Dossier sull'accordo tra
i Padri di Campos e la Santa Sede

Costituzione dell'Amministrazione Apostolica Personale 
San Giovanni Maria Vianney
 

REAZIONI E COMMENTI








Intervista rilasciata da Mons. Fellay all'Agenzia APIC, il 9 gennaio 2002
Comunicato di Mons. Bernard Fellay, del 16 gennaio 2002
Intervista di Padre George Cottier, “teologo della Casa pontificia”,
     rilasciata al quotidiano Avvenire il 19 gennaio 2002
Lettera aperta di Dom Lourenço Fleichman, osb, del monastero di Santa Cruz, in Brasile,
     ai Padri di Campos, ottobre 2001.
Breve commento del Padre Aulagnier, del 25 gennaio 2002
Indiscrezioni dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei - Nella persona di Mons. Camille Perl, Segretario




 
 

Intervista di Mons. Fellay all’Agenzia APIC, del 9 gennaio 2002

Mons. Fellay, Superiore Generale della Fraternità, ha rilasciata un’intervista all’Agenzia APIC, il 9 gennaio 2002, a proposito degli accordi tra Roma e Campos.
(le sottolineature sono nostre)





APIC: Come Superiore Generale della Fraternità San Pio X, come avete preso la “defezione” del vostro confratello, Mons. Licinio Rangel, e della sua comunità, che era quasi alle vostre dipendenze?

Mons. Fellay: Vi sono in me dei sentimenti differenti, ma non è mia intenzione assumere posizioni a priori. Giudicheremo Roma dalle sue azioni… Certo, la Società Giovanni Maria Vianney di Campos si riunisce a Roma, ma io aspetto di vedere quello che succede. La Fraternità San Pio X si trova in una fase di discussione con la Santa Sede, nella quale, da parte di Roma, sono necessarii dei segnali di fiducia. Poiché l’anno scorso la fiducia si è in parte dissolta. Il modo in cui verranno trattati i tradizionalisti di Campos sarà un vero test. La palla è nelle mani delle autorità romane, che devono dimostrare qual è il posto che intendono assegnare alla Tradizione.
Per quanto ci riguarda, noi attendiamo sempre una risposta alla nostra lettera del 22 giugno 2001 indirizzata al cardinale Castrillon-Hoyos, presidente della Pontifica Commissione «Ecclesia Dei». Con lui avevamo iniziato a discutere un po’ piú di un anno fa, fino quasi a metà del 2001. Ma dopo non vi è stato alcuno sviluppo nei nostri rapporti con Roma.

APIC: Temete che ai tradizionalisti di Campos accada come alla Fraternità Sacerdotale San Pietro, che riunisce i tradizionalisti fedeli a Roma?

Mons. Fellay: Il trattamento che sarà loro riservato avrà per noi una grande importanza. Si tratta di capire in che modo Roma si comporterà con noi una volta definito il riconoscimento. Vorrebbero trattarci come hanno maltrattato la Fraternità San Pietro? Secondo i desideri che il Papa ha espresso nel suo Motu Proprio «Ecclesia Dei adflicta», Roma ha dato vita a questa Fraternità per accogliere i fedeli legati alla Tradizione. Ma Roma non aiuta questa società che è esposta all’opposizione dei vescovi locali. Di fatto li ha lasciati soccombere. Nelle aspre dispute interne che sono sorte in seno alla Fraternità San Pietro, Roma ha preferito la piccola minoranza piú aperta al Vaticano II, piuttosto che la grande maggioranza che voleva rimanere piú tradizionale.
Nel caso in cui accettassimo l’amministrazione apostolica che è stata proposta dalle autorità romane, si teme che Roma applichi nei nostri confronti gli stessi metodi applicati con la Fraternità San Pietro, che è stata imbavagliata e condotta là ove non voleva andare, verso il Vaticano II e la riforma liturgica, lentamente ma inesorabilmente. Noi corriamo il rischio che ci si impongano delle cose che non vogliamo, come la celebrazione della nuova messa, cosa questa che è assolutamente fuori discussione, poiché noi vogliamo rimanere fedeli alla messa tridentina, ad ogni costo. I nostri timori sono fondati, ed è per questo che chiediamo dei segni concreti e ci teniamo molto circospetti.

APIC: Il responsabile della comunità di Campos, Mons. Rangel, dovrebbe veder annullata la sua scomunica «latae sententiae»…

Mons. Fellay: In effetti non v’è mai stato un decreto di scomunica contro Mons. Licinio Rangel. Roma non ha mai preso posizione contro di lui. Da quanto ho sentito, egli dovrebbe essere reintegrato come vescovo in un ordinariato, simile a quello di una diocesi militare. Se quelli di Campos verranno trattati bene, questo farà progredire le cose anche per noi.

