GNOSI E MUSICA NEL ‘900

Saggio breve sulla cultura esoterica musicale
del XX secolo

(parte terza)

di Luciano Pranzetti



Nostra presentazione

L’ambito complessivo della Tradizione cattolica, intesa secondo l’attuale esigenza dei fedeli di preservare e perpetuare l’immutabile insegnamento della Chiesa di Dio, è spesso vincolato dalla necessità di “conservare”, che lo porta a trascurare la vera radice del male che affligge oggi la pratica della Fede.
Si nota come in genere difetti una visione più ampia che inquadri la crisi attuale nel complessivo deterioramento della tenuta della Fede, direttamente connesso col monito di Nostro Signore circa la sua possibile sparizione, o estrema riduzione, al momento del Suo ritorno escatologico.
Tenere conto di tale processo di deterioramento è indispensabile per comprendere correttamente ciò che è accaduto e che inevitabilmente accadrà ancora, fino a che si esauriranno tutte le possibilità concesse da Dio all’opera devastatrice del Demonio.

In questa ottica, il lavoro dell’amico Luciano Pranzetti, relativamente alla musica e al suo progressivo degenerare dall’armonia alla disarmonia, dall’ordine al disordine, dall’ordo al chaos, come egli ben ricorda richiamandosi al noto motto massonico, costituisce un validissimo contributo per delineare un aspetto del quadro complessivo dell’opera di sovversione della Creazione in generale e del bene dell’uomo in particolare.

Lungi dal rappresentare un aspetto quasi evasivo della vita dell’uomo, la musica è una componente intrinseca dell’esistenza, direttamente connessa con l’ordine e l’armonia volute da Dio.
Il prologo del Vangelo di San Giovanni, che riprende l’incipit biblico della Genesi (Εν αρχη, In principio), ricorda che prima di tutto era il Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto. Il Verbo creatore, che è insieme parola e suono, idea innata e pronunciata, è indicato nella Genesi (1, 3) con il “Fiat lux”, la potenza della parola di Dio che diviene atto della Creazione; la parola espressa, il suono, che diviene luce e per ciò stesso rende esistente l’opera di Dio.
Suono e luce divine sono quindi la radice da cui scaturisce il creato, e quindi l’uomo stesso, e rappresentano i suoi elementi sia basilari sia normativi. È quindi evidente il nesso stretto tra il suono, l’armonia espressa da Dio, e la luce di Dio, senza la quale il creato non esisterebbe; nesso che può indicarsi con le espressioni “luminosità della musica” e “musicalità della luce”, entrambe in grado di suggerire l’armonia luminosa del creato, la cui opposizione è la disarmonia tenebrosa dell’opera dell’Avversario.

È questa luciferina opera del Demonio che ci tratteggia l’amico Pranzetti nel presentarci la progressiva degenerazione della musica, accentuatasi nel corso degli ultimi secoli e raggiungente un primo culmine ai giorni nostri.

Proprio ultimamente ci è capitato di ascoltare una plastica presentazione di questo processo, in occasione dell’incredibile esibizione della sedicente “suor” Cristina. Uno dei personaggi che l’hanno sostenuta e “lanciata” ha pensato bene di affermare, accanto alla “suora” sorridente e compiaciuta, che la musica “moderna” è la cosa più importante del vivere civile: più della politica e della religione.
Ed è proprio così, come descrive l’amico Pranzetti: la musica moderna, ormai connotata dalle sue disarmonie luciferine sopravanza anche la religione, almeno nei limiti concessi da Dio e secondo la disponibilità degli attuali uomini di Chiesa, introducendo così l’avvento del mondo capovolto che prelude al trionfo illusorio dell’Anticristo.

Nota dell'Autore

La natura del sito www.unavox.it  è esclusivamente  apologetica nel senso della Santa Tradizione e, pertanto, gli interventi che vi sono pubblicati afferiscono a tematiche d’ordine teologico/etico/liturgico connesse alla vita e alla storia della Chiesa cattolica. Con ciò, è ragionevole che l’intera produzione vi eserciti l’indagine, l’analisi e l’esegesi di marca ortodossa, niente escludendo laddove si ravvisino la necessità e il dovere d’intervento con lo scopo di correggere o confutare le derive che, specialmente dal Concilio Vaticano II ad oggi, caratterizzano la cosiddetta “nuova teologìa” con conseguenti aberrazioni della dogmatica, della pastorale, della liturgìa e dell’etica sacramentale. Gli autori che vi scrivono, sono attenti tanto al passato quanto all’attualità sicché è frequente leggere di eventi o di questioni antiche così come di fatti quotidiani.

