Verso Assisi III

Riflessioni - II

(dal Cardinale Tauran)

vedi anche:
I (Card. Bertone) - III (Card. Levada) - IV (Card.  Koch) -
V (Card. Turkson) - VI (Card. Ravasi) - VII (Mons. Sorrentino)

altri articoli su Assisi III


Dopo la prima riflessione che abbiamo pubblicato, continuiamo a leggere gli articoli apparsi su L’Osservatore Romano a proposito del prossimo incontro di Assisi del 27 ottobre 2011, promosso dal Santo Padre Benedetto XVI.
A quello del Cardinale Bertone, del 3 luglio, è seguito,  il 5 luglio, l’intervento del Cardinale Jean-Louis Tauran, Presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso: Religioni in dialogo oltre gli stereotipi.

In questo caso, come si evince dal titolo dell’articolo e dall’incarico del Cardinale, cercheremo di capire in cosa consista il “dialogo tra religioni”.

Il Cardinale scrive:
«Ancora una volta ci chiederemo: perché i cristiani si impegnano a dialogare con persone e comunità di altre religioni? Un primo motivo è che siamo tutti creature di Dio e, quindi, fratelli e sorelle […] poi, che Dio è all’opera in ogni persona umana, […] Esiste infine un terzo motivo: individuare nelle diverse tradizioni religiose il patrimonio di valori etici comuni che consente ai credenti di contribuire, come tali, in particolare all’affermazione della giustizia, della pace e dell’armonia nelle società delle quali sono membri a pieno titolo.
»
Ora, letto il primo e il secondo motivo, ci si aspetterebbe che seguisse qualcosa di simile a quanto riportato da San Matteo (28, 19-20) e da San Marco (16, 15-16), sulla necessità di insegnare a tutti, “fratelli e sorelle”, a tutte le “persone umane”, ad «osservare tutto ciò che vi ho comandato…» così che «chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato».
Il Cardinale, invece, ci spiega che noi cattolici dobbiamo “dialogare con persone e comunità di altre religioni” per “individuare nelle diverse tradizioni religiose il patrimonio di valori etici comuni che consente ai credenti di contribuire, come tali, in particolare all’affermazione della giustizia, della pace e dell’armonia nelle società delle quali sono membri a pieno titolo”.

Certo, ci vorrebbe una laurea in teologia per soffermarsi a considerare a fondo quanto riportato dagli Evangelisti, ma, siccome non l’abbiamo, ci atterremo alle poche parole del testo, tenendo ben presente ciò che la Chiesa ci ha insegnato col Catechismo fin da piccoli.
Il Signore manda i suoi a convertire tutti gli uomini perché ha a cuore la loro salvezza. Egli si è incarnato per condurre gli uomini al Padre e allontanarli dalle opere del demonio, quindi raccomanda ai suoi di portare a tutti il suo insegnamento e i suoi comandamenti, perché vuole il bene degli uomini. E gli uomini, la faranno propria questa predicazione o la rifiuteranno? Il Signore li lascia liberi di accettare o di rifiutare, ma avverte i suoi che se dopo la predicazione quelli non crederanno, saranno condannati.

Il nostro vecchio insegnante di logica ci farebbe notare che, messa così, sembra proprio che una delle cause della possibile condanna degli uomini potrebbe essere proprio la predicazione, poiché se nessuno predicasse loro il Vangelo, non avrebbero neanche la possibilità di rifiutare, quindi, forse, non sarebbero condannati. Ma il nostro vecchio professore non era cattolico e da buon agnostico sapeva solo fare dell’ironia sulle cose di Dio, mentre il Cardinale non può non essere cattolico… eppure in questo scritto, evitando di parlare di predicazione del Vangelo ed esaltando il dialogo, sembra mettere in pratica, non tanto il comando di Nostro Signore Gesù Cristo, quanto la logica del nostro vecchio professore … meglio non predicare … come se il Signore Gesù non avesse mai parlato.
Addirittura, il Cardinale dice che, non solo non predichiamo il Vangelo, ma dialoghiamo per “individuare nelle diverse tradizioni religiose il patrimonio di valori etici comuni”… al fine di contribuire “all’affermazione della giustizia, della pace e dell’armonia nelle società”. Sostenendo di fatto che noi cattolici non dobbiamo imitare Cristo nel suo amore per gli uomini, preoccupandoci di farli diventare cristiani per il loro bene, ma dobbiamo preoccuparci invece della giustizia, della pace e dell’armonia nelle società, come se questo fosse lo scopo primo dell’Incarnazione, della Passione e della Morte di Nostro Signore Gesù Cristo… come se questo fosse lo scopo per cui Nostro Signore ha istituito la Santa Chiesa.

