NOVUS ORDO MISSÆ

Studio critico

di 

Arnaldo Vidigal Xavier da Silveira



SOMMARIO

Introduzione

PARTE PRIMA

La nuova Messa

Capitolo Primo
"L’Institutio Generalis Missalis Romani", edizione del 1969

Capitolo Secondo
Un'obiezione: l'"Institutio" afferma anche la dottrina tradizionale

Capitolo Terzo
Il nuovo testo della Messa e le nuove rubriche dell'"Ordo" del 1969

Capitolo Quarto
Modifiche apportate all'"Ordo" del 1969

Capitolo Quinto
Il nuovo Ordinario della Messa




CAPITOLO TERZO

IL NUOVO TESTO DELLA MESSA E LE NUOVE RUBRICHE NELL’"ORDO" DEL 1969

A) Preghiere soppresse e alterate 
B) Il nuovo concetto di Offertorio 
C) La prima preghiera eucaristica o Canone Romano
D) Le nuove preghiere eucaristiche
E) Il rito della Comunione
F) Altre modifiche nelle rubriche 
G) Conclusione 
Note al Capitolo Terzo
 

Come abbiamo già indicato (1), in questo capitolo studieremo il nuovo "Ordo missæ", e cioè il nuovo testo della messa e le rubriche che l’accompagnano. Analizzeremo anche alcune disposizioni dell’"Institutio Generalis Missalis Romani" che costituiscono le vere rubriche, benché esse non siano presentate con questa denominazione (2). 
Tante traduzioni del nuovo "Ordo" in lingua volgare sono caratterizzate da innumerevoli infedeltà, molte delle quali vanno ad intaccare il dogma. Per questa ragione, alcuni giudicano che solamente queste versioni siano inaccettabili, e non l’originale latino. Un tal modo di pensare non ci sembra fondato. 
Ciò detto, nel presente capitolo studieremo solo il testo latino del nuovo ordinario della messa (3), riservando al capitolo seguente qualche osservazione sulle traduzioni.

A) Preghiere soppresse e alterate
Nell’"Ordo" di san Pio V, il Confiteor iniziale è recitato prima dal sacerdote e poi dall’accolito a nome dei fedeli. Questa distinzione denota chiaramente la differenza che esiste tra il celebrante e i fedeli. Nel nuovo "Ordo", il Confiteor è recitato simultaneamente dal sacerdote e dall’assistente. Tale modifica tende ad insinuare un’identità tra il sacerdozio del celebrante e quello dei fedeli. 
L’assoluzione data dal sacerdote alla fine del Confiteor (4) è stata soppressa, altra innovazione che contribuisce a rendere meno precisa la distinzione tra il sacerdozio gerarchico e la condizione di semplice fedele (5). 
Nel nuovo "Ordo", molte preghiere della messa tradizionale, che mettono in rilievo le nozioni di umiltà, di contrizione per i peccati, di propiziazione, insieme all’idea che senza la grazia non ci può essere perseveranza nella virtù, non compaiono più. Allo stesso modo, oltre all’assoluzione a cui abbiamo appena accennato, sono scomparse le invocazioni che la seguono (6), la preghiera Aufer a nobis (7); la preghiera detta dal sacerdote baciando l’altare (8); una parte della preghiera Munda cor meum (9); quasi tutto l’offertorio (10); una parte della preghiera Perceptio corporis tui, che precede la comunione (11); due preghiere dopo la comunione: Quod ore sumpsimus (12) e Corpus tuum, Domine (13); come anche la supplica Placeat tibi, che termina il sacrificio (14). 
Forse la soppressione di queste preghiere non contribuirebbe ad attenuare le espressioni di umiltà, di contrizione e di propiziazione, se esse fossero state sostituite da altre che manifestino le stesse disposizioni d’ànimo, o se fossero stati aggiunti nuovi e più numerosi segni di pentimento e di adorazione, come le genuflessioni, le prosternazioni, ecc., o se l’"Institutio" avesse fornito valide spiegazioni per giustificare queste soppressioni, dissipando tutti i timori che sono sorti. Ma niente di tutto questo è stato fatto. Al contrario, quelle magnifiche preghiere non sono state sostituite da altre per esprimere le stesse idee; quasi tutte le genuflessioni, gli inchini e i baci all’altare, ecc., sono stati eliminati. Non solo l’"Institutio" non da ragionivalide che giustifichino ciò ch’è stato fatto, ma si spinge anche fino ad omettere l’idea di propiziazione, ecc. (15). 
Ne deriva che la soppressione di questo gruppo di preghiere sminuisce nella liturgia, e quindi anche nella vita cattolica, le espressioni di umiltà, di compunzione per i peccati commessi, di necessità della grazia al fine di perseverare nella virtù. Quindi essa affievolisce, o quantomeno contribuisce a mettere in ombra, il carattere propiziatorio della messa. Tutto questo, evidentemente, non è in accordo con la dottrina cattolica, ma ricorda i modi di pensare e d’agire in uso nei circoli protestanti e modernisti. 
In numerosi punti (16), è scomparsa ogni allusione alla SS.ma Trinità, il che tende ad affievolire la fede nel mistero principale della rivelazione (17). 
Nel Kyrie tradizionale, ogni persona della SS.ma Trinità è invocata per tre volte. Si afferma così con particolare insistenza il carattere trinitario delle relazioni divine. Questa affermazione è stata indebolita nel nuovo "Ordo missae": qui nel Kyrie ogni persona viene invocata solo due volte (18).

(su)

B) Il nuovo concetto dell’offertorio
L’offertorio di san Pio V, che ha sempre costituito uno dei principali elementi per distinguere la messa cattolica dalla cena protestante, è stato abolito con le sue caratteristiche specifiche (19). Cerchiamo di capire perché si può e si deve affermare che si sia trattato di una vera soppressione.
La vera oblazione sacrificale che si fa nella messa, non è nell’offertorio, ma nell’offerta di Sé medesimo che Gesù Cristo fa alla SS.ma Trinità al momento della consacrazione. Nel sacrificio della messa, la vera vittima non sono il pane e il vino, né il fedele presente, ma Gesù Cristo stesso. 
Ma allora perché l’offertorio? 
Compiendo un sacrificio, noi offriamo a Dio una vittima al nostro posto, come simbolo del dono di noi stessi a Dio. Questo è l’elemento fondamentale di ogni sacrificio. Nella messa, è Gesù Cristo stesso che s’immola per noi. Unendoci a Lui, dobbiamo dunque offrirLo al nostro posto ed offrirci con Lui. 
Tuttavia, l’oblazione che Nostro Signore fa di Sé stesso non è visibile per noi, poiché Egli non si mostra in modo percettibile ai nostri sensi. 
Dunque, è opportuno che, con qualche elemento percettibile, siano espressi prima della consacrazione, sia la natura del sacrificio che si sta compiendo, sia le diverse oblazioni che saranno fatte. È questo l’oggetto stesso dell’offertorio romano. 
Nel corso di esso, si dichiara quindi in che consista l’oblazione sacrificale propriamente detta, nonché l’offerta di noi stessi a Dio. Viene anche affermato il fine propiziatorio della messa
Dobbiamo cercare, adesso, di rendere evidenti questi tre elementi che, mentre costituiscono le caratteristiche fondamentali dell’offertorio romano, distinguono al tempo stesso la messa cattolica dalla cena protestante, senza ombra di dubbio.
1° - L’oblazione di Nostro Signore ha luogo realmente al momento della consacrazione; tuttavia, affinché la natura del sacrificio sia manifesta fin dall’inizio, nell’offertorio del messale romano vi è già un insieme di preghiere che fanno conoscere chi sarà la vera vittima e che offrono in anticipo questa stessa vittima alla SS.ma Trinità.
2° - L’oblazione di noi stessi a Dio, tramite Gesù Cristo, è simboleggiata dall’offerta del pane e del vino. Secondariamente, essa è anche simboleggiata dall’eventuale offerta di altri beni materiali. Da notare che tale simbolismo diviene efficace solo quando il pane e il vino, al momento di essere messi sull’altare, non sono presentati a Dio solamente, ma sono veramente offerti in spirito sacrificale. In altre parole, i suddetti doni sono consacrati a Dio(20).
3° - L’offertorio romano, con numerose preghiere, evidenzia il carattere propiziatorio del sacrificio. Qui non illustreremo quest’aspetto della messa, che abbiamo già precedentemente esaminato (21). 
*

Questi tre elementi sono scomparsi dal nuovo offertorio, rimpiazzati da una semplice "preparazione delle offerte" o "presentazione dei doni", che corrispondono ad un concetto dell’offertorio fondamentalmente diverso da quello di san Pio V.
Inoltre, sono state soppresse o attenuate diverse espressioni di altri principii che distinguono la dottrina cattolica dal protestantesimo. L’allusione alla caduta dei nostri progenitori è stata eliminata. Le invocazioni alla Madonna, agli angeli e ai santi, scomparse. Il principio secondo cui il sacrificio dev’essere accettato da Dio perché gli sia gradito, è divenuto piuttosto oscuro. Le manifestazioni di compunzione per i nostri peccati, di umiltà, sono state affievolite, al pari dell’affermazione del sacerdozio gerarchico del celebrante. Non c’è più nessun riferimento esplicito ai fedeli defunti.
Tutto ciò risulta più evidente confrontando l’offertorio di san Pio V con quello del nuovo "Ordo":
 

1° La preghiera Suscipe Sancte Pater, tradizionalmente recitata dal celebrante nel corso dell’offerta del pane, non compare più nella nuova messa: 
"Accetta, o Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno, questa ostia immacolata che io, indegno tuo servo, offro a Te, mio Dio, vivo e vero, per i miei innumerevoli peccati, offese e negligenze, e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti: affinché giovi alla mia e alla loro salvezza per la vita eterna. Amen.". 
Da notare che il sacerdote offre l’ostia per il popolo, con una affermazione chiara della sua funzione gerarchica. Egli la offre per tutti i fedeli vivi e morti, contraddicendo così il principio protestante secondo cui i frutti della messa non sono applicabili né agli assenti, né ai defunti. Questa intera preghiera, nei suoi termini e nel suo stile pieno d’unzione, parla del valore propiziatorio del sacrificio. Anche Lutero soppresse questa preghiera nella sua messa (22). 
Un punto merita una speciale attenzione: il celebrante offre a Dio "questa ostia immacolata". Ora, la parola "ostia", che può anche indicare il pane, significa più propriamente "vittima", e l’aggettivo "immacolata" non è tanto applicato al pane, quanto a Gesù Cristo, l’unica vera "ostia immacolata".  Il messale romano, quindi, offrendo il pane a Dio con questa preghiera, indica anche, per anticipazione, che la vera oblazione sacrificale sarà quella di Gesù nel sacramento: l’"ostia immacolata".
Tutto ciò è abominevole agli occhi dei protestanti, come afferma con disprezzo il pastore luterano L. Reed, "la parte centrale dell’offertorio Suscipe Sancte Pater è una perfetta esposizione della dottrina romana del sacrificio della messa" (23). In questa preghiera e in altre che fanno parte dell’offertorio, Lutero vedeva una "abominazione" in cui "si sente e si percepisce dappertutto l’oblazione" (24).
I protestanti hanno anche un orrore particolare per l’offerta anticipata di Nostro Signore, realizzata da questa preghiera: L. Reed dichiara che si tratta dell’"anticipazione della consacrazione" e del "miracolo della messa" (25).

