Dossier sull'accordo tra
i Padri di Campos e la Santa Sede
Costituzione dell'Amministrazione Apostolica Personale
San Giovanni Maria Vianney
REAZIONI E COMMENTI
Intervista rilasciata da Mons. Fellay
all'Agenzia APIC, il 9 gennaio 2002
Comunicato di Mons. Bernard Fellay, del 16 gennaio
2002
Intervista di Padre George Cottier, “teologo della
Casa pontificia”,
rilasciata al quotidiano
Avvenire
il 19 gennaio 2002
Lettera aperta di Dom Lourenço Fleichman,
osb, del monastero di Santa Cruz, in Brasile,
ai Padri di Campos, ottobre
2001.
Breve commento del Padre Aulagnier, del 25 gennaio
2002
Indiscrezioni dalla Pontificia Commissione Ecclesia
Dei - Nella persona di Mons. Camille Perl, Segretario
Intervista di Mons. Fellay all’Agenzia APIC, del 9
gennaio 2002
Mons. Fellay, Superiore Generale della Fraternità,
ha rilasciata un’intervista all’Agenzia APIC, il 9 gennaio 2002, a proposito
degli accordi tra Roma e Campos.
(le sottolineature sono nostre)
APIC: Come Superiore Generale della Fraternità
San Pio X, come avete preso la “defezione” del vostro confratello, Mons.
Licinio Rangel, e della sua comunità, che era quasi alle vostre
dipendenze?
Mons. Fellay: Vi sono in me dei sentimenti differenti,
ma non è mia intenzione assumere posizioni a priori. Giudicheremo
Roma dalle sue azioni… Certo, la Società Giovanni Maria Vianney
di Campos si riunisce a Roma, ma io aspetto di vedere quello che succede.
La Fraternità San Pio X si trova in una fase di discussione con
la Santa Sede, nella quale, da parte di Roma, sono necessarii dei segnali
di fiducia. Poiché l’anno scorso la fiducia si è in parte
dissolta. Il modo in cui verranno trattati i tradizionalisti di Campos
sarà un vero test. La palla è nelle mani delle autorità
romane, che devono dimostrare qual è il posto che intendono assegnare
alla Tradizione.
Per quanto ci riguarda, noi attendiamo sempre una risposta alla nostra
lettera del 22 giugno 2001 indirizzata al cardinale Castrillon-Hoyos, presidente
della Pontifica Commissione «Ecclesia Dei». Con lui avevamo
iniziato a discutere un po’ piú di un anno fa, fino quasi a metà
del 2001. Ma dopo non vi è stato alcuno sviluppo nei nostri rapporti
con Roma.
APIC: Temete che ai tradizionalisti di Campos accada come
alla Fraternità Sacerdotale San Pietro, che riunisce i tradizionalisti
fedeli a Roma?
Mons. Fellay: Il trattamento che sarà loro riservato
avrà per noi una grande importanza. Si tratta di capire in che modo
Roma si comporterà con noi una volta definito il riconoscimento.
Vorrebbero
trattarci come hanno maltrattato la Fraternità San Pietro? Secondo
i desideri che il Papa ha espresso nel suo Motu Proprio «Ecclesia
Dei adflicta», Roma ha dato vita a questa Fraternità per accogliere
i fedeli legati alla Tradizione. Ma Roma non aiuta questa società
che è esposta all’opposizione dei vescovi locali. Di fatto li ha
lasciati soccombere. Nelle aspre dispute interne che sono sorte in seno
alla Fraternità San Pietro, Roma ha preferito la piccola minoranza
piú aperta al Vaticano II, piuttosto che la grande maggioranza che
voleva rimanere piú tradizionale.
Nel caso in cui accettassimo l’amministrazione apostolica che è
stata proposta dalle autorità romane, si teme che Roma applichi
nei nostri confronti gli stessi metodi applicati con la Fraternità
San Pietro, che è stata imbavagliata e condotta là ove non
voleva andare, verso il Vaticano II e la riforma liturgica, lentamente
ma inesorabilmente. Noi corriamo il rischio che ci si impongano delle
cose che non vogliamo, come la celebrazione della nuova messa, cosa questa
che è assolutamente fuori discussione, poiché noi vogliamo
rimanere fedeli alla messa tridentina, ad ogni costo. I nostri timori
sono fondati, ed è per questo che chiediamo dei segni concreti e
ci teniamo molto circospetti.
APIC: Il responsabile della comunità di Campos,
Mons. Rangel, dovrebbe veder annullata la sua scomunica «latae sententiae»…
Mons. Fellay: In effetti non v’è mai stato un decreto
di scomunica contro Mons. Licinio Rangel. Roma non ha mai preso posizione
contro di lui. Da quanto ho sentito, egli dovrebbe essere reintegrato come
vescovo in un ordinariato, simile a quello di una diocesi militare.