APIC: Ma vi sono altri ostacoli sul cammino della riconciliazione… Vi si potrebbe imporre il messale di Paolo VI…

Mons. Fellay: Questo proprio no, in questo caso non vi sarebbe alcun accordo… La messa moderna è un punto fuori discussione. Al contrario, l’autorizzazione di celebrare secondo il rito tridentino dev’essere data a tutti i preti del mondo. Io lo dissi fin dall’inizio al cardinale Castrillon-Hoyos, la messa non è oggetto di negoziato. Per quanto riguarda le altre questioni dottrinali, Campos ha condiviso fino ad oggi esattamente le stesse posizioni, in particolare un chiaro «no» alla libertà religiosa, all’ecumenismo, al dialogo interreligioso.
Si tratta di cose che vogliamo discutere con Roma. Se le nostre posizioni sono errate, bisogna che Roma lo dica. Se invece ciò che difendiamo è giusto, bisogna che si smetta di attaccarci costantemente su questi punti. In effetti, in cardinale Castrillon-Hoyos riduce la questione ad un problema disciplinare e giuridico, senza voler entrare nei problemi di fondo.

APIC: A vostro modo di vedere, le autorità romane avrebbero premura di chiudere la questione!

Mons. Fellay: Da parte di Roma, la preoccupazione del momento è costituita dall’unità. Tutti gli sforzi ecumenici sono fatti per provare a riavvicinare i cristiani disuniti, lacerati. Gli atti audaci, sorprendenti, scandalosi, si moltiplicano. La decisione a voler superare le differenze dottrinali con degli atti liturgici comuni, manifesta la nuova attitudine ecumenica. Essa fa seriamente pensare ad una volontà di relativizzare i problemi relativi ai concetti a favore della vita vissuta. Da parte nostra, sosteniamo che occorre trattare dei problemi dottrinali, anche se non è necessario che prima di un possibile accordo si debba giungere a regolare tutto nei particolari.

APIC: Lo scisma di Ecône, tuttavia, dovrebbe essere riassorbito a medio termine…

Mons. Fellay: Dal nostro punto di vista, Mons. Lefèbvre nel 1988 non ha causato alcuno scisma. Noi siamo rimasti nella Chiesa. Anche a Roma, a dispetto della posizione ufficiale assunta, numerosi prelati di curia e di cardinali non sono cosí chiari circa l’esistenza o meno di uno scisma. Effettivamente noi abbiamo dei sostenitori a Roma. La simpatia di cui godiamo è difficile da quantificare, ma posso dire che vi è una maggioranza che si augura che il problema si definisca rapidamente.
D’altronde, Roma ci propone una posizione giuridica accettabile: una amministrazione apostolica, meglio di una prelatura personale come quella dell’Opus Dei. L’amministrazione apostolica, che è quasi una diocesi, abitualmente è retta da un vescovo. Con una tale struttura potremmo condurre una autonoma azione apostolica, senza alcun bisogno di chiedere autorizzazioni ai vescovi diocesani. Avremmo una vera diocesi, con la particolarità che essa si stenderebbe al mondo intero. Ma se questa soluzione lasciasse intatta la causa che ha condotto alla situazione attuale, allora domani ci ritroveremmo con gli stessi problemi. Le divergenze dottrinali sussisterebbero all’interno, poiché il rifiuto delle riforme post-conciliari resta. Ci si dice che in questo non v’è nulla di grave, e che si tratterà in seguito di questi problemi.

APIC: Voi non fate delle previsioni sulla prosecuzione dei negoziati…

Mons. Fellay: Attualmente non sono previste delle riunioni con Roma. Io aspetto sempre la promessa risposta alla mia lettera del 22 giugno. Io sono molto aperto, ma le discussioni dottrinali possono durare dieci anni… Roma tornerà alla carica quando il problema di campos sarà stato definito. E visto che noi abbiamo la stessa posizione dottrinale di Campos, credo che le autorità romane possano farci la stessa proposta.
Sicuramente, con 420 preti, 180 seminaristi e qualcosa come 150.000 fedeli sparsi nel mondo intero, la Fraternità Sacerdotale San Pio X rappresenta un altro boccone. Roma, che ha indubbiamente la volontà di chiudere questo capitolo una volta per tutte, avrà altrettanto interesse a regolare il problema. Credo anche che questo potrebbe accadere sotto questo pontificato.
Nell’attesa, l’idea di libertà religiosa e la concezione della salvezza universale si sono profondamente radicate nelle menti di molti cattolici, e le cerimonie e le dichiarazioni ecumeniche e interreligiose non fanno che avallare questa nuova visione che noi combattiamo. In questo senso, noi consideriamo la giornata di preghiera delle religioni ad Assisi, prevista per il 22 gennaio 2002, come un nuovo piú imponente ostacolo nel riavvicinamento col Vaticano. 

