LETTERA DEL CARDINALE DARIO CASTRILLON HOYOS
PREFETTO DELLA CONGREZIONE PER IL CLERO
A MONS BERNARD FELLAY,
SUPERIORE GENERALE DELLA FRATERNITÀ SAN PIO
X
aprile 2002
(le sottolineature sono nostre)
Prot. N. 20020007/FSPX
Dal Vaticano, 5 aprile 2002
A Sua Eccellenza Reverendissima
Mons. Bernard Fellay
Superiore Generale della Fraternità San Pio
X
Caro Fratello nel Signore,
Fin da quando sono iniziati i nostri contatti fraterni, per trovare
insieme la strada verso la piena comunione, io credo che abbiamo sperimentato
la sollecitudine del Signore misericordioso: in vero Egli non ci ha risparmiato
il Suo aiuto e il Suo sostegno per mettere insieme il tanto che ci unisce
e per cercare di superare ciò che ancora ci divide.
A suo tempo, ho letto con attenzione, nella preghiera e non senza sofferenza,
la Sua lettera del 22 giugno scorso. Ho anche preso visione di alcuni documenti
riguardanti le nostre conversazioni, redatti da membri della Fraternità
San Pio X, pubblicati su internet e distribuiti ad altri mezzi di comunicazione.
Ho anche letto le lettere dei Vescovi della Fraternità San Pio X,
le interviste concesse da Vostra Eccellenza e le lettere che mi avete inviate.
Fino ad oggi, da parte mia, non ho mai accettato di concedere interviste
su questo argomento, per mantenere il riserbo sui particolari dei nostri
colloqui: essi hanno sempre avuto un carattere interlocutorio e discreto,
anche in forza della grande responsabilità che in coscienza io nutro
per questa materia.
Adesso, per amore della verità, mi sembra opportuno precisare
qui alcuni aspetti dello svolgimento di questa riconciliazione, allo scopo
di imprimerle nuovo slancio, nella franchezza, per superare eventuali diffidenze
e malintesi che ne comprometterebbero il compimento, che, non ne dubito,
è desiderato anche da Vostra Eccellenza.
In effetti, l’argomento che trattiamo avrà delle conseguenze
storiche particolarmente importanti, poiché attiene all’unità,
alla verità e alla santità della Chiesa, e dunque occorre
trattarlo con la carità ma anche con l’oggettività della
verità. Nostro unico giudice è Cristo Signore.
Mi permetta allora di fare una breve sintesi storica del nostro percorso:
1. Innanzi tutto devo ribadire una verità storica, che
è alla base di tutto. Diversamente da ciò che è stato
scritto e diffuso, la mia prima iniziativa non è stata dettata da
un qualche mandato pontificio, né è stata il frutto di un
accordo o di un progetto di qualcuno della Sede Apostolica, come se si
trattasse di una strategia definita. Come ho avuto occasione di dire piú
volte, l’iniziativa del dialogo è stata del tutto personale.
Nella seconda settimana di agosto del 2000, ritornando dalla Colombia,
tramite la stampa che ci è stata offerta sull’aereo, e solo tramite
essa, ho appreso che la Fraternità San Pio X partecipava al Giubileo.
Motu proprio, e senza parlarne con alcuno, decisi di invitare in privato
i quattro Vescovi della Fraternità a pranzo da me.
L’incontro con i fratelli Vescovi era un gesto d’amore fraterno, l’occasione
per una reciproca conoscenza. Ho avuto dunque la gioia di incontrare Vostra
Eccellenza, insieme con i Monss. Tissier e Williamson.
Come ricorderà, non abbiamo trattato alcun argomento di fondo,
anche se, naturalmente, abbiamo parlato dei riti liturgici, ed io ho cosí
potuto conoscere alcuni aspetti della vita attuale della Vostra Fraternità.
Ho espresso pubblicamente la buona impressione che mi hanno fatto i
suddetti Presuli.
In seguito, resi conto dell’incontro al Santo Padre, e ricevetti da
parte sua della parole di incoraggiamento. Espressi il desiderio di mantenere
i contatti per vagliare le possibilità di questa unità tanto
agognata. Il Sovrano Pontefice mi chiese di continuare, ed manifestò
la sua chiara volontà di accogliere la Fraternità San Pio
X, promuovendo le condizioni necessarie per tale accoglienza.
Qualche tempo dopo, ho letto, con intima soddisfazione, l’intervista
che Vostra Eccellenza ha concesso alla rivista 30 Giorni.
Il giornalista Le metteva sulle labbra queste parole: “Se il Santo Padre
mi chiama, io vado, anzi corro…”.
Ebbi occasione di parlare col Santo Padre di questa intervista, nella
quale Vostra Eccellenza esprimeva liberamente e spontaneamente il suo pensiero:
e il Santo Padre mi manifestò ancora una volta la Sua generosa volontà
di accogliere la Vostra Fraternità.
Di conseguenza, presi contatto con i Cardinali Angelo Sodano, Segretario
di Stato di Sua Santità, Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, Jorge Medina Estévez, Prefetto della
Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, nonché
con Sua Eccellenza Mons. Juliàn Herranz, Presidente del Pontificio
Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi. Tutti manifestarono
la loro soddisfazione in vista di una eventuale soluzione delle difficoltà.
Consultai anche i Cardinali Augustin Mayer e Alfonso Maria Stickler, che
furono dello stesso avviso.
Cosí abbiamo studiato i problemi teologici fondamentali, già
presenti nel 1988 quando si preparò un accordo con Sua Eccellenza
Mons. Lefébvre.
Non ci è sembrato che fossero sorti dei nuovi problemi.
In seguito abbiamo cominciato a valutare alcune forme giuridiche che
potessero rendere possibile un reinserimento, che a tutti appariva piú
che augurabile. Nel corso della storia, la sollecitudine per l’unità
della Chiesa è sempre stata una costante del Soglio di Pietro.
A tutti è parso opportuno che, se Vostra Eccellenza fosse stato
d’accordo, il sottoscritto avrebbe potuto fissare un nuovo incontro a carattere
interlocutorio. Non si trattava di discutere di problemi teologici di fondo,
ma di spianare il cammino per la riconciliazione.
