Omelia pronunciata da 
S. Ecc. Rev.ma Mons. Alfonso De Galarreta
Vescovo della Fraternità Sacerdotale San Pio X 

in occasione delle ordinazioni sacerdotali tenutesi a Ecône 
il 29 giugno 2004

In questa omelia Mons. De Galarreta risponde in qualche modo alle interviste 
del Cardinale Castrillon Hoyos del maggio 2004


 
 
Si vedano anche 

i testi delle interviste del Cardinale Castrillon Hoyos e le sue dichiarazioni
Intervista a The Latin Mass - Intervista a Il Giornale - Dichiarazioni

nonché l'intervista concessa da 
S. Ecc. Rev.ma Mons. Bernard Fellay, Superiore della Fraternità San Pio X, 
alla pubblicazione francese DICI


 

Eccellenze, cari confratelli nel sacerdozio, cari ordinandi, miei carissimi fratelli,

Eccoci di nuovo riuniti in questo giorno dedicato alle ordinazioni, in questa festa dei Santi Pietro e Paolo, in questo giorno di consolazione: di consolazione perché consolidiamo, assicuriamo la continuazione della fede cattolica, del sacerdozio cattolico, la continuità della vera vita della Chiesa cattolica, ed è per questo che si tratta veramente di una occasione di gioia e di consolazione, una occasione per ringraziare Iddio, poiché in tale occasione noi siamo i più felici degli uomini.

Ma, evidentemente, le nostre gioie sono sempre accompagnate dalla tristezza, non appena proviamo a volgere lo sguardo a quella che è la situazione generale della Chiesa, a quella che è l’evoluzione di tutti i problemi che interessano la vita della Santa Chiesa cattolica. Io ritengo che sia necessario provare a guardare con occhio attento e sereno la situazione, come essa è realmente.