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Comunicato della Fraternità San Pio X 
a proposito dei sacerdoti di Campos

16 gennaio 2002

Il 18 gennaio 2002 il card. Castrillón Hoyos leggerà nella cattedrale di Campos vari documenti in base ai quali papa Giovanni Paolo II costituisce una Amministrazione Apostolica in favore dei sacerdoti di Campos e dei fedeli che sono loro legati. 

Mons. Rangel è riconosciuto come vescovo cattolico e nominato a capo della nuova Amministrazione. 
Detta Amministrazione avrà diritto ai libri liturgici del 1962, vale a dire alla messa tridentina. Le censure in cui "si può essere incorsi" (sic) saranno tolte. Il Papa accetta la proposta dei sacerdoti di Campos di combattere l'eresia nella Chiesa.

Mons. Rangel farà a nome di tutti la professione di fede e leggerà una dichiarazione nella quale riconosce Giovanni Paolo II come papa, il vescovo del luogo come legittimo, il Concilio Vaticano II come un concilio della Chiesa cattolica, dichiarando peraltro di riservarsi il diritto di critica positiva verso quanto non è in conformità con la Tradizione. Lo stesso avviene per ciò che riguarda la nuova messa, riconosciuta come valida in se stessa, ma sottoposta a critiche costruttive.

La Fraternità Sacerdotale San Pio X constata che questo risultato è frutto di una pace separata. 
Per ottenerlo, i sacerdoti di Campos hanno dovuto, in qualche misura, separarsi dalla Fraternità. 
Quest'ultima mette in evidenza la precipitazione e il carattere parzialmente dissimulato delle trattative che hanno condotto all'attuale riconoscimento. Hanno accantonato, per esempio, la richiesta concernente la messa tridentina che a tutti i sacerdoti dovrebbe essere permesso di celebrare liberamente. 
Tutto questo non è un bene, in quanto la forza sta nell'essere uniti. 
Non si può certo dire che con questo atto la crisi della Chiesa sia superata. Può essere un passo in tal senso, l'avvenire ce lo dirà.

I Padri di Campos affermano di continuare la battaglia della Tradizione. 
Va altresì considerato che nessuna sostanziale concessione a livello dottrinale è stata fatta. Solo il tempo dirà come Roma consentirà lo sviluppo di quest'opera. A tal proposito, la scelta del successore di mons. Licinio Rangel sarà di grande importanza. Ora il punto non è determinato, come pure non lo è lo statuto giuridico dell'Amministrazione.

Quali saranno, a questo punto, le loro relazioni con Roma e con noi? Anche qui sarà il tempo a dirlo.
La nuova situazione che si è creata servirà da test per il futuro. 
La Fraternità resta assai prudente e osserva con apprensione, il più possibile da vicino, gli sviluppi dell'opera, aspettando di vederne i frutti. È dai frutti che si giudica l'albero.

Resta il fatto che, per la prima volta, è accordata alla Tradizione una struttura di tipo diocesano. Un vescovo tradizionale è riconosciuto come tale, come pienamente cattolico.
Noi preghiamo affinché tutto questo cooperi al bene della Tradizione e della Chiesa, nonostante l'impressione non ben definita che in questo momento avvertiamo, e non vogliamo altro che continuare a operare nello spirito e nella linea che si ha lasciato monsignor Lefebvre.

nella festa di san Marcello

+ Bernard Fellay



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Avvenire - Sabato 19 Gennaio 2002 

Il teologo della Casa pontificia: 
la liturgia? Per i lefebvriani è stata più che altro una questione di bandiera 
«Un passo avanti per il Vaticano II»
Padre Cottier: 
hanno accettato il Concilio, che è ben più di un rito 
«La tradizione in sé non contraddice la "Sacrosanctum Concilium"» 

(le sottolineature sono nostre)

«Una buona notizia. Una frattura che si sana proprio nella Settimana per l'unità dei cristiani». 
Padre George Cottier, il teologo della Casa pontificia, commenta così il ritorno alla comunione col Papa della comunità lefebvriana del Brasile. Un passo che - spiega - sarebbe errato interpretare come un passo indietro rispetto al Concilio Vaticano II. 
«Fin da subito - ricorda Cottier - era stata prevista la possibilità in alcuni casi (ad esempio per i sacerdoti anziani) di continuare a celebrare secondo il rito di Pio V. Dopo lo scisma di Lefebvre, poi, è stato accordato il permesso alla Fraternità San Pietro di mantenere viva questa tradizione. Inoltre il Papa aveva chiesto che almeno nelle grandi città ci fosse un luogo dove venisse celebrata la Messa in latino, talvolta anche con il rito di Pio V». 