2. Ho dunque invitato Vostra Eccellenza per iscritto, e Lei ha
amabilmente accettato l’invito e l’incontro ebbe luogo il 29 dicembre 2000.
Come Vostra Eccellenza sa bene, allora abbiamo valutato la possibilità
della riconciliazione e del ritorno alla piena comunione come un frutto
concreto e particolare dell’Anno Giubilare. Ed abbiamo concluso l’incontro
con un pranzo da me, al quale prese parte il Rev. Michel Simoulin, in un
clima molto fraterno e cordiale.
Informato di questa nuova riunione, malgrado il cumulo di impegni di
quegli ultimi giorni del Grande Giubileo, il Santo Padre vi ha ricevuto
insieme all’abbé Simoulin, il 30 dicembre 2000, nella Sua cappella
privata. Dopo alcuni minuti di silenziosa preghiera, il Santo Padre ha
recitato il Pater noster, seguito dalle persone presenti, poi le ha salutate
augurando loro un “Santo Natale”, e le ha benedette offrendo loro dei rosarii
e incoraggiandole a continuare il dialogo intrapreso.
Nello stesso Palazzo Apostolico, e in presenza di uno dei Segretarii
personali del Santo Padre, ho letto a Vostra Eccellenza il Protocollo del
dialogo del giorno precedente, che sarebbe stato trasmesso al Santo Padre.
Lei ha manifestato il suo accordo, precisando due punti: 1. la preghiera
per il Papa nel Canone della Messa non è un Suo merito, ma era una
precedente disposizione di Mons. Lefébvre; 2. la riserva sul Concilio
Vaticano II riguarda in modo particolare la “libertà religiosa”,
in quanto non si possono limitare i diritti di Cristo sull’ordinamento
pubblico. Il Segretario ha preso nota per riferire al Santo Padre.
Per maggior chiarezza, mi permetto di trascrivere qui il detto Protocollo:
Il 29 dicembre, come previsto, ho avuto un incontro a carattere
interlocutorio con S. E. Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della
Fraternità San Pio X. L’incontro è stato caratterizzato da
viva cordialità e da spirito di fede.
1. Posizione di Sua Eccellenza Mons. Fellay
1.1 Egli manifesta la sua volontà di essere pienamente cattolico.
1.2 Egli riconosce Sua Santità Giovanni Paolo II come Successore
di Pietro e vuole sottomettersi alla Sua autorità. Egli ha fatto
fare ai seminaristi la promessa di pregare per il Santo Padre e di citare
il nome di Sua Santità Giovanni Paolo II nel Canone della Messa.
1.3 Egli accetta il Concilio Vaticano II mentre richiama delle difficoltà
su alcuni punti.
1.4 Principali difficoltà:
- ritornando nella piena comunione egli non intende rinunciare alla
lotta contro il modernismo nella Chiesa, la liberalizzazione, la democraticità
e l’influenza della massoneria;
- l’esperienza del passato gli impedisce di essere fiducioso e gli
fa temere che la Fraternità venga maltrattata e abbandonata, perdendo
di conseguenza il suo carisma di difesa della Tradizione;
- egli considera che la Messa di Paolo VI presenta dei silenzi che
aprono la via alla protestantizzazione (i celebranti laici) e che non sottolineano
la dimensione sacrificale della Messa;
- riguardo al Sacramento della Cresima egli considera - ma la cosa
va approfondita - che l’olio d’oliva è una materia ad validitatem;
in caso di dubbio, nei confronti di alcuni candidati, essi procedono ad
una nuova amministrazione sub conditione; egli considera inoltre che certe
traduzioni della formula non sono teologicamente esatte;
- egli crede che il Diritto Canonico apra la strada ad una concezione
democratica della collegialità (le Conferenze Episcopali), presentando
la collegialità a detrimento del primato petrino;
- egli sostiene che il testo conciliare sulla libertà religiosa
si presta a delle interpretazioni relativiste e tendenti al protestantesimo;
- egli ritiene che vi è una forma di ecumenismo che fa perdere
la nozione dell’unica Chiesa, col pericolo di una mentalità protestante
(S. Em. Mons. Kasper parla di abbandono dell’ecumenismo “di ritorno”, per
un ecumenismo “di comune cammino”, che orienta i cristiani verso l’unità
riconciliata).
2. La mia posizione
2.1 Il Santo Padre ha le braccia aperte.
2.2 Al presente si ratificherà la posizione dei Vescovi,
e per l’avvenire, quando il caso si presenterà, si userà
la presentazione della terna.
2.3 La Fraternità sarà una Società di Vita
Apostolica con rito speciale.
2.4 Si segue il Protocollo firmato dal Card. Ratzinger e da S. E.
Mons. Lefébvre.
2.5 Vi sarà la Commissione speciale con la partecipazione
dei Vescovi della Fraternità, come previsto nel Protocollo.
2.6 Naturalmente, la scomunica verrà tolta e si procederà
alle sanatorie necessarie ad normam iuris.
Alcuni giorni dopo mi fu chiesta udienza da Vostra Eccellenza, che
era accompagnato dall’ex Abate benedettino dom Thomas Niggel (Weltenburg)
e da Don Simoulin. Il dialogo fu molto intenso e si prolungò per
alcune ore. Con molta onestà Vostra Eccellenza ha presentato
alcuni dei suoi punti di vista relativi alla Santa Messa e le difficoltà
prevedibili in questo processo. Allora mi sembrava chiaro che non venisse
negato alcun dogma, né l’Autorità Pontificia. Mentre invece
ci si trovava al cospetto di difficoltà di interpretazione teologica,
di valutazione della vita e della crisi della Chiesa, di chiarimenti o
di interpretazioni di certi testi del Concilio Vaticano II.
Considerai che questi dialoghi su precisazioni teologiche, certo importanti
e non esenti da difficoltà, avrebbero potuto svilupparsi all’interno
della Chiesa, dopo aver raggiunto la piena comunione sostanziale, la quale,
tuttavia, non esclude una sana critica. I miei coadiutori e i Cardinali
particolarmente implicati nella questione condividevano il mio parere su
questo punto.
