L’eredità di Papa Francesco: un bilancio teologico

prima parte

 





28 marzo 2011 - Mons. Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires



Presentiamo un saggio sulla valutazione teologica del pontificato di Papa Francesco, che sarà pubblicato in sei parti. Il testo completo sarà pubblicato in formato pdf insieme alla parte finale.


Alla fine di dodici anni di pontificato contrassegnato da gesti audaci e da profonde riforme, Papa Francesco lascia una eredità teologica contrastata.

Mai, nei secoli, un Papa aveva suscitato una opposizione così esplicita in seno all’episcopato – alcuni cardinali sono arrivati perfino a rivolgergli pubblicamente dei “dubia”. Al tempo stesso, egli ha ricevuto il costante sostegno delle correnti più progressiste della chiesa.
Il suo pontificato non ha lasciato nessuno indifferente.
 
E’ opportuno quindi individuare i temi principali di questo pontificato, per metterne in luce la trama e la logica interna.
 
Attraverso questa analisi si tratterà di comprendere, non solo le scelte teologiche che hanno guidato Francesco nelle sue riforme, ma anche il visione d’insieme che emerge dietro le sue iniziative e che ha segnato durevolmente la storia della Chiesa. 


I - Prima di Francesco: la teologia socio-politica di Jorge Bergoglio

Primo Papa gesuita e primo Papa venuto dal continente americano, il cardinale Jorge Mario Bergoglio si presentò, la sera della sua elezione, come proveniente dalla «fine del mondo». Questa semplice espressione segnava già una rottura: per la prima volta dopo secoli la chiesa non era più guidata da un Pontefice proveniente dalla vecchia Europa, la culla storica che aveva fornito tutti i suoi Papi fino ad allora.

 
1. Origini e formazione

Nato da genitori di origine italiana – suo padre era nato nella penisola – Jorge Mario Bergoglio è stato profondamente influenzato dalla sua storia familiare. Figlio di emigrati, egli nutrirà per tutta la vita una particolare sensibilità per la questione della migrazione: la vedeva come una ricchezza per i paesi d’accoglienza e insisteva sul dovere della ospitalità incondizionata.
Questa esperienza personale alimenterà anche una certa distanza critica dall’Europa, che percepiva come stanca, invecchiata e talvolta ripiegata su se stessa.

Entrò a far parte dei Gesuiti a 22 anni e fu ordinato sacerdote nel dicembre 1969, all’età di 33 anni, e scalò rapidamente i ranghi: maestro dei novizi, poi provinciale. Questi anni coincisero con un periodo di grande tensione in Argentina: il colpo di Stato militare del 24 marzo del 1976 pose il paese sotto il controllo di una giunta. In questo contesto politico esplosivo, la Chiesa dell’America Latina fu profondamente scossa dall’ascesa della teologia della liberazione, allora in pieno sviluppo (1).

Jorge Mario Bergoglio non vi aderì positivamente. Questa corrente di pensiero, basata su categorie marxiste e che propugnava la rottura rivoluzionaria, venne formalmente condannata da Roma.
Tuttavia, il futuro Papa Francesco si avvicinò ad un ramo più moderato, noto come «teologia del popolo», che segnerà per sempre il suo pensiero e la sua pastorale.


2. La «teologia del popolo»: ascoltare la voce della saggezza

In Fratelli tutti, Francesco metterà in guardia contro la tentazione di strumentalizzare la nozione di popolo: «La pretesa di stabilire il populismo come  griglia di lettura della realtà sociale (2) […] ignora la legittimità della nozione di popolo», favorisce la demagogia e minaccia la democrazia, che dice di essere «il governo del popolo» (3).

Per lui, il popolo non è una semplice massa anonima, né un dato immediato.
Lo spiega così: «Far parte di un popolo significa far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questo non è qualcosa di automatico: al contrario, è un processo lento, difficile... verso un progetto comune» (4).

Egli distingue quindi i veri capi popolari, capaci di leggere nel cuore di un popolo e di esprimerne le aspirazioni, dai capi demagoghi che sfruttano le culture collettive per il proprio potere personale (5).
Questa distinzione preannuncia già una delle chiavi di lettura del suo pontificato: la Chiesa deve accompagnare i popoli, non manipolarli.

È in questo contesto concettuale che si inserisce la «teologia del popolo». Essa insiste sull’ascolto delle popolazioni – in particolare delle più povere –, che considera come luoghi teologici, ovvero come spazi in cui Dio parla e agisce (6): il teologo deve mettersi in ascolto della saggezza popolare, che per Jorge Bergoglio è un riflesso della Saggezza divina – anche quando queste popolazioni non sono state ancora evangelizzate.
Egli paragona queste culture a «pietre di attesa» del Vangelo, cariche di intuizioni religiose e morali, già portatrici, in particolare nella poesia e nei racconti mitici, di un soffio annunciatore dello Spirito (7).