Senza esitazione, possiamo affermare che niente cambia, non cambia niente nell’essenziale: sono sempre gli stessi principi che dirigono oggi le attività delle autorità ecclesiastiche, e quindi è chiara la condizione reale della Chiesa conciliare, della Chiesa modernista, chiamatela come volete. Si continua sempre nella stessa direzione, verso lo stesso scopo, con le medesime intenzioni, niente cambia; ed è facile illustrarlo.
Facciamo un primo esempio. Vediamo qual è il discorso che la Chiesa ufficiale fa ad extra, nei confronti del mondo, dei governi, del potere temporale, delle istituzioni. Guardate il contenuto di questi discorsi e troverete solo la dignità umana, i diritti dell’uomo, le diverse dichiarazioni dei diritti dell’uomo, la libertà, l’uguaglianza, la fraternità. È chiaro che il principio che regge oggi tutta l’azione della Chiesa nei confronti dell’esterno è la libertà di coscienza, la libertà religiosa. Ed anche quando si tratta di difendere il diritto della Chiesa o il diritto naturale si ricorre solo a tali argomenti.
Ora, bisogna dirlo, questi discorsi sono molto più appropriati per le logge che per la Chiesa cattolica. È chiaro, e voi lo sapete come me, che ogni massone è un liberale, ma non necessariamente ogni liberale dev’essere un massone.
Se guardiamo poi al principio che regge oggi tutta la vita della Chiesa ad intra, e cioè verso il suo interno, troviamo l’ecumenismo, questo ecumenismo che conduce forzatamente, necessariamente all’apostasia e alla rovina delle missioni, e quindi delle conversioni. E il peggio è che l’ecumenismo dissolve la Chiesa al suo stesso interno. Si tratta soprattutto di una dissoluzione. Benché esso si presenti come un’unione, costituisce soprattutto una dissoluzione e specialmente una dissoluzione della vera fede, della fede cattolica. Tutto va avanti in questa direzione. Abbiamo visto ripetersi l’abominazione di Assisi, e ricordiamo l’impressione che allora aveva prodotto su mons. Lefebvre. Ebbene, abbiamo rivisto il tutto a Roma, e adesso lo rivediamo a Fatima. Nulla viene risparmiato e tutto è posto al servizio di questo ecumenismo che è il motore di tutto.
E si parla anche di spiritualità ecumenica. Guardate anche all’esempio dei rapporti con gli ortodossi scismatici. Il cardinale Kasper non vede nessun problema nel sacrificare nuovamente gli Uniati sull’altare dell’ecumenismo. Lo si è già denunciato. 
Dunque, se si guarda in maniera veramente ponderata, serena, obiettiva, io vedo che la rivoluzione che si è introdotta nel seno della Chiesa raggiunge una certa perfezione, un certo coronamento.
Se giriamo lo sguardo in direzione di tutti gli àmbiti, non ve n’è uno solo in cui le autorità ecclesiastiche non abbiamo adattato tutto a questo pensiero modernista, anticristiano: sia che si tratti della teologia, dell’esegesi ­ e cioè della Sacra Scrittura -, del magistero pontificio, sai che si tratti del catechismo, della liturgia, del diritto pubblico della Chiesa, del diritto canonico, della spiritualità. E ci si serve di tutto per stabilire questa nuova religione. E quando diciamo che si tratta di una nuova religione,  evidentemente intendiamo dire che siamo al cospetto di una adulterazione del cattolicesimo. Chiaramente è la stessa cosa, e giustamente è proprio questo il problema: costoro adulterano la verità.
Secondo misure e gradi diversi, vi è uno spirito che penetra nel pensiero stesso della Chiesa cattolica e nella vita della Chiesa cattolica; e la cosa è chiara e netta: si tratta di un pensiero rivoluzionario.
Se si volesse definirlo, quali sono le sue caratteristiche? Sono il naturalismo, il liberalismo, e ciò che io ho chiamato antropoteismo, e cioè non più l’antropocentrismo, bensì il culto dell’uomo, che è veramente un antropoteismo. Ed è proprio questo che ci separa.
Secondo me, è proprio perché ci si trova in un contesto come questo che ci viene proposto un accordo puramente pratico. Cosa che è stata fatta con Campos, e in tre anni ne abbiamo visto gli effetti devastanti. È necessario che per noi sia evidente che un accordo puramente pratico è impossibile. 
Al momento di uno dei primi contatti a Roma, qualcuno ci disse: “Non discutiamo di dottrina, ci andremmo a impegolare”. Vedete, sembrerebbe una frase inoffensiva, ma è una cosa grave.
Cos’è che significa? Significa che la verità divide, ed è proprio questo che essi credono. È proprio questo che fonda la libertà religiosa e anche l’ecumenismo. Le verità divide, dunque occorre metterla da parte. E questo ricorda parecchio la frase di Pilato: “Che cos’è la verità?” E l’apostolo San Paolo ci avverte, nell’epistola ai Tessalonicesi, che Dio invierà un spirito di accecamento a questi uomini, perché non hanno ricevuto con amore la verità.


Vedete dunque che in partenza, per intenderci, manca un fondamento essenziale. 
E poi, come potremmo porci sotto l’autorità di quelli che demoliscono la Chiesa e che non intendono cambiare? È come la quadratura del cerchio! Voler conservare la Tradizione e obbedire a coloro che non vogliono cambiare rotta, che si muovono nella direzione della rottura con la Tradizione, della demolizione di tutto: si tratterebbe di una utopia, di una chimera, sarebbe come scambiare i propri desideri con la realtà. Fino a quando non vi sarà un ritorno della più alta autorità della Chiesa, non potremo fare un accordo puramente pratico. E questo per adesso non è possibile. E a suo tempo quest’accordo non sarà puramente pratico.

E vi è anche un aspetto molto importante: ogni accordo puramente pratico presupporrebbe da parte nostra una contraddizione, una dissociazione tra la fede che abbiamo nel cuore e quella che avremmo sulle nostre labbra. In altre parole, tra la fede cattolica e la confessione della fede cattolica. Questo ci metterebbe in una posizione ambigua, si tratterebbe di astuzia e non di prudenza. Poiché, almeno pubblicamente, bisognerebbe far credere che noi ammettiamo ciò che accade attualmente nella Chiesa a Roma. E io dico che noi non possiamo cooperare con coloro che vanno contro la fede cattolica, è questo che dice l’apostolo Paolo: quale accordo può esserci tra la luce e le tenebre, tra la giustizia e l’ingiustizia? Non potete portare lo stesso giogo con gli infedeli.
Io penso che questo è applicabile nel nostro caso. 