Dopo questi avvenimenti, sottolineando la Vostra buona volontà,
e basandomi sul fatto che la Vostra Fraternità non diffondeva certo
alcuna dottrina eretica, né coltivava alcuna attitudine scismatica,
mi ero permesso di proporLe, senza consultare preventivamente nessuno,
di stabilire una data possibile per il reinserimento. Proposi come data
possibile la Solennità della Pasqua 2001, e Vostra Eccellenza, benché
sorpreso, non escluse questa possibilità, facendo presente che probabilmente
sarebbero sorti alcuni problemi all’interno della Fraternità.
Mi sono dunque preoccupato di ricercare una formula che fornisse alla
Vostra Fraternità la piena garanzia di mantenere il suo carisma
di servizio alla Tradizione, di assicurare il rito della Messa di San Pio
V e di continuare pienamente i suoi sforzi per la salvaguardia della sana
dottrina e per la difesa della disciplina e della morale cattoliche.
Non credo che questa mia chiara attitudine e la mia stessa dichiarazione
di intenti, si possano interpretare correttamente nel senso di una conversione
della Chiesa di Roma che oggi dovrebbe ricercare il “depositum fidei” in
seno alla Fraternità San Pio X, come hanno fatto alcuni dei vostri.
E tanto piú non si dovrebbe giungere alla conclusione che la mia
ricerca del dialogo significhi riconoscere l’incapacità della Chiesa
universale a uscire da una crisi interna. In effetti, ciò che
è stato detto nei nostri dialoghi, trascritti nei protocolli, è
cosa del tutto diversa: noi abbiamo parlato del lavoro comune tra fratelli
per promuovere la santità della Chiesa, la quale è semper
reformanda nella vita dei suoi membri.
Il Santo Padre recevette con soddisfazione il resoconto integrale di
questa riunione, ed espresse nuovamente la sua disponibilità a mantenere
le braccia aperte per la riconciliazione.
A questo punto io convocai una riunione plenaria della Commissione
Ecclesia Dei, con tutti i suoi Membri, ed anche con la presenza delle Loro
Eminenze i Cardinali Felici, Mayer e Stickler, spiegando loro l’avvio di
questo percorso e lo stato attuale della questione.
Poco dopo il Santo Padre ha nominato, per la prima volta, Membri
della Commissione i Cardinali Ratzinger, Medina, Billé e S. E. Mons.
Herranz. Fra i vostri non è mancato chi ha interpretato questo gesto
come una manovra destinata a controllare, dominare ed assorbire la Fraternità
San Pio X.
3. Anche Lei, caro Mons. Fellay, dopo aver ascoltato alcuni membri
della Fraternità ed aver riunito il vostro Consiglio, mi ha inviato
il Segretario della Fraternità San Pio X, don Selegny, accompagnato
da don Simoulin, con l’incarico di presentare alcune questioni relative
alla formula di un eventuale reinserimento. Il Segretario, dopo aver
ascoltato le mie articolate risposte alle sue numerose domande, si è
espresso in maniera estremamente dura a proposito dell’attuale rito della
Santa Messa, rito che seguono i fedeli uniti al Vicario di Cristo e ai
loro Vescovi, affermando che questo rito sarebbe “malvagio”; inoltre mi
ha informato di aver ricevuto da parte Sua il mandato per sospendere i
colloqui se non fossero state soddisfatte due condizioni preliminari: la
rimozione della scomunica e il permesso per tutti i preti cattolici di
celebrare secondo il rito detto di San Pio V.
Devo dire che sono rimasto afflitto e perplesso, perché questo
passaggio non rientrava nella linea del clima di fede, di cordiale fraternità
e di reciproco rispetto che fino ad allora aveva sostenuto ed animato i
nostri rapporti.
Fin dall’inizio, partendo da questa fondamentale buona disposizione,
si era coltivata la speranza di poter metter fine alla situazione irregolare
in cui si trova la vostra Fraternità; e questo anche perché
non notavo né sentore di eresia, né volontà di
giungere da parte vostra ad uno scisma formale, ma solo il desiderio di
contribuire al bene della Chiesa universale, considerando che lo specifico
carisma della Fraternità San Pio X nei confronti della Tradizione,
nell’attuale contesto, avrebbe potuto essere solo profittevole per il cammino
della Chiesa.
Non si trattava assolutamente di una “trappola”, tesa per farvi tacere
o per distruggere il vostro movimento, e non si sono mai seguite delle
strategie basate su delle intenzioni recondite o con fini inconfessati,
come invece hanno scritto alcuni tra voi.
Posso dire che da parte della Santa Sede e di tutte le persone implicate
in questa vicenda difficile ma promettente per l’unità della Chiesa,
non è mai mancata la leale volontà di vedere la Fraternità
San Pio X riconciliata con il Soglio di Pietro, perché col suo
particolare carisma di servizio per la Tradizione essa possa contribuire
all’opera missionaria della nuova evangelizzazione.
Cosí, benché io non dubiti della disponibilità
di Vostra Eccellenza a continuare il nostro dialogo verso il fine desiderato,
sono sorpreso per le dichiarazioni che Lei e altri membri della Fraternità
San Pio X avete espresse sulla questione.
Mi sembra infatti che le vostre dichiarazioni, che sembrano mettere
in dubbio la sincerità delle intenzioni della Santa Sede, non
siano utili per far progredire i nostri sforzi comuni, suscitino un clima
meno favorevole e facciano dubitare della comprensione di questa importante
materia da parte della Fraternità San Pio X.
Mi permetto dunque, a seguito delle vostre dichiarazioni, di enumerare
alcuni degli atteggiamenti e delle affermazioni contraddittorie nelle quali
sembra si sia avventurata la Vostra Fraternità, che suscitano perplessità
e sono in contraddizione con la Tradizione della Chiesa.