Da una generica e rapida catalogazione degli argomenti, si osserva come il sito accolga  interventi di vario contenuto ed oggetto in cui l’autore espone il proprio pensiero in ordine a tematiche sia strettamente teologiche o filosofiche e sia a tematiche afferenti al territorio dell’arte pittorica, della letteratura, dell’architettura, del comportamento sociale con riflessi e legami alla categoria trascendente della Tradizione e della spiritualità.
   
Pertanto, acclarata la possibilità di perlustrare il  territorio estetico con elaborati in cui si evidenzino connessione e interdipendenza con l’aspetto apologetico, abbiamo creduto utile, giovevole ed opportuno, esporre, previa valutazione della Direzione, un nostro lavoro che si impernia sul tema  “Gnosi e musica nel ‘900”, argomento di fattispecie non particolarmente trattato.
  
E’ un breve saggio, richiestoci nell’aprile del 2011 da Mons. Ennio Innocenti, e inserito nel IV volume della sua monumentale opera “La Gnosi Spuria – Ed. Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Roma 2001” col titolo poco sopra riportato e che volentieri mettiamo a disposizione dei lettori di questo sito. 
In esso saggio, tralasciati gli antecedenti della classicità e quelli dei secoli contigui al ‘900, abbiamo tracciato la fisionomia della moderna Gnosi, così come ci è parsa essere incistata, per sostanza e forma, a  talune opere musicali delle quali diamo brevi cenni, curando soprattutto di evidenziare la cifra esoterica che le connota, con una breve rappresentazione, posta in conclusione, della moderna massificata musica di consumo ove maggiormente si evidenzia il rovinoso e corrosivo messaggio della Gnosi, e riportando il giudizio  di un noto ed autorevole esponente gesuita, padre Antonio Spadaro, attuale Direttore di “Civiltà Cattolica” che, in pratica, ha spalancato le porte del tempio di Cristo alle correnti mefitiche e ai miasmi della musica satanista rockettara.
L’idea della musica (?) come possibile luogo di incontro con Dio è stata ben espressa da Giovanni Paolo II al Congresso Eucaristico di Bologna del 1977 dove, oltre a citare le parole di < blowin’ in the wind > si incontrò con l’autore Bob Dylan e con Adriano Celentano. Ma papa Wojtyla ha incontrato anche Bob Geldof [la cui figlia Paula, tossicodipendente, nell’aprile 2014 si è suicidata con massiccia dose] e Quincy Jones. E hanno suonato alla sua presenza, in Vaticano, tanti altri artisti (!) come Lou Reed, i Nomadi, Claudio Baglioni e tanti altri” (I Gesuiti benedicono il rock: <La musica di Springsteen & Co parla all’anima> - Orazio la Rocca in: La Repubblica, 22 febbraio 2007). 

E non si pensi che questo sia un caso isolato di mellifluo modernismo perché già il cardinale G. F. Ravasi, allora Vescovo e già presidente del “Pontificium Consilium de Cultura”, in un’intervista (Il Giornale 26 maggio  2010) affermava la “presenza dell’Assoluto divino anche nell’arte dissacrante” in accordo con la Costituzione Conciliare “Lumen gentium 8,2”.

Ci proponiamo, a tal proposito ed impegni permettendo, di svolgere una ricognizione sulla moderna e cosiddetta “musica sacra” affinché si possa conoscere come e in qual misura la Chiesa – o certi uomini di Chiesa – abbiamo inquinato il santo deposito del gregoriano, e della grande tradizione polifonica cattolica, con l’introduzione di canti e cori di osceno, pagano e mondano contenuto e di sciocca  forma musicale.
 
Ma torniamo al nostro saggio, con un’avvertenza: in taluni, ma pochi, passi del saggio non si è potuto prescindere da un linguaggio tecnico e specifico che, tuttavia, abbiam cercato di rendere flessibile adattandolo a una maggiore cerchia di lettori che non fossero musicisti. Il lettore troverà un paio di riferimenti attuali in discordanza con la cronologia del saggio stesso; l’abbiamo inseriti  per maggiormente lumeggiare taluni argomenti. Ciò detto, per dovere e per informazione, e grati alla Direzione per averci concesso la pubblicazione di un tema non frequente sullo scenario dell’apologetica cattolica, passiamo all’esposizione.

