Verso Assisi III

Riflessioni - I

(dal Cardinale Bertone)

vedi anche:
II (Card. Tauran) - III (Card. Levada) - IV (Card. Koch) - V (Card.  Turkson) -
VI (Card. Ravasi) - VII (Mons. Sorrentino)

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Dopo l’annuncio fatto dal Santo Padre Benedetto XVI, il 1 gennaio scorso, di voler commemorare il 25° anniversario della prima «Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace che il Venerabile Giovanni Paolo II convocò ad Assisi nel 1986», sono state scritte migliaia di pagine, alcune delle quali abbiamo riportato a suo tempo, insieme alle nostre modeste riflessioni (vedi).

Uno degli argomenti più ricorrenti ha riguardato il modo in cui si sarebbe potuto svolgere questo nuovo incontro interreligioso di Assisi, che per certuni segnerebbe una svolta decisiva rispetto alle sconvolgenti deviazioni del 1986 e perfino al rinnovato sincretismo del 2002. Alcuni, tra chierici e laici, si sono detti certi che questa volta le cose andranno in maniera del tutto diversa per l’inconfondibile impronta che Benedetto XVI non mancherà di lasciare secondo la sua illuminata conduzione pontificale.
In effetti, con tale impostazione si è cercato di fissare l’attenzione sulla forma che hanno rivestito questi incontri interreligiosi di Assisi e quindi sulla forma che questo nuovo incontro rivestirà quest’anno, tentando in qualche modo di distogliere l’attenzione dal problema centrale e cruciale: il senso cattolico e il valore catechetico di queste iniziative.
Su questo versante si è minimizzato, adducendo la giustificazione che si tratterebbe semplicemente di una iniziativa a carattere pastorale volta a perseguire al meglio il bene comune dei popoli, primariamente la pace.
Scopo lodevole, certo, ma che lascia aperto l’interrogativo circa il vero significato dell’iniziativa voluta in prima persona dal Vicario di Cristo, della sua partecipazione come capo della Chiesa di Cristo, del luogo così altamente simbolico designato per la bisogna: Assisi, uno dei centri più importanti della Cristianità.

Tra gli scritti di cui dicevamo prima, e che hanno interessato a vario titolo tutto il mondo cattolico, ve n’è uno che, a mo’ di appello, intendeva sottolineare l’opportunità che tale incontro, ancorché annunciato, non avesse luogo, per il bene della Chiesa e delle anime.
Dopo tre mesi da quest’appello, la Santa Sede, in data 2 aprile 2011, ha diffuso un comunicato col quale ha confermato la convocazione di una “Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo” che si svolgerà ad Assisi il 27 ottobre prossimo per “solennizzare il 25° anniversario dello storico incontro del 1986” e che avrà per tema “pellegrini della verità, pellegrini della pace”. In questa giornata il Santo Padre si recherà pellegrino nella città di San Francesco e inviterà ad unirsi a lui “i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà”.
Questo comunicato costituisce la traccia dell’organizzazione di questa giornata, ne indica le finalità e le modalità di svolgimento. Dalla sua lettura si può comprendere quale sia l’intenzione del Papa e come vuole attuarla.

Già dal tema proposto, “pellegrini della verità, pellegrini della pace”, si evincono presupposti e finalità.
Il presupposto è che ogni uomo è un pellegrino in cerca della verità e del bene, compreso l’uomo religioso, il quale per condursi a Dio è necessario che parli e dialoghi con tutti, credenti e non credenti.
La finalità è costruire la fraternità e la pace chiamando tutti gli uomini in generale e gli uomini religiosi in particolare, insieme agli uomini di cultura e di scienza che non si dichiarano religiosi, a condividere la comune responsabilità per la causa della giustizia e della pace in questo nostro mondo.
Non è inevitabile dedurne che c’è chi crede che, a duemila anni dall’Incarnazione, nessuno conosca Dio, così che logicamente il fine supremo dell’uomo sarebbe la giustizia e la pace del mondo?
Ma anche a voler prescindere da questo angosciante interrogativo, la domanda che si pone è semplice e al tempo stesso problematica per un cattolico: può perseguirsi un qualche tipo di pace e di giustizia senza prima aver fatto chiarezza sull’origine e sul fine dell’esistenza umana? Senza prima aver fatto chiarezza su Dio?
La risposta è ovvia, ma il presupposto su cui poggia questa iniziativa di Assisi parla un linguaggio completamente diverso.
A cosa quindi potrà realmente servire tale iniziativa?