Del resto, come potrei non affrontare questi punti dolorosi se essi
contengono degli interrogativi o richiedono, quanto meno, dei chiarimenti?
È necessario dunque elencare alcuni dei punti di cui siamo
venuti a conoscenza:
Circa il giudizio sulla situazione.
“È innegabile che le disfunzioni nella Gerarchia cattolica…,
le lacune, i silenzi, le suggestioni, la tolleranza di errori ed anche
atti positivi di distruzione si riscontrano fin dentro la Curia e disgraziatamente
fin presso il Vicario di Cristo. Sono fatti pubblici e constatabili da
tutti”. (Lettera di Mons. Bernard Fellay al Card. Castrillon, Menzingen,
21 gennaio 2001).
Questo attacco frontale alla gerarchia della Chiesa cattolica, Papa
compreso, e il rimprovero di aver abbandonato la Tradizione, realizzano
in pratica la pericolosa pretesa di voler giudicare fin l’Autorità
Suprema. Nella linea dell’insegnamento del Concilio Vaticano I, Pastor
Æternus, Dz 1830, noi crediamo che nessuno possa arrogarsi
il diritto di giudicare la Santa Sede: “cuius auctoritate maior non
est, iudicium a nemine fore retractandum, neque cuiquam de eius licere
iudicare iudicio”. [Nessuno, invece, potrà riesaminare un giudizio
pronunciato dalla Sede Apostolica - di cui non vi è autorità
maggiore -, come a nessuno è lecito giudicare di un giudizio dato
da essa.]
Nicola I lo affermava già nel nono secolo, nella lettera Proposueramus
(MGH Epistolae 6, 465.474-475): «Il giudice non sarà giudicato
né dall’imperatore, né dall’insieme dei chierici, né
dai principi, né dal popolo…» «La sede principale
non sarà giudicata da nessuno…».
Non si possono neanche dimenticare, nella linea della vera Tradizione
cattolica, queste altre asserzioni del Concilio Vaticano I sulla Chiesa
cattolica. La Chiesa cattolica infatti “a Domino nostro Iesu Christo,
Salvatore humani generis ac Redemptore, claves regni accepit: qui ad hoc
usque tempus et semper in suis successoribus, episcopis sanctae Romanae
Sedis, ab ipso fundatae eiusque consecratae sanguine vivit et praesidet
et iudicium exercet” (Pastor Æternus Dz 1824) [(che
il santo e beatissimo Pietro) … ha ricevuto le chiavi del regno da nostro
signore Gesú Cristo, salvatore e redentore del genere umano: Pietro
vive, presiede ed esercita il suo giudizio fino al presente e per sempre
nei suoi successori, ossia nei vescovi della santa sede di Roma, da lui
fondata e consacrata nel suo sangue]; è cosí che la Chiesa
Romana “custodita cum Romano Pontifice tam communionis quam eiusdem
fidei professionis unitate, Ecclesia Christi sit unus grex sub uno summo
pastore. Haec est catholicae veritatis doctrina, a qua deviare salva fide
atque salute nemo potest." (Pastor Aeternus Dz 1827)
[conservando l’unità della comunione e della professione della stessa
fede col Romano Pontefice, la Chiesa di Cristo sia un solo gregge sotto
un solo sommo pastore. Questa è la dottrina della verità
cattolica, dalla quale nessuno può allontanarsi senza mettere in
pericolo la fede e la salvezza]. Sempre nella Pastor Æternus,
a proposito della Sede Apostolica, si legge: “quia in Sede Apostolica
immaculata est semper catholica reservata religio, et sancta celebrata
doctrina. Ab huius ergo fide et doctrina separari minime cupientes (.)
speramus, ut in una communione, quam Sedes Apostolica praedicat, esse mereamur,
in qua est integra et vera christianae religionis soliditas. (Pastor
Aeternus Dz 1833). [… perché nella Sede Apostolica la religione
cattolica è stata sempre conservata pura e la dottrina santa tenuta
in onore. Non volendo separarci affatto, perciò, da questa fede
e dottrina, speriamo di essere nell’unica comunione che la Sede Apostolica
predica, nella quale è la intera e vera solidità della religione
cristiana.]
La Fraternità San Pio X accusa, affermando che la Chiesa, da
essa chiamata “conciliare” in maniera peggiorativa, avrebbe abbandonato
la verità: «La Chiesa conciliare è come un termitaio
che si rode dall’interno. Dopo trent’anni e piú, vengono applicati
gli stessi principi, con una coerenza imperturbabile, malgrado i loro frutti
catastrofici» - «Allora preferiamo conservare la nostra
libertà di azione in tutta la Chiesa, senza lasciare che ci mettano
in isolamento nello zoo della Tradizione. Occorre soccorrere il mondo cattolico
che si assopisce nel letargo post-conciliare» (Intervista
di Mons. Fellay alla rivista “Pacte”, estate 2001).
Di piú, in una lettera inviatami, Vostra Eccellenza ha scritto:
“Da parte nostra mi sembra di poter affermare, seguendo i papi Pio
XII e Paolo VI, che la Chiesa si trova in una situazione letteralmente
apocalittica” (lettera di Mons. Fellay al Card. Castrillon del 22 giugno
2001).
Io non riesco a comprendere a quali esatte parole di Pio XII si riferisse
Vostra Eccellenza. Non ho difficoltà a riconoscere, col Papa
Paolo VI, che “il fumo di Satana” si sia introdotto nella Chiesa, anche
se il contesto dell’affermazione era limitato. In realtà sembra
che in tutte le epoche della storia della Chiesa si possa parlare di situazione
da Apocalisse, talvolta di piú talaltra di meno. Ma non ci si dovrebbe
stupire del peccato, poiché è la grazia ad essere stupefacente.
Malgrado la decadenza della pratica della fede, che tocca perfino il vecchio
continente europeo, malgrado la presenza, qui e là, di certi abusi
nella disciplina e nella liturgia, è sproporzionato, falso e inaccettabile
affermare che la Chiesa e il Papato abbiano perduto la fede.