Dove sta, allora, la novità di questo evento? 
«Dietro allo scisma di Lefebvre c'è molto di più: c'è il rifiuto del Concilio, dell'ecumenismo, del principio della libertà religiosa. Un rifiuto globale di cui la liturgia era solo la bandiera, anche se poi molta gente è andata da Lefebvre proprio per questo motivo. Dalla rottura a oggi abbiamo avuto già altri suoi seguaci che sono ritornati alla comunione piena con la Chiesa cattolica. Ma la condizione primaria è sempre stata il pieno riconoscimento dell'autorità del Concilio Vaticano II. Ed è questo che il gruppo principale, quello di Econe, non ha finora mai accettato». 

Uno dei cardini del Vaticano II, però, è la Sacrosanctum Concilium, la costituzione sulla liturgia. 
«È uno dei testi più belli del Concilio. Ma non bisogna identificarla con tutti i modi in cui è stata messa in pratica la riforma liturgica. Non possiamo dimenticare che nei primi anni, soprattutto in alcuni Paesi, c'è stato molto disordine. Prendiamo un esempio: il gregoriano. In una certa fase era stato rigettato violentemente. E per sostituirlo con cosa? A volte con canti che di religioso hanno proprio poco. Oppure con una liturgia "chiaccherata" dove non c'è più spazio per il silenzio. Certa gente ha sofferto queste vicende. E alcuni fedeli si sono ritrovati con Lefebvre probabilmente senza nemmeno vedere bene il problema che si poneva». 

D'accordo. Ma estendere l'uso del rito di Pio V non rischia di aumentare la confusione?
«Le differenze sono sempre state ammesse. Io sono domenicano: fino al Concilio avevamo la liturgia domenicana, che era una variante del rito romano. Ma l'unità non era per questo compromessa. Si può benissimo accettare la Sacrosanctum Concilium pur mantenendo una propria specificità. Del resto ricordiamoci che lo stesso Concilio non pensava all'intera celebrazione in lingua corrente: il canone sarebbe dovuto rimanere in latino. La riforma liturgica ha fatto un passo in più. E guardando alla maggioranza dei cattolici è stata la scelta giusta. Ma questo non significa che il desiderio di ritrovare nella tradizione un senso più profondo dell'interiorità, del silenzio, della bellezza sia di per sé inammissibile». 

Come conciliare questa specificità con una comunione effettiva con tutta la Chiesa?
«Molti lefebvriani ritengono che la "nostra" Messa di Paolo VI non sia valida. Ora almeno questo gruppo non potrà più pensare una cosa simile. A poco a poco bisognerà auspicare dei passi in più: ad esempio che partecipino anche a concelebrazioni nel rito riformato. Ma non dobbiamo avere fretta. La cosa importante è che nel loro cuore non ci sia più il rigetto. La comunione ritrovata nella Chiesa ha un suo dinamismo interno che maturerà». 

Con il gesto di ieri l'attuazione del Concilio ha fatto un passo avanti o indietro? 
«Sicuramente in avanti. Nel Vaticano II non c'è stato nessun desiderio di creare rotture. Il suo intento è stato quello di rendere la Chiesa più consona alle sfide pastorali, alla missione, allo stesso culto divino. Nel Concilio c'è un senso fortissimo della centralità della liturgia nella vita della Chiesa. E se c'è un luogo privilegiato della comunione è proprio l'Eucaristia. Dobbiamo rallegrarci di questa riconciliazione. Spero che apra la strada ad altri. In questo processo la comunione con il successore di Pietro è fondamentale. Anche nella liturgia. Finora nella Messa che i lefebvriani celebravano non c'era questa "comunicazione" con il Papa. Adesso, almeno in Brasile, non sarà più così». 