Perseguire la pace nel mondo è certo cosa lodevole, ma francamente bisogna riconoscere che una tale istanza è vecchia come il mondo ed è altrettanto vecchio il continuo stato di guerra del mondo. Senza parlare del fatto che mai come negli ultimi due secoli si sia parlato così tanto di fraternità, libertà e uguaglianza, dialogo e pace, e mai il mondo ha visto così tante guerre e così tante uccisioni di massa.
Sembra quasi che più si parli di pace e più si pratichi la guerra.
Non è che, per caso, parlare di pace senza prima aver riconosciuto il vero Dio e i suoi comandamenti equivalga ad alimentare la confusione, il vaniloquio e, in ultima istanza, il perdurare della guerra?
Ma, ammettiamo pure che con sforzi ulteriori si possa conseguire una qualche pace, allora è inevitabile considerare che si tratterà di una pace in un mondo che non ha morale, non ha principi e per molti versi non crede in Dio, e anche se ci sono di quelli che ci credono, le credenze sono così tante e così diverse che generano concezioni sulla morale, sulla giustizia e sulla pace altrettanto diverse e impossibili da accordare.
Si potrà obiettare che esiste comunque un minimo comune denominatore: la dignità umana e i diritti umani, ma in questo caso la giustizia e la pace perseguibili saranno quelle meramente umane, del tutto slegate dall’istanza prima che è Dio.
Si tratterà della giustizia e della pace che dà il mondo e che nei millenni ha saputo produrre solo ingiustizie e guerre. Si ritorna quindi al punto di partenza.

Ma allora, se non si tratta di un mero discutere mosso dal piacere di fare bella figura di fronte al mondo, è davvero ragionevole che per raggiungere questi obiettivi umani si debba mobilitare l’intera Chiesa di Cristo, Papa in testa? È davvero cattolico prescindere dal vero Dio per ottenere la pace nel mondo insieme ai cultori dei falsi dei e ai predicatori delle ipocrisie e degli inganni del mondo?

Le domande sono davvero tante, le perplessità ancora di più, l’indignazione… meglio non parlarne!

Ma forse delle risposte possono venire dalla stessa Curia romana.

Dopo il programma del 2 aprile, infatti, l’intera Curia si è mobilitata per presentare una serie di argomentazioni atte a chiarire il senso e la finalità di questo Assisi III voluto da Benedetto XVI. Dal 3 al 10 luglio L’Osservatore Romano ha ospitato sette autorevoli interventi ufficiali. Diamo loro un’occhiata per vedere se contengono delle risposte alle domande poste e alle perplessità avanzate prima.
Seguiremo questi scritti, un po’ la volta, secondo la data di pubblicazione, che sembra seguire anche una logica gerarchica.

Il primo intervento, del 3 luglio, è quello del Segretario di Stato di Sua Santità, il Card. Tarcisio Bertone: Da Assisi 1986 ad Assisi 2011, il significato di un cammino.

Il Cardinale scrive:
«…le intenzioni profonde che avevano guidato il grande Pontefice [Giovanni Paolo II]: in primo luogo, mettere in luce la dimensione intrinsecamente spirituale della pace, […] rimane vero che la pace è, primariamente e fondamentalmente, una realtà che va costruita nei cuori, che nasce dalle aspirazioni più alte dell’uomo. In secondo luogo, il radunarsi di leader di religioni diverse, poneva ciascuno di essi di fronte alla responsabilità che le proprie credenze religiose si traducessero, sul piano personale e comunitario, nel senso di una effettiva costruzione della pace. È ben noto, infatti, come nella storia l’appartenenza religiosa sia stata spesso anche strumentalizzata quale elemento di contrapposizione e di conflitto.»