2° Nel nuovo "Ordo", è scomparsa anche la preghiera del messale romano Offerimus Tibi Domine, con la quale si offre il vino: 
"Ti offriamo, o Signore, il calice di salute, supplicando la tua clemenza: perché esso salga con odore di soavità al cospetto della tua maestà divina, per la salvezza nostra e del mondo intero. Amen.". 
Come già per la preghiera dell’offerta del pane, questa costituisce un’anticipazione, poiché il "calice di salute", nel suo senso proprio, è quello che contiene il sangue di Nostro Signore. 
Anche qui s’incontra la nozione di soddisfazione per i peccati, espressa innanzitutto con un’umile supplica, affinché la divina maestà si degni di accettare il sacrificio. 
Si deve dunque supporre che le ragioni che hanno portato alla soppressione di questa magnifica preghiera, siano le stesse che hanno ispirato l’eliminazione del Suscipe Sancte Pater.

3° Queste due preghiere dell’offerta del pane e del vino sono state sostituite dalle seguenti: 
"Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo; lo presentiamo a te perché diventi per noi cibo di vita eterna". 
L’offerta del vino: Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della vite e del lavoro dell’uomo; lo presentiamo a te perché diventi per noi bevanda di salvezza". 
Notiamo che in queste preghiere non c’è alcun riferimento alla vera vittima: Gesù Cristo; all’offerta dei doni per noi e per i nostri peccati; al carattere propiziatorio dell’oblazione; al sacerdozio gerarchico del celebrante; al principio per cui il sacrificio dev’essere accettato da Dio affinché gli sia gradito. Al contrario, le espressioni "perché diventi per noi cibo di vita eterna" e "perché diventi per noi bevanda di salvezza", insinuano che il vero ed essenziale scopo della messa sia il nostro nutrimento spirituale, tesi questa che, come abbiamo già notato (26), si accosta ad una delle eresie condannate dal Concilio di Trento. 
In questo modo, queste nuove preghiere modificano sostanzialmente il senso esatto dell’offerta del pane e del vino. I commentatori della B.A.C. (27) spiegano questo profondo cambiamento nel concetto di offertorio, nella maniera seguente: 
"Non è solo il testo ad essere nuovo, ma anche il suo significato. Si tratta di una preghiera di benedizione, di una esclamazione di gioia in presenza del simbolo: è una benedizione ascendente che viene indirizzata a Dio per lodarLo. Perché lodiamo Dio in questo momento? Per la creazione del pane. NOI NON DOMANDIAMO A DIO DI BENEDIRE IL PANE. Il pane che riceviamo dalla generosità di Dio è la vera benedizione discendente, perché esso ci comunica forza, vita ed energia. La benedizione (grazia, vita e fecondità) (28) che viene da Dio, noi gliela rendiamo, nel senso e nella misura in cui, lodandolo, riconosciamo che essa viene da Dio […].
"Avvalendoci degli innumerevoli testi biblici che chiamano Dio "benedetto" per le meraviglie che Egli ha fatte, e uniti a questi testi, noi lo lodiamo al momento della presentazione del pane che, con la preghiera consacratoria, diverrà il "pane della vita". NON OFFRIAMO IL PANE A DIO, ma benediciamo Dio per il pane. A Dio, noi offriamo il Corpo ed il Sangue di Cristo, il pane eucaristico" (29). 
Le affermazioni finali di questo testo, secondo cui non offriamo il pane a Dio, meritano di essere sottolineate. Senza alcun dubbio, l’oblazione sacrificale, che costituisce l’essenza stessa della messa, è quella che Gesù Cristo fa di sé stesso, ma anche noi ci offriamo a Dio in unione con Nostro Signore; e secondo la dottrina comune, il pane è offerto a Dio in quanto espressione dell’oblazione del sacerdote, dei fedeli, presenti e assenti, e, in una parola, di tutta la Chiesa. Ecco perché negare l’offerta del pane significa negare l’offerta a Dio delle nostre persone, delle nostre opere buone e delle nostre penitenze. Significa anche negare che gli altri fedeli, presenti ed assenti, e tutta la Chiesa, si offrono a Dio Padre in ogni messa, in uno spirito propiziatorio e sacrificale. Questo punto richiede una piccola spiegazione, oltre a ciò che è già stato detto precedentemente (30). 
Anche alcuni protestanti riconoscono il carattere propiziatorio del sacrificio della Croce, vale a dire che riconoscono che Gesù è morto per la remissione dei nostri peccati. L’ errore dei protestanti è costituito qui dalla maniera in cui i meriti di Cristo ci sono applicati. Essi dicono che solo la fede salva, e cioè che le nostre opere buone ed i nostri sacrifici non sono necessari insieme al sacrificio redentore di Cristo. 
Secondo la dottrina cattolica, noi dobbiamo, in un certo senso, completare nella nostra carne ciò ch’è mancato ai patimenti di Nostro Signore (Coloss. I, 24). Tramite le nostre opere buone e le nostre mortificazioni compiute con l’aiuto della grazia, dobbiamo applicare a noi stessi, a tutti gli altri uomini e ai fedeli defunti, i meriti di Cristo. Dobbiamo, quindi, offrirci a Dio. 
Ma questa offerta di noi stessi, delle nostre opere buone e delle nostre penitenze non ha alcun significato se non è realizzata in unione con il sacrificio redentore della Croce, poiché solo la morte di Cristo costituisce un’equa giustificazione per i nostri peccati. 
D’altra parte, Dio ha voluto che l’applicazione agli uomini dei meriti del sacrificio del Calvario fosse fatta per mezzo delle messe celebrate nel mondo intero fino alla fine dei tempi (31). Essendo il rinnovamento incruento del sacrificio della Croce, la messa è anche propiziatoria nella misura in cui Nostro Signore, realmente presente come vittima, si offre nuovamente a Dio Padre. In questo senso, i meriti e le soddisfazioni della passione sono applicati, secondo i disegni della Provvidenza, a coloro per i quali la messa è offerta. 
In definitiva, le nostre opere buone e le nostre penitenze devono essere offerte quotidianamente a Dio Padre, in unione con tutte le messe che sono celebrate in quel giorno, e specialmente con quella che abbiamo fatto dire secondo le nostre intenzioni o con quella a cui assistiamo. 
Come abbiamo già osservato (32), questa unione dei fedeli con Cristo, che si offre a Dio Padre in ogni messa, è simboleggiata dal pane e dal vino offerti sull’altare. Questo è il motivo per cui tale offerta ha un carattere di oblazione e di sacrificio. Non si tratta solo di una "presentazione dei doni", ma anche di una oblazione fatta con spirito propiziatorio, quantunque nel sacrificio della messa la vera Vittima sia Nostro Signore, e non il pane e il vino. Negare che offriamo veramente a Dio il pane ed il vino, come espressione sensibile e sacrificatoria dell’offerta di noi stessi, delle nostre opere buone e delle nostre penitenze, significherebbe negare che il sacrificio di Cristo ha bisogno, in un certo senso, di essere completato da noi. Questo errore segna una tappa molto avanzata verso la negazione dello stesso carattere propiziatorio della messa, poiché se il sacrificio della Croce non ha bisogno di essere completato dal nostro, non si vede come giustificare il rinnovamento quotidiano del sacrificio propiziatorio del Calvario. 
Vero è che l’affermazione secondo cui "noi non offriamo il pane a Dio" appare solamente nel commentario della B.A.C., e non nel testo del nuovo "Ordo missæ", tuttavia, i commentatori della B.A.C. non fanno che accentuare la tendenza che è implicitamente presente nella nuova messa. 
In effetti, conformemente a ciò che abbiamo già evidenziato (33), tutte le espressioni propiziatorie sono state eliminate dal nuovo offertorio; il suo titolo diventa "preparazione delle offerte" (34), e soprattutto, le nuove preghiere dell’offerta del pane e del vino, che stiamo analizzando, insinuano che esso non è che una semplice presentazione delle offerte (35), e non un’offerta propiziatoria.
Inoltre, l’impiego che l’"Institutio" e l’"Ordo" fanno di termini come "offerre" (offrire), "oblata" (offerte), ecc., non invalida l’osservazione fatta dai commentatori della B.A.C. Visti nel contesto, questi termini hanno realmente un senso che non esclude l’interpretazione secondo cui "noi non offriamo il pane a Dio". 
D’altra parte, abbiamo già sottolineato (36) il significato equivoco delle espressioni finali delle due nuove preghiere di offerta del pane e del vino: "perché diventi per noi cibo di vita eterna" e "perché diventi per noi bevanda di salvezza". A questo proposito, i commentatori della B.A.C. scrivono: 
"Osservate che l’"Ordo missæ" ha cambiato il senso di questo rito, poiché si è passati dall’offertorio considerato in un senso diretto, ad una semplice presentazione e collocazione sull’altare dei doni che saranno "pane di vita e bevanda di salvezza" (37).

4° Nell’offertorio tradizionale, prima di mescolare l’acqua al vino, il sacerdote la benedice recitando la preghiera Deus qui humanæ substantiæ. Nell’"Ordo" del 1969, questa benedizione sparisce e nella nuova preghiera che abbiamo indicato prima non figurano più alcune espressioni. Riportiamo qui i due testi, quello dell’"Ordo"  di san Pio V e quello del nuovo "Ordo":
"O Dio, che in modo ammirabile creasti e ancora più mirabilmente riformasti la nobile natura umana: concedici, per il mistero di quest’acqua e di questo vino, di aver parte alla divinità di Colui che si è degnato di farsi partecipe della nostra umanità, il tuo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore, che è Dio, e vive e regna con Te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen."
"L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana. " (38).
Oltre all’eliminazione della benedizione dell’acqua e del riferimento alla SS.ma Trinità, occorre notare che è anche scomparso il riferimento alla redenzione, finalità essenziale dell’incarnazione. Si tratta ancora di una modifica che tende ad indebolire il dogma, rendendo così la nuova messa accettabile ai non-cattolici.

