Intervista a S. Ecc. Rev.ma Mons. Bernard Fellay
Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale
San Pio X
In risposta alle interviste del Cardinale Castrillon
Hoyos del maggio 2004
Intervista esclusiva di DICI
(Documentation
Information Catholiques Internationales)
giugno 2004
«NOUS SOMMES FERMES, MAIS PAS FERMÉS.»
(Siamo fermi, ma non chiusi)
DICI: In questa intervista alla rivista “Latin Mass”,
il cardinale Castrillon Hoyos propone più che una mano tesa ai fedeli
legati alla Tradizione, egli afferma che il Santo Padre tiene le braccia
aperte. Lei è insensibile a questa offerta generosa?
Mons. Fellay: Io sono molto sensibile a questo
gesto di apertura, e non dubito della generosità che lo ànima.
Ma nello stesso tempo sono obbligato a constatare che il cardinale attenua
al massimo le reali difficoltà presenti da una parte e dall’altra.
Per quanto riguarda i vescovi diocesani, egli parla di “perplessità”
e di “esitazioni” circa il riconoscimento del “diritto di cittadinanza”
della messa tridentina, mentre invece si tratta di una vera opposizione
alla dottrina tradizionale del Santo Sacrificio. Per convincersene, basta
osservare tutte le reazioni episcopali ? più che riservate ? nei
confronti del documento disciplinare Redemptionis sacramentum. Sembra
che questo richiamo all’ordine non riguardi nessuno! Che non vi siano né
abusi, né scandali liturgici!
Nei confronti dei fedeli legati alla Tradizione, il cardinale
Castrillon Hoyos si limita a riconoscere una loro “sensibilità”
particolare e una “percezione” loro propria, mentre invece si tratta di
fedeltà alla dottrina della Chiesa di sempre. Tutti questi eufemismi
mostrano la diplomazia del cardinale, ma non riescono a nascondere il suo
imbarazzo: come regolare la dolorosa situazione della Fraternità
San Pio X senza sollevare le questioni dottrinali? Francamente, se
si trattasse solo di dissipare la “perplessità” dei vescovi e di
riconoscere la legittimità della “sensibilità” tradizionalista,
credo che la crisi sarebbe stata già risolta da lungo tempo. Ciò
che è in ballo, invece, è tale da superare largamente sia
le perplessità sia le sensibilità.
DICI: Non teme di apparire irrigidito in un atteggiamento
costantemente critico e negativo?
Mons. Fellay: Al contrario, fin dall’inizio delle
conversazioni con il cardinale Castrillon Hoyos, abbiamo avanzato delle
proposte positive. Ma per prima cosa è necessario assicurarsi della
solidità dei pilastri che sosterranno il ponte tra Roma e noi. Questi
pilastri sono dottrinali, non si può sottacere questa realtà,
perché diversamente si andrebbe incontro, in tempi più o
meno brevi, al fallimento di tutti gli sforzi di avvicinamento. La soluzione
del cardinale consiste in un accordo pratico, con la più ampia minimizzazione
delle divergenze di fondo. È possibile? È possibile scongiurare
la durezza della crisi che scuote la Chiesa con delle espressioni addolcite?
Io penso di no!
DICI: Secondo lei, dunque, si tratta della dottrina,
tutta la dottrina o niente? Questa posizione di «tutto o niente»
non manca di realismo?
Mons. Fellay: Noi siamo fermi, ma non chiusi.
Senza alcun dubbio la dottrina è fondamentale, ma siamo convinti
che vi siano delle tappe preliminari da osservare. È per questo
che abbiamo proposto alle autorità romane, fin dall’inizio, due
condizioni che permetterebbero di creare un clima di fiducia favorevole
alla soluzione del problema di Ecône: il ritiro del decreto di scomunica
contro i vescovi della Fraternità e il diritto per ogni sacerdote
di celebrare la Messa tradizionale.
DICI: Come potrebbe realizzarsi questo ritiro del decreto
di scomunica?