Se
quelli di Campos verranno trattati bene, questo farà progredire
le cose anche per noi.
APIC: Ma vi sono altri ostacoli sul cammino della riconciliazione…
Vi si potrebbe imporre il messale di Paolo VI…
Mons. Fellay: Questo proprio no, in questo caso non vi
sarebbe alcun accordo… La messa moderna è un punto fuori discussione.
Al contrario, l’autorizzazione di celebrare secondo il rito tridentino
dev’essere data a tutti i preti del mondo. Io lo dissi fin dall’inizio
al cardinale Castrillon-Hoyos, la messa non è oggetto di negoziato.
Per quanto riguarda le altre questioni dottrinali, Campos ha condiviso
fino ad oggi esattamente le stesse posizioni, in particolare un chiaro
«no» alla libertà religiosa, all’ecumenismo, al dialogo
interreligioso.
Si tratta di cose che vogliamo discutere con Roma. Se le nostre
posizioni sono errate, bisogna che Roma lo dica. Se invece ciò che
difendiamo è giusto, bisogna che si smetta di attaccarci costantemente
su questi punti. In effetti, in cardinale Castrillon-Hoyos riduce la
questione ad un problema disciplinare e giuridico, senza voler entrare
nei problemi di fondo.
APIC: A vostro modo di vedere, le autorità romane
avrebbero premura di chiudere la questione!
Mons. Fellay: Da parte di Roma, la preoccupazione del
momento è costituita dall’unità. Tutti gli sforzi ecumenici
sono fatti per provare a riavvicinare i cristiani disuniti, lacerati. Gli
atti audaci, sorprendenti, scandalosi, si moltiplicano. La decisione
a voler superare le differenze dottrinali con degli atti liturgici comuni,
manifesta la nuova attitudine ecumenica. Essa fa seriamente pensare
ad una volontà di relativizzare i problemi relativi ai concetti
a favore della vita vissuta. Da parte nostra, sosteniamo che occorre trattare
dei problemi dottrinali, anche se non è necessario che prima di
un possibile accordo si debba giungere a regolare tutto nei particolari.
APIC: Lo scisma di Ecône, tuttavia, dovrebbe essere
riassorbito a medio termine…
Mons. Fellay: Dal nostro punto di vista, Mons. Lefèbvre
nel 1988 non ha causato alcuno scisma. Noi siamo rimasti nella Chiesa.
Anche
a Roma, a dispetto della posizione ufficiale assunta, numerosi prelati
di curia e di cardinali non sono cosí chiari circa l’esistenza o
meno di uno scisma. Effettivamente noi abbiamo dei sostenitori a Roma.
La simpatia di cui godiamo è difficile da quantificare, ma posso
dire che vi è una maggioranza che si augura che il problema si definisca
rapidamente.
D’altronde, Roma ci propone una posizione giuridica accettabile: una
amministrazione apostolica, meglio di una prelatura personale come quella
dell’Opus Dei. L’amministrazione apostolica, che è quasi una
diocesi, abitualmente è retta da un vescovo. Con una tale struttura
potremmo condurre una autonoma azione apostolica, senza alcun bisogno di
chiedere autorizzazioni ai vescovi diocesani. Avremmo una vera diocesi,
con la particolarità che essa si stenderebbe al mondo intero. Ma
se questa soluzione lasciasse intatta la causa che ha condotto alla situazione
attuale, allora domani ci ritroveremmo con gli stessi problemi. Le divergenze
dottrinali sussisterebbero all’interno, poiché il rifiuto delle
riforme post-conciliari resta. Ci si dice che in questo non v’è
nulla di grave, e che si tratterà in seguito di questi problemi.
APIC: Voi non fate delle previsioni sulla prosecuzione
dei negoziati…
Mons. Fellay: Attualmente non sono previste delle riunioni
con Roma. Io aspetto sempre la promessa risposta alla mia lettera del 22
giugno. Io sono molto aperto, ma le discussioni dottrinali possono durare
dieci anni… Roma tornerà alla carica quando il problema di campos
sarà stato definito. E visto che noi abbiamo la stessa posizione
dottrinale di Campos, credo che le autorità romane possano farci
la stessa proposta.
Sicuramente, con 420 preti, 180 seminaristi e qualcosa come 150.000
fedeli sparsi nel mondo intero, la Fraternità Sacerdotale San Pio
X rappresenta un altro boccone. Roma, che ha indubbiamente la volontà
di chiudere questo capitolo una volta per tutte, avrà altrettanto
interesse a regolare il problema. Credo anche che questo potrebbe accadere
sotto questo pontificato.