Non si tratta, dunque, di rifiutare una confusione solo dal punto di vista dottrinale, dal punto di vista teologico della fede, dal punto di vista del culto, ma anche dal punto di vista pratico dell’azione: noi non possiamo lavorare insieme, perché noi andiamo in una direzione opposta, assolutamente contraria, e si tratta della fede. Poiché la condizione implicita di un’intesa con noi ­ e se si vuole perfino la condizione esplicita, come nel caso delle cose scritte a caratteri minuscoli in un contratto ­ è che noi si riconosca il pluralismo, che noi si riconosca l’ecumenismo; e questo equivarrebbe a sostenere che la Tradizione è ammessa come un carisma particolare. Ma se noi ammettessimo questo, porremmo la verità cattolica al livello delle opinioni, e ricadremmo in pieno nel pluralismo, nell’ecumenismo, nel relativismo, nell’indifferentismo. 
Si tratta dunque di una questione essenziale. Ogni volta che ci si propone questo, è evidente che ci si propone qualcosa che può essere definita come la libera Tradizione nella libera Chiesa conciliare.
 

Prendiamo l’ultima intervista del cardinale Castrillon Hoyos, che è ormai su internet e dappertutto  - e questa pubblicità è espressamente voluta ­ e possiamo vedere che si tratta di una reazione straordinaria.  Egli dice che il problema tradizionalista si riduce ad una questione liturgica e devozionale. Dunque il nostro attaccamento alla Santa Messa sarebbe una questione liturgica e devozionale che si riduce in una questione di sensibilità e di sentimento. Tale che la nostra posizione deriverebbe dalla libertà di coscienza e si potrebbe benissimo far rientrare nell’ “unità nella diversità”. Il cardinale dice che non vi è alcun problema per il fatto che vi sono dei contrasti, a condizione che si tenga presente questa nuova unità che è fondata esclusivamente sul papa. Certo, perché si tratta proprio di un papa modernista.
Le loro intenzioni sono chiare, essi ci propongono: noi vi riconosciamo una particolarità, voi riconoscete tutto il resto. Voi riconoscete il principio che demolisce la fede, che sta demolendo la fede e anche il mondo. E dunque assistiamo veramente all’affermazione di un’altra fede, di un’altra religione, e a noi spetta di essere molto prudenti.

Forse potete dirmi che questo panorama è ben triste, alquanto desolante.
E io vi dico che la nostra consolazione non può venire dalla situazione che viviamo.
Non bisogna cercare la consolazione là dove essa non è. 

Ciò che ci consola non è la situazione che dobbiamo vivere, ma il fatto che essa viene da fuori e innanzi tutto da Dio, dalla Provvidenza. 