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Lettera aperta di Dom Lourenço Fleichman, osb, 
del monastero di Santa Cruz, in Brasile, 
ai Padri della Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney, di Campos.
(Ottobre 2001)

(le sottolineature sono nostre)

Mons. Rangel, miei carissimi Padri,

Non sono il piú qualificato per scrivervi questa lettera. 
Io non penso di poter ottenere da voi un assenso che non avete voluto concedere ai vescovi della Fraternità, Mons. Fellay e Mons. Galarreta, quando hanno cercato di mostrarvi il terribile male che gli accordi col Vaticano potrebbero provocare, per la Chiesa e per la battaglia per la Tradizione.
Tuttavia, ho dei motivi seri che mi spingono a scrivervi sull’argomento. E lo faccio col consiglio e con l’accordo dello stesso Mons. Fellay. 

La ragione sta nel fatto che alcuni dei nostri fedeli di Niterói e di Rio vengono da famiglie di vostri parrocchiani ed hanno avuto sempre per i “padri di Campos”, una grande stima e una grande riverenza. Oggi, essi non riescono a comprendere le ragioni di un accordo che si farebbe ai margini della Fraternità e, peggio, contro il parere e il consiglio dei vescovi della Fraternità.

Un altra ragione mi spinge a scrivervi: l’esperienza da me vissuta a Le Barroux, nel 1988, quando Dom Gérard Calvet, anche lui, volle fare un accordo col Vaticano.
La prima corrispondenza che noto tra il comportamento di Dom Gérard e il vostro è la seguente: Mons. Lefèbvre aveva appena rifiutato un accordo, perché nelle intenzioni del Vaticano non riscontrava le garanzie necessarie per la sopravvivenza della Tradizione. Dom Gérard diede la priorità agli interessi particolari del suo monastero, rispetto a quelli della Chiesa, e accettò di allontanarsi da Mons. Lefèbvre per giungere ad una situazione giuridica e canonica «normale», abbandonando la spada della battaglia.
Anche oggi, la Fraternità ha appena rifiutato un accordo, per le stesse ragioni di Mons. Lefèbvre, e voi preferite considerare il vostro bene particolare, piuttosto che il bene comune della Chiesa. Vi siete stancati di vivere giorno e notte nel combattimento e nella marginalizzazione.

Le somiglianze non finiscono qui.
Mentre la Fraternità conduceva i recenti negoziati, il Padre Rifan, in occasione di una conversazione telefonica, mi ha fornito le tre ragioni che, secondo lui, sarebbero sufficienti per proseguire i negoziati e per concludere un accordo, anche senza la liberalizzazione della Messa di San Pio V per tutti i preti del mondo.
- Molte persone verranno alla Tradizione.
- Avremo un piede entro la Roma modernista per poter predicare la Tradizione.
- Potremo fare marcia indietro in caso di pressioni.
Questi argomenti sono esattamente quelli di Dom Gérard, nel 1988. Da qui il mio stupore. In primo luogo, perché anche voi avete criticato il comportamento di Dom Gérard, all’epoca. Secondariamente, perché non potete logicamente non trarre che una conclusione: Dom Gérard aveva ragione. E se egli, dieci anni fa, ha fatto la stessa scelta che fate voi oggi, siete obbligati a riconoscere che egli è stato piú previdente di voi.

Non penso che si possano negare alcune evidenze:
- I nuovi venuti non avrebbero l’intenzione di convertirsi alla vera Tradizione. Essi verranno da voi perché sono stati eliminati gli ostacoli giuridici, ma non per ragioni di fede. Saranno sicuramente molto simpatici, ma non cercheranno la verità tutta intera, il punto di dottrina che conduce le anime al martirio.
- Trovarsi nel seno della Roma modernista, è dimostrato che porta ad una contaminazione certa da parte dei principi chiave del Vaticano II, i quali vengono iniettati in dosi omeopatiche fino a far cadere il frutto, come è il caso della Fraternità San Pietro.
- Fare marcia indietro? E chi l’ha fatto? Essi hanno preferito concelebrare col Papa piuttosto che ritornare indietro. E se mai voi vi ritornereste, che avverrà dei vostri fedeli? Verranno tutti con voi? Quanti rimarranno presi nelle maglie della legalità?

Io penso che si tratti di un comportamento temerario, che non prende in considerazione l’equilibrio delle ànime che la Divina Provvidenza vi ha affidate. Voi regolate i vostri falsi problemi di scomunica, e i fedeli vi seguono obbedienti. E domani, chiederete loro di tornare indietro con voi? Non riesco a scorgere quel rispetto delle ànime richiesto dalla vita sacerdotale.