Questa affermazione del Cardinale è davvero singolare, poiché non si comprende bene se stigmatizzi la contrapposizione e il conflitto oppure l’appartenenza religiosa, o entrambi. Dovendo supporre che il Cardinale non possa non considerare positivamente l’appartenenza religiosa, a partire dalla sua, sembra che ad essere stigmatizzata sia la strumentalizzazione di tale appartenenza.
Ora, mentre sembrerebbe trattarsi di una considerazione di buon senso – potenza delle parole! – di fatto si tratta di un’argomentazione equivoca.
Può, una appartenenza religiosa, non produrre dei comportamenti conseguenti?
Non solo è inevitabile, ma è soprattutto doveroso!
E se si tratterà dell’appartenenza ad una sola religione si avranno comportamenti unici, e se si tratterà dell’appartenenza a religioni diverse i comportamenti saranno necessariamente diversi. L’esistenza stessa di religioni diverse è fonte di differenze e di incompatibilità, da cui possono solo scaturire contrapposizioni e conflitti.
Ogni religione, pur non potendo rifarsi, almeno teoricamente, che al solo e unico Dio Creatore di ogni cosa e di ogni esistenza, di fatto lo concepisce, lo vive, lo esprime in modi diversi a seconda della sensibilità umana, ma a questo livello esiste un fattore oggettivo che si chiama inganno, che si chiama autosufficienza, che si chiama Avversario, che si chiama “scimmia di Dio”, ed è con questo fattore oggettivo che deve fare i conti qualunque sensibilità umana.
Quindi, o la religione è ispirata, rivelata e alimentata da Dio, e si tratterà di vera religione che a questo punto sarà anche unica, o la religione non gode di tale ispirazione, rivelazione e alimento e allora si tratterà di falsa religione che, come tale, non potrà essere unica perché ispirata e alimentata dalla sensibilità umana e dal suo fattore oggettivo: l’inganno e l’autosufficienza.
Non solo, ma in presenza di una religione vera, rivelata da Dio, le altre religioni hanno il bisogno di essere dette false e ingannevoli, sia per rispetto a Dio, sia per rispetto a loro stesse. E una volta affermato che tale religione è falsa, ne consegue che dovrà essere considerata cattiva, e come tutte le cose cattive dovrà essere condannata e corretta.
Questo è il senso vero di ciò che il Cardinale chiama contrapposizione e conflitto.
Non può esistere alcuna strumentalizzazione dell’appartenenza religiosa, l’unica cosa che esiste, sia in termini oggettivi sia in ordine alla sua corretta percezione da parte dell’uomo, è la verità di Dio, alla quale si oppone, per la natura umana decaduta, la sua negazione. Una realtà o è vera o è falsa, non possono esistere due realtà ugualmente vere, poiché si tratterebbe di un’unica realtà e non di due, Quella vera è bene e va seguita e rispettata, quella falsa è male e va respinta e disprezzata.
Questo è il senso vero di ciò che il Cardinale chiama contrapposizione e conflitto.
Affermare che tale contrapposizione sarebbe il mero prodotto di una strumentalizzazione è cosa quantomeno fantasiosa.
Chi avrebbe strumentalizzato? I seguaci della religione vera?
Ma in questo caso avrebbero fatto il loro dovere al servizio della verità e quindi non sarebbero strumentalizzatori, ma fedeli servitori di Dio.
O i seguaci della religione falsa? Ma in questo caso avrebbero agito in perfetta coerenza con la loro falsità e già solo per questo sono da condannare e da allontanare.
Questo è il senso vero di ciò che il Cardinale chiama contrapposizione e conflitto.

C’è un altro modo di vedere le cose?
Certo che c’è. È il modo meramente umano, in base al quale si misura l’esistenza avendo in vista non Dio, la verità, la realtà oggettiva, ma l’uomo, la relatività, la realtà soggettiva. In questo caso, e solo in questo caso, si può dire che l’appartenenza religiosa può essere strumentalizzata e trasformata in fattore di conflitto: poiché ogni uomo potrà dire all’altro che si sbaglia perché la di lui verità non è vera come la propria. Disgraziatamente, però, anche in questo caso si dovrà constatare che non di vera e propria strumentalizzazione si tratta, ma del naturale svolgimento del presupposto umano, per sua natura divisivo ed esclusivo.