Maggio 2014

GNOSI E MUSICA NEL ‘900
Saggio breve sulla cultura esoterica musicale
del XX secolo


Parte III



Licht - Sonntag

Nel 1956, Luigi Nono (1924 – 1990) con “Canto sospeso” (1956) adotta la serie di Fibonacci per assegnare le durate, in permutazione continua, alle note della serie originaria. Fondamentale per l’intelligenza della sua musica è la comprensione dei temi, intrisi di astrattezza e di cerebralismo, categorie che con la genialità e il capolavoro non hanno parentela.
Ma chi dà titolo chiaro e diretto alla serialità di Fibonacci è Ernest  Krenek (1900 – 1991) che, nel 1967, compone un “Fibonacci mobile” ove la serie viene addirittura adottata ed illustrata attraverso la durata delle battute e il loro numero, usata per strutturare il materiale musicale stesso e la forma macroscopica.
V’è da citare, ancora, György Ligeti (1923 – 2006) con la composizione “Etudes pour piano” (1965). In essa, la genealogia della serie di Fibonacci compare a tratti nella strutturazione delle sovrapposizioni ritmiche e nell’assegnazione di particolari pulsazioni di accenti.
Ma l’espressione più nota, e dissolutoria, viene da  Stockhausen che, nella sopracitata opera “Licht” (1977-2004), affronta ed esperisce tutte le risorse  dell’avanguardia musicale tessendo accordi sperimentali classici, dodecafonici – su testi di ampia ed incoerente idealità attinta a fonti disparate: ebraismo, kabbala, astrologìa, esoterismo, gnosi, alchimìa, buddhismo – dando conclusione a un immenso affresco, un conglomerato  sincretistico ove la luce, emblema del titolo, diventa oscurità a causa del sovrapporsi di schemi, di tematiche, di sensazioni, di dottrine e di scenografìa simboliste, sopra i quali la musica romba talvolta, svanisce talaltra lasciando l’ascoltatore disorientato. Un percorso che dall’ordine iniziale – Licht – va spegnendosi nell’informe Schatten, l’ombra oscura. Tipico esempio pedagogico di un’eterogenesi dei fini, esito di una teoricità accademica che sovrastà all’intuizione e che programma il tema anche quando non  ne avverte l’urgenza ispirativa.
Tale impresa, sviluppatasi dal 1977 al 2004, tre anni prima della morte dell’autore, è composta di 7 opere teatrali, una per ogni giorno della settimana nel seguente ordine di composizione: Donnerstag (1981), Samstag (1983), Montag (1988), Dienstag (1992), Freitag (1996), Mittwoch (2000) Sonntag (2004).
Una triplice formula è alla base dell’immensa impalcatura musicale e ne definisce situazioni e personaggi in un fitto e gotico intreccio di corrispondenze numeriche e di esoteriche allusioni che vanno, come si disse, dall’astronomìa all’astrologìa, da una visione prebiblica a una confessione kabbalistica fino a planare nelle aure brumose di un orientalismo filosofico per il  quale l’autore  aveva già composto ed elaborato “Mantra” (1970) con cui dichiarava l’adesione al credo buddhistico.
Son presenti cenni di messianismo annuncianti la palingenesi finale, l’apocatastasi origeniana, con il tempo concepito come l’inizio dei cicli vitali ed operante nell’unità cosmica espressa, quest’ultima, attraverso la vibrazione. Un riferimento, non sappiamo quanto voluto o quanto frutto indotto da una diffusa cultura, che lo accosta all’eretica teoria teilhardiana del superorganismo cosmico, il vago, indistinto Cristo gnostico, la luce appunto, o meglio l’energìa confluente nel Punto Omega.



Mantra buddista
   
Detto quanto sufficientemente andava riferito circa la sezione aurea, innestata alla musica del ‘900, riprendiamo il breve catalogo di altre opere ove l’influsso d’una gnosi agglutinante, meno dotta ma più transdermica, ne caratterizza il messaggio.

