Verso Assisi III

Riflessioni - III

(dal Cardinale Levada)

vedi anche:
I (Card. Bertone) II (Card. Tauran) - IV (Card.  Koch) -
V (Card. Turkson) - VI (Card. Ravasi) - VII (Mons. Sorrentino)

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Continuiamo a leggere gli articoli apparsi su L’Osservatore Romano a proposito del prossimo incontro di Assisi del 27 ottobre 2011, promosso dal Santo Padre Benedetto XVI.
A quelli del Cardinale Bertone, del 3 luglio e del Cardinale Tauran del 5 luglio, è seguito,  il 6 luglio, l’intervento del Cardinale William Levada, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: Le ragioni della pace e l’unico Logos.

In questo caso, il Cardinale ci spiega perché si deve perseguire la pace, e incomincia dicendo:
«l'esperienza religiosa nelle sue diverse forme è oggetto dell'attenzione della Chiesa nel terzo millennio. Di fronte all'attuale diffusione di ateismo e agnosticismo, occorre aiutare l'uomo a salvaguardare o a ritrovare la consapevolezza del suo legame elementare (re-ligio) con l'origine da cui proviene. Questa consapevolezza, che si fa naturalmente orante, è anche una condizione della pace e della giustizia nel mondo».

Questa introduzione del Cardinale è interessante soprattutto per la terminologia usata. Egli parla di “esperienza religiosa”, rivelando che è sua convinzione che la religione, quella che lui stesso ricorda essere il legame con Dio (re-ligio), sia tutt’uno con l’esperienza religiosa umana. Concetto questo che assegna alla soggettività umana un ruolo preminente in tale supposto collegamento. Tanto più che il Cardinale tiene a sottolineare che la Chiesa, nel terzo millennio, presta una particolare attenzione all’“esperienza religiosa nelle sue diverse forme”, cosa peraltro inevitabile, questa delle diverse forme, perché quando la religione si riduce alla mera esperienza religiosa non può che assumere tante forme per quante sono le soggettive sensibilità umane.
Ma questo non dice assolutamente nulla della vera religione, del reale e oggettivo “legame con Dio”, poiché, anche a voler soprassedere per il momento sull’insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo (Senza di me non potete fare nullaGv. 15,5), basta il semplice buon senso per rendersi conto che il legame con Dio può venire solo da Dio, poiché l’uomo da solo non potrebbe costruire neanche una misera passerella che porti a Dio.

Di conseguenza, contrariamente a quanto suggerisce il Cardinale, “l’esperienza religiosa”, non solo non conduce a Dio, ma va relegata tra le fisime umane di autosufficienza e auto-salvazione, cioè tra le suggestioni del demonio. E se fosse vero che la Chiesa, nel terzo millennio, rivolge la sua attenzione alle diverse forme di esperienza religiosa, ne deriverebbe che essa non segue “la via, la verità, la vita”, ma in questo terzo millennio ha deciso di seguire “la vita, la menzogna, il precipizio”.

Questi concetti il Cardinale li ribadisce anche quando ricorda la primaria importanza della via salvifica di Cristo. Ricordando che Giovanni Paolo II, dopo Assisi 1986 e i suoi numerosi viaggi in Estremo Oriente, era più che mai convinto che «lo Spirito Santo opera efficacemente anche fuori dell'organismo visibile della Chiesa» e che «si manifesta in maniera particolare nella Chiesa e nei suoi membri; tuttavia, la sua presenza e azione sono universali, senza limiti né di spazio né di tempo». E ricordando che la Dominus Iesus «non mirava soltanto a confutare l'idea di una coesistenza interreligiosa nella quale le varie “credenze” sarebbero riconosciute come vie complementari a quella fondamentale che è Gesù Cristo (cfr. Giovanni 14, 6); intendeva, più profondamente, gettare le basi dottrinali di una riflessione sul rapporto fra il cristianesimo e le religioni. Per la sua relazione unica con il Padre, la persona del Verbo incarnato è assolutamente unica; l'opera salvifica di Gesù Cristo che si prolunga nel suo Corpo, la Chiesa, è anch'essa assolutamente unica in ordine alla salvezza di tutti gli uomini. Ad esercitare tale opera, tanto nei cristiani quanto nei non cristiani, è sempre e solo lo Spirito di Cristo che il Padre dona alla Chiesa «sacramento di salvezza»: perciò non vi sono, in ordine alla salvezza, vie complementari all'unica economia universale del Figlio fatto carne, anche se fuori della Chiesa di Cristo si trovano elementi di verità e di bontà (cfr. Nostra aetate, 2; Ad gentes, 9)».

Abbiamo riportato per intero questo passo, perché costituisce un esempio di come si possa affermare una verità introducendovi elementi della sua stessa negazione. «l'opera salvifica di Gesù Cristo che si prolunga nel suo Corpo, la Chiesa, è anch'essa assolutamente unica in ordine alla salvezza di tutti gli uomini», cioè gli uomini, tutti gli uomini, si salvano solo per Gesù Cristo e la sua Chiesa… si ma… l’opera “salvifica di Gesù Cristo”, esercitata “dallo Spirito di Cristo”, agisce «tanto nei cristiani quanto nei non cristiani» così che essere cristiani o non esserlo è cosa del tutto indifferente rispetto «all'unica economia universale del Figlio fatto carne».
Invero un concetto alquanto ardito che porta alla domanda: a che serve allora essere cristiani?