Nell’attesa, l’idea di libertà religiosa e la concezione della
salvezza universale si sono profondamente radicate nelle menti di molti
cattolici, e le cerimonie e le dichiarazioni ecumeniche e interreligiose
non fanno che avallare questa nuova visione che noi combattiamo. In
questo senso, noi consideriamo la giornata di preghiera delle religioni
ad Assisi, prevista per il 22 gennaio 2002, come un nuovo piú imponente
ostacolo nel riavvicinamento col Vaticano.
(ritorna al: Dossier sugli accordi
di Campos)
Comunicato della Fraternità San Pio X
a proposito dei sacerdoti di Campos
16 gennaio 2002
Il 18 gennaio 2002 il card. Castrillón Hoyos leggerà nella
cattedrale di Campos vari documenti in base ai quali papa Giovanni Paolo
II costituisce una Amministrazione Apostolica in favore dei sacerdoti di
Campos e dei fedeli che sono loro legati.
Mons. Rangel è riconosciuto come vescovo cattolico e nominato
a capo della nuova Amministrazione.
Detta Amministrazione avrà diritto ai libri liturgici del 1962,
vale a dire alla messa tridentina. Le censure in cui "si può essere
incorsi" (sic) saranno tolte. Il Papa accetta la proposta dei sacerdoti
di Campos di combattere l'eresia nella Chiesa.
Mons. Rangel farà a nome di tutti la professione di fede e leggerà
una dichiarazione nella quale riconosce Giovanni Paolo II come papa, il
vescovo del luogo come legittimo, il Concilio Vaticano II come un concilio
della Chiesa cattolica, dichiarando peraltro di riservarsi il diritto di
critica positiva verso quanto non è in conformità con la
Tradizione. Lo stesso avviene per ciò che riguarda la nuova messa,
riconosciuta come valida in se stessa, ma sottoposta a critiche costruttive.
La Fraternità Sacerdotale San Pio X constata che questo risultato
è frutto di una pace separata.
Per ottenerlo, i sacerdoti di Campos hanno dovuto, in qualche misura,
separarsi dalla Fraternità.
Quest'ultima mette in evidenza la precipitazione e il carattere parzialmente
dissimulato delle trattative che hanno condotto all'attuale riconoscimento.
Hanno accantonato, per esempio, la richiesta concernente la messa tridentina
che a tutti i sacerdoti dovrebbe essere permesso di celebrare liberamente.
Tutto questo non è un bene, in quanto la forza sta nell'essere
uniti.
Non si può certo dire che con questo atto la crisi della Chiesa
sia superata. Può essere un passo in tal senso, l'avvenire ce lo
dirà.
I Padri di Campos affermano di continuare la battaglia della Tradizione.
Va altresì considerato che nessuna sostanziale concessione a
livello dottrinale è stata fatta. Solo il tempo dirà come
Roma consentirà lo sviluppo di quest'opera. A tal proposito, la
scelta del successore di mons. Licinio Rangel sarà di grande importanza.
Ora il punto non è determinato, come pure non lo è lo statuto
giuridico dell'Amministrazione.
Quali saranno, a questo punto, le loro relazioni con Roma e con noi?
Anche qui sarà il tempo a dirlo.
La nuova situazione che si è creata servirà da test per
il futuro.
La Fraternità resta assai prudente e osserva con apprensione,
il più possibile da vicino, gli sviluppi dell'opera, aspettando
di vederne i frutti. È dai frutti che si giudica l'albero.
Resta il fatto che, per la prima volta, è accordata alla Tradizione
una struttura di tipo diocesano. Un vescovo tradizionale è riconosciuto
come tale, come pienamente cattolico.
Noi preghiamo affinché tutto questo cooperi al bene della Tradizione
e della Chiesa, nonostante l'impressione non ben definita che in questo
momento avvertiamo, e non vogliamo altro che continuare a operare nello
spirito e nella linea che si ha lasciato monsignor Lefebvre.
nella festa di san Marcello
+ Bernard Fellay
(ritorna al: Dossier sugli accordi
di Campos)
Avvenire - Sabato 19 Gennaio 2002
Il teologo della Casa pontificia:
la liturgia? Per i lefebvriani è stata più
che altro una questione di bandiera
«Un passo avanti per il Vaticano II»
Padre Cottier:
hanno accettato il Concilio, che è ben più
di un rito
«La tradizione in sé non contraddice
la "Sacrosanctum Concilium"»
(le sottolineature sono nostre)
«Una buona notizia. Una frattura che si sana proprio nella Settimana
per l'unità dei cristiani».
Padre George Cottier, il teologo della Casa pontificia, commenta
così il ritorno alla comunione col Papa della comunità lefebvriana
del Brasile. Un passo che - spiega - sarebbe errato interpretare come
un passo indietro rispetto al Concilio Vaticano II.