Nel 1908 Gustav Mahler (1860 – 1911) propone  il suo “Das Lied von der Erde” – il canto della terra. L’opera è un ciclo di 6 canti tratti da antiche poesìe cinesi e tradotte in tedesco da Hans Bethge. Sono meditazioni sul senso della vita e sullo scorrere del tempo, canti della terra e non del Cielo, ove Mahler addomestica melodìe e armonìe  a un misticismo ecologista irenico.



Gustav Mahler

La prima meditazione tesse l’elogio del vino e dell’ebrezza, quasi una ripresa nicciana, perché solo obliando la brevità della vita e la presenza del dolore ad essa connessa, è possibile percepire la natura della felicità.
La seconda descrive una terra avvolta da caligine autunnale, simbolo della vita che si spegne con lentezza inarrestabile, e del cuore del poeta che geme nell’angoscia di un amore perduto. La terza è un vero canto carnascialesco, un carmen buranum con l’inno alla gioventù quale segmento della vita da vivere intensamente posta l’assenza di una realtà postmondana, un inno che residua precipitando verso la disperazione e il nichilismo. Appaiono paesaggi idillici e figure gioiose.
La quarta celebra due amanti che colgono fiori scambiandosi, come in un quadro preraffaellita, sguardi languidi entro i quali, però, preme l’angoscia del senso della precarietà.
La quinta descrive la vita come un sogno, tramato di dolore e di tristezza che solo l’ubriacatura e lo stordimento possono fugare, a costo di morire. Sonno come morte. E’ l’eco del ciceroniano “Habes somnum imaginem  mortis”, un’eco che diventa rappresentazione musicale e che, in quegli anni del primo ‘900, si colora delle nuove filosofìe decadenti dell’esistenzialismo ateo. La sesta vede il musicista contemplare il mondo all’interno di un sogno dove lo ha trasportato l’ebrezza del vino, nel fluire d’una nostalgìa per l’amico scomparso, a cui desidera offrire l’estremo saluto. “Omnis moriar” si potrebbe dire parafrasando Orazio: scomparirò tutto nel Tutto, assimilandomi ad esso -  En to pan, unità e tutto – mentre la natura si appresta a rinascere nel suo eterno, nicciano ritorno.



La cifra gnostica e sincretistica di questa composizione, annidata sotto la coltre serica di una struggente melancolìa romantico/decadente e di una commossa contemplazione idillica, si spiega oggi con l’affermazione delle moderne teorie ecologiste – salutiste - panteiste intorno a Gaia, il pianeta vivente, racchiuse nel ventre oscuro della New Age secondo cui Dio è entità impersonale, energia, frammentato e sparso nella coscienza cosmica.  E la salvezza è possibile solo con l’aprirsi alla meditazione e col  superamento del dolore attraverso l’esercizio sterile e alienante del mantra, nell’attesa di un ritorno al Nulla universale, lo gnostico Abisso.
   
Successivo al pessimismo romantico e meditativo di Mahler s’appresenta un vitalismo sensuale, panico e misticheggiante. Debussy, contiguo alla massoneria e all’esoterismo, lavora al dramma sacro scritto da G. D’Annunzio: “Le martyre de Saint Sébastien” (1911).
Così descrive l’evento A. Maria Andreoli: “Avrà il privilegio di assistere alla nascita di un capolavoro, mimato, danzato ed interpretato da Ida Rubinstein, la danzatrice russa, lesbica anche lei, la cui bellezza androgina si attaglia perfettamente al Santo che gli omosessuali eleggono a loro patrono” (Il vivere inimitabile – Ed. Mondadori, Milano 2000, pag. 459).
Un vero impasto di tetro e corrotto miele, ove un estetizzante misticismo e una vera e prorompente e lubrica sensualità, che non ci vietiamo di definire pornografìa, si affastellano e si presentano sotto la politezza levigata d’una lingua arcaista, comitante una musica docile ai voleri dell’esteta pescarese. La parodìa trasforma il santo martire in una slombata e liquescente specie di Salomè invertita, vittima, il cui martirio affoga negli spasimi languidi ed osceni d’un  masochismo d’accatto - sesso e sangue - in piena corrispondenza dell’omonimo loffio e bavoso lavoro di O. Wilde.