5° Nella preghiera che è stata conservata, si dice: "Umili e pentiti accoglici, o Signore: ti sia gradito il nostro sacrificio che oggi si compie dinanzi a te". Ma qui, le parole "umili" e "pentiti", improntati al profeta Daniele (III, 39), non sono sufficienti per esprimere i principii cattolici del perdono dei peccati, principii che ci differenziano dai protestanti (39). 
Il termine "sacrificio" appare qui in un contesto dove non è chiaro che si tratti di un sacrificio propiziatorio.

6° Un’altra preghiera eliminata: "Vieni, o Dio santificatore, onnipotente ed eterno, e benedici questo sacrificio preparato in onore del tuo santo Nome". Si noti che la richiesta a Dio di "benedire questo sacrificio" non sembra affatto accordarsi con l’idea che "noi non domandiamo la benedizione di Dio sul pane", idea che, secondo i commentatori della B.A.C. (40), presiederebbe alla preparazione del nuovo offertorio.

7° Sono state eliminate tutte le preghiere che, nell’"Ordo" di san Pio V, accompagnano l’incensazione delle offerte e dell’altare. Così, il sacerdote non benedice più l’incenso, né invoca più San Michele Arcangelo e tutti gli eletti, né tampoco offre più l’incenso a Dio, ecc.

8° Al Lavabo, i versetti del salmo XXV sono stati sostituiti dalla seguente invocazione del salmo L: "Lavami, Signore, da ogni colpa; purificami da ogni peccato". 
In sé stessa, questa modifica non sembra avere conseguenze dottrinali; tuttavia, essa costituisce un ulteriore passo per rompere con la tradizione liturgica plurisecolare (41).

9° La preghiera alla SS.ma Trinità è stata eliminata: 
"Accetta, o Santa Trinità, questa offerta, che Ti offriamo in memoria della passione, resurrezione e ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, e in onore della beata sempre Vergine Maria, del beato Giovanni Battista, e dei santi Apostoli Pietro e Paolo, e di questi [dei quali sono qui le reliquie] e di tutti i Santi: affinché sia ad essi di onore e a noi di salvezza: e si degnino di intercedere per noi in cielo, mentre noi facciamo memoria di loro sulla terra. Per lo stesso Signore nostro Gesù Cristo. Amen." 
Questa preghiera insiste sul fatto che il sacrificio della messa è offerto alla SS.ma Trinità. Se, oltre alla sua eliminazione, consideriamo la già indicata riduzione del numero di invocazioni alla SS.ma Trinità (42), possiamo realmente temere che il nuovo "Ordo" conduca ad una diminuzione della fede nel principale dogma cattolico. 
Osserviamo inoltre che è stata anche soppressa la preghiera d’intercessione alla Madonna e a tutti i Santi.

10° Il nuovo offertorio ha conservato l’Orate, fratres: 
"Pregate fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente". 
"R. - Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa". 
Questa preghiera parla del sacrificio, ma in nessun modo dice che si tratta di un sacrificio propiziatorio (43). 
Un riferimento alla funzione sacerdotale del celebrante lo si trova nella distinzione tra il "mio" sacrificio e il "vostro" sacrificio; per questa ragione, noi diciamo (44) che il nuovo offertorio indebolisce l’affermazione di questo principio dottrinale, sopprimendo la preghiera Suscipe Sancte Pater (45), senza averla completamente eliminata. 
Lo stesso dicasi del principio di accettazione del sacrificio da parte di Dio perché esso gli sia gradito: le richieste in questo senso sono state eliminate da numerose preghiere (46), ma sono rimaste nella preghiera In spiritu humilitatis (47) e nell’Orate, fratres: "Ti sia gradito…", "Il Signore riceva …".

(su)

C) La prima Preghiera Eucaristica o Canone Romano
Nel nuovo ordinario della messa, ci sono quattro "preghiere eucaristiche", a scelta del sacerdote secondo le regole esposte nell’"Institutio" al n° 322. La prima preghiera eucaristica o canone romano, può essere utilizzata sempre. 
Considerato superficialmente, il canone romano sembra che abbia subito solo modifiche insignificanti. Tuttavia, un’analisi più attenta rivela che i cambiamenti introdotti tendono in generale, e talvolta in modo sottile, a collocare opportunamente nel testo la concezione dell’Eucaristia intesa come semplice agape compiuta dalla comunità, sotto la presidenza del celebrante, in commemorazione della passione e della resurrezione di Nostro Signore. 
Come vedremo tra breve, oggi è difficile definire "romano" questo canone.
*

Nella messa di san Pio V, è presente una chiara separazione tipografica tra la parte narrativa della consacrazione e le parole che realizzano la transustanziazione. Per indicare in maniera indubitabile che queste ultime sono dette affermativamente, in persona Christi, e non come una semplice narrazione, la prima parte del testo si chiude con un punto. In questo modo, diviene chiaro che da quel momento il sacerdote comincia a parlare a nome di Nostro Signore. Inoltre, le espressioni che contengono le parole della consacrazione sono stampate a grandi lettere. 
Nel nuovo "Ordo", il testo che precede le parole della consacrazione termina con i due punti, e benché nelle espressioni che contengono le parole della consacrazione siano stati conservati i caratteri grandi , vi si trovano aggiunte delle nuove frasi, così che un maggior numero di parole non essenziali per la transustanziazione appaiono anch’esse a grandi lettere. Evidentemente, si tratta di un ulteriore passo che conduce facilmente all’idea che la consacrazione non sia nient’altro che una narrazione storica dell’istituzione dell’Eucaristia (48). 
Affinché il lettore possa distinguere le modifiche d’ordine tipografico introdotte nella consacrazione, riproduciamo qui sotto il testo tradizionale ed il nuovo testo (49).
 

TESTO DELL’"ORDO" DI SAN PIO V

"Il quale, il giorno prima di patire, prese il pane nelle sue sante e venerabili mani e, alzati gli occhi al cielo, a Te Dio suo Padre onnipotente, rendendoTi grazie, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: prendete e mangiatene tutti.

QUESTO  INFATTI È IL MIO CORPO.

E in modo simile, dopo aver cenato, prendendo questo glorioso calice nelle sue sante e venerabili mani: di nuovo rendendoTi grazie, lo benedisse e lo diede ai suoi discepoli dicendo: prendete e bevetene tutti.

QUESTO INFATTI È IL CALICE DEL MIO SANGUE, DEL NUOVO ED ETERNO TESTAMENTO:  MISTERO DELLA FEDE: CHE PER VOI E PER MOLTI SARÀ SPARSO IN REMISSIONE DEI PECCATI.

Tutte le volte che farete questo, lo farete in memoria di me."

TESTO DEL NUOVO "ORDO"

"Alla vigilia della sua passione, egli prese il pane nelle sue mani sante e venerabili, e alzando gli al cielo a Te Dio Padre suo onnipotente, rese grazie con la preghiera di benedizione, spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli, e disse:

PRENDETE E MANGIATENE TUTTI: QUESTO È IL MIO CORPO OFFERTO IN SACRIFICIO PER VOI.

Dopo la cena, allo stesso modo, prese questo glorioso calice nelle sue mani sante e venerabili, Ti rese grazie con la preghiera di benedizione, lo diede ai suoi discepoli, e disse:

PRENDETE, E BEVETENE TUTTI: QUESTO È IL CALICE DEL MIO SANGUE PER LA NUOVA ED ETERNA ALLEANZA, VERSATO PER VOI E PER TUTTI IN REMISSIONE DEI PECCATI. FATE QUESTO IN MEMORIA DI ME.

Come si può osservare, l’espressione che segue la consacrazione del vino è stata sostituita. Da notare come il nuovo testo, "Fate questo in memoria di me", sia meno distante dell’idea che la messa è solo una semplice commemorazione, più di quanto lo fosse il testo originale: "Tutte le volte che farete questo, lo farete in memoria di me". 
Bisogna sottolineare che il nuovo testo della consacrazione, così definito in seguito alle modifiche appena indicate, di per sé non è inaccettabile. In alcune liturgie cattoliche orientali, per esempio, si incontra la stessa punteggiatura adottata dal nuovo "Ordo", così come l’espressione "offerto in sacrificio per voi" annessa alla consacrazione del pane, ecc. Ciò che si deve considerare con riserva, è il fatto che tutte queste alterazioni tendono ad avvicinare il canone romano al nuovo concetto della messa espresso nell’"Institutio". In altri termini, i nuovi testi del canone chiamato romano, benché in sé stessi siano accettabili, sono tuttavia meno chiari di quelli antichi; e il fatto che la parte centrale della messa sia divenuta meno distante dal protestantesimo, tende a creare confusioni inammissibili ed estremamente nocive per la fede. 

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Allo stesso tempo, nel canone detto romano, sono stati soppressi ventiquattro segni di croce fatti dal celebrante (50); gli inchini di riverenza sono stati ridotti da cinque a tre; le genuflessioni da sei a due; i due baci dell’altare sono stati eliminati. Tutte modifiche che, di per sé, tendono ad indebolire la natura sacrale della messa, con le conseguenti ripercussioni sulla fede nella presenza reale, nel carattere di sacrificio della messa, nella trascendenza di Dio, ecc.

Introducendo il racconto della Cena, il nuovo "Ordo" presenta questa rubrica: 
"Nelle formule seguenti, le parole del Signore saranno pronunciate in maniera chiara e comprensibile, come lo esige la loro natura" (51). Questa prescrizione, che è anche valida per le parole della consacrazione propriamente detta, ci appare estremamente grave:
1° da una parte, perché essa rende la messa cattolica simile alle cene di Zuiglio (52) e Lutero (53), ecc.;
2° dall’altra, perché la rubrica in questione non stabilisce solo che la parte centrale della messa sia letta ad alta voce, ma aggiunge che questo lo esige la natura stessa delle parole. Ora, quest’ultima asserzione è già stata condannata dalla Chiesa, come abbiamo indicato trattando di una disposizione simile presente al n° 12 dell’"Institutio" (54). 
In questa rubrica, non si può dire che la congiunzione prouti (come) sia impiegata in senso semplicemente proporzionale, e cioè indicante unicamente che le parole che seguono devono essere pronunciate ad alta voce "nella misura in cui" la natura di ciascuna di esse lo esige. Una tale interpretazione, oltre al fatto che violerebbe il contesto e sopprimerebbe ogni ragion d’essere della rubrica stessa, è formalmente smentita dallo stesso n° 12 dell’"Institutio". 