Quanto alla Fraternità San Pio X, confesso che non riesco a comprendere il vostro ostinato rifiuto nei confronti dei vescovi che sono venuti in vostro aiuto in tutte le occasioni che si sono presentate: la consacrazione di Mons. Rangel, atto di grande coraggio dei vescovi, poiché certuni potevano non comprendere un gesto simile, come infatti è accaduto. Ma loro hanno preferito pensare a voi e ai vostri fedeli piuttosto che a loro stessi.
In seguito, i seminari della Fraternità sono stati aperti ai seminaristi di Campos, ricevuti come fratelli.
Di piú, quando la Fraternità è stata chiamata ai negoziati col Vaticano, nei primi del 2001, voi siete stati amabilmente invitati a parteciparvi. Non erano obbligati, ma ancora una volta essi sono stati generosi e fraterni nella battaglia per la Tradizione.

Di fronte a queste evidenze, il rifiuto di rispondere positivamente alla richiesta della Fraternità, pone sulle vostre spalle un peso terribile: quello del tradimento. E anche in questo caso vi comportate come Dom Gérard. È possibile che voi non vediate le cose in questo modo, ma non potete rifiutare ai vescovi il diritto di sentirsi traditi.
E come il tradimento di Dom Gérard ha causato un dramma terribile tra i fedeli francesi, con la divisione delle famiglie e una delusione profonda di fronte a questo abbandono e a questa debolezza, cosí oggi anche voi provocate la stessa delusione e le stesse divisioni tra i fedeli brasiliani.

Nel 1988, dissi a Dom Gérard ciò che oggi ripeto a voi: migliaia di fedeli attendono inquieti che voi li confermiate nella loro fede cattolica, nella battaglia che la Divina Provvidenza esige da noi, senza lasciarci abbattere dalla fatica, dalla debolezza, dal canto delle sirene di una legalità compromessa. Ciò che Nostro Signore esige da noi è il martirio, goccia a goccia, e la chiara professione di fede cattolica, senza patteggiamenti con i modernisti del Vaticano.

Il Papa, si. La legalità giuridica, si. Ma, innanzi tutto: rispondere all’appello chiaro di Dio per la battaglia per la fede. Il giorno in cui il Papa si convertirà veramente, questo apparirà chiaramente, piú che la luce del sole. Evidentemente, non è certo abbracciando il Corano e andando a pregare in una moschea che egli ci dà la prova di questa conversione.

Tutti fedeli delle cappelle di Rio e di Niterói pregano per voi, e chiedono alla Santa Vergine di muovere i vostri cuori verso il ritorno alla luce della Verità.

In Christo et  Maria
Dom Lourenço Fleichman



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Considerazioni dell’abbé Aulagnier 
su DICI 39 - 25 gennaio 2002


L'abbé Aulagnier, della Fraternità Sacerdotale San Pio X, cura il sito internet Le Combat Catholique, ricco di molte e interessanti informazioni. 
Questo sito pubblica anche un settimanale di informazioni: Documentations Informations Catholiques Internationales (DICI), édito sia su carta, sia in formato elettronico. 
Il settimanale DICI può essere richiesto tramite il sito citato o utilizzando il seguente indirizzo di posta elettronica: contact@dici.org
nonché tramite lettera indirizzata a: Agence de Presse Dici, Péricentre 4, route de la Délivrande ? Bât. B n° 149 ? 14000 Caen 

(le sottolineature sono nostre)

Uniti alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, da numerosi anni, in una battaglia cattolica comune… i Padri dell’Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Vianney, con a capo Mons. Rangel (Vescovo ordinato da Mons. Tissier de Mallerais, della Fraternità Sacerdotale San Pio X), hanno deciso di «avvicinarsi» giuridicamente a Roma. 
Molto ben formati teologicamente, la loro «esperienza» sarà seguita da tutti con interesse.

Mi permetto di fare alcune considerazioni

1 - È molto importante che siano stati riconosciuti come «Amministrazione Apostolica Personale». 
Questo assicura loro una libertà considerevole per il loro apostolato e la loro formazione, visto che sono autonomi rispetto alla giurisdizione dell’Ordinario del luogo. 
A suo tempo, lo stesso non fu concesso alla Fraternità San Pietro, che rimane vincolata alla giurisdizione dei vescovi: il che costituisce la causa dei suoi problemi.

2- Hanno ottenuto, senza condizioni, il diritto - la «facultas» - di celebrare la Messa detta di San Pio V, in tutte le loro case e nelle loro chiese. E anche qui vi è differenza rispetto alla situazione della Fraternità San Pietro.
A quest’ultima e ai suoi membri, Roma ha riconosciuto la possibilità di dire la Messa tenuto conto della loro sensibilità religiosa e sulla base di due terribili condizioni concomitanti: a) dichiarare che la nuova Messa è, non solo valida, ma in perfetta aderenza con la dottrina cattolica; b) di conseguenza, rompere con la Fraternità San Pio X che sostiene il contrario.