Androgino

E’ il trionfo che le più importanti testate europee diffondono trasmettendo il modello che farà scuola e seguaci tal che non saranno rari i personaggi, noti per vizii, per persistenza nel peccato, per la vita persa nella lussuria fisica e nella carie spirituale, che tuttavia si protesteranno cattolici praticanti e credenti. Personaggi da taluni circoli d’ispirazione e titolazione cristiana indicati come esempio di pedagogica “contraddizione” e di imitazione.



Le sacre du printemps - La Sagra della primavera
   
Dopo questi due anni – maggio del 1913 - nello stesso scenario parigino, viene rappresentata, davanti allo stesso pubblico che ha assistito all’opera dannunziana, “Le sacre du printemps” – la Sagra della primavera, di Igor  Stravinskij (1882 – 1971). L’atmosfera è tumida e carica di senso dionisiaco e la partecipazione di pari intensità. L’opera-balletto fu varata tra assordanti clamori di disapprovazione e di protesta, la sera del 28 maggio del 1913 al Nuovo Teatro dei Campi Elisi. Vi appare il volto tragico e la fisionomia di un autore panteista, il volto impenetrabile e misterioso – scrivono i giornali – della Russia arcaica. Nelle scene, a cui lo stesso Stravinskij lavorò, l’orientalismo barbarico spazza tutti gli argini dell’etica occidentale. Non è più la primavera rinascimentale o quella romantica liricamente sentimentale seppur dai tratti ellenistici. L’opera di Stravinskij è uno scatenamento inaudito di forze oscure, primordiali – quelle che la Kabbalà attribuisce alla sephirah Geburah: il potere – è il risveglio di una natura crudamente vergine, da mattino del mondo, è un rito in cui una fanciulla danza fino allo sfinimento mortale per favorire la rinascita della natura, rito analogo a quello incaico che immolava le “vergini del sole”, analogo alle cruente ierofanìe fenicie del Moloch. “E in quel clima di torrido erotismo scatenato dalle frenesìe ritmiche, la celebrazione dei miti ancestrali, culminanti nella lenta suggestione della danza, si eccita e si esalta fino al bacchico furore” (A. Capri, Storia della musica – Ed. Vallardi, Firenze vol. VII pag. 126).
L’espressione tipica che la Sagra realizza, con potenza inarrivabile, è “quella della collettività gregaria umana, primitiva, inerme e inconsapevole, posta di fronte alla terribilità della natura ancora avvolta nel suo più profondo mistero” (D. de’ Paoli: I. Stravinskij – Ed. Paravia, Torino 1934 ).

La reviviscenza e il risveglio di un nuovo paganesimo tribale son qui pronosticati, testimonii anche i versi che G. d’Annunzio aveva scritto nell’ode “L’otre”, quando, nel 1912 delirava sulle spiagge pisane:  “O uom che m’odi, il tuo spirito che dorme / più non vede gli antichi numi italici. / Vivon eglino pieni di possanza… (Alcyone). Augurio e speranza che, nel tempo successivo s’è concretizzato nel lavoro del sincretistico “Gruppo Eranos” di Ascona. “Biologi, psicologi, storici e letterati, negli ultimi anni, sotto la guida di J. Hillman, si adoperano in un certo senso a far rinascere gli antichi dèi, a vedere il mondo come campo d’azione di forze numinose, insieme vitali e sacre, a noi interiori e insieme presenti nella natura” (M. Blondet, Gli Adelphi della dissoluzione – Ed. Ares, Milano 1994, pag, 133).
Si tratta di sconfiggere il “Kathechon”, colui che fa argine all’irruzione del male, e cioè, il Cattolicesimo, reo d’aver fatto morire gli idoli e gli oracoli falsi e bugiardi, quelli di cui s’intese l’urlo disperato: “Il grande Pan è morto!” (Plutarco: Il tramonto degli oracoli – Ed. Adelphi, Milano 1995 pag. 83).



Il tramonto degli oracoli

La cancellazione del cattolicesimo avrà, secondo Carl Gustav Jung (1875-1951), un esito terapeutico perché, rimessi al loro posto gli dèi antichi – quelli che il salmo 95,5 definisce “demòni” – scompariranno le psicopatologìe sorte nell’uomo per la loro assenza.