«Fin da subito - ricorda Cottier - era stata prevista
la possibilità in alcuni casi (ad esempio per i sacerdoti anziani)
di
continuare a celebrare secondo il rito di Pio V. Dopo lo scisma di Lefebvre,
poi, è stato accordato il permesso alla Fraternità San Pietro
di mantenere viva questa tradizione. Inoltre il Papa aveva chiesto che
almeno nelle grandi città ci fosse un luogo dove venisse celebrata
la Messa in latino, talvolta anche con il rito di Pio V».
Dove sta, allora, la novità di questo evento?
«Dietro allo scisma di Lefebvre c'è molto di più:
c'è il rifiuto del Concilio, dell'ecumenismo, del principio della
libertà religiosa. Un rifiuto globale di cui la liturgia era solo
la bandiera, anche se poi molta gente è andata da Lefebvre proprio
per questo motivo. Dalla rottura a oggi abbiamo avuto già altri
suoi seguaci che sono ritornati alla comunione piena con la Chiesa cattolica.
Ma la condizione primaria è sempre stata il pieno riconoscimento
dell'autorità del Concilio Vaticano II. Ed è questo che il
gruppo principale, quello di Econe, non ha finora mai accettato».
Uno dei cardini del Vaticano II, però, è la Sacrosanctum
Concilium, la costituzione sulla liturgia.
«È uno dei testi più belli del Concilio. Ma
non bisogna identificarla con tutti i modi in cui è stata messa
in pratica la riforma liturgica. Non possiamo dimenticare che nei primi
anni, soprattutto in alcuni Paesi, c'è stato molto disordine. Prendiamo
un esempio: il gregoriano. In una certa fase era stato rigettato violentemente.
E per sostituirlo con cosa? A volte con canti che di religioso hanno proprio
poco. Oppure con una liturgia "chiaccherata" dove non c'è più
spazio per il silenzio. Certa gente ha sofferto queste vicende. E alcuni
fedeli si sono ritrovati con Lefebvre probabilmente senza nemmeno vedere
bene il problema che si poneva».
D'accordo. Ma estendere l'uso del rito di Pio V non rischia di aumentare
la confusione?
«Le differenze sono sempre state ammesse. Io sono domenicano:
fino al Concilio avevamo la liturgia domenicana, che era una variante del
rito romano. Ma l'unità non era per questo compromessa. Si può
benissimo accettare la Sacrosanctum Concilium pur mantenendo una propria
specificità. Del resto ricordiamoci che lo stesso Concilio non pensava
all'intera celebrazione in lingua corrente: il canone sarebbe dovuto rimanere
in latino. La riforma liturgica ha fatto un passo in più. E
guardando alla maggioranza dei cattolici è stata la scelta giusta.
Ma questo non significa che il desiderio di ritrovare nella tradizione
un senso più profondo dell'interiorità, del silenzio, della
bellezza sia di per sé inammissibile».
Come conciliare questa specificità con una comunione effettiva
con tutta la Chiesa?
«Molti lefebvriani ritengono che la "nostra" Messa di Paolo
VI non sia valida. Ora almeno questo gruppo non potrà più
pensare una cosa simile. A poco a poco bisognerà auspicare dei passi
in più: ad esempio che partecipino anche a concelebrazioni nel rito
riformato. Ma non dobbiamo avere fretta. La cosa importante è che
nel loro cuore non ci sia più il rigetto. La comunione ritrovata
nella Chiesa ha un suo dinamismo interno che maturerà».
Con il gesto di ieri l'attuazione del Concilio ha fatto un passo
avanti o indietro?
«Sicuramente in avanti. Nel Vaticano II non c'è stato
nessun desiderio di creare rotture. Il suo intento è stato quello
di rendere la Chiesa più consona alle sfide pastorali, alla missione,
allo stesso culto divino. Nel Concilio c'è un senso fortissimo della
centralità della liturgia nella vita della Chiesa. E se c'è
un luogo privilegiato della comunione è proprio l'Eucaristia. Dobbiamo
rallegrarci di questa riconciliazione. Spero che apra la strada ad altri.
In questo processo la comunione con il successore di Pietro è fondamentale.
Anche nella liturgia. Finora nella Messa che i lefebvriani celebravano
non c'era questa "comunicazione" con il Papa. Adesso, almeno in Brasile,
non sarà più così».
(ritorna al: Dossier sugli accordi
di Campos)
Lettera aperta di Dom Lourenço Fleichman, osb,
del monastero di Santa Cruz, in Brasile,
ai Padri della Unione Sacerdotale San Giovanni Maria
Vianney, di Campos.