Per esprimere un buon giudizio su questa questione - e sui documenti firmati dai Padri di Campos e da Roma - occorre tenere presente, non solo la lettera Quattuor abhinc annos del 3 ottobre 1984, ma anche il Motu proprio Ecclesia Dei adflicta del 2 luglio 1988, che fa esplicito riferimento alla prima lettera. Solo cosí ci si potrà rendere conto della evoluzione di Roma: una evoluzione straordinaria, fondamentale, essenziale.

Non dimentichiamo il punto di partenza di tutta la questione della Messa.
Occorre partire 

- dal Concistoro del 24 maggio 1976, nel quale il papa Paolo VI, in base alla sua autorità apostolica, a chiesto a tutti i preti, a tutte le comunità, ecc., di celebrare i santi Misteri col rito da lui riformato, escludendo tutti gli altri… e in particolare escludendo il rito di San Pio V, malgrado l’uso immemorabile che se ne era fatto nella Chiesa;
- poi si arriva alla lettera Quattuor abhinc annos, con la quale Roma «concede», al alcuni, la possibilità di dire la Messa di sempre tenuto conto della loro sensibilità religiosa;
- questa motivazione è stata ripresa nel 1988 nel Motu proprio Ecclesia Dei adflicta, e confermata il 26 ottobre del 1998, quando Giovanni Paolo II ricevette i membri delle comunità dell’Ecclesia Dei, venuti a Roma in «azione di grazie»;
- per giungere infine a questa nuova lettera del papa Giovanni Paolo II, del 25 dicembre 2001, con la quale si riconosce ai nostri preti amici la «facultas» di celebrare la Messa detta di San Pio V.
« Confirmabitur ? scrive il Papa ? Administrationi Apostolicae facultas celebrandi Eucharistiam et Liturgiam Horarum secundum Ritum Romanum atque disciplinam liturgicam ad Nostri Decessoris sancti Pii V praescripta, cum accomodationibus inductis ab eius Successoribus usque ad beatum Ioannem XXIII ».
«Verrà confermata all'Amministrazione apostolica la facoltà di celebrare l'Eucaristia e la Liturgia delle Ore secondo il Rito Romano e la disciplina liturgica codificati dal mio predecessore San Pio V, con gli adattamenti introdotti dai suoi successori fino al Beato Giovanni XXIII.»


3 - Essi conservano la proprietà dei loro beni. La filosofia politica ci ha insegnato che uno dei benefici della proprietà consiste nell’assicurare correttamente la libertà del padre di famiglia.

4 - Essi non hanno tradito né la fede, né la morale, e la loro dichiarazione lo prova. Su questi punti restano fedeli al pensiero di Mons. Lefèbvre. La loro fedeltà, dicevo, non è solo passiva, ma anche attiva. Essi dichiarano di voler proseguire la loro battaglia per la fede e contro le eresie: « Chiediamo, ufficialmente, di collaborare con Vostra Santità nella propagazione della Fede e della Dottrina Cattolica, con zelo per l’onore della Santa Chiesa». Anche Mons. Lefèbvre diceva che «noi siamo i migliori difensori del Papa».

5 - Si teme che si facciano circuire da Roma. Lo dirà il tempo. A priori, non lo si può affermare, vista la serietà della loro dottrina e la loro formazione.



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Questa breve nota fa parte del commento che abbiamo pubblicato a proposito di una vecchia lettera di Mons. Perl, Segretario della Commissione Ecclesia Dei. 
In quella occasione abbiamo ritenuto opportuno riportare anche alcune indiscrezioni sul pensiero di Mons. Perl che, in tutto o in parte, corrisponde a quanto si pensa a Roma sulla Tradizione cattolica e, in particolare sugli "accordi di Campos". 
Le riportiamo qui per la loro importanza circa la migliore comprensione di quanto sta avvenendo tra l'Amministrazione Apostolica San Giovanni Maria Vianney e la Santa Sede. 