Bolero
   
Esito  di tale annuncio  è il fenomeno Maurice Ravel (1875 – 1937) che esplode con il suo “Bolero” (1928). A Parigi, i 15 minuti di questa musica che si snoda, con ritmo ossessivo di un’esecuzione monotematica –  due i  temi:  A e B e 18 battute che si ripetono per 18 sequenze, 9 per ogni tema - subentrando gli strumenti a turno, senza variazione della  tonalità in Do maggiore, salvo che nelle due ultime battute, con un pianissimo iniziale che conclude con un fortissimo, scatenano, più che gli entusiasmi, gli istinti primordiali degli ascoltatori. Alla prima di questo balletto, Ida  Rubinstein, novella baccante, danza seminuda sopra un tavolo mentre intorno cresce, in un climax ascendente di parossismo, l’eccitazione morbosa che l’onda sonora, incalzante e monotona come un mantra, trasforma in indistinto, panico desiderio e in furore. Bolle  il fondo e tenebroso inconscio degli spettatori. Sono le 18  battute che si ripetono, con il tema iniziato dal flauto – lo strumento di Pan – e concluso dal “pieno orchestrale”.
    “Ossessionante e pazzesca immobilità di melodia, di ritmo e di armonìa. Balletto che più di ogni altra composizione ha contribuito alla popolarità di Ravel, dove un’unica idea, ripetuta con insistenza allucinante sul medesimo ritmo scandito dal tamburo, nel continuo mutare dei timbri orchestrali che si vanno sovrapponendo con crescente sonorità fino all’esplosione finale, crea un’atmosfera tra  sensuale e fantomatica, d’inaudita efficacia suggestiva” (A. Capri: Storia della musica, op. cit. vol. VI, pag. 318).



Carmina burana

Il varco al paganesimo è stato aperto e, con il suo Bolero, Ravel ha indicato un nuova strada, quella che conduce ai territori dell’edonismo panico e del brivido. E non si è spenta l’eco del tìaso raveliano che, nel 1937, fanno la loro comparsa i “Carmina burana” di Carl Orff (1895-1982).
(Ci si permetta, a proposito di Orff, una riflessione particolare, che non rientra in senso specifico col tema, ma che getta una luce particolare sulla deriva teologico/estetico/musicale intrapresa dalla cultura cattolica  postconciliare, per bocca di autorevoli quanto modernisti intellettuali. Luise Rinser, ex moglie di C. Orff, visionaria e falsa mistica, fu colei che influì sulla cultura del teologo K. Rahner – nefasta presenza nel Concilio Vaticano II - a cui fu legata da un rapporto che non ebbe le sole caratteristiche dell’amicizia  stando almeno al tono delle lettere – oltre 1800 - che costui le inviò, un tono più consono ad un delirante e sensuale amante fisico che a un eletto direttore spirituale).

Sono, i Carmina burana, cantate sceniche ispirate alla poesìa godereccia, licenziosa e goliardica dei sec. XI-XIII del Nord Europa con frequenti parodìe blasfeme della liturgìa. Contenuti in codice del ‘200 – Codex latinus monacensis o Codex buranus – rinvenuto nel convento dei Benedettini di Beuern – Bura sancti Benedicti – consistono in una raccolta di “cantiones profanae”. Essi, nella musica addotta da Orff, “offrono la singolarità di partecipare insieme delle declinanti forme di musica monodica latina e della nascente forma della musica polifonica. Il loro contenuto letterario è d’intonazione naturalistica, quando non faceta, parodistica o addirittura satirica”  (Franco Abbiati –  in:  A. Capri - Storia della Musica, op. cit. vol. V,  pag 89).
Tuttavia, essi esprimono fortemente la tensione del “carpe diem” rimuovendo i problemi e le sventure della nuova situazione storica e politica che si sta profilando in Europa e nel mondo tutto. E’ una corsa all’edonismo e ai suoi residui, e la società non ha ancora  compreso che il divertimento sta per finire ché, mentre già rimbombano i sordi boati premonitori della imminente seconda guerra mondiale, essa corre follemente verso un vivere nell’hic et nunc vietandosi ogni prospettiva di sbarramento alla barbarie, di  recupero e di ricostruzione. Il risveglio sarà drammatico. La guerra porterà l’affinamento della tecnologìa che sfocerà, più tardi, nel perfezionamento degli strumenti audiovisivi e di registrazione e nella rete mediatica con la quale e nella quale annegheranno – ed annegano – le intimità individuali, le riflessioni segrete per diventare possesso e dominio globale.
Nasce la società del rumore e del chiacchiericcio mentre muore l’individualità discreta  del pensiero personale, muore la verecondia degli atteggiamenti e della parola. La musica di consumo, sbarcata in Europa con le truppe alleate invaderà, con la sua sonorità per lo più chiassosa, supermercati, botteghe, stadii, farmacie, stazioni ferroviarie, uffici postali, circoli, ufficii, scuole, bar.  L’auricolare trasmetterà direttamente nel cavo del timpano, e da questo al cervello, la fiumana dei suoni. E’ lo stordimento globale con cui la centrale del potere mondialista sta lentamente creando un’umanità di paria.