Santa Caterina da Siena scriveva a Bernabò Visconti, Signore
di Milano: «È folle colui che si erge o che agisce contro
il Vicario che tiene le chiavi del sangue di Cristo crocifisso. Quand’anche
fosse un demonio incarnato, io non devo alzare la testa contro di lui,
ma devo sempre umiliarmi e chiedere il sangue per misericordia. Non prestate
attenzione a ciò che il demonio vi proporrà e vi ha già
proposto sotto l’apparenza della virtú, e cioè di voler fare
giustizia dei cattivi pastori a causa dei loro difetti. Non vi fidate del
demonio: non provate a fare giustizia di ciò che non vi riguarda.
Dio non vuole che voi o chiunque altro si erigga a giustiziere dei suoi
ministri. Egli si è riservato il giudizio, e lo ha riservato al
suo Vicario: e se il Vicario non facesse giustizia, noi dobbiamo umilmente
attendere la punizione e la correzione da parte del Sommo Giudice, l’eterno
Iddio». (Epistolario, vol. I, Lett. n. 28).
Per ritornare alla questione, debbo dirLe della mia pena nel constatare
che le vostre pubblicazioni, malgrado il lodevole desiderio di mettere
in guardia contro certe mancanze e certi peccati, mancano di quella sensibilità
necessaria per far gustare la grazia e gli elementi positivi, pur in presenza
dei difetti.
Circa i problemi dottrinali
“Sono proprio le novità della nuova teologia, condannate
dalla Chiesa sotto Pio XII, che fanno il loro ingresso nel Vaticano II…
Oggi ci si vorrebbe far credere che queste novità sarebbero uno
sviluppo omogeneo del passato? Esse sono state condannate, quanto meno
nel loro principio”. (Lettera di Mons. Fellay al Card. Castrillon del
22 giugno 2001).
Secondo il parere della Fraternità San Pio X, la Chiesa cattolica
si allontanerebbe dal «depositum fidei»:
“Noi siamo solo un segno della terribile tragedia che attraversa
la Chiesa, forse a tutt’oggi la piú terribile di tutte: non un dogma,
ma tutti sono attaccati”. (Lettera di Mons. Fellay al Card. Castrillon
del 22 giugno 2001).
“Un magistero che contraddice l’insegnamento del passato (per esempio:
ecumenismo attuale e Mortalium Animos), un magistero che contraddice se
stesso (si vedano la dichiarazione congiunta sulla giustificazione e la
nota precedente del Cardinale Cassidy, o la condanna e la lode dell’espressione
‘Chiese Sorelle’): è questo il problema lancinante… Migliaia e milioni
di fedeli cattolici che si allontanano dalla fede a causa delle debolezze
di Roma: ecco la nostra preoccupazione”. (Lettera di Mons. Fellay al
Card. Castrillon del 22 giugno 2001).
“Questa crisi magisteriale pone un problema quasi impossibile da
risolvere praticamente… E l’incubo si estende dalla Curia ai Vescovi residenti”.
(Lettera di Mons. Fellay al Card. Castrillon del 22 giugno 2001).
Vostra Eccellenza dichiara di credere nella indefettibilità della
Chiesa, e si riconoscono volentieri i vostri meriti nella lotta vigorosa
contro certe tendenze sedevacantiste. Tuttavia, per quanto riguarda la
citazione del Concilio Vaticano I, Dz 1836, sul carattere, l’oggetto e
lo scopo dell’infallibilità del Romano Pontefice, mi sembra necessario
citare integralmente questo paragrafo e il seguente:
“Quorum quidem apostolicam doctrinam omnes venerabiles Patres amplexi
et sancti Doctores orthodoxi venerati atque secuti sunt; plenissime scientes,
hanc sancti Petri Sedem ab omni semper errore illibatam permanere, secundum
Domini Salvatoris nostri divinam pollicitationem discipulorum suorum principi
factam: ‘Ego rogavi pro te, ut non deficiat fides tua: et tu aliquando
conversus confirma fratres tuos’ (Lc 22,32).” [La loro dottrina apostolica
è stata accolta da tutti i venerati Padri, rispettata e seguita
dai santi Dottori ortodossi: perché essi sapevano benissimo che
questa Sede di Pietro rimane sempre immune da ogni errore, conforme alla
promessa divina del Signore nostro Salvatore, fatta al principe dei suoi
Apostoli: ‘Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga
meno. Tu, una volta convertito, conferma i tuoi fratelli’]
L’assicurazione divina che esprime questo testo: che la Sede dell’Apostolo
Pietro sarà sempre esente da ogni specie di errore, non permette
di accusare il Pontefice attuale in nome di un Concilio anteriore, come
se non vi fosse continuità tra i Concilii e come se la promessa
del Signore non valesse piú a partire dal Concilio Vaticano II.
Alla persona di Giovanni Paolo II, la cui fede è quella della Chiesa
di sempre, non è stato attribuito in grado minore il carisma indefettibile
della verità e della fede (cf. Dz 1837: "Hoc igitur veritatis
et fidei numquam deficientis charisma Petros eiusque in hac cathedra successoribus
divinitus collatum est.") [Perciò questo carisma di verità
e di fede - che non verrà mai meno - è stato dato divinamente
a Pietro e ai suoi successori che siedono su questa cattedra].
Se Vostra Eccellenza considera seriamente questa dichiarazione a proposito
della fides numquam deficiens del Romano Pontefice, mi sembra
che bisognerebbe dar prova di una maggiore coerenza teologica nel riflettere
sullo sviluppo organico del Magistero della Chiesa in questi ultimi anni.
Vero è che si constatano delle divergenze di opinione e di
formazione teologica tra i Prelati della Chiesa, e tuttavia una semplice
frase, anche detta dal Sovrano Pontefice, non è un atto di magistero;
sappiamo tutti che le dichiarazioni rivestono diversi gradi di autorità.
È sempre possibile criticare questo genere di dichiarazioni,
cosí come un orientamento di governo. Tuttavia, la critica richiede
una comprensione autentica del pensiero dell’altro, e deve presupporre
anche che questi possiede la vera fede cattolica. Se si rilevano delle
incoerenze, la critica, condotta con umiltà e carità, diventa
una servizio da rendere con grande rispetto e con spirito di sincera collaborazione.