Ciò nonostante, il Cardinale richiama certe perplessità circa l’opportunità del nuovo incontro di Assisi, ricordando proprio le perplessità del Card. Ratzinger, e risponde con le parole dello stesso Card. Ratzinger: «Uomini e donne, che nella vita quotidiana troppo spesso si fronteggiano l'un l'altro con ostilità e sembrano divisi da barriere insormontabili, salutavano il Papa, che, con la forza della sua personalità, la profondità della sua fede, la passione che ne deriva per la pace e la riconciliazione, ha come tirato fuori l'impossibile dal carisma del suo ufficio: convocare insieme in un pellegrinaggio per la pace rappresentanti della cristianità divisa e rappresentanti di diverse religioni» («30Giorni», 1/2002).

Così le perplessità teologiche sarebbero dissolte da un richiamo sentimentale ed epidermico che ribadisce quelle stesse perplessità che dovrebbe dissolvere.
Tutto bello… ai limiti dell’impossibile… tutto così trascinante che…  un pellegrinaggio comune dei cristiani divisi e dei rappresentanti di diverse altre divisioni, o religioni che dir si voglia, si trasforma nel trionfo della passione del Papa per la pace e la riconciliazione umane.
Più che una spiegazione, qui si tratta di una forma di lirismo fine a se stesso, poiché nulla spiega dell’impossibilità di una comunione delle divisioni, né del valore divino dell’istanza umana per la pace del mondo, né della impossibile comunanza di intenti tra gente che guarda alla verità e gente che vive scientemente agli antipodi della verità.

E che il fine di queste riunioni sta nell’anelito a edificare la città terrena, il Cardinale lo dice chiaramente: «La religione ben lungi dal distogliere dall'edificazione della città terrena, spinge anzi all'impegno per essa. Per noi cristiani, ciò significa anzitutto intercedere presso Dio, lasciando che altri, pur nella loro diversità -- credenti e non credenti, anch'essi invitati al prossimo incontro di Assisi -- si uniscano a noi nella ricerca della pace e della giustizia nel mondo».

Scopo lodevolissimo, ma che non risulta essere la preoccupazione primaria della religione cattolica. Qui si tratta di un convincimento personale del Cardinale, convincimento che magari oggi va di moda nella compagine ecclesiale moderna, ma certo non ha nulla a che vedere con la distinzione già fatta da Sant’Agostino fra città di Dio e città terrena. Non che quest’ultima non esista o debba solo essere demonizzata, ma di certo non rientra nelle preoccupazioni primarie del cristiano, il quale sa che il suo transito nella città terrena dev’essere guidato non dall’anelito ad essa, ma dall’anelito alla città di Dio. Insegnamento ribadito più volte in modi diversi, ma sostanzialmente fondato sul monito del Signore Gesù: siete nel mondo, ma non siete del mondo.
Qui invece si chiamano a raccolta per questo fine terreno anche i rappresentanti delle false religioni e perfino di chi non ha alcuna religione, a confermare che la preoccupazione prima non è il legame con Dio, ma le sorti di questo mondo, che per sua natura è destinato a scomparire.

Ma allora, cosa dovrebbero fare i cristiani: disinteressarsi del mondo? Certo che no! Anche perché sarebbe praticamente impossibile, visto che ci vivono.
Dovrebbero però cercare di vivere in questo mondo, dove sono di passaggio, applicando i comandamenti di Dio e cercando di fare del loro meglio perché tutto e tutti siano sottomessi al disegno di Dio piuttosto che ai desideri degli uomini. Per esempio, cercando di convincere i cristiani divisi a ritornare nella Chiesa cattolica, cercare di convincere i non cristiani a diventare cristiani, cercando di convincere gli atei e gli agnostici che senza Dio è come se non esistessero in questa vita ed è certo che vivranno capovolti nell’altra.

L’incontro di Assisi realizza di fatto tutto il contrario di questo, anzi, confermando tutti nei loro errori, compie un’azione completamente contraria alla pietà cristiana, poiché se è grave non andare a predicare, immensamente più grave è confermare gli erranti nell’errore.
Cosa questa che il Cardinale sottoscrive usando le parole del Card. Ratzinger: «Dovremmo cercare di trovare una nuova pazienza -- senza indifferenza -- gli uni con gli altri e per gli altri; una nuova capacità di lasciar essere ciò che è altro e l'altra persona; una nuova disponibilità a differenziare i piani dell'unità e, dunque, a realizzare gli elementi di unità che sono possibili ora (Vi ho chiamati amici, 71)».

Qui non siamo all’indifferentismo o al sincretismo, siamo ad un passo dal Pantheon dove i Romani pretendevano che si collocasse Cristo, cosa che costò il martirio ai cristiani che si rifiutarono di porre Cristo sullo stesso piano dei falsi dei.
Duemila anni trascorsi invano?

(segue)
Giovanni Servodio





ottobre 2011

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