Notte oscura
   
L’esperienza bellica ha, poi, rafforzato la filosofìa relativistica. Goffredo Petrassi (1904-2003) si affaccia sul territorio dell’ambiguità e dell’equivoco con l’opera “Noche oscura” (1950). Immersa in una generica religiosità e in una pari superficiale e pasticciona interiorità che caratterizzano la sua musica, questa composizione merita d’essere inclusa – con accortezza – nel catalogo delle opere esoteriche del ‘900 perché l’autore, abbandonata la struttura della tonalità a cui s’era attenuto fino ad allora, e rimossi i canoni dell’armonìa gerarchica, adotta lo strumento della dodecafonia pur a lui estraneo. Ne vien fuori una composizione di difficile comprensione dove si avverte la disgregazione del testo stesso – tratto dagli scritti ascetici di san Giovanni della Croce (Noche oscura del alma) – e della sensibilità tonale. Intendiamo dire che la dissoluzione, in quanto metodo di lavoro della Gnosi spuria, arriva anche in un’opera come questa che aveva, nell’intenzione primaria e motivazionale, funzione educativa ed anagogica approdando, invece, al caos, all’informe e all’anamorfosi.
    
Tutto è abisso e tutto è nulla. Che la dodecafonia sia stato un salto periglioso nel buio o, se vogliamo, nell’abisso primordiale, è stato confermato dalla testimonianza delle stesso Schӧnberg il quale, in un momento di riflessione, ebbe a confessare: “Il destino mi ha portato su una strada dura. Però ho sempre avuto il desiderio di tornare al vecchio stile e, di tanto in tanto, cedo al desiderio di scrivere musica tonale”.
Dodecafonìa: droga che uncina lo spirito?



La figlia di Jorio
   
Nel 1954, il 4 dicembre, si rappresenta, nel teatro San Carlo di Napoli, in prima assoluta, l’opera lirica di Ildebrando Pizzetti (1880 – 1968) su testo dannunziano: “La figlia di Jorio”, l’autore poeta è morto da 16 anni. Se fosse vissuto fino alla data dell’evento avrebbe preso atto di un’accoglienza non troppo entusiasta, ad onta di quanto recensì Andrea Della Corte su La Stampa del giorno dopo.
L’opera, così come la matrice letteraria e gnostica, si compiace di accostamenti estremi quali: lussuria/castità, empietà/ascetismo, amor filiale/parricidio, sacralità/satanismo, cristianesimo/paganesimo, orgia/digiuno, sprofondamento/resurrezione, dolore/estasi bacchica, narcisismo/filantropìa, innocenza/sangue, nello sfondo di un Abruzzo sanguigno, rovente, istintuale e primordiale. Pizzetti tenta di conferire al testo l’accordo d’una musica obbediente, consapevole che l’apparato melodico/armonico da lui predisposto scompare sommerso dalla tracimazione dl testo stesso che, invano, il musicista aveva cercato di alleggerire. L’opera testimonia quanto profeta fosse stato  D’Annunzio nel prevedere che determinati e paradossali dialettiche e temi  sincretistici sarebbero stati assimilati  da una nuova generazione che, di lì a poco, avrebbe celebrato i fasti del neopaganesimo nell’adunata massiva di Woodstock (1969) e nelle coribantiche esplosioni del ribellismo giovanile di quegli anni. “La fantasìa al potere, vietato vietare, Dio è morto!
   