In questa ottica, il Cardinale precisa che «Il dialogo che la Chiesa cerca di instaurare con credenti di altre religioni, ma anche con ogni persona in ricerca dell’Assoluto, si colloca nella scia del particolare dialogo di Dio con l’umanità attraverso il suo Verbo fattosi uomo», e cita a sostegno San Paolo (Ebrei, 1, 1-2): «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi…in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio».
Ragion per cui, secondo il Cardinale, oggi la Chiesa continua a dialogare.

Il ragionamento sembra conseguente, ma si scontra pesantemente contro la realtà della predicazione del Figlio, quella che corrisponde perfettamente a quanto dice San Paolo: «Dio… ha parlato a noi per mezzo del Figlio».
Se abbiamo capito qualcosa del cristianesimo, ci sembra che si possa affermare indubitabilmente che Gesù non è venuto ad aprire un dibattito, ma ad offrire agli uomini il mezzo per salvare le loro anime con la conversione: chi crederà sarà salvato, chi no sarà dannato… c’è poco da discutere.
Gesù non è venuto a dialogare col mondo e con le opere del Principe di questo mondo: è venuto ad affermare semplicemente: «Vattene, satana! Sta scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto» (Mt. 4, 10). Come abbia fatto il Cardinale a vedere in questa affermazione di Gesù un invito al dialogo con i credenti di altre religioni è cosa che attiene al mistero insondabile della moderna ermeneutica, sempre che, per carità cristiana, si voglia trascurare il mistero dell’iniquità (Cfr. II Ts. 2, 1-12).

E il Cardinale chiarisce che il dialogo non è… non è…, ma «Il dialogo vero, invece, è uno spazio per la testimonianza reciproca tra credenti appartenenti a religioni diverse, per conoscere di più e meglio la religione dell’altro e i comportamenti etici che ne scaturiscono. Ciò permette, allo stesso tempo, di correggere immagini errate e superare preconcetti e stereotipi su persone e comunità. Si tratta di conoscere l’altro come è e, quindi, come ha il diritto di essere conosciuto, non come si dice che è e, meno ancora, come si vuole che sia. Dalla conoscenza diretta e obiettiva dell’altro si incrementano il rispetto e la stima reciproci, la mutua comprensione, la fiducia e l’amicizia».
Traduciamo in italiano corrente, quello usato dai fedeli cattolici: 
Il dialogo con i rappresentanti delle opere del demonio mira a conoscerlo com’egli è, non come pensiamo che sia… così che si possa incrementare “il rispetto e la stima reciproci, la mutua comprensione, la fiducia e l’amicizia”.
Cosa che è sorprendentemente singolare in bocca ad un Principe della Santa Chiesa. Tranne che ultimamente non ci si debba convincere che non esistono e non sono mai esistite le false religioni, quelle stesse di cui si parla nei Vangeli!

E tutto questo sovvertimento dell’insegnamento del Signore Gesù per condividere “le gioie e le prove della vita quotidiana”, per “collaborare in vista della promozione dello sviluppo integrale dell’uomo”, per comprendere “le rispettive eredità religiose”, per condividere le “mutue ricchezze spirituali”.

Finalità lodevoli e perfino entusiasmanti se stessimo parlando di andare al cinema o al bar dello sport, ma, sfortunatamente per il Cardinale, qui si parla di Dio e di come andare verso la vita futura, di come andare all’Inferno o in Paradiso.

Istanza alla quale il Cardinale quasi risponde con uno dei più singolari, controversi e per molti aspetti acattolici passi del Concilio Vaticano II «La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini» (Nostra Aetatae, n. 2)».

Che dire?
Che prima ci scrolliamo di dosso tutte le equivocità e le deviazioni del Vaticano II e prima la Chiesa potrà uscire da questo lungo tunnel della crisi che percorre tristemente da 50 anni.
Prima la finiamo con queste iniziative che fanno a pezzi la Chiesa e conducono le anime all’incredulità e alla perdizione, e prima la Chiesa potrà tornare alla sua vera missione evangelizzatrice.



(segue)


Giovanni Servodio





ottobre 2011

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