Il cardinale presenta poi altre considerazioni, alcune delle quali abbastanza scontate, ci soffermeremo quindi su quelle di maggior rilievo dal punto di vista cattolico.
«…il relativismo o il sincretismo, infatti, finiscono per distruggere, anziché valorizzare, la specificità dell’esperienza religiosa. Su questo aspetto si è tornati più volte in seguito, anche a motivo di interpretazioni superficiali, che non sono mancate, di quel primo incontro di Assisi. Nella lettera inviata al vescovo di Assisi per il XX anniversario dell’evento, Papa Benedetto XVI ricorderà che «è doveroso [...] evitare inopportune confusioni. Perciò, anche quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni. Fu questa la scelta del 1986, e tale scelta non può non restare valida anche oggi. La convergenza dei diversi non deve dare l’impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla» (Messaggio a monsignor Domenico Sorrentino, 2 settembre 2006, Insegnamenti di Benedetto XVI, 2006, vol. ii, p. 190).

Questo richiamo del Cardinale dovrebbe servire a chiarire il senso del relativismo o del sincretismo e il modo di evitarli.
Vediamo.

Il sintesi egli dice che ogni religione deve rimanere se stessa, che bisogna evitare ogni confusione, perché, come dice Benedetto XVI: «quando ci si ritrova insieme a pregare per la pace, occorre che la preghiera si svolga secondo quei cammini distinti che sono propri delle varie religioni» e questo «non deve dare l’impressione di un cedimento a quel relativismo che nega il senso stesso della verità e la possibilità di attingerla».

Ora, il sincretismo tende ad operare una sorta di sintesi tra concezioni diverse basandosi sul presupposto che esse abbiamo dei comuni elementi essenziali, mentre il relativismo assolutizza questa pratica ritenendo che una concezione valga l’altra o quasi. Entrambi sono pratiche erronee poiché si basano sull’assunto che non esista la verità, ma solo le verità, per molti aspetti equivalenti (relativismo) e interscambiabili (sincretismo).
Sembrerebbe quindi giusto evitare questi errori, preoccupandosi di rimanere se stessi. Ma, sembrerebbe solamente, poiché in realtà quando persone con concezioni religiose diverse si trovano insieme per pregare e nel farlo si preoccupano di rimanere distinti l’uno dall’altro, è perché riconoscono che non possono pregare insieme… lo stesso Dio! Riconoscono insomma che ognuno deve pregare il proprio Dio… riconoscono cioè che ci sono dei diversi, che ci sono vie religiose diverse che conducono a dei diversi.

Ora, che questo lo affermino questi o quelli, passi… ormai nel mondo moderno, evoluto, civile e progressivo chiunque può affermare ciò che gli pare (i moderni cattolici vaticano-secondisti direbbero: ciò che detta loro la coscienza), ma che questo lo affermi il Papa è cosa veramente sconcertante che sconvolge l’animo del cattolico e gli suggerisce pensieri e riflessioni che non sono sincretistiche o indifferentistiche, ma semplicemente eretiche e blasfeme.

In effetti, riconoscere a priori che esistono «cammini distinti che sono propri delle varie religioni» significa semplicemente riconoscere che esistono cammini distinti per condursi a Dio. Il che è ancora più grave del relativismo e dell’indifferentismo. Con i fatti si pratica l’eresia e con le parole la si vorrebbe giustificare: semplicemente affermando che non la si vuole praticare.
Un pasticcio tipico di certa mentalità che concepisce la concreta possibilità di poter affermare in buona fede tutto e il suo contrario.
Questa non è una mentalità cattolica, ma una qualsiasi mentalità umana cultrice della moderna filosofia anticattolica.