Concludiamo questa breve escursione sulla musica esoterica del ‘900, dando uno sguardo a un autore, Luigi Nono (1924-1990)  e alla sua più nota composizione: “Au grand soleil d’amour chargé” (1972 - 74) – allusione al socialismo del sole dell’avvenire – al traino di un verso di Rimbaud e con brani scelti da Marx, Lenin, Stalin, Fidel Castro, Pavese, Brecht, Gramsci.  Forte, in questi anni è in Europa, e specialmente in Italia e in Francia, la presenza dominante del pensiero marxista. Informazione, finanza, università, editoria sono i fortilizii in cui si annida, come controllore e amministratore dell’utopìa, e soprattutto, dei servizii dello stato, il PCI. Fra le tante forme di celebrazione del “sol dell’avvenire” non poteva mancare l’apoteosi musicale di cui sarà gran ierofante e ministro eletto Luigi Nono.



L’azione scenica fa perno su alcune figure di donne rivoluzionarie e sugli ideali di lotta, di emancipazione e di amore che vengono riassunti nel personaggio emblematico della Madre già modello brechtiano. E’ come un grande murale su cui viene illustrata l’epoca della Comune parigina (1871).
Condotta su moduli dodecafonici che risentono dello strutturalismo postwebern, alla musica si accosta un testo che svolge, dalla rivoluzione parigina, gli eventi rivoluzionarii russi del 1905 e del 1917, fino alle lotte operaie sudamericane e alla guerra del Vietnam: temi noti del pacifismo e della coesistenza dei popoli, della libertà e del progresso predicati da un’ideologìa che, diversamente, per realizzare i suoi scopi, ha disseminato, e dissemina tuttora, sulla strada insanguinata della storia, una profluvie cruenta di infiniti lutti, di vittime e di pianto e di macerie.



Il compositore non poteva non conoscere ciò che il XX congresso del PCUS – febbraio 1956 – aveva svelato e rivelato al mondo, i crimini, cioè, dell’età staliniana, e anche quelli successivi delle repressioni popolari operate dall’esercito sovietico nei paesi satelliti del Patto di Varsavia – Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia.  Non poteva non sapere, Luigi  Nono – stridente ontologìa dell’omonimo santo re di Francia – ciò che tutti sapevano e, cioè, i delitti, le ecatombi e le purghe maoiste. La sua celebrazione era, invece, un canto  strozzato e spento per una dottrina perversa e di un ideale che, nel 1989, verrà giù rovinosamente con le macerie del Muro di Berlino, seppellendo lo stesso musicista che, di lì a poco avrebbe cessato di vivere.
Il tempo e la giustizia della storia hanno seppellito, sotto una spessa e pesante coltre d’oblìo, l’ultimo cigno rosso della cui memoria restano le note degli spartiti non più aperti ed eseguiti, sarcofaghi di melodie già stinte.
   
La musica colta, classica, esoterica, simbolista era stata un prodotto riservato a un ristretto àmbito  di cultori ed amatori, una esigua cerchia di intenditori rispetto alla massa dell’umanità. Questa, infatti, ne era estranea e lontana per varii motivi: culturale, economico, psicologico, politico. Ma in breve tempo, essa, nel successivo processo di divaricazione travaserà forme, stilemi, strutture, idealità, ambiguità a una ibrida  forma musicale, ora che le masse facevano la loro comparsa dopo i  movimenti di contestazione nel ’68 e negli anni successivi rimuovendo e scotendo dalle fondamenta la società retta dal principio di autorità e di gerarchìa.
Si aprivano gli spazii alla “musica di consumo”, quella libertaria e giovanile col sostegno delle multinazionali della discografia, della finanza e dell’informazione, saldamente in mano alle Logge massoniche.
Comincia a prendere corpo un tipo di rappresentazione musico/teatrale di evidente derivazione dal balletto e dall’operetta e che, sotto il nome di “musical” arriverà a contendere la scena all’opera lirica con derive verso palesi trasgressioni ed aggressioni al senso religioso, specialmente a quello cristiano cattolico. Esempii assai illustrativi: Hair, spettacolo dai contenuti omosessuali e sodomitici; Cats, società felina in cui si intrecciano amori nel miscuglio di biblismo e magìa; Jesus Christ Superstar, in cui Cristo è presentato come un pagliaccio.



Una scena dal “musical” Cats - Gatti

Il vecchio melodismo popolare e della musica leggera classica trova qui la sua tomba.




(continua)

                                                          
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maggio 2014

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