(Ottobre 2001)
(le sottolineature sono nostre)
Mons. Rangel, miei carissimi Padri,
Non sono il piú qualificato per scrivervi questa lettera.
Io non penso di poter ottenere da voi un assenso che non avete voluto
concedere ai vescovi della Fraternità, Mons. Fellay e Mons. Galarreta,
quando hanno cercato di mostrarvi il terribile male che gli accordi col
Vaticano potrebbero provocare, per la Chiesa e per la battaglia per la
Tradizione.
Tuttavia, ho dei motivi seri che mi spingono a scrivervi sull’argomento.
E lo faccio col consiglio e con l’accordo dello stesso Mons. Fellay.
La ragione sta nel fatto che alcuni dei nostri fedeli di Niterói
e di Rio vengono da famiglie di vostri parrocchiani ed hanno avuto sempre
per i “padri di Campos”, una grande stima e una grande riverenza. Oggi,
essi non riescono a comprendere le ragioni di un accordo che si farebbe
ai margini della Fraternità e, peggio, contro il parere e il consiglio
dei vescovi della Fraternità.
Un altra ragione mi spinge a scrivervi: l’esperienza da me vissuta
a Le Barroux, nel 1988, quando Dom Gérard Calvet, anche lui, volle
fare un accordo col Vaticano.
La prima corrispondenza che noto tra il comportamento di Dom Gérard
e il vostro è la seguente: Mons. Lefèbvre aveva appena rifiutato
un accordo, perché nelle intenzioni del Vaticano non riscontrava
le garanzie necessarie per la sopravvivenza della Tradizione. Dom Gérard
diede la priorità agli interessi particolari del suo monastero,
rispetto a quelli della Chiesa, e accettò di allontanarsi da Mons.
Lefèbvre per giungere ad una situazione giuridica e canonica «normale»,
abbandonando la spada della battaglia.
Anche oggi, la Fraternità ha appena rifiutato un accordo, per
le stesse ragioni di Mons. Lefèbvre, e voi preferite considerare
il vostro bene particolare, piuttosto che il bene comune della Chiesa.
Vi siete stancati di vivere giorno e notte nel combattimento e nella marginalizzazione.
Le somiglianze non finiscono qui.
Mentre la Fraternità conduceva i recenti negoziati, il Padre
Rifan, in occasione di una conversazione telefonica, mi ha fornito le tre
ragioni che, secondo lui, sarebbero sufficienti per proseguire i negoziati
e per concludere un accordo, anche senza la liberalizzazione della Messa
di San Pio V per tutti i preti del mondo.
- Molte persone verranno alla Tradizione.
- Avremo un piede entro la Roma modernista per poter predicare la
Tradizione.
- Potremo fare marcia indietro in caso di pressioni.
Questi argomenti sono esattamente quelli di Dom Gérard, nel
1988. Da qui il mio stupore. In primo luogo, perché anche voi avete
criticato il comportamento di Dom Gérard, all’epoca. Secondariamente,
perché non potete logicamente non trarre che una conclusione: Dom
Gérard aveva ragione. E se egli, dieci anni fa, ha fatto la stessa
scelta che fate voi oggi, siete obbligati a riconoscere che egli è
stato piú previdente di voi.
Non penso che si possano negare alcune evidenze:
- I nuovi venuti non avrebbero l’intenzione di convertirsi alla vera
Tradizione. Essi verranno da voi perché sono stati eliminati gli
ostacoli giuridici, ma non per ragioni di fede. Saranno sicuramente molto
simpatici, ma non cercheranno la verità tutta intera, il punto di
dottrina che conduce le anime al martirio.
- Trovarsi nel seno della Roma modernista, è dimostrato che
porta ad una contaminazione certa da parte dei principi chiave del Vaticano
II, i quali vengono iniettati in dosi omeopatiche fino a far cadere il
frutto, come è il caso della Fraternità San Pietro.
- Fare marcia indietro? E chi l’ha fatto? Essi hanno preferito concelebrare
col Papa piuttosto che ritornare indietro. E se mai voi vi ritornereste,
che avverrà dei vostri fedeli? Verranno tutti con voi? Quanti rimarranno
presi nelle maglie della legalità?
Io penso che si tratti di un comportamento temerario, che non prende
in considerazione l’equilibrio delle ànime che la Divina Provvidenza
vi ha affidate. Voi regolate i vostri falsi problemi di scomunica, e i
fedeli vi seguono obbedienti. E domani, chiederete loro di tornare indietro
con voi? Non riesco a scorgere quel rispetto delle ànime richiesto
dalla vita sacerdotale.
Quanto alla Fraternità San Pio X, confesso che non riesco a comprendere
il vostro ostinato rifiuto nei confronti dei vescovi che sono venuti in
vostro aiuto in tutte le occasioni che si sono presentate: la consacrazione
di Mons. Rangel, atto di grande coraggio dei vescovi, poiché certuni
potevano non comprendere un gesto simile, come infatti è accaduto.
