entrerà nel regno, ossia la Chiesa di Cristo, anche Israele [Rom., XI, 9]” (ORIGENE, In Matth., tract. 19). Poiché lo stesso è già accaduto con Giovanni Battista che venne “mostrando Gesù, come perfezione della Legge, via, verità e vita” (RABANO, ut supra), e “mostrando in sé tali virtù che i peccatori pubblici ne furono commossi e si convertirono” (CRISOSTOMO, ut supra).

Tuttavia, “mentre i peccatori pubblici credettero e operarono bene; voi farisei, invece, non volete ammettere neppure la vostra miseria morale, il che vi preparerebbe alla giustificazione. Gesù dice ai dottori della legge e ai sacerdoti che il popolo semplice è migliore di loro, esso è più vicino al primo figlio, mentre i farisei e gli scribi sono prossimi al secondo, infatti dicunt sed non faciunt” (CRISOSTOMO, ut supra).   


NOTE

1 -  G. RICCIOTTI, Vita di Gesù Cristo, Milano, Mondadori, V ed., 1974, 2° vol., p. 573.
2 - Ibidem, p. 574.

Fine terza parte

continua








aprile 2023

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