Origene, Contro Celso, 3, 12-13: «Le Scritture,
riconosciute da tutti come divine, furono comprese in maniera differente,
e nacquero le sette: esse presero il nome di uomini pieni di ammirazione
per l’origine della dottrina cristiana, ma, per diversi motivi, giunti
a delle considerevoli divergenze. Tuttavia, non sarebbe ragionevole non
voler sentir parlare di medicina a causa delle diverse scuole, come non
sarebbe opportuno odiare la filosofia col pretesto delle differenti opinioni
dei filosofi, come infine non si debbono condannare i libri sacri di Mosè
e dei profeti a causa delle diverse sette apparse in seno al giudaismo.
Se tutto questo è logico, perché non dovremmo giustificare
allo stesso modo la presenza delle sette tra i cristiani? Ciò che
dice a questo proposito San Paolo appare ammirevole: “Bisogna che anche
tra noi vi siano delle eresie, per manifestare tra noi coloro che sono
provati» (1 Co 11, 19). Come nella scienza medica è “provato”
colui che si è esercitato con diversi metodi e che, dopo aver saggiamente
pesato le diverse scuole, ha scelto la piú eccellente; e come
in filosofia, colui che ha fatto dei veri progressi è chi ha aderito
alla dottrina piú solida dopo essersi esercitato a conoscerne molte
altre; cosí, direi che tra i cristiani il piú saggio è
colui che ha studiato con gran cura le diverse sette del giudaismo e del
cristianesimo. Colui che biasima la nostra fede a causa della presenza
di sette differenti, deva anche disprezzare la dottrina di Socrate perché
il suo insegnamento suscita diverse scuole che certo hanno poco in comune;
e deve biasimare anche la dottrina di Platone a causa di Aristotele, che
ne ha abbandonato l’insegnamento per divulgare delle nuove verità».
Circa la permanenza degli “stati di necessità”
“Roma ha fretta di concludere. Noi ne abbiamo meno, come diceva
Mons. Fellay recentemente. Dopo il Vaticano II il treno delle riforme si
è messo in moto e a poco a poco ha preso velocità… Esso è
lanciato ad una velocità sempre piú folle verso l’anti-cristianesimo
totale, come affermava giustamente Mons. Lefébvre nel 1987”.
(Abbé Benoît de Jorna, Superiore del Seminario San Pio X di
Écône, Intervista di Giovanni Pelli,
15 maggio 2001)
“Roma si è preoccupata di noi dicendo: ascoltate, voi avete
un problema, occorre regolarlo. Voi siete fuori, occorre che rientriate,
a certe condizioni. Sta a noi adesso rispondere: non è cosí.
Se noi ci troviamo nella situazione attuale (che è una situazione
di emarginazione e di persecuzione) non ne siamo noi la causa. La causa
è a Roma, è perché a Roma vi sono delle gravi deficienze
che Mons. Lefébvre ha dovuto assumere delle posizioni appartate,
posizioni che permettono di conservare certi beni della Chiesa che si era
in procinto di compromettere”. (Intervista di Mons. Fellay, "Pacte",
estate 2001)
“Questo dilemma entro il quale si vuole nuovamente costringerci,
noi lo rifiutiamo. Una cosa è ben chiara: noi non siamo fuori, né
tampoco ci lasceremo mettere in gabbia!” (Intervista
di Mons. Fellay, "Pacte", estate 2001)
Nessun eretico o scismatico, nel corso della storia, ha mai dichiarato
di sbagliarsi. Essi hanno sempre pensato che fosse la Chiesa a sbagliarsi.
In circostanze particolarmente difficili, non solo nelle persecuzioni,
la Chiesa prevede l’eventualità dello “stato di necessità”.
Ma questi stati di necessità sono sempre sottoposti al criterio
del giudizio della suprema autorità ecclesiastica e delle misure
che essa adotta di conseguenza; essi non possono essere rivendicati,
contro o al di fuori di questa autorità suprema, da parte di forze
sia pure del tutto ortodosse, mosse da una volontà di riforma e
ben intenzionate. La vostra concezione e la vostra interpretazione di
questi “stati di necessità” non è conforme alla fede nella
indefettibilità della Chiesa, e infatti essa non è mai stata
condivisa dall’episcopato mondiale con a Capo il Papa.
Ci addolora vedervi rinchiusi in tale posizione, che ostacola molto
il ritorno alla piena comunione desiderata.
Circa le basi del dialogo
“Personalmente non credo a delle discussioni che non affrontino a
fondo le questioni: sul Vaticano II, sulla nuova Messa, intrinsecamente
malvagia come abbiamo sempre affermato nella Tradizione, sul nuovo Codice
di Diritto Canonico, che fa entrare la nuova ecclesiologia del Vaticano
II nella legislazione della Chiesa”. (Abbé Benoît de Jorna,
Superiore del Seminario San Pio X di Écône, Intervista
di Giovanni Pelli, 15 maggio 2001).
“Dopo vent’anni di pontificato, Giovanni Paolo II non è cambiato.
Egli è sempre il Papa di Assisi. L’idea che lo conduce è
quella del nuovo ecumenismo sorto dal Vaticano II… Personalmente penso
che egli voglia integrarci in questa chiesa pluralista. Integrazione che
sarebbe la nostra disintegrazione”. (Abbé Benoît de Jorna,
Superiore del Seminario San Pio X di Écône, Intervista
di Giovanni Pelli, 15 maggio 2001).
“In questo momento siamo ad un punto morto, in una sorta di vicolo
cieco. Ritengo che questa specie di blocco derivi dalle basi su cui è
stato impostato il dialogo”. (Intervista di Mons.