In particolare, già noi abbiamo avuto occasione di parlare del Segretario della Commisione, Mons. Camille Perl, in relazione alle variazioni del Messale tradizionale da lui proposte, su carta intestata della Commissione Ecclesia Dei, ma da questa mai ufficialmente avanzate, anche per la sua formale incompetenza in materia (La Messa dell’indulto alla Misericordia di Torino, giungo 1998). Variazioni che sono state adottate, con altrettanti personali adattamenti, da diversi preti che officiano col rito antico. Variazioni che, tra l’altro, hanno praticato, ognuno alla loro maniera, Abati, Vescovi e Cardinali. Non ultimo il Cardinale Ratzinger, che a Fontgombault, dove si è recato in compagnia di Mons. Perl, ha officiato la Messa Pontificale col rito antico, adottando le variazioni in uso nella stessa Abbazia: calendario e lezionario del rito nuovo, Per Ipsum cantato, orazione universale, ecc.

Chi in questi anni ha avuto modo di dialogare con la Commissione, e spesso col suo Segretario Mons. Perl, ricorda bene i convicimenti di questo sacerdote che, in perfetta buona fede, ha sempre affermato che, in fondo, la stessa Fraternità San Pietro costituiva una sorta di fenomeno ad esaurimento. Essa, come gli altri organismi sacerdotali che mantengono la liturgia tradizionale, presto o tardi avrebbe perduto ogni mordente, avrebbe abbandonato le posizioni di difesa della buona dottrina e si sarebbe adeguata all’ineluttabilità del nuovo corso, voluto dal Concilio, dal Papa e da tutti i Vescovi. Il fenomeno del mantenimento della tradizione liturgica nella Chiesa è destinato ad esaurirsi, sia per suo conto, sia per la precisa volontà dei Vescovi.
In definitiva, Mons. Perl non ha fatto altro che esprimere i convincimenti diffusi in seno alla Curia romana, dove i tradizionalisti vengono illusoriamente considerati come una categoria in estinzione.
D’altronde, Mons. Perl, al pari di un numero indefinito di chierici, ha acquisito l’abitus mentale moderno in base al quale l’affermazione “storica” di un dato comportamento o di una data idea starebbe a dimostrare la verità di tale idea o comportamento. La concezione normale (oggi si dice “tradizionale” quasi per dire “antica”), invece, ha sempre tenuto fermo che la verità è tale al di là della storia e dello storicismo.
Questo abitus mentale è quello che ha condotto al Concilio Vaticano II, alla riforma liturgica, all’affermazione del modernismo nella Chiesa, i quali hanno prodotto una nuova dottrina della Chiesa, in base alla quale non è vero quello che la Chiesa ha sempre insegnato trasmettendo la dottrina tradizionale, ma è vero quello che la Gerarchia insegna oggi perché è condiviso dagli uomini moderni.

Tra l’altro, Mons Perl, in occasione dell’accordo raggiunto tra i Padri di Campos e il Vaticano, non ha fatto mistero di questa diffusa concezione che è anche la sua, affermando, in alcune occasioni, che, in fondo, Mons. Rangel ha voluto solo concludere la sua esistenza terrena in pace con la Chiesa, e ha fatto bene ad accordarsi, tanto di prospettive non potevano essercene. Cosí facendo, ha anche risolto una volta per tutte il problema dei suoi sacerdoti, che pian piano capiranno la necessità di adeguarsi alla Chiesa post-conciliare. Con molta probabilità i frutti si vedranno a breve termine. Il successore di Mons. Rangel potrebbe essere un vescovo diocesano, che assommerebbe nella sua persona l’incarico di Ordinario e di Amministratore Apostolico: in questo caso ecco risolto il problema della “esclusività” dell’uso della liturgia preconciliare. Il nuovo Amministratore Apostolico officierebbe col nuovo rito e col vecchio rito, conducendo pian piano per mano i Padri e i fedeli di Campos verso l’accettazione indiscrimanata della Chiesa post-conciliare.

Se questa è la prospettiva che intravede Mons. Perl, c’è da chiedersi se si tratta di sue illazioni personali o di sue interpretazioni delle reali intenzioni di qualcun altro: per esempio del Cardinale Castrillon-Hoyos, Presidente della Commissione Ecclesia Dei e Prefetto della Congregazione per il Clero.

Da quello che si dice a Roma, il Cardinale è da tempo che non utilizza piú i buoni servigi del suo Segretario, tanto da far pensare che non ritenga si tratti piú di “buoni servigi”. Ma come escludere che invece non si tratti della emarginazione di un uomo di Curia che, in fondo, ha piú buoni rapporti con i tradizionalisti di quanto si potesse immaginare 14 anni fa?
Cercare di capire cosa accade a Roma è sempre stata un’impresa difficile, ma da quando a Roma impera il nuovo corso è praticamente impossibile.



(ritorna al: Dossier sugli accordi di Campos)



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