Eppure, col semplice buon senso non è difficile considerare che se gli appartenenti ad ogni religione finiscono col trovarsi d’accordo che possono perseguire la pace umana persistendo ognuno nella propria religione, significa che sono d’accordo sul valore unico delle loro rispettive religioni, come se fossero tutte fondate su Dio e differissero solo per qualche particolare poco importante; e significa anche e soprattutto che sono convinti, tutti insieme, che il valore della pace umana è ben al di sopra di ogni religione, sia essa vera o falsa, che la pace in terra è il bene supremo dell’esistenza, a prescindere dalla religione e quindi da Dio.
Questa impostazione, in ultima analisi, è quella che giustifica l’incontro tra religioni diverse che a priori si dicono irriducibili l’una all’altra, ma che concordano sulla possibilità di perseguire insieme un obiettivo umano, riconoscendo implicitamente che tale obiettivo, in quanto umano, è talmente prevalente che non occorre rifarsi ad alcun dio.

«Conferma i tuoi fratelli nella fede»… nella fede per l’unico e vero Dio… e non nella fede di ogni qualsivoglia falsa divinità.
A chi ha comandato questo Nostro Signore Gesù Cristo? … a Pietro! Ma oggi sembra quasi che una cosa sia Pietro, altra il suo successore.

È lo stesso Card. Bertone che avalla questo nostro ragionamento, quando afferma, riferendosi all’incontro di Assisi del 2002 (Assisi II) che: «La condanna della violenza e del terrorismo operati in nome della religione introduceva nell’incontro interreligioso un elemento forse non nuovo, ma vissuto ora con intensità particolare: il bisogno di purificazione, di cui ogni tradizione religiosa deve farsi carico, davanti alle altre tradizioni religiose e davanti al mondo. Anche la pratica della religione è esposta alle conseguenze del male, del peccato, e può ritrovarsi sfigurata. Radunarsi insieme significa anche essere disposti a perdonarsi e a purificare il proprio modo di vivere la dimensione religiosa. Lo scambio dell’abbraccio di pace tra i presenti, con cui si concluse la giornata del 2002, era espressione eloquente di questa disponibilità

Il Cardinale è talmente convinto della equivalenza tra cattolicesimo e false religioni che non esita a dichiarare che il cattolicesimo si deve purificare, sia nei confronti delle false religioni, sia nei confronti del mondo. Non esita a chiedere perdono alle false religioni e al mondo.
Perdono di che?
Di praticare il cattolicesimo nel modo suo proprio, cioè secondo i comandamenti di Dio e gli insegnamenti di Gesù Cristo.

Ma c’è un altro aspetto che lascia interdetti e crea altra confusione.
A questo incontro sono chiamati anche uomini non religiosi, uomini di cultura, non credenti «E ciò  - dice il Cardinale - non solo per il fatto che la costruzione della pace è una responsabilità di tutti, credenti e non credenti. Più profondamente, siamo convinti che la posizione di chi non crede, o fatica a credere, possa svolgere un ruolo salutare per la religione in quanto tale, per esempio nell’aiutare a evidenziarne possibili degenerazioni o inautenticità. Tracce di questo «illuminismo» rettamente inteso sono presenti nella stessa tradizione biblica, fortemente critica verso modalità di culto che non avvicinano, ma allontanano da Dio».

Così il cerchio si chiude, poiché qui si insegna che l’umiltà del cattolico dev’essere tale da spingerlo a recarsi, cappello in mano, dal miscredente a chiedergli di indicargli le proprie degenerazioni o inautenticità.
Cosa che è ridicola e puerile anche dal semplice punto di vista logico: si va dal non credente a chiedere di essere corretto sulla pratica autentica del proprio credo.
Lo si invita perfino a tarallucci e vino per dargli atto di questa sua sacrosanta missione correttiva.
E logicamente il non credente indicherà al credente dove ha sbagliato, sulla base della sua miscredenza!
E dove e come è inautenticamente credente, sulla base della sua voluta e persistente ignoranza circa ciò che si deve credere!
E sarà lui, che si rifiuta di credere in Dio, ad indicare “illuministicamente” se il credente si sta avvicinando o allontanando da Dio!

Come dire che non è il Vangelo che deve guidare il cattolico, ma la mera presunzione umana che si rifiuta di credere al Vangelo! Magari guidata dall’illuminismo!

È proprio vero che Iddio fa impazzire coloro che vuol perdere!
E per meglio riuscirci ha permesso al Diavolo di sedersi tra i Padri del Concilio Vaticano II e da allora un poi di guidare vescovi e cardinali.

(segue)
Giovanni Servodio





settembre 2011

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