Fellay, "Pacte", estate 2001)
Per qualificarsi “cattolici” si deve sempre e innanzi tutto ricercare
la piena comunione con Pietro. Di fronte ad eventuali dubbi e problemi,
è sempre possibile presentare delle critiche che in coscienza e
umilmente si ritengano veramente costruttive. Malgrado le difficoltà,
questo pensiero di Leone XIII deve illuminarci:
“La Chiesa è Unica in virtú dell’unicità della
sua dottrina, come in virtú dell’unità del suo governo, ed
essa è Cattolica; e poiché Dio ha fatto della cattedra di
San Pietro il suo centro e il suo fondamento, è a giusto titolo
che essa si chiama Romana: ‘Dov’è Pietro, là è la
Chiesa’ (Sant’Ambrogio, In Psalmum 40, 30: PL 14, 1082). Dunque,
chiunque vuole qualificarsi col nome di cattolico, deve ripetere sinceramente
le parole di Gerolamo al Papa Damaso: ‘Io, non desiderando seguire altri
che il Cristo, voglio essere in comunione con la tua beatitudine, e cioè
con la cattedra di Pietro: io so che su questa pietra è stata fondata
la Chiesa (cf. Mt 16, 18); colui che non raccoglie con te, disperde (cf.
Mt 12, 30). (San Gerolamo, Lettera 15: PL, 22, 355). (cf. Leone XIII,
lett. Testem benevolentiae, 22.1.1899).
Circa il potere del Papa sulla liturgia
Anche se i membri della Vostra Fraternità riconoscono la legittimità
del Papa attuale, Giovanni Paolo II, e riconoscono in Lui il vero successore
di Pietro e il legittimo Vicario di Cristo, il linguaggio impiegato spesso
da certuni non è molto rispettoso. Infatti sembra che costoro non
accettino le prerogative del Papa riguardanti eventuali modifiche della
forma rituale del Santo Sacrificio della Messa.
“Noi rifiutiamo la nuova liturgia poiché mette in pericolo
la nostra fede cattolica” (Abbé Benoît de Jorna, Superiore
del Seminario San Pio X di Écône, Intervista
di Giovanni Pelli, 15 maggio 2001).
Questo atteggiamento va confrontato con l’insegnamento del Magistero
anteriore:
Concilio di Trento, Dz 1728: “Il Concilio dichiara,
inoltre, che la Chiesa ha sempre avuto il potere di stabilire e mutare
nella amministrazione dei Sacramenti, salva la loro sostanza, quegli elementi
che ritenesse di maggiore utilità per chi li riceve o per la venerazione
degli stessi Sacramenti, a seconda delle circostanze, dei tempi e dei luoghi.”
Nell’enciclica Mediator Dei, il Papa Pio XII scrive:
“Che tutto si faccia dunque rispettando la debita unità con la
gerarchia ecclesiastica. Che nessuno si arroghi l’arbitrio di crearsi delle
regole personali e di imporle agli altri con la sua volontà. Solo
il Sovrano Pontefice come successore di San Pietro, al quale il divino
Redentore ha affidato la cura di tutto il gregge (cf. Gv 21, 15-17), e
con lui i vescovi che ‘lo Spirito Santo… ha stabilito… per pascere la Chiesa
di Dio’ sotto l’obbedienza della Sede apostolica (Ac 20, 28), hanno il
diritto e il dovere di governare il popolo cristiano…”
Mancanze di carità
“È vero che le autorità romane possono sempre convertirsi,
ma se si guarda agli ultimi 40 anni di vita del Vaticano, l’onere della
prova spetta a coloro che affermano di essersi convertiti, e non certo
a quelli che assicurano, sulla base dei fatti constatati a Roma, che i
primi rimangono sempre dei lupi, delle volpi, dei pescecani!” (Lettera
ai benefattori di Mons. Williamson, del 1 febbraio 2001)
“E il recente messaggio del cardinal Sodano ai pellegrini di Parigi
a Chartres insiste due volte in dieci righe sull’obbedienza ai vescovi
e sulla necessaria docilità dei cattolici tradizionalisti nei confronti
dei loro trentennali persecutori. Per coloro che pensavano che Roma aprisse
largamente le sue braccia è un’umiliazione. Una di piú.”
(Abbé G. de Tanoüarn, Pacte, estate 2001, p. 11).
Non posso non rilevare, con sofferenza, che questi toni relativi alle
intenzioni della Santa Sede non aiutano la riconciliazione, poiché
non vanno incontro al dono superiore della carità, cosí come
insegna sant’Ireneo:
“Giudica anche quelli che provocano scismi, che sono vuoti dell’amore
di Dio e guardano al proprio interesse piú che all’unità
della Chiesa e per qualunque futile motivo tagliano e dividono il grande
e glorioso corpo di Cristo e per quanto dipende da loro lo uccidono; parlano
di pace e fanno la guerra, e veramente ‘scolano il moscerino e inghiottono
il cammello’: perché da loro non può venire alcuna correzione
che sia tanto grande quanto grande è il danno dello scisma. … la
vera gnosi nello Spirito di Dio … è la dottrina degli Apostoli,
l’antico organismo della Chiesa in tutto il mondo, il marchio del corpo
di Cristo secondo le successioni dei vescovi, ai quali essi affidarono
ogni chiesa locale; la conservazione non finta delle Scritture giunta fino
a noi, la raccolta completa senza giunta e senza sottrazione, una lettura
senza frode e, conforme alle Scritture, una spiegazione corretta, armoniosa,
esente da pericolo e da bestemmia; e infine l’eminente dono della carità,
che è piú prezioso della gnosi, piú glorioso della
profezia e superiore a tutti gli altri carismi”. (Contro le eresie,
4, 33, 7-8).