San Paolo ci ricorda che tutto coopera per il bene di coloro che amano Dio. È una affermazione di una portata enorme. Tutto coopera per il bene di coloro che amano Dio, non solo le cose buone, ma anche le malvagie, anche le avversità, le sofferenze, le tribolazioni. Questo vuol dire che tutto è ordinato al bene della parte più nobile dell’universo, che è il Corpo mistico di nostro Signore Gesù Cristo, e dunque la Chiesa. Tutto ciò che ci càpita è ordinato al nostro bene, posto che noi rimaniamo nell’amore di Dio, poiché tutto coopera al bene di coloro che amano Dio. 
E sant’Agostino usa una bella espressione: La tribolazione sarà ciò che tu vuoi che sia: bene provato o dannazione. Se essa ti trova come l’oro, ti purifica, toglie le scorie, se essa ti trova come la paglia, ti consuma. Ed è per questo che l’apostolo dice: “Se Dio è con noi, chi è contro di noi?” Se Dio è con noi, se noi siamo con Dio, chi è contro di noi? E questo deve darci una tranquillità profonda, certo, è una speranza soprannaturale, ma che vale molto di più di ogni speranza terrena. E la cerimonia che si svolge oggi ci fornisce proprio uno degli elementi che devono essere come il fondamento della nostra perseveranza e anche della nostra consolazione.
E noi dobbiamo fare dei progressi nell’amore per la Croce. Io credo infatti che nella realtà è questa la parola più difficile di Nostro Signore nel Vangelo: amare la Croce. Noi lo diciamo spesso, e tutto il cristianesimo è fondato su questa verità, su questo dogma di fede: l’espiazione e la redenzione per mezzo del dolore, del sacrificio, della croce. Tutta la nostra fede è fondata su questo, è questa la grande opera di Nostro Signore. 
E di conseguenza vi è una legge morale, una legge spirituale: il cristiano, e soprattutto il sacerdote, deve compiere ciò che manca alla passione di Cristo. Ecco la realtà difficile da abbracciare. E noi dobbiamo farlo, è l’apostolo san Paolo che lo dice ai Colossesi: Io gioisco delle mie sofferenze per voi, e ciò che manca alle sofferenze di Cristo io lo compio nella mia carne per il Suo Corpo, che è la Chiesa; e poi aggiunge: È per questo che ti faccio ministro.
Dunque, se questo principio dell’amore per la croce è una necessità, esso si applica soprattutto al nostro sacerdozio, al punto tale che la nostra fedeltà al sacerdozio dipende dal nostro amore  per la croce, e tutta la questione è questa, è questa tutta la nostra questione. Nostro Signore è molto chiaro: Se il grano di frumento non cade in terra e non muore, resta solo, se muore, fruttifica molto. Colui che  non odia la sua ànima in questo mondo non può essere fedele. E aggiunge: se qualcuno mi vuol servire, mi segua: si quis mihi ministrat, sequatur me.
Dopo l’entrata trionfale a Gerusalemme Egli parla proprio del sacerdozio. Dunque, questo amore per la croce, al quale, cari ordinandi, dovete dedicarvi, che dovete acquisire, approfondire, questo amore sarà la garanzia della vostra perseveranza.
Esso ci protegge, per esempio, dal desiderio smodato del successo, della riuscita, che è stata una occasione di caduta per molti. Bisogna accettare la croce con pazienza, con una visione soprannaturale. È in questo che si trova la fecondità. E questo può anche evitare i pericoli di questo mondo che ci rigetta, che ci attrae, che ci seduce. E questa è anche la chiave per risolvere i problemi di ogni famiglia cattolica. Come fare perché i vostri figli conservino la fede cattolica? 
In definitiva, io credo che non vi sia altro che l’amore per la croce, l’amore per il sacrificio. Vi è una salvaguardia, un allontanamento, una separazione e dunque una rinuncia che è inevitabile, se non si vuole rimanere contaminati dallo spirito del mondo.
È come se vi fosse la peste che si diffonde. Una volta che si contrae la peste è molto difficile venirne fuori. Il rimedio migliore è non contrarla, evitarla. E per evitarla occorre prendere delle precauzioni. Ebbene, qui è la stessa cosa!
Più il tempo passa, più la soluzione per preservarci, per mantenerci, consiste nell’allontanamento, nella separazione da questo mondo. Voi mi direte: questo è molto duro. Si, questo è molto duro, ma sarebbe ancora più duro perdere le generazioni che verranno dopo di noi e perdere le nostre ànime. 
E la ragione profonda di questa necessità di abbracciare innanzi tutto la croce sta nel fatto che la croce, il sacrificio, la sofferenza sono come la condizione e il compimento della carità, dell’amore. È proprio quello che ci mostra Nostro Signore. Perché questo bisogno di soffrire? Potremmo chiedercelo: ma infine, perché? A parte il fatto che vi è il peccato originale e che occorre ripianare la giustizia. Ma questa stessa giustizia si ripiana soprattutto con l’amore necessario per questo sacrificio. L’essenza del sacrificio di Nostro Signore è quest’amore di Nostro Signore che giunge alla sua perfezione, alla sua pienezza, il Giovedì Santo, al momento dell’istituzione dell’Eucaristia, e il Venerdì Santo. E l’amore più grande della Santa Vergine per noi consiste nella sua compassione ai piedi della Croce. Dunque la croce, il sacrificio, sono molto semplicemente la condizione e il compimento dell’amore, del perfetto amore per Dio, per il prossimo e per sé stessi.