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L’invocazione alla maggior parte degli Apostoli e dei Martiri, i cui nomi figurano nella messa tradizionale, è divenuta facoltativa (55). 

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Anche il riferimento alla mediazione di Gesù Cristo tra noi e Dio Padre, nella stessa messa, ha cessato di essere obbligatorio in molte preghiere (56). Questa modifica contribuisce ad avvicinare la messa alla liturgia dei protestanti. In effetti, secondo costoro, la messa non è un vero sacrificio propiziatorio, non è un autentico rinnovamento dell’immolazione di Nostro Signore sulla Croce, ma una semplice agape commemorativa dell’ultima Cena. In questa concezione eretica, il gradimento chiesto a Dio Padre per ogni messa non sarebbe più necessario. Certo, si potrebbe domandare a Dio che accetti questo banchetto commemorativo, ma una tale accettazione non richiederebbe la mediazione sacrificale di Nostro Signore; per cui non ci sarebbe più ragione per conservare la particolare insistenza con cui il messale romano afferma che le preghiere del sacerdote salgono all’Eterno Padre "per Gesù Cristo Nostro Signore". 

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Secondo il nuovo "Ordo", immediatamente dopo la consacrazione, chi assiste alla messa deve fare un’acclamazione, per la quale sono proposti tre testi. Due di essi terminano con l’espressione "nell’attesa della tua venuta": 
"Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta". 
"Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta". 
Senza dubbio, l’espressione "nell’attesa della tua venuta" è di san Paolo (l Cor. XI, 26) e dunque di per sé non può essere censurata. In questa prima lettera ai Corinti, essa indica l’attesa della seconda venuta di Gesù. Tuttavia, messa immediatamente dopo la consacrazione, allorché Nostro Signore è appena venuto sostanzialmente sull’altare, essa può lasciar credere che Egli non sia presente, che Egli non sia venuto personalmente sotto le specie eucaristiche. Tale innovazione, in tempi in cui negli ambienti cattolici grava una preoccupante tendenza a negare la presenza reale, ha per conseguenza inevitabile quella di favorire la diminuzione della fede nella transustanziazione.

(su)

D) Le nuove preghiere eucaristiche
Se si confronta con l’"Ordo" tradizionale (57), una delle principali novità dell’"Ordo" del 1969 è l’aggiunta al canone romano di tre nuove preghiere eucaristiche. Per questo motivo non esiste più un vero "canone" nella messa, e cioè una regola esclusiva secondo la quale si deve celebrare il sacrificio. Ne consegue che la nuova liturgia chiama tutte queste preghiere, canone romano incluso, "preghiere eucaristiche" (58). 
Vedremo adesso alcune delle principali caratteristiche delle tre nuove preghiere eucaristiche. 
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Nel canone tradizionale, la consacrazione del pane è preceduta da queste parole: 
"Il quale, il giorno prima di patire, prese il pane nelle sue sante e venerabili mani e, alzati gli occhi al cielo, a Te Dio suo Padre onnipotente, rendendoti grazie, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: prendete e mangiatene tutti." 
Nel nuovo canone romano questo testo, con le già accennate modifiche di punteggiatura e di presentazione tipografica (59), è stato conservato. Nelle tre nuove preghiere eucaristiche, questo testo ha subito alterazioni profonde e significative. 
Alcune espressioni che nel testo di san Pio V mettono in rilievo il carattere sacro e santissimo dell’atto che si sta compiendo, sono state eliminate. Così, vi si dice solamente che Nostro Signore prese il pane, senza menzionare le sue mani sante. L’espressione "alzati gli occhi al cielo" è omessa. Il riferimento d’amore a Dio Padre: "a Te Dio suo Padre onnipotente", è stato soppresso nella seconda preghiera eucaristica; sostituito da un laconico "a Te" nella terza; e da "a Te Padre santo" nella quarta. 

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In generale, le parole del canone romano tradizionale che precedono immediatamente la consacrazione del vino, sono state conservate. Tuttavia, sono state introdotte importanti modifiche. 
Oltre ai già ricordati cambiamenti di punteggiatura e di presentazione tipografica, e oltre alla soppressione delle parole "nelle sue sante e venerabili mani", l’espressione "questo glorioso calice" è diventata semplicemente "il calice": innovazione molto più importante di quanto non sembri. Da una parte, l’eliminazione dell’aggettivo "glorioso" (præclarus) costituisce un ulteriore passo verso la desacralizzazione; dall’altra, è particolarmente grave il fatto che, "questo" calice d’ora in poi non è che "il calice", e ciò favorisce la teoria secondo cui il sacerdote non agisce in persona Christi, e cioè come rappresentante di Nostro Signore. Questo richiede una spiegazione.
Come abbiamo già visto, l’"Institutio" non è sufficientemente esplicita circa il principio secondo cui il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione in persona Christi (60). Ora, nel testo che esaminiamo, la messa tradizionale ricorre ancora una volta ad un simbolo per indicare che le parole della transustanziazione sono pronunciate a nome di Nostro Signore: il calice che il sacerdote ha dinanzi a sé è considerato come lo stesso sacratissimo calice nel quale Gesù Cristo convertì per la prima volta il vino nel suo preziosissimo sangue. L’eliminazione di questo simbolo così forte, così ricco e così stupefacente, costituisce un altro passo concreto verso l’indebolimento della fede nel principio secondo cui Nostro Signore, principale sacerdos in tutte le messe, è ministerialmente rappresentato dal sacerdote celebrante. 

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Nelle nuove preghiere eucaristiche, come nel nuovo canone detto romano, il numero dei segni di croce fatti dal sacerdote è diminuito, così come il numero di inchini, di riverenze e di genuflessioni. I baci dell’altare sono stati completamente eliminati. 

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Anche qui, le rubriche esigono che nelle nuove preghiere eucaristiche le parole della consacrazione siano dette ad alta voce, "come lo esige la loro natura". 

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Nei nuovo testi, le invocazioni agli Apostoli ed ai Martiri non sono neanche più facoltative, scompaiono completamente. 
I riferimenti alla mediazione di Nostro Signore, pressoché tutti facoltativi nel nuovo canone romano (61), sono stati ulteriormente ridotti nelle tre nuove preghiere eucaristiche. 

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L’ultima di queste preghiere "contiene un riassunto di tutta la storia della salvezza", e la si deve utilizzare di preferenza "per quei gruppi di fedeli che hanno una conoscenza più profonda delle sacre Scritture". Questo è ciò che sostiene il n° 322d dell’"Institutio". Ora, se analizziamo accuratamente questa preghiera, non possiamo esimerci dal pensare che un giorno un tale testo renderà possibile delle celebrazioni ecumeniche con dei non-cattolici, specialmente con dei protestanti. Ciò detto, si può temere che dei sacerdoti estremamente progressisti ritengano che "i fedeli che hanno una conoscenza più profonda delle sacre Scritture", quelli di cui parla l’"Institutio", siano proprio i protestanti! 
Analizziamo alcuni passi di questa preghiera eucaristica. 
Secondo le rubriche, non si può fare alcun memento di un determinato defunto. L’"Institutio" fornisce una laconica spiegazione per questa strana disposizione, nel n° 322d: 
"In questa preghiera, in ragione della sua struttura, non si può inserire una particolare formula per un defunto". 
È difficile comprendere perché la "struttura" di una preghiera eucaristica non possa ammettere un richiamo speciale per dei defunti determinati. In concreto, possiamo dire che questa rubrica rende il testo accettabile per i protestanti, i quali negano l’applicabilità della messa ai morti. 
Non si obietti che la quarta preghiera eucaristica contiene un riferimento generale ai defunti, sufficiente per distinguerla dalla cena protestante; un riferimento così vago non sarebbe rifiutato dai discepoli di Lutero, giacché se essi negano l’applicabilità dei frutti della messa ai fedeli defunti, non negano che possiamo ricordarci di loro nelle nostre preghiere (62). 
In effetti, in questa quarta preghiera eucaristica il riferimento ai morti è assai vago; in esso si sottolinea che non preghiamo solo per i fedeli defunti. Ecco il testo: 
"Ricordati anche dei nostri fratelli che sono morti nella pace del tuo Cristo, e di tutti i defunti, dei quali tu solo hai conosciuto la fede".
Come si può notare, essa intercede per coloro che, benché non siano morti nella pace di Cristo, sono tuttavia stati salvati dalla loro fede, fede che solo Dio conosce. La formula può lasciare perplessi, poiché, pur essendo suscettibile di un’interpretazione ortodossa, essa tende a preservare la coscienza di coloro che non desiderano appartenere alla Chiesa cattolica: forse essi hanno una "fede" sconosciuta agli uomini, ma conosciuta da Dio. 
La formula impiegata nella quarta preghiera eucaristica per intercedere in favore dei vivi è altrettanto "ecumenica". 
"Ora, Padre, ricordati di tutti quelli per i quali noi ti offriamo questo sacrificio: del tuo servo e nostro Papa…, del nostro Vescovo…, del collegio episcopale, di tutto il clero, di coloro che si uniscono alla nostra offerta, dei presenti e del tuo popolo e di tutti gli uomini che ti cercano con cuore sincero."
Ecco un’altra formula che può essere interpretata in senso ortodosso, ma che è ambigua e pericolosa, poiché insinua, infatti, che una vaga e generica "sincerità" nel "cercare" Dio è una condizione sufficiente di salvezza (63). 

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Per concludere: in linea generale, tutto ciò che nella prima preghiera eucaristica, che imita il canone romano tradizionale, suona male alle orecchie cattoliche è ripreso e ancor più accentuato nelle tre nuove preghiere eucaristiche. 
In altri termini, il nuovo canone detto romano sarà probabilmente usato solo da alcuni sacerdoti tradizionalisti a cui non piacciono le nuove preghiere eucaristiche. I sacerdoti progressisti celebreranno probabilmente facendo uso solo delle nuove preghiere eucaristiche, di modo che in pratica finiranno col soppiantare il canone detto romano, lasciandolo cadere in disuso. 
Inoltre, l’introduzione delle nuove preghiere eucaristiche apre la strada ad altre innovazioni, e costituisce già in sé un attacco contro la tradizione, la quale vede nel canone della messa come una norma inflessibile per l’atto sacratissimo del sacrificio da offrire.