Ma loro hanno preferito pensare a voi e ai vostri fedeli piuttosto che
a loro stessi.
In seguito, i seminari della Fraternità sono stati aperti ai
seminaristi di Campos, ricevuti come fratelli.
Di piú, quando la Fraternità è stata chiamata
ai negoziati col Vaticano, nei primi del 2001, voi siete stati amabilmente
invitati a parteciparvi. Non erano obbligati, ma ancora una volta essi
sono stati generosi e fraterni nella battaglia per la Tradizione.
Di fronte a queste evidenze, il rifiuto di rispondere positivamente
alla richiesta della Fraternità, pone sulle vostre spalle un peso
terribile: quello del tradimento. E anche in questo caso vi comportate
come Dom Gérard. È possibile che voi non vediate le cose
in questo modo, ma non potete rifiutare ai vescovi il diritto di sentirsi
traditi.
E come il tradimento di Dom Gérard ha causato un dramma terribile
tra i fedeli francesi, con la divisione delle famiglie e una delusione
profonda di fronte a questo abbandono e a questa debolezza, cosí
oggi anche voi provocate la stessa delusione e le stesse divisioni tra
i fedeli brasiliani.
Nel 1988, dissi a Dom Gérard ciò che oggi ripeto a voi:
migliaia
di fedeli attendono inquieti che voi li confermiate nella loro fede cattolica,
nella battaglia che la Divina Provvidenza esige da noi, senza lasciarci
abbattere dalla fatica, dalla debolezza, dal canto delle sirene di una
legalità compromessa. Ciò che Nostro Signore esige da noi
è il martirio, goccia a goccia, e la chiara professione di fede
cattolica, senza patteggiamenti con i modernisti del Vaticano.
Il Papa, si. La legalità giuridica, si. Ma, innanzi tutto: rispondere
all’appello chiaro di Dio per la battaglia per la fede. Il giorno in cui
il Papa si convertirà veramente, questo apparirà chiaramente,
piú che la luce del sole. Evidentemente, non è certo abbracciando
il Corano e andando a pregare in una moschea che egli ci dà la prova
di questa conversione.
Tutti fedeli delle cappelle di Rio e di Niterói pregano per voi,
e chiedono alla Santa Vergine di muovere i vostri cuori verso il ritorno
alla luce della Verità.
In Christo et Maria
Dom Lourenço Fleichman
(ritorna al: Dossier sugli accordi
di Campos)
Considerazioni dell’abbé Aulagnier
su DICI 39 - 25 gennaio 2002
L'abbé Aulagnier, della Fraternità Sacerdotale San Pio
X, cura il sito internet Le
Combat Catholique, ricco di molte e interessanti informazioni.
Questo sito pubblica anche un settimanale di informazioni: Documentations
Informations Catholiques Internationales (DICI), édito
sia su carta, sia in formato elettronico.
Il settimanale DICI può essere richiesto tramite il sito citato
o utilizzando il seguente indirizzo di posta elettronica: contact@dici.org;
nonché tramite lettera indirizzata a: Agence de Presse Dici,
Péricentre 4, route de la Délivrande ? Bât. B n°
149 ? 14000 Caen |
(le sottolineature sono nostre)
Uniti alla Fraternità Sacerdotale San Pio X, da numerosi anni,
in una battaglia cattolica comune… i Padri dell’Unione Sacerdotale San
Giovanni Maria Vianney, con a capo Mons. Rangel (Vescovo ordinato da Mons.
Tissier de Mallerais, della Fraternità Sacerdotale San Pio X), hanno
deciso di «avvicinarsi» giuridicamente a Roma.
Molto ben formati teologicamente, la loro «esperienza»
sarà seguita da tutti con interesse.
Mi permetto di fare alcune considerazioni
1 - È molto importante che siano stati riconosciuti come «Amministrazione
Apostolica Personale».
Questo assicura loro una libertà considerevole per il loro
apostolato e la loro formazione, visto che sono autonomi rispetto alla
giurisdizione dell’Ordinario del luogo.
A suo tempo, lo stesso non fu concesso alla Fraternità San Pietro,
che rimane vincolata alla giurisdizione dei vescovi: il che costituisce
la causa dei suoi problemi.
2- Hanno ottenuto, senza condizioni, il diritto - la «facultas»
- di celebrare la Messa detta di San Pio V, in tutte le loro case e nelle
loro chiese. E anche qui vi è differenza rispetto alla situazione
della Fraternità San Pietro.