Secondo lui, in un certo senso, la saggezza delle culture primitive dovrebbe svolgere rispetto all’evangelizzazione un ruolo paragonabile a quello che la filosofia greca aveva svolto per la diffusione del Vangelo in Europa...
La differenza è tuttavia notevole: mentre la filosofia greca forniva soprattutto strumenti razionali per formulare e difendere la fede, le culture primitive offrono elementi di portata direttamente religiosa, ma secondo una visione del mondo fondamentalmente naturalistica e immanentista.

Da ciò deriva un programma pastorale:
- accogliere la religiosità popolare, non come una superstizione da correggere, ma come un’espressione autentica di fede, da accompagnare e da pensare teologicamente;
- attraverso l’inculturazione, radicare il Vangelo nelle tradizioni locali, rispettandone la ricchezza e l’originalità;
- concedere spazio alle periferie, non solo geografiche ma anche esistenziali, per discernere l’azione dello Spirito.

Così, durante la crisi economica argentina del 2001, l’arcivescovo di Buenos Aires va incontro ai «nuovi poveri» e agli emarginati, per vivere un’esperienza di discernimento, con loro e attraverso di loro. Questa pratica di consultazione ispirerà in seguito la sua visione di un cammino sinodale su scala universale.


3. Il «mito del popolo»: un attore collettivo della storia

Questi anni plasmano in Jorge Bergoglio una profonda convinzione: il popolo non è solo un soggetto sociologico o politico, ma un attore della storia, portatore di una vocazione spirituale e fondamentalmente innocente. Egli parla così del «santo popolo fedele di Dio – santo pueblo fiel de Dios», detentore di un diritto innato a tre realtà fondamentali: tierra, techo, trabajo – una terra, un tetto, un lavoro.

Questa visione fu alimentata dal pensiero di un filosofo tedesco, Rodolfo Kusch, a cui egli fa spesso riferimento:
«Rodolfo Kusch […] mi ha fatto capire una cosa: la parola “popolo” non è una parola logica. È una parola mitica. […] Per comprendere un popolo, bisogna entrare nella sua mente, nel suo cuore, nel suo lavoro, nella sua storia e nel mito della sua tradizione. […] Il popolo non è una categoria logica, è una categoria mitica» (8).

In altre parole, il popolo non si riduce a una somma di individui. È una realtà vivente, dotata di un’anima collettiva e portatrice di innocenza.
Questo approccio spiega la vicinanza di Francesco ai «movimenti popolari», ai quali affida la speranza di un futuro più giusto. Egli immagina persino un processo politico che superi i consueti schemi della democrazia rappresentativa, dando voce e potere agli emarginati, portatori della speranza di un cambiamento reale.

Di fronte a questo popolo emarginato, Francesco denuncia i sistemi economici che vivono di guerra e distruzione: «un’economia che uccide» (9), secondo la sua espressione significativa. È così che interpreta l’attuale globalizzazione come una «terza guerra mondiale a pezzi» (10), generata da logiche economiche disumanizzanti.

Questa visione del popolo, dei suoi diritti e della sua missione storica, costituisce la matrice del pensiero di Francesco. Spiega il suo attaccamento all’inculturazione, il suo interesse per le periferie e la sua critica alle strutture economiche denunciate come ingiuste.
Ma per trasformare questa intuizione in un progetto pastorale universale, ha bisogno di un principio teologico centrale: sarà la misericordia, motore della riforma della Chiesa e chiave della sua visione dell’unità.


NOTE

1 - Nate negli anni ‘70, le teologie della liberazione derivavano dalla Conferenza di Medellín del Consiglio episcopale latinoamericano. In particolare, hanno incoraggiato e sviluppato l’esercizio della rilettura biblica (in particolare dei Vangeli) alla luce della sociologia marxista, con l’obiettivo di promuovere trasformazioni radicali della società.
2 - «Si pretende di classificare tutte le persone, i gruppi, le società e i governi sulla base di una divisione binaria: “populista” o “non populista” (Fratelli tutti, n° 156)».
3 - Fratelli tutti, n° 157.
4 - Ibid., n° 158.
5 - Cfr. Fratelli tutti, n° 159.
6 - Un luogo teologico è una fonte riconosciuta dalla Chiesa, da cui il teologo attinge gli elementi della Rivelazione per esercitare la scienza teologica: la Sacra Scrittura, la Tradizione, la liturgia sono luoghi teologici.
7 - In Laudato si’ (n° 145), Francesco afferma che la scomparsa di una cultura indigena è più grave della scomparsa di una specie animale o vegetale, perché cancella un’espressione unica della Sapienza divina incarnata nella storia umana.
8 - Politica e società, libro-intervista pubblicato nel 2017 con il sociologo Dominique Wolton. Ci troviamo qui di fronte a una categoria classica del modernismo, ma amplificata nella sua portata: si tratta della trasposizione logica dei dati dell’esperienza individuale all’esperienza e alla cultura di un intero popolo. La religiosità diventa così il fondamento della religione, mentre ci si aspetterebbe il contrario.
9Evangelii Gaudium, n° 53.
10 - Omelia a Redipuglia, 13 settembre 2014.



 


 
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