Mons. Fellay: Quello che è stato fatto
per gli ortodossi, a fortiori si potrebbe fare per noi. Roma ha tolto la
scomunica che li colpiva senza che loro avessero cambiato alcunché
nel loro atteggiamento verso la Santa Sede. Non si potrebbe attuare la
stessa misura nei nostri confronti, che non ci siamo mai separati da Roma
ed abbiamo sempre riconosciuta l’autorità del Sommo Pontefice,
come venne definita dal Concilio Vaticano I? In effetti, i quattro vescovi
consacrati nel 1988 hanno prestato giuramento di fedeltà alla Santa
Sede e da allora hanno sempre professato il loro attaccamento alla Santa
Sede e al Sommo Pontefice. Hanno attuato ogni sorta di disposizione per
dimostrare che non avevano intenzione di costituire una gerarchia parallela
? cosa che ho ricordato ancora in occasione della mia conferenza stampa
dello scorso 2 febbraio a Roma. Questo ritiro del decreto di scomunica
creerebbe un nuovo clima, indispensabile per andare oltre. Tra le altre
cose, esso permetterebbe ai sacerdoti e ai fedeli perseguitati di considerare
il loro attaccamento alla Tradizione come una cosa non colpevole, bensì
motivata da quegli stessi scandali liturgici gravi che la Redemptionis
sacramentum giustamente menziona senza tuttavia considerarne la causa,
che indubbiamente consiste nella riforma liturgica stessa.
DICI: E voi chiedete questo ritiro in modo unilaterale,
senza impegnarvi in alcuna contropartita?
Mons. Fellay: Se il decreto di scomunica fosse
ritirato, i vescovi della Fraternità San Pio X potrebbero recarsi
a Roma, al pari dei vescovi diocesani che effettuano la loro visita ad
limina. In tal modo essi potrebbero rendere conto del loro lavoro apostolico
e la Santa Sede potrebbe constatare lo sviluppo dell'«esperienza
della Tradizione» che Mons. Lefebvre ha sempre auspicato per il bene
della Chiesa e delle ànime. Non sarebbe necessario assumere preliminarmente
degli impegni. Si tratterebbe di presentare un resoconto, per la Fraternità,
e di una presa di coscienza, per Roma, circa lo sviluppo dell’esperienza
della Tradizione.
DICI: Non ha l’impressione che siate stati ascoltati,
almeno per quanto riguarda la vostra seconda richiesta, e cioè
il riconoscimento del “diritto di cittadinanza” della Messa tridentina?
Mons. Fellay: Io non posso non approvare lo sforzo
lodevole del cardinale Castrillon Hoyos per riabilitare la Messa, ma
al tempo stesso non posso non constatare un certo imbarazzo: un diritto
di cittadinanza concesso dal Santo Padre è un diritto o una concessione?
La differenza non è minima. Noi non vogliamo uno status particolare,
che sarebbe il segno di un qualsiasi “particolarismo liturgico”, noi chiediamo
un diritto che non è andato mai perduto: la libertà della
Messa per tutti. Poiché quello a cui siamo legati è il patrimonio
comune della Chiesa cattolica romana.
DICI: Anche se non siete chiusi al dialogo con Roma,
questo non impedisce che diate l’impressione di coltivare un certo attendismo:
wait and see! Aspettiamo e vediamo. Non pensa che sia tempo di abbandonare
questa posizione marginale e di impegnarvi, come vi viene chiesto, per
essere maggiormente efficaci nel contesto della gravissima situazione in
cui si trova la Chiesa?
Mons. Fellay: La posizione della Fraternità
non consiste nel wait and see, ma piuttosto nell’ora et labora! Nella pratica
i nostri sacerdoti lavorano alla restaurazione del regno di Nostro Signore,
nel quotidiano, presso le famiglie, nelle scuole… Questi 450 sacerdoti
sono più che impegnati, sono sovraimpegnati. Essi sono richiesti
in ogni parte del mondo, occorrerebbe che fossero tre volte di più!
La cosa che ci marginalizzerebbe veramente sarebbe una concessione che
riducesse la Tradizione in una riserva o in un àmbito particolare
della Chiesa. È proprio la nostra preoccupazione di essere efficaci
al servizio della Chiesa e delle ànime che ci obbliga a chiedere
una libertà vera per la Tradizione. Lo stato attuale della Chiesa
e del mondo è troppo grave perché noi si possa far credere
a Roma che con la semplice “sensibilità” tradizionale ? per di più
in condizioni di libertà vigilata! ? potremmo lottare realmente
contro l’“apostasia silenziosa” denunciata da Giovanni Paolo II nell’Ecclesia
in Europa. Questo sarebbe profondamente disonesto. Ma le autorità
romane, se lo vogliono, possono rendere alla Tradizione il suo “diritto
di cittadinanza” dappertutto e a tutti.
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