(su)

E) Il rito della comunione
Nel rito della comunione, l’"Ordo" di san Pio V evidenzia assai chiaramente la distinzione tra il sacerdote e il popolo. 
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Così, per esempio, il sacerdote si prepara alla comunione con le sue preghiere personali, dette in prima persona singolare e distinte da quelle che precedono la comunione dei fedeli. Egli riceve Nostro Signore sotto le due specie, mentre i fedeli si comunicano solo con il pane. Mentre il sacerdote riceve il Sangue di Cristo, l’accolito recita il Confiteor, dopo di ché il celebrante dà l’assoluzione al popolo, con un atto che esprime chiaramente la sua missione sacerdotale. E qui gli esempi si potrebbero moltiplicare. 
Nell’"Ordo" del 1969, molti di questi segni che distinguono il celebrante dal popolo sono stati soppressi. Sono state introdotte nuove preghiere e nuovi riti che tendono a confondere il sacerdozio del celebrante con quello dei fedeli. 
I casi in cui si permetteva ai fedeli di comunicarsi sotto le due specie sono stati enormemente ampliati. 
Il Confiteor e l’assoluzione che precedono la comunione dei fedeli sono stati aboliti. 
Il numero di preghiere preparatorie alla comunione dette dal solo sacerdote, in prima persona singolare, sono state sostanzialmente diminuite: mentre nel messale romano tradizionale se ne contano nove, nel nuovo "Ordo" ce ne sono solo più quattro (64); di queste quattro, il celebrante ne dice realmente solo tre per ogni messa (65). E questo numero è ancora considerato eccessivo dai progressisti, che avrebbero desiderato rendere la posizione del sacerdote il più possibile identica a quella dei fedeli: questo almeno è ciò che scrivono, per esempio, i commentatori della B.A.C. (66):
"Per ciò che concerne queste preghiere private del celebrante, bisogna ricordarsi che esse furono prodotte dalla devozione del Medio Evo; in generale, considerata soprattutto l’epoca in cui sono apparse, esse sono degli sdoppiamenti decadenti. Per questa ragione, durante l’elaborazione della riforma, ci sono state forti pressioni, soprattutto da parte dei migliori liturgisti, per giungere ad una soppressione totale di queste preghiere private obbligatorie: noi crediamo che si sia trattato di un progresso per la liturgia. In effetti, se per i fedeli non esistono preghiere private prescritte, perché il celebrante è limitato da formule fisse di preghiere private? Se lo si vuole obbligare a recitare delle formule fisse è forse perché lo si considera meno capace dei fedeli a prepararsi personalmente, per esempio, alla comunione? (67). 
"È possibile, ed è da sperare, che con il progresso della cultura liturgica, queste preghiere tenderanno a scomparire. In effetti, esse sono sensibilmente diminuite, ed è questo uno degli aspetti migliori dell’"Institutio" e della riforma che ne è derivata" (68). 

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La comunione del sacerdote non si effettua più con un rito proprio, diverso da quello dei fedeli, piuttosto il sacerdote è solo il primo di tutti a comunicarsi (69). Questa modifica conferma l’impressione data dal nuovo "Ordo" che il sacerdote non è nulla di più che il presidente dell’assemblea. 

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Il nuovo rito del bacio della pace, introdotto tra gli atti preparatori alla comunione, merita un’attenzione particolare. Il sacerdote dice: "Scambiatevi un segno di pace" (70), e i presenti si salutano gli uni con gli altri: stringendosi la mano, abbracciandosi o facendo un altro gesto di saluto, a seconda della decisione delle Conferenze Episcopali, "secondo l’indole e le usanze delle popolazioni" (71). 
Inutile sottolineare come tale pratica, in un mondo come il nostro, sensuale e desacralizzato, possa condurre a degli abusi. Da questo punto di vista, non si può fare un paragone tra il "rito della pace" introdotto dal nuovo "Ordo" e le cerimonie analoghe delle liturgie orientali e della Chiesa originaria. Tuttavia, non è questo l’aspetto che noi vogliamo maggiormente sottolineare di questa innovazione.
Vogliamo invece richiamare l’attenzione del lettore sul fatto che il saluto stabilito dall’"Ordo" di Paolo VI non parte dal sacerdote, ma è ciascuno dei presenti a darlo al suo vicino. Spiegano i commentatori della B.A.C.: 
"Notate che, secondo la nuova rubrica, ciascuno dà il bacio della pace al suo vicino, che glielo rende, senza attendere che esso parta dall’altare, come si usava un tempo. È stata così restaurata un’usanza più antica e la durata di questo saluto è stata ridotta" (72). 
In un altro passo, gli stessi commentatori della B.A.C. riconoscono che questo modo di procedere ha una spiegazione più profonda, che quella di un puro arcaicismo o di un semplice desiderio di brevità: 
"Non è necessario né desiderabile che il saluto della pace venga dal celebrante, tutti i fedeli devono darselo vicendevolmente, ciascuno alla sua destra e alla sua sinistra. La pace cristiana è un effetto dello Spirito Santo che risiede in ogni fedele" (73). 
Questa affermazione è molto grave. Indubbiamente, lo Spirito Santo dimora in tutte le ànime in stato di grazia; Egli le conduce verso l’amore di Dio e del prossimo. Tuttavia, bisogna ricordarsi bene che si va alla messa per ricevere delle grazie speciali, non in virtù dell’azione comune dello Spirito Santo nelle ànime, ma piuttosto in virtù del sacrificio di Cristo, che viene realmente rinnovato sull’altare mediante il ministero del sacerdote. Sostenendo che questo saluto non ha bisogno di partire dal sacerdote perché lo Spirito Santo "è in tutti i fedeli", i commentatori della B.A.C. insinuano ancora una volta che il sacerdozio del celebrante non è essenzialmente diverso da quello dei fedeli (74). 
Inoltre, la "pace" espressa nel nuovo rito non è chiaramente presentata come il risultato della riconciliazione tra il cielo e la terra, prodotta dal sacrificio redentore di Gesù Cristo; piuttosto essa sembra venire dai fedeli, come il risultato di una semplice solidarietà fraterna e umana che accomuna tutti i presenti. 

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Come abbiamo già fatto notare in un passo precedente, la parte della preghiera Perceptio Corporis tui, che contiene un atto d’umiltà (75), è stata soppressa. Inoltre le preghiere Quod ore sumpsimus (76) e Corpus tuum Domine, che esprimono così bene le nozioni di umiltà e di compunzione per i peccati, e che, senza la grazia, non ci può essere perseveranza nella virtù, sono state ugualmente soppresse (77). Sono state eliminate anche numerose invocazioni alla SS.ma Trinità (78), alcune genuflessioni (79), alcuni segni di croce (80), dei baci di riverenza e degli inchini (81), così come il riferimento alla Madonna ed ai Santi nella preghiera Libera nos, quæsumus (82).

(su)

F) Altre modifiche nelle rubriche
Oltre alle modifiche che abbiamo già annotato, nelle rubriche della messa sono state introdotte numerose alterazioni. Senza alcuna pretesa di presentare uno studio completo, ne indicheremo ora alcune (83). 
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Le genuflessioni, sia del sacerdote sia dei fedeli, sono state quasi tutte eliminate. Salvo in alcuni casi particolari, come la presenza all’altare del SS.mo Sacramento, sono rimaste solo tre genuflessioni del sacerdote (n°233) e una dei fedeli (n° 21). Per quel che riguarda la genuflessione dei fedeli al momento della consacrazione, l’"Institutio" dice: 
"Si inginocchiano [i fedeli] poi alla consacrazione, a meno che lo impediscano o la ristrettezza del luogo, o il gran numero dei presenti, o altri motivi ragionevoli" (n° 21). 
L’enunciazione di queste ragioni restrittive, che il buon senso fa comprendere e che sono quindi superflue, non costituisce forse un invito ai fedeli a non inginocchiarsi nemmeno alla consacrazione? È in questo senso che i commentatori della B.A.C. le interpretano, dicendo che, secondo il loro punto di vista, il fatto che l’assemblea sia numerosa è sufficiente per sopprimere la genuflessione (84). 
Seguendo la stessa linea, l’opuscolo edito da Vosez ad uso dei fedeli (brasiliani) per seguire la messa, il cui testo è stato preparato dal Segretariato nazionale della Liturgia della Conferenza episcopale del Brasile, indica puramente e semplicemente che alla consacrazione i fedeli possono sia inginocchiarsi sia rimanere in piedi (85). 
Constatiamo, dunque, che le nuove rubriche eliminano quasi totalmente le genuflessioni dal rito latino: quest’atteggiamento fisico così appropriato per indicare l’adorazione, l’umiltà, la penitenza e lo spirito di supplica (86)! 

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Innumerevoli prescrizioni, con cui la messa tradizionale circonda le specie eucaristiche, sono state soppresse. Ognuna di esse esprime il rispetto dovuto a Nostro Signore nel SS.mo Sacramento, e alla più piccola particella consacrata che avrebbe potuto andare perduta o essere trattata inavvertitamente in modo indegno. 
Allo stesso modo non si procede più alla cerimonia della purificazione del luogo in cui è caduto un frammento d’Ostia ("Institutio", n° 239). 
Dopo la comunione, le dita del sacerdote non devono più essere purificate nel calice, ma è sufficiente che: 
"Ogni volta che qualche frammento di ostia rimane attaccato alle dita, […], il sacerdote asterge le dita sulla patena, oppure, se necessario, lava le dita stesse." ("Institutio", n°237). 
È stato soppresso l’obbligo per il sacerdote di tenere unite le estremità degli indici e dei pollici da dopo la consacrazione fino alla purificazione, rubrica che, nell’"Ordo" romano, vuole soprattutto esprimere la venerazione suprema con cui le specie consacrate devono essere toccate. 
Non è più prescritta la purificazione dei vasi sacri sull’altare; la si può fare dopo la messa e "se possibile" sulla credenza ("Institutio", nn. 238 e 120). 

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Salvo il caso dell’altare fisso, l’uso della pietra d’altare consacrata per la celebrazione della messa non è più obbligatorio ("Institutio", n° 265). Notiamo che quest’ultima disposizione tende di per sé ad agevolare le celebrazioni di messe nelle case private, ove si può dare alla messa l’apparenza esteriore di semplice banchetto. 

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Il diacono può prendere parte alle funzioni sacre senza indossare la dalmatica, e il suddiacono senza la tunica, dunque col solo camice ("Institutio", n° 81). Quando ci sono più concelebranti, essi possono non indossare la pianeta se non ve ne sono in numero sufficiente o se si presentano altre difficoltà; in tal caso sarà sufficiente che la indossi il celebrante principale ("Institutio" n° 161). 