Sulla sofferenza causata dallo scisma, San Tommaso, commentando un passo
di San Paolo (1 Cor 12, 22), scrive: «Et, similiter in ecclesia,
imperfectioribus sunt magis consolationes adhibendae, quibus perfectiores
non egent. Unde dicitur Is. 11, 11: in brachio suo congregabit agnos, et
in sinu suo levabit, foetas ipse portabit, et, 1 Petr. III, 7 dicitur:
viri quasi infirmiori vasculo muliebri impartientes honorem. est notandum
quod triplicem defectum circa membra notavit, scilicet inhonestatis, ignobilitatis
et infirmitatis. Quorum primum in membris ecclesiae pertinet ad culpam;
secundum ad conditionem servilem; tertium ad statum imperfectionis. secundo
ponit causam finalem, dicens ut non sit schisma in corpore. Quod quidem
sequeretur, si defectui membrorum non subveniretur. Hoc autem schisma quantum
ad membra corporis mystici manifeste vitatur, dum pax ecclesiae custoditur
per hoc, quod singulis ea quae sunt necessaria attribuuntur. Unde et supra
dictum est cap. I, v. 10: idipsum dicatis omnes, et non sint in vobis schismata.
»
Cara Eccellenza, la sincera chiarezza sulla genesi e sul decorso della
nostra vicenda non intende minimamente maltrattarLa o metterLa in imbarazzo.
Io ritengo che la totale sincerità nei rapporti sia condizione imprescindibile
per un vero accordo e per il successo dei nostri progetti.
Mi consideri, Eccellenza, veramente come un fratello che La ama e che
vuole il bene della Chiesa, la sua chiara unità, testimonianza al
cospetto del mondo dell’unità di Cristo col Padre e con lo Spirito
Santo. Lei sa che io non ho mai voluto favorire la divisione della Fraternità
San Pio X e dei suoi Vescovi, anche se oggi sono convinto che nei vostri
ranghi vi siano delle persone che non hanno piú la vera fede nell’autentica
Tradizione della Chiesa; persone che, a meno di una conversione provocata
dallo Spirito Santo, penso che difficilmente torneranno all’unità.
Vostra Eccellenza conosce i particolari di quella vicenda, che io, insieme
a molti altri, considero come provvidenziale: l’incorporazione nella
piena unità del gruppo di Campos. Non esito a dire che nel nostro
cammino vi è un prima e un dopo: prima del Natale 2001 e dopo il
Natale 2001.
In quella data, come Voi sapete, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha
firmato la Lettera
con la quale ha accolto nella pienezza della comunione cattolica S. E.
R. Mons. Licinio Rangel, insieme ai sacerdoti membri dell’Unione San Giovanni
Maria Vianney, con tutti i loro fedeli di Campos (Brasile).
Io ho avuto la gioia di ricevere personalmente la professione
di fede e il giuramento di fedeltà al Romano Pontefice di questo
Vescovo, insieme con i preti dell’Unione, nel corso di una commovente celebrazione
pubblica che si è tenuta nella Cattedrale diocesana di Campos, il
18 gennaio scorso, alla presenza di diversi Vescovi e del Delegato Pontificio.
Credo fermamente che questo evento di Campos - che ha ricucito
una ferita aperta nel continente latino americano e che è stato
celebrato con commozione da tutte le persone presenti e percepito come
un avvenimento di grazia - sia a giusto titolo un incoraggiamento per
proseguire nei nostri sforzi, allo scopo di giungere a quell’abbraccio
caloroso che Pietro desidera poter scambiare con voi, come lo ha scambiato
con l’Unione San Giovanni Maria Vianney.
Questo abbraccio si è concretizzato con la forma giuridica piú
adatta, offerta in maniera permanente, per lo sviluppo del carisma di questa
Unione nel seno dell’unica Chiesa di Cristo con a Capo Pietro: mi riferisco
all’Amministrazione Apostolica Personale di Campos [si veda il Decreto
di erezione - NdR], che non è una soluzione transitoria,
ma è data in maniera stabile (non si può minimamente dubitare
di questa stabilità e di questa volontà). So che molte
persone, laici, sacerdoti e religiosi della Fraternità San Pio X
vogliono trovare la pace della coscienza nella piena riconciliazione con
la Chiesa.
Già prima degli avvenimenti di Campos io mi auguravo di incontrarLa,
ma di fronte a questa riconciliazione e alla costituzione della nuova Amministrazione
Apostolica Personale, questo incontro con Vostra Eccellenza mi sembra ancora
piú opportuno e augurabile: esso potrebbe avvenire dopo le Feste
Pasquali, al fine di proseguire il nostro dialogo e chiarire, con carità
e verità, in un colloquio fraterno, tutto ciò che è
maturato nel nostro cuore a partire da Campos. Mi sembra che non servirebbe
gran che continuare un dialogo attraverso degli scritti diretti o indiretti
che ci scambiassimo per far luce su delle questioni che meritano invece
di essere trattate a livello personale e cordiale, come già accaduto
tra noi.
In effetti, non si può non vedere quanto sia stato provvidenziale
il ritorno alla pienezza della comunione con il Soglio di Pietro, e proprio
nella settimana dedicata all’unità dei cristiani, di questi fratelli
che condividono con la Vostra Fraternità gli stessi ideali e che
ormai si rallegrano per aver ottenuto ciò che in coscienza sapevano
di non poter piú ritardare: la piena comunione col Vicario di Cristo.
La sofferenza e la preghiera di molti fedeli hanno reso possibile la
gioia della piena comunione con la Chiesa guidata da Pietro dell’Unione
San Giovanni Maria Vianney; e io sono convinto che il Signore Gesú,
che ha iniziato quest’opera, la porterà a compimento.
Ciò che mi ha spinto fin dall’inizio, e che mi stimola a scriverLe
oggi, è quella Carità di Cristo che mi impegna a non trascurare
alcun tentativo per far trionfare l’unità, vero segno della Carità!
Oggi, ancor piú di ieri, io soffro e porto il peso di sapervi nello
stato di scomunica, mentre tutti i fedeli di Campos hanno ormai felicemente
superato questo stato sotto la guida del loro Pastore.
Ho dunque un gran desiderio di poterLa incontrare il piú presto
possibile; e Le assicuro che ho scritto questa lettera con lo spirito e
il cuore immersi nei sentimenti della prossima seconda Domenica di Pasqua,
la Domenica della Divina Misericordia.
AugurandoLe ogni grazia e benedizione del Cielo, Le resto unito
in cordibus Iesu et Mariae,
dev.mo
Darío Card. Castrillón Hoyos
Prefetto della Congregazione per il Clero
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