A quest’ultima e ai suoi membri, Roma ha riconosciuto la possibilità
di dire la Messa tenuto conto della loro sensibilità religiosa e
sulla base di due terribili condizioni concomitanti: a) dichiarare che
la nuova Messa è, non solo valida, ma in perfetta aderenza con la
dottrina cattolica; b) di conseguenza, rompere con la Fraternità
San Pio X che sostiene il contrario.
Per esprimere un buon giudizio su questa questione - e sui documenti
firmati dai Padri di Campos e da Roma - occorre tenere presente, non solo
la lettera Quattuor abhinc annos del 3 ottobre
1984, ma anche il Motu proprio Ecclesia Dei adflicta
del 2 luglio 1988, che fa esplicito riferimento alla prima lettera. Solo
cosí ci si potrà rendere conto della evoluzione di Roma:
una evoluzione straordinaria, fondamentale, essenziale.
Non dimentichiamo il punto di partenza di tutta la questione della Messa.
Occorre partire
- dal Concistoro del 24 maggio 1976, nel quale il papa Paolo
VI, in base alla sua autorità apostolica, a chiesto a tutti i preti,
a tutte le comunità, ecc., di celebrare i santi Misteri col rito
da lui riformato, escludendo tutti gli altri… e in particolare escludendo
il rito di San Pio V, malgrado l’uso immemorabile che se ne era fatto nella
Chiesa;
- poi si arriva alla lettera Quattuor abhinc annos, con la quale Roma
«concede», al alcuni, la possibilità di dire la Messa
di sempre tenuto conto della loro sensibilità religiosa;
- questa motivazione è stata ripresa nel 1988 nel Motu proprio
Ecclesia Dei adflicta, e confermata il 26 ottobre del 1998, quando Giovanni
Paolo II ricevette i membri delle comunità dell’Ecclesia Dei, venuti
a Roma in «azione di grazie»;
- per giungere infine a questa nuova lettera del papa Giovanni Paolo
II, del 25 dicembre 2001, con la quale si riconosce ai nostri preti amici
la «facultas» di celebrare la Messa detta di San Pio V.
« Confirmabitur ? scrive il Papa ? Administrationi Apostolicae
facultas celebrandi Eucharistiam et Liturgiam Horarum secundum Ritum Romanum
atque disciplinam liturgicam ad Nostri Decessoris sancti Pii V praescripta,
cum accomodationibus inductis ab eius Successoribus usque ad beatum Ioannem
XXIII ».
«Verrà confermata all'Amministrazione apostolica la facoltà
di celebrare l'Eucaristia e la Liturgia delle Ore secondo il Rito Romano
e la disciplina liturgica codificati dal mio predecessore San Pio V, con
gli adattamenti introdotti dai suoi successori fino al Beato Giovanni XXIII.»
3 - Essi conservano la proprietà dei loro beni. La filosofia
politica ci ha insegnato che uno dei benefici della proprietà consiste
nell’assicurare correttamente la libertà del padre di famiglia.
4 - Essi non hanno tradito né la fede, né la morale,
e la loro dichiarazione lo prova. Su questi punti restano fedeli al pensiero
di Mons. Lefèbvre. La loro fedeltà, dicevo, non è
solo passiva, ma anche attiva. Essi dichiarano di voler proseguire la loro
battaglia per la fede e contro le eresie: « Chiediamo, ufficialmente,
di collaborare con Vostra Santità nella propagazione della Fede
e della Dottrina Cattolica, con zelo per l’onore della Santa Chiesa».
Anche Mons. Lefèbvre diceva che «noi siamo i migliori difensori
del Papa».
5 - Si teme che si facciano circuire da Roma. Lo dirà il tempo.
A priori, non lo si può affermare, vista la serietà della
loro dottrina e la loro formazione.
(ritorna al: Dossier sugli accordi
di Campos)
Questa breve nota fa parte del commento che abbiamo pubblicato a
proposito di una vecchia lettera di Mons. Perl,
Segretario della Commissione Ecclesia Dei.
In quella occasione abbiamo ritenuto opportuno riportare anche alcune
indiscrezioni sul pensiero di Mons. Perl che, in tutto o in parte, corrisponde
a quanto si pensa a Roma sulla Tradizione cattolica e, in particolare sugli
"accordi di Campos".