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L’"Institutio" definisce che, in considerazione della "natura di segno", non solo il vino, ma anche il pane si presentino "veramente come cibo" (87), ragione per cui conviene che il pane eucaristico "sia fatto in modo che il sacerdote nella Messa celebrata con il popolo possa spezzare davvero l’ostia in più parti e distribuirle almeno ad alcuni dei fedeli" (n° 283).
I commentatori della B.A.C. obbediscono dunque più che bene alle disposizioni dell’"Institutio" quando presentano, con molti particolari, il modo di confezionare una pagnotta da 20 g. e di 12 mm. di spessore (88). 

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Le nuove rubriche tendono a diminuire il numero di messe di Requiem. 
Come abbiamo visto al n° 316 dell’"Institutio", il sacerdote, per non tralasciare molte letture bibliche indicate dal lezionario, 
"non ricorra troppo spesso alle Messe dei defunti: TUTTE LE MESSE SONO OFFERTE PER I VIVI E PER I DEFUNTI, e dei defunti si fa memoria in ogni preghiera eucaristica" (89). 
Indubbiamente è auspicabile che i fedeli facciano dire messe, non solo per i defunti, ma anche per le intenzioni della Chiesa militante. Così è sempre stato. Se, a proposito delle messe di Requiem, si deve correggere un eccesso, è pericoloso farlo in nome del principio secondo cui "tutte le Messe sono offerte per i vivi e per i defunti"; in effetti, tale asserzione non esprime interamente la verità, essa tende a smorzare nei fedeli il santo desiderio di far dire delle messe per determinati defunti e per le ànime in generale (cfr. II Macc., XII, 41-46). 
Il n° 337 riduce il numero delle messe di Requiem permesso e il n° 340 abolisce l’absolutio super tumulum nelle messe in cui la salma non è fisicamente presente. 

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Non è più necessario che la croce sia sopra l’altare (nn. 79, 84, 236b, 270).

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Nel caso in cui la comunione è data sotto le due specie, i fedeli sono obbligati a riceverla in piedi (nn. 244c, 244d, 245b, 245c, 246b, 247b, 249 b). Per la comunione data solo sotto la specie del pane, la postura dei fedeli non viene indicata (nn. 56 e 117).

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Solamente una tovaglia deve coprire l’altare, a differenza delle tre usate in passato (n° 79).

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Con l’autorizzazione della Conferenza episcopale, le letture, tranne quella del Vangelo, possono essere lette dalle donne (n° 66). "Gli uffici che si compiono fuori dal presbiterio, possono essere affidati anche alle donne,…]" (n° 70).

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Il SS.mo Sacramento dev’essere normalmente posto fuori dall’altare dove si celebra la messa (n°276).

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È stata autorizzata la costruzione di chiese e la fabbricazione di oggetti di culto in qualsiasi stile artistico (nn. 254 e 287) (90), e si accorda grande libertà quanto alla forma dei vasi sacri (n° 295).

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Infine vogliamo attirare l’attenzione del lettore sul carattere di festa e di indaffaramento che si dà alla nuova messa.
Nel corso della messa, diverse persone esercitano delle speciali funzioni (vedi "Institutio", nn. 65-73): oltre al sacerdote (o ai sacerdoti, in caso di concelebrazione), al diacono e al suddiacono, vi sono: un commentatore, un lettore (od una lettrice), un salmista, un maestro delle cerimonie, gli uscieri (incaricati di ricevere i fedeli alla porta della chiesa e di condurli ai loro posti), i questuanti, i turiferari, i portatori di ceri, i portatori del messale alla processione d’entrata, della Croce e, se possibile, del pane, del vino e dell’acqua. Possono esserci anche più di un diacono, di un suddiacono, di un commentatore, di un lettore e di un salmista. Come abbiamo visto, alle donne si possono affidare le funzioni al di fuori del santuario (presbyterium) (91). Vi è anche il cantore o maestro di coro (nn. 64 e 78) e la schola cantorum (nn. 64 e 274). 
Vi sono due processioni: quella d’entrata, nelle messe ordinarie ("Institutio", n° 82) e nelle messe concelebrate (n° 162), e quella dell’offertorio (nn. 49 e 50), durante la quale i fedeli portano all’altare il pane, il vino, l’acqua e, se possibile, altri doni per i poveri e per la chiesa. 
Vi sono inoltre delle acclamazioni e dei responsori dei fedeli ("Institutio", n° 15); i canti, ai quali si dà una grande importanza (n° 19); le spiegazioni e gli avvisi (nn. 11 e 18), ecc. In molti punti, si lascia al celebrante una grande libertà nella scelta delle preghiere e dei riti (92). 
Al n° 66, l’"Institutio" raccomanda che il lettore sia capace e preparato a questa funzione "Perché i fedeli maturino nel loro cuore, ascoltando le letture divine, un soave e vivo amore della sacra Scrittura" (93). 
Come si può notare, tutto ciò è fatto per dare alla messa un aspetto d’agape gioiosa, di piacevole commemorazione, e non di sacrificio propiziatorio nel quale il Figlio di Dio s’immola per i peccati e l’ingratitudine degli uomini. 
Un’altra significativa espressione di quest’aspetto di spensieratezza e di gradevole banchetto, che si vuol imprimere alla messa, è fornita dal commento della B.A.C. sul n° 280 dell’"Institutio".
Vi si legge, innanzi tutto, che il "tempio deve essere ben illuminato"; che le luci devono essere poste in modo da creare "un riposo psicologico" e "un’atmosfera gradevole agli occhi"; che la disposizione delle sedie deve essere tale che i fedeli possano vedere bene il santuario e guardarsi reciprocamente; che "nel tempio deve innanzi tutto [sic] regnare la pulizia" (94). 
Gli stessi commentatori della B.A.C. proseguono: 
"Bisognerà anche stare attenti alla questione degli odori, per evitare che siano sgradevoli […] e profumare discretamente il luogo, prima di dare inizio a lunghe riunioni, con qualcuno dei prodotti che oggi si vendono economicamente e in quantità e che si utilizzano abitualmente in altri luoghi di riunione come i teatri, i cinema, le sale per i concerti o le conferenze, ecc. 
"Se è possibile, sarà di grande efficacia pastorale provvedere ad un vestibolo, un’entrata, un portico o qualcosa di simile, arredato con il dovuto conforto, affinché le persone possano incontrarsi entrando e uscendo, possano scambiarsi qualche parola, riposarsi, attardarsi, acquistare una rivista o anche ristorarsi ad un piccolo bar. Questi segni umani, preparano ammirabilmente al segno liturgico e lo prolungano, e danno sia al pastore sia ai partecipanti una buona opportunità d’incontrarsi" (95).

(su)

G) Conclusione
Con quello che abbiamo considerato, non vediamo come si possa evitare, in tutta coscienza, di concludere che è impossibile accettare i testi del 1969 della nuova messa.
Ci riserviamo, tuttavia, dopo aver esaminato le modifiche introdotte nel 1970 e gli altri aspetti teorici e pratici che incontreremo, di esporre, alla fine di questo studio (96), un apprezzamento circostanziato sull’attitudine da tenere nei confronti della nuova messa.
(su)