E noi abbiamo ricevuto un aiuto straordinario nella persona di mons. Marcel Lefebvre, il nostro fondatore. È evidente che Dio offre i modelli necessari ad ogni epoca. Che dona le grazie e gli uomini necessari e gli esempi necessari per ogni epoca. Basterebbe dunque approfondire il patrimonio che ci ha lasciato Monsignore, imitarlo al meglio per essere molto più santi. E io credo proprio che se noi non siamo più santi è perché non seguiamo abbastanza l’esempio di mons. Lefebvre.
Vi parlo, per esempio, della fermezza nella fede necessaria oggi. Vedete quale esempio di fermezza incrollabile sui principi, sulla fede, quale coerenza tra la sua fede e la sua vita, ed anche quale veracità: est, est, non, non. Quale prudenza. Egli era estremamente prudente, perspicace, ma anche molto forte e molto semplice, molto franco. Se si trattava di quella fiducia che occorre avere nella Provvidenza, egli ci inculcava sempre di seguire la Provvidenza, di non precederla mai, di non sostituirsi mai alla provvidenza; quando si precede la Provvidenza ci si sostituisce alla Provvidenza. Dunque egli aveva l’umiltà, egli sapeva quel che era. Egli non scambiava mai sé stesso per la Chiesa o per la Provvidenza. E al tempo stesso egli aveva una grande fiducia perché non fidava in sé stesso, ma in Dio, nella Provvidenza che non abbandonerà la sua Chiesa, né la vera fede. E questa fiducia interamente fondata sulla Provvidenza divina e sul soccorso divino gli permetteva di essere magnanimo. E noi siamo qui grazie a mons. Lefebvre.
E anche l’amore per la croce. E io penso che gli ci ha insegnato l’amore per la croce nel modo più dolce e più adatto alle nostre miserie e alle nostre debolezze, l’amore per il Santo Sacrificio della Messa e una spiritualità fondata sul Santo Sacrificio della Messa. E questa maniera di accostarsi al mistero della croce per mezzo della Santa Messa, è molto consolante. 

E poi nella dedizione, nello zelo, con la carità, con l’amore di Dio e l’amore per le ànime, ecco il suo modo di vivere il mistero della croce e l’amore per la croce. Ed è questo che Dio ci domanda. Non c’è bisogno di cercare altrove, vi sono sufficienti elementi e condizioni e situazioni per vivere profondamente tutto questo. 
Ed egli ci ha trasmesso questo amore per la croce, che consiste nel donare tutto e nel donarsi tutto totalmente, come dice con gioia  san Tommaso. 
San Paolo dice che Dio ama coloro che donano con gioia. Mons. Lefebvre ce lo ha insegnato. 
In questa crisi per la difesa della vera fede e della santità, seguiamo quindi i passi di coloro che ci hanno preceduti nella buona battaglia e che hanno avuto delle grazie straordinarie.

In questo giorno, chiediamo dunque alla Vergine Santissima e al suo Cuore Immacolato, poiché è a Lei che Iddio ha affidato la situazione attuale e i suoi apostoli ­ ben presto gli apostoli degli ultimi tempi -; più ci avviciniamo ai tempi ultimi, più il ruolo della Santissima Vergine Maria è importante nei confronti della Chiesa, nei confronti della storia, nei confronti degli apostoli. Domandiamo quindi alla Santissima Vergine Maria di darci questa fedeltà sacerdotale seguendo l’esempio di mons. Lefebvre, essendo forti nella fede, ed essendo, per  così dire, intrattabili a proposito della fede. Ma chiediamo anche di avere quella fede profonda nell’amore di Dio, che era la sua divisa: Credidimus caritati, abbiamo creduto nell’amore di Dio. E questo amore di Dio, di nostro Signore Gesù Cristo, è l’amore per la croce e per il sacrificio.

Che la Santa Vergine ci doni veramente tutto questo amore e questo zelo che è l’ardore dell’amore, questo amore crocifisso, sacrificato per le ànime, per la Santa Chiesa, per l’onore di Dio e della Santissima Vergine Maria, nostra Madre.
Così sia.



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