Le riportiamo qui per la loro importanza circa la migliore comprensione
di quanto sta avvenendo tra l'Amministrazione Apostolica San Giovanni Maria
Vianney e la Santa Sede. |
In particolare, già noi abbiamo avuto occasione di parlare del
Segretario della Commisione, Mons. Camille Perl, in relazione alle variazioni
del Messale tradizionale da lui proposte, su carta intestata della
Commissione Ecclesia Dei, ma da questa mai ufficialmente avanzate, anche
per la sua formale incompetenza in materia (La Messa
dell’indulto alla Misericordia di Torino, giungo 1998). Variazioni
che sono state adottate, con altrettanti personali adattamenti, da diversi
preti che officiano col rito antico. Variazioni che, tra l’altro, hanno
praticato, ognuno alla loro maniera, Abati, Vescovi e Cardinali. Non ultimo
il Cardinale Ratzinger, che a Fontgombault, dove si è recato in
compagnia di Mons. Perl, ha officiato la Messa Pontificale col rito antico,
adottando le variazioni in uso nella stessa Abbazia: calendario e lezionario
del rito nuovo, Per Ipsum cantato, orazione universale, ecc.
Chi in questi anni ha avuto modo di dialogare con la Commissione, e
spesso col suo Segretario Mons. Perl, ricorda bene i convicimenti
di questo sacerdote che, in perfetta buona fede, ha sempre affermato
che, in fondo, la stessa Fraternità San Pietro costituiva una sorta
di fenomeno ad esaurimento. Essa, come gli altri organismi sacerdotali
che mantengono la liturgia tradizionale, presto o tardi avrebbe perduto
ogni mordente, avrebbe abbandonato le posizioni di difesa della buona dottrina
e si sarebbe adeguata all’ineluttabilità del nuovo corso, voluto
dal Concilio, dal Papa e da tutti i Vescovi. Il fenomeno del mantenimento
della tradizione liturgica nella Chiesa è destinato ad esaurirsi,
sia per suo conto, sia per la precisa volontà dei Vescovi.
In definitiva, Mons. Perl non ha fatto altro che esprimere i convincimenti
diffusi in seno alla Curia romana, dove i tradizionalisti vengono illusoriamente
considerati come una categoria in estinzione.
D’altronde, Mons. Perl, al pari di un numero indefinito di chierici,
ha acquisito l’abitus mentale moderno in base al quale l’affermazione “storica”
di un dato comportamento o di una data idea starebbe a dimostrare la verità
di tale idea o comportamento. La concezione normale (oggi si dice “tradizionale”
quasi per dire “antica”), invece, ha sempre tenuto fermo che la verità
è tale al di là della storia e dello storicismo.
Questo abitus mentale è quello che ha condotto al Concilio Vaticano
II, alla riforma liturgica, all’affermazione del modernismo nella Chiesa,
i quali hanno prodotto una nuova dottrina della Chiesa, in base alla quale
non è vero quello che la Chiesa ha sempre insegnato trasmettendo
la dottrina tradizionale, ma è vero quello che la Gerarchia insegna
oggi perché è condiviso dagli uomini moderni.
Tra l’altro, Mons Perl, in occasione dell’accordo raggiunto tra i
Padri di Campos e il Vaticano, non ha fatto mistero di questa diffusa concezione
che è anche la sua, affermando, in alcune occasioni, che, in fondo,
Mons. Rangel ha voluto solo concludere la sua esistenza terrena in pace
con la Chiesa, e ha fatto bene ad accordarsi, tanto di prospettive non
potevano essercene. Cosí facendo, ha anche risolto una volta per
tutte il problema dei suoi sacerdoti, che pian piano capiranno la necessità
di adeguarsi alla Chiesa post-conciliare. Con molta probabilità
i frutti si vedranno a breve termine. Il successore di Mons. Rangel potrebbe
essere un vescovo diocesano, che assommerebbe nella sua persona l’incarico
di Ordinario e di Amministratore Apostolico: in questo caso ecco risolto
il problema della “esclusività” dell’uso della liturgia preconciliare.
Il nuovo Amministratore Apostolico officierebbe col nuovo rito e col vecchio
rito, conducendo pian piano per mano i Padri e i fedeli di Campos verso
l’accettazione indiscrimanata della Chiesa post-conciliare.
Se questa è la prospettiva che intravede Mons. Perl, c’è
da chiedersi se si tratta di sue illazioni personali o di sue interpretazioni
delle reali intenzioni di qualcun altro: per esempio del Cardinale Castrillon-Hoyos,
Presidente della Commissione Ecclesia Dei e Prefetto della Congregazione
per il Clero.
Da quello che si dice a Roma, il Cardinale è da tempo che non
utilizza piú i buoni servigi del suo Segretario, tanto da far pensare
che non ritenga si tratti piú di “buoni servigi”. Ma come escludere
che invece non si tratti della emarginazione di un uomo di Curia che, in
fondo, ha piú buoni rapporti con i tradizionalisti di quanto si
potesse immaginare 14 anni fa?
Cercare di capire cosa accade a Roma è sempre stata un’impresa
difficile, ma da quando a Roma impera il nuovo corso è praticamente
impossibile.
(ritorna al: Dossier sugli accordi
di Campos)
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