NOTE al Capitolo Terzo
(1) Nota 1, p. 15. Come abbiamo già detto (pp. 13-14), in questo capitolo analizzeremo più specificamente l’"Ordo" del 1969, indicando tuttavia, quando sarà necessario, le modifiche introdotte nel 1970 (che studieremo ex professo al capitolo quarto, pp. 99 e ss.), così che si potrà vedere come nel 1970 non ci siano stati dei rimaneggiamenti sui punti dell’"Ordo" del 1969 che abbiamo denunciato come meritevoli di censure.
(2) Anche qui non pretendiamo di esaminare la questione in maniera esaustiva, ci limiteremo ad analizzare gli aspetti più significativi della nuova messa, rivelatori dello spirito che essa inculca ai fedeli.
(3) Quando sarà necessario, indicheremo al lettore le stesse espressioni latine; normalmente presenteremo solo una traduzione letterale del testo latino.
(4) La formula tradizionale, eliminata dal nuovo "Ordo" della messa, è: "Il Signore onnipotente e misericordioso ci conceda il perdono, l’assoluzione e la remissione dei nostri peccati."
(5) Altre osservazioni sul nuovo Confiteor saranno fatte quando analizzeremo la cena luterana (vedi pp. 143 e ss.).
(6) "V. - O Dio, se Ti rivolgi a noi, ci renderai la vita.
R. - E il tuo popolo si rallegrerà in Te.
V. - Mostraci, Signore, la tua misericordia.
R. - E donaci la tua salvezza.
V. - Signore, esaudisci la mia preghiera.
R. - Ed il mio grido giunga fino a Te.
V. - Il Signore sia con voi.
R. - E con il tuo spirito."
(7) Il sacerdote dice questa preghiera mentre ascende all’altare. La sua formula originale è: "Togli da noi, Te ne supplichiamo, o Signore, le nostre iniquità: affinché meritiamo di entrare con ànima pura nel Santo dei Santi. Per Cristo nostro Signore. Amen. "
(8) Questa preghiera si riferisce specialmente ai Santi le cui reliquie sono nell’altare: "O Signore, Ti preghiamo per i meriti dei tuoi Santi, dei quali son qui le reliquie, e di tutti i Santi: perché Ti degni di perdonare tutti i miei peccati. Amen. "
(9) Si dice questa preghiera prima del Vangelo. Dal testo tradizionale che qui riproduciamo, il nuovo "Ordo" ha soppresso tutto ciò che è tra parentesi: "Purifica il mio cuore e le mie labbra, o Dio onnipotente, (Tu che purificasti le labbra del profeta Isaia con carbone acceso, nella tua benigna misericordia  dégnati di purificare me) affinché io possa annunciare degnamente il tuo (santo) Vangelo. (Per Cristo Nostro Signore. Amen.)".
(10) Come diremo più avanti (pp. 66 e ss.), il nuovo "Ordo" ha eliminato l’offertorio tradizionale, rimpiazzandolo con una semplice "preparazione delle offerte", che lo avvicina alla liturgia protestante (vedi specialmente le pp. 70-71). Quasi tutte le preghiere che sono state soppresse affermano nettamente la nozione di perdono dei peccati.
(11) Riproduciamo il testo tradizionale di questa preghiera, mettendo tra parentesi le parole che sono scomparse nel nuovo "Ordo": "O Signore Gesù Cristo, la comunione al tuo Corpo, (che io indegno ardisco ricevere), non si trasformi per me in giudizio e in condanna, […].".
(12) "Fa, o Signore, che quanto abbiamo ricevuto con la bocca, lo accogliamo con animo puro, e di dono temporaneo ci diventi rimedio sempiterno.".
(13) "O Signore, il tuo Corpo che ho assunto e il tuo Sangue che ho bevuto aderiscano all’intimo dell’ànima mia; e fa che non rimanga alcuna macchia di peccato in me, rinnovato da questi puri e santi sacramenti. Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli. Amen.".
(14) "Sia a Te gradito, o Santa Trinità, l’omaggio della mia servitù: e fa che questo sacrificio, offerto da me indegno sotto gli sguardi della tua maestà, a Te sia accetto; e a me e a tutti quelli per i quali l’ho offerto sia, per tua misericordia, di propiziazione. Per Cristo Nostro Signore. Amen.".
(15) Vedi pp. 23 e ss.
(16) Oltre alle preghiere Suscipe Sancta Trinitas e Placeat tibi, indirizzate alla SS.ma Trinità, sono sparite le invocazioni trinitarie che chiudono numerose preghiere dell’"Ordo" tradizionale: Deus, qui humanæ substantiæ; Libera nos quæsumus; Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi e Perceptio Corporis.
(17) Evidentemente, questa tendenza a non insistere sul mistero della Trinità ha delle pericolose ripercussioni nell’ecumenismo, favorendo un sincretismo di sapore modernista con le religioni non-cristiane.
(18) Nelle pp. 156-157 dimostriamo come questa diminuzione del numero di invocazioni del Kyrie piaccia ad alcuni protestanti.
(19) Nelle pp. 147 e ss. analizziamo più ampiamente la posizione dei protestanti su questo argomento.
(20) San Roberto Bellarmino: "Non si deve negare che nella messa il pane e il vino sono offerti in un dato modo, e che dunque essi fanno parte di ciò che viene sacrificato." (De missa, libro I, cap. 27, p. 552). "[…] nella messa non si offre il pane come un sacrificio completo, ma come un sacrificio incoativo che deve essere completato." (ibid., p. 253). "L’oblazione del pane e del vino che precede la consacrazione fa parte dell’integrità e della pienezza del sacrificio" (ibid., p. 523). 
Suarez: "[…] Cristo ha offerto e istituito questo sacrificio in quanto Sommo Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech; dunque, in un certo qual modo, egli ha offerto il pane ed il vino, non solo come materia, ma anche come termine dell’oblazione, poiché tale era il sacrificio di Melchisedech" (in Parte III, disp. 75, sez. I, n. 9, p. 652). "[…] il pane e il vino sono qui [nella messa] offerti in un dato modo, tuttavia essi non sono offerti semplicemente come degli accidenti, ma in quanto sostanza; ed è per questo che fanno parte di ciò che è offerto, sia in quanto agli uni sia in quanto all’altra" (ibid., n. 11, p. 653). "Noi affermiamo qui che l’offerta non è semplicemente costituita da Cristo, ma anche, in un certo qual modo, dal pane e dal vino. Ciò non significa che ci siano due sacrifici, perché queste due cose costituiscono i termini a quo e ad quem del medesimo sacrificio, poiché il pane diventa il Corpo di Cristo, la cui presenza santifica la specie" (ibid., n. 12, p. 653). 
Cornelio a Lapide, commentando il passo di San Matteo (XXVI, 26), in cui si legge che Nostro Signore benedice il pane prima della consacrazione, scrive: "Cristo non ha benedetto il Padre, come dicono gli eretici, ma ha benedetto il pane e il vino" (p. 555). 
Diekamp-Hoffmann (edizione del 1934): "Nell’offertorio della messa, le sostanze del pane e del vino sono offerte come ostie seconde [hostia secundaria], affinché Dio possa convertirle in ostie prime [hostia primaria]" (Man. Theol. Dogm., vol. IV, p. 224). 
C. Callewaert (+ 1943), difendendo la tesi secondo cui l’offertorio non è una semplice preparazione al sacrificio, ma piuttosto una vera oblazione, "un dono fatto a Dio con intenzione sacrificale" (De offerenda…, p. 70), scrive: "Apparentemente, il primo a scagliarsi contro il concetto tradizionale di oblazione fu Lutero. Con l’obiettivo di negare alla messa la sua natura di vero sacrificio, egli ragionava contro i cattolici nella seguente maniera: non si può donare niente a Dio, poiché egli possiede già tutto; è per questo che nella messa non si può fare un’oblazione come una donazione, quindi nella messa non v’è sacrificio (ibid., pag. 70). 
Esprimono la stessa opinione: De Lugo, De Sacr. Euch., disp. XIX, sez. VII, n. 99, pp. 208-209; Bossuet, Explication de quelques difficultès…, nn. 36-37, cit. da Billot, De Eccl. Sacr., I, pp. 599-600; Pesch, Prælectiones…, vol. VI, p. 382; Billot, ibid.; Fortescue, La messe, pp. 391-392; Gihr, Le saint sacrifice de la messe, pp. 196, 218-222 e 233; Penido, O mist. do sacram., pp. 288-289; Abàrzuza, Man. Theol. Dogm., vol. IV, p. 280. 
Vedi anche: Concilio di Firenze, Denz.-Sch. 1320; Jungmann, El mist. de la misa, pp. 51-54, 629-671 e 741-744; Garrido, Curso de liturgia, pp. 266-267; ed anche i testi liturgici e i numerosi Padri della Chiesa citati da questi autori: Sant’Ireneo, Tertulliano, Origene, san Cipriano, sant’Ippolito, sant’Agostino, san Gregorio Magno, ecc.
(21) Vedi p. 64.
(22) Vedi pp. 147 e ss.
(23) Vedi questo passo per intero nelle pp. 147-149.
(24) Citiamo e commentiamo queste affermazioni di Lutero nelle pp. 148-149.
(25) Citiamo il testo intero di L. Reed alle pp. 147 e ss.
In parte, la soppressione di questa preghiera, come quella di molte altre, è dovuta al principio secondo cui bisogna omettere "tutto ciò che è stato ripetuto nel corso dei tempi, o ciò che è stato aggiunto senza una vera necessità" (Const. Sacros. Conc., n. 50, vedi anche Const. Apost. Missale Rom., pag. 10). A proposito di questa preghiera in particolare, essa è evidentemente utile, quantomeno per affermare il dogma cattolico contro l’eresia protestante. 
D’altra parte, il rifiuto sistematico delle ripetizioni e delle anticipazioni ci sembra contrario allo spirito tradizionale della Chiesa. Non è questa la sede per una esposizione dettagliata della ragion d’essere di queste ripetizioni e anticipazioni in tutto l’ordine dell’essere, specialmente nella dottrina e nella vita della Chiesa. Possiamo solo osservare che la metafisica e la teologia della ripetizione, come dell’anticipazione, sono quelle che dimostrano la teoria dei pre-figurati, dei post-figurati e dei controtipi; sono quelle che spiegano la natura essenzialmente tradizionale della Chiesa; sono quelle che rendono intelligibile il ciclo liturgico nelle fasi che si ripetono ogni anno; sono quelle che giustificano le litanie e altre preghiere in cui una stessa idea, sempre vecchia e sempre nuova, è ripetuta più volte per nutrire la pietà dei fedeli e per esprimere l’immutabile eternità di Dio. In poche parole, noi riteniamo che solo il razionalismo protestante è capace di condannare le ripetizioni e le anticipazioni come queste.
(26) Vedi p. 27.
(27) Ci riferiamo al libro Nuevas normas de la misa, già citato, pp. 15-16.
(28) Si noti il naturalismo di questo concetto: la "vera benedizione discendente" è il pane, che ci dà "forza, vita ed energia". Nella seguente enumerazione, il termine "grazia" appare parallelamente a  "vita e fecondità"; non è quindi chiaro che si tratti della grazia soprannaturale.
D’altra parte, la frase "noi non domandiamo a Dio di benedire il pane" rivela una concezione dell’offertorio radicalmente protestante, come diremo nelle pp. 147 e ss.
(29) Nuevas normas…, p. 39; le maiuscole sono nostre.
(30) Vedi pp. 64 e ss.
(31) Per questo motivo, si dice che il sacrificio della Croce è nell’ordine della redenzione oggettiva, e che la messa è nell’ordine della redenzione soggettiva, vale a dire quella dell’applicazione agli uomini dei meriti ottenuti da Nostro Signore sulla croce (a questo proposito si veda Lercher, Instit. Theol. Dogm., vol. IV-2-1, p. 307).
(32) Vedi p. 64.
(33) Vedi pp. 64 e ss.
(34) Anche i termini impiegati dall’"Institutio" non indicano una vera oblazione sacrificale, ma una "preparazione delle offerte" o una "presentazione dei doni": preparatio donorum (preparazione dei doni, nn. 48, 49 e 53); dona afferuntur (i doni portati, nn. 49 e 59); afferuntur panem et vinum (il pane e il vino sono portati, n. 48); oblationes afferuntur […], praesentantur […], super altare deponuntur, (le offerte sono portate […], presentate […], sono poste sull’altare, n. 49); usquedum dona super altare deposita sunt (fino a che i doni sono depositati sull’altare, n. 50); dona in altari collocata (i doni collocati sull’altare, n. 51); depositione oblatorum facta (fatta la deposizione delle offerte, n. 53).
Il termine "offertorio" compare in diversi paragrafi dell’"Institutio" (nn. 17, 50, 80c, 100, 133, 166, 167, 221, 235 e 324), questo, tuttavia, non è sufficiente per dare a questa parte della messa il senso tradizionale dell’oblazione, prova ne è che i protestanti non rifiutano il termine "offertorio" (vedi pp. 96 e ss.)
(35) Su questo punto, le traduzioni in portoghese dell’"Ordo" non hanno seguito letteralmente l’originale latino, ma sono rimaste in accordo col suo senso di fondo: ecco perché si è tradotto offerimus con apresentamos (presentiamo).
(36) Vedi pp. 68 e ss.
(37) Nuevas normas…, pp. 125-126. La traduzione di potus psiritualis come "bevanda di salvezza" è un’infedeltà ulteriore della traduzione.
(38) L’eliminazione delle frasi ha richiesto che il verbo esse del testo tradizionale fosse sostituito da efficiamur. La modifica sarebbe priva d’importanza dottrinale, se essa non derivasse dalla soppressione della domanda esplicita "accordaci". Così come si presenta nel nuovo "Ordo", la preghiera indica solo un desiderio, divenendo dunque meno espressiva del testo postulante dell’"Ordo" tradizionale.
(39) Vedi p. 149.
(40) Vedi il testo che abbiamo citato alle pp. 69-70.
(41) Nella cena luterana vi sono diversi riferimenti al peccato (vedi pp. 146-147).
(42) Vedi p. 63.
(43) Ricordiamo che vi sono dei protestanti che ammettono che nella messa si compia un sacrificio, ma senza carattere propiziatorio (vedi pp. 141-142).
(44) Vedi pp. 66-67.
(45) Vedi l’osservazione sullo stesso effetto, pp. 68 e ss.
(46) Vedi pp. 66-67 (Suscipe Sancte Pater), p. 68 (Offerimus Tibi), p. 74 (Per intercessionem), p. 74 (Suscipe Sancta Trinitas).
(47) Vedi pp. 73-74.
(48) Nelle pp. 29 e ss. segnaliamo altre manifestazioni della stessa tendenza nella nuova messa.
(49) Diamo una traduzione letterale, conservando anche le lettere maiuscole e minuscole del testo latino. Non traduciamo le rubriche.
(50) Dei 26 segni di croce prescritti dal canone romano tradizionale, ne restano solo 2: nelle preghiere Te igitur e Supplices. È stato eliminato anche il segno della croce durante il Sanctus.
(51) In formulis quae sequuntur, verba Domini proferantur distincte et aperte, prouti natura eorundem verborum requirit.
(52) Vedi p. 135.
(53) Vedi pp. 152-153;
(54) Vedi pp. 32-33.
(55) Nelle preghiere Communicantes e Nobis quoque peccatoribus, dell’"Ordo" di san Pio V.
(56) Le invocazioni "Per Cristo nostro Signore. Amen." o "Per lo stesso Cristo nostro Signore. Amen.", adesso sono facoltative alla fine delle preghiere Communicantes, Hanc igitur, Supplices Te rogamus e del memento dei defunti.
(57) Ancor prima dell’"Ordo" del 1969, Paolo VI aveva introdotto una modifica identica nel messale romano, scrivendo tre nuove preghiere eucaristiche che potevano sostituire il canone tradizionale.
(58) A p. 153, segnaliamo che i protestanti preferiscono l’appellativo di "preghiera eucaristica" piuttosto che quello di "canone".
Nelle pp. 143-144 e 152-153, dimostriamo che anche Lutero, che andava proclamando con forza la necessità di restaurare la messa dei tempi apostolici ed evangelici, scrisse delle nuove preghiere per la sua messa.
(59) Vedi pp. 76 e ss.
(60) Vedi pp. 30 e ss.
(61) Ci riferiamo al fatto che, nel sacrificio della messa, Gesù Cristo è il mediatore tra Dio Padre e noi. Questa mediazione è soprattutto indicata dalla formula "per Cristo nostro Signore", come abbiamo detto alle pp. 79-80.
(62) Vedi, Reed, The Lutheran liturgy, pp. 314 e 345.
(63) L’esistenza di questa insinuazione è innegabile, poiché, diversamente, non si potrebbe spiegare perché non pregare per tutti gli uomini in generale. 
Di più, in nessun passo di questa quarta preghiera eucaristica, è precisato che la messa è offerta in primo luogo per i cattolici. Nella Summa Theologiae, III, 79, 7, 2, san Tommaso spiega la ragione dogmatica per la quale "nel canone della messa non si prega per quelli che sono fuori dalla Chiesa".
(64) Queste nove preghiere sono: Domine Iesu Christe, qui dixisti; Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi; Perceptio corporis; Panem Coelestem; Domine, non sum dignus; Corpus Domini nostri; Quid retribuam; Sanguis Domini nostri; Corpus tuum.
Di queste nove preghiere sono state eliminate: Panem Coelestem, Quid retribuam e Corpus tuum. Una di esse adesso è detta alla prima persona plurale: Domine Iesu Christe, qui dixisti; un’altra è diventata una preghiera comune del sacerdote e dei fedeli, che la recitano simultaneamente: Domine, non sum dignus.
Restano dunque solo quattro preghiere che il sacerdote recita alla prima persona singolare: Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi; Perceptio corporis; Corpus Domini nostri; Sanguis Domini nostri. In realtà, queste quattro preghiere sono ridotte a tre, come indichiamo dopo.
(65) In effetti, il nuovo "Ordo" prescrive che ad ogni messa il sacerdote non debba recitare le preghiere Domine Iesu Christe, Fili Dei vivi e Perceptio Corporis, ma solo una della due, a sua scelta.
(66) Si tratta del libro Nuevas normas de la misa (vedi pp. 15-16).
(67) È evidente che non si tratta assolutamente della capacità del sacerdote a prepararsi personalmente alla comunione. D’altronde, egli può farlo prima della messa, ed è anche fortemente raccomandato che lo faccia. Qui si tratta piuttosto di un’altra questione: tutto ciò che il celebrante fa durante la messa ha una connotazione pubblica e ufficiale, ad un grado più o meno grande. In virtù del suo carattere sacerdotale e della sua condizione di rappresentante di Gesù Cristo e della Chiesa, anche i suoi atti privati sono inseriti nell’azione sacrificale, come qualcosa di radicalmente differente dagli atti di devozione compiuti dalle persone che assistono alla messa.
Queste verità non possono essere ignorate dai commentatori della B.A.C. e dai sedicenti grandi liturgisti ai quali essi si riferiscono. Noi crediamo che la vera ragione che spinge i commentatori della B.A.C. ad adottare questa posizione si trovi a p. 36, ove segnaliamo come essi confondano il sacerdozio dei laici con quello del prete.
(68) Nueva normas…, pp. 89-90, nota 13.
(69) La sola differenza tra la comunione del sacerdote e quella dei fedeli sta nelle parole dette prima di ricevere il Corpo e il Sangue di Cristo. Per la sua comunione personale, il sacerdote dice: "Il Corpo di Cristo mi custodisca nella vita eterna" e "Il Sangue di Cristo mi custodisca nella vita eterna"; prima della comunione di ogni fedele egli dice: "Il Corpo di Cristo" e, nel caso di comunione con le due specie, "Il Sangue di Cristo".
(70) Offerte vobis pacem.
(71) "Institutio", n° 56b.
(72) Nueva normas…, p. 174.
(73) Nueva normas…, pp. 41-42.
(74) A questo proposito vedi le osservazioni fatte nelle pp. 30 e ss.
Vi sono molti altri passi in cui i commentatori della B.A.C. si riferiscono, in maniera almeno dubbia, alla presenza reale di Dio tra i fedeli. Così, a proposito del canto, dicono: "Si può affermare che il canto comunitario è un segno di vera partecipazione, poiché tutte le voci si uniscono in una sola e grande realtà sonora, che fa sentire l’unità e fa percepire la presenza di Dio" (Nueva normas…, p. 60).
(75) Nota 12, p. 62.
(76) Questa preghiera è stata ristabilita nel 1970 (vedi p. 124).
(77) Note 13 e 14, p. 62.
(78) Nota 17, p. 63.
(79) Vedi pp. 91 e ss.
(80) Nelle pp. 62-63, vedi l’osservazione sulla riduzione dei segni esteriori di adorazione.
(81) Vedi pp. 62-63.
(82) Cfr. pp. 134 e 145.
(83) È evidente che le nuove rubriche alle quali facciamo riferimento in questo capitolo, non meritino tutte le stesse riserve, ma è altrettanto evidente che, nel loro insieme, esse si allontanano enormemente dalla tradizione consacrata dalla messa di san Pio V.
(84) Nuevas normas…, p. 100.
(85) Ordinario da missa, Vozes, Petropolis, 1969, p. 22.
(86) Sulla genuflessione nella sacra Scrittura, vedi: I Re XIX, 18; Esdra IX, 5; Is. XLV, 23,Dan. VI, 11; Matteo XVII, 14 e XXVII, 29; Luca V, 8; Marco I, 40 e XV, 19; Rom. XI, 4 e XIV, 11; Filip. II, 10; Efes. III, 14.
(87) A proposito delle modifiche introdotte nel 1970 in questo paragrafo dell’"Institutio", vedi ciò che scriviamo a p. 123.
(88) Nuevas normas…, pp. 260-261.
(89) Le maiuscole sono nostre.
(90) I commentatori della B. A. C. arrivano a suggerire che le vecchie chiese, "dal lusso eccessivo", vengano trasformate in musei, e che gli oggetti sacri, "dalla grande bellezza", siano "ritirati dal culto e posti nei musei, o impiegati per altri usi liturgici" (Nuevas normas…, pp. 63-64).
(91) "Institutio", n° 70.
(92) Commentando questo elemento, il vescovo Mons. Clemente Isnard, OSB, Segretario nazionale per la liturgia della Conferenza episcopale del Brasile, scrive: "L’istruzione generale che apre il nuovo messale romano, fissa delle nuove prospettive, molto diverse da quelle che ispiravano il vecchio complesso delle rubriche. Il principio guida è la flessibilità, che permette al celebrante delle possibilità di scelta. QUESTI CESSA DI ESSERE UN SEMPLICE ESECUTORE DELLE RUBRICHE, PER ASSUMERE CON SPONTANEITÀ LA PRESIDENZA DELL’ASSEMBLEA LITURGICA." (Presentazione del nuovo "Ordo missae", in Presbiteral, Vozes, Petropolis, p. 5; e Liturgia da missa, Edizioni Paulinas, San Paolo, 1969, p. 3), le maiuscole sono nostre. 
(93) È evidente che bisogna augurarsi fortemente che le letture dei testi sacri siano chiare e degne; nondimeno, non possiamo evitare di sottolineare che, nel contesto del nuovo "Ordo", espressioni come "i fedeli maturino nel loro cuore un soave e vivo amore della sacra Scrittura" , acquistano uno stile protestante. Nelle pp. 125 e ss., esponiamo il concetto luterano sugli effetti delle letture bibliche nello spirito dei fedeli.
(94) Nuevas normas…, p. 258.
(95) Nuevas normas…, p. 259. Fra gli scritti progressisti, sarebbe difficile trovare dei testi che reclamino più chiaramente la trasformazione delle chiese in luoghi profani e desacralizzati. In verità, nel passo citato, la casa di Dio è concepita come una semplice sala da pranzo. In questa ottica, non c’è da stupirsi se la gente preferisce frequentare altre sale da pranzo, più attraenti, lasciando vuote le chiese.
(96) Vedi pp. 335 e ss.
(su)



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