Lettre à nos Frères Prêtres n°9 / mars 2001
Lettre trimestrielle de liaison de la Fraternité Saint-Pie X 
avec le clergé de France

Lettera ai nostri fratelli preti, n° 9, marzo 2001
Lettera trimestrale di collegamento della Fraternità San Pio X col clero di Francia



Questo numero della pubblicazione è composto di tre parti:

1° - Una messa punto sullo stato dei contatti intercorsi tra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X
      Incontri romani.
2° - La supplica presentata al Santo Padre da Mons. Bernard Fellay, che abbiamo però riprodotta in una
      pagina apposita
3° - La presentazione dello studio: "Il problema della riforma liturgica", presentato al Santo Padre da Mons. Fellay 
       insieme con la supplica, e distribuito a tutti i vescovi francofoni e a tutti i preti di Francia.
       Tale studio sarà presto disponibile in italiano presso i Priorati della Fraternità San Pio X (per i 
      recapiti dei Priorati si veda la nostra pagina: http://www.unavox.it/indirizzi.htm*diversi), e verrà 
      distribuito a tutti i vescovi di lingua italiana


Il testo è stato evidenziato da noi


 


Incontri romani

I piú informati di voi avranno appreso dalla stampa che, da qualche mese, si era ristabilito un nuovo dialogo ufficiale tra la Fraternità San Pio X e il Cardinale Castrillòn Hoyos, incaricato dal Papa a questo scopo in quanto Prefetto della Congregazione per il Clero. La cosa è vera, e noi tutti non possiamo che gioirne.

Tutto ha avuto inizio con l’impatto positivo provocato a Roma dal nostro pellegrinaggio giubilare  dell’agosto scorso (cf. Lettre à nos frères prêtres n° 7). Al posto della folla inasprita e agitata che certuni immaginavano, gli osservatori romani hanno scoperto innumerevoli famiglie, animate da una fede tanto determinata quanto gioiosa, che pregavano insistentemente per il Papa e per la Chiesa: «Uno dei pellegrinaggi piú edificanti che abbia visto nel corso di questo Anno Santo», dirà Mons. Tavanti, responsabile liturgico della Basilica di Santa Maria Maggiore.
In seguito a queste giornate di intensa preghiera, la rivista 30 Giorni ha pubblicato una lunga intervista a Mons. Bernard Fellay, Superiore generale della nostra Fraternità. Una delle sue frasi ha particolarmente trovato eco nei corridoi vaticani: «Se il Papa mi chiama, io vado. Anzi, corro. Per filiale ubbidienza nei confronti del Capo della Chiesa» (30 Giorni, settembre 2000, p. 8). In questa stessa intervista, Mons Fellay precisava un elemento preliminare che avrebbe permesso delle fruttuose discussioni: concédere a tutti i preti del mondo la piena libertà di celebrare la Messa tridentina.

Tale elemento può sorprendere, tanto piú che esso non andrebbe a diretto beneficio della Fraternità San Pio X. Tuttavia, gli osservatori piú autorizzati lo hanno considerato come «non eccessivo». In effetti, dal momento che, in maniera ufficiale, si riconosce come abusiva e deleteria l’interdizione del Messale tridentino (Card. Ratzinger, Ma vie, p. 132); dal momento che si ritiene, sempre piú apertamente, che «la crisi attuale della Chiesa si fonda largamente sulla disintegrazione della liturgia» (ibidem); dal momento che l’Arcivescovo di Salzbourg fa leggere in tutte le sue parrocchie un comunicato in cui si riconoscono le mancanze dei Pastori nelle gravi deficienze che conosce la trasmissione delle verità eucaristiche; in tal momento, non è incongruo abolire l’interdizione abusiva e infamante che grava su un Messale millenario la cui sicurezza dottrinale e la cui efficacia salutare sono indiscusse. È per questo che il Card. Castrillòn Hoyos, nell’intervista concessa a sua volta alla rivista 30 Giorni, ha dichiarato a proposito delle richieste preliminari della Fraternità San Pio X: «Se verrano presentate, saranno esaminate con rispetto e nell’ottica del bene autentico dell’intera comunità ecclesiale» (30 Giorni, novembre 2001, p. 19) [si veda l'intervista da noi pubblicata].

Tuttavia, nel momento in cui scriviamo, malgrado diversi incontri ufficiali tra il Prefetto della Congregazione per il Clero e i dirigenti della Fraternità San Pio X, malgrado il primo incontro fra Giovanni Paolo II e Mons. Fellay, il buon ésito delle discussioni sembra provvisoriamente compromesso. A causa delle tergiversazioni romane nei confronti del detto premilinare, che in un primo momento si era assicurato non ponesse difficoltà. Sembra che, in séguito a certe pressioni interne, Roma si faccia indietro sull’applicazione di questa misura benéfica e “non eccessiva”. Un tale passo indietro sarebbe molto dannoso, poiché rimetterebbe in questione, non solo il nascente dialogo, ma soprattutto «il bene autentico dell’intera comunità ecclesiale», per riprendere l’espressione del Card. Castrillòn Hoyos.

In effetti, siamo di fronte a ben precisi “segni dei tempi”: attualmente, un prete su cinque ordinati in Francia, lo è per il rito tradizionale, mentre il 50 per cento dei seminaristi diocesani, almeno una volta, si è posto il problema dell’eventuale integrazione in una delle due Fraternità tradizionali (cf. Intervista concessa dal Card. Ratzinger a Spectacle du monde, nel dicembre 2000). In Italia si riscontra lo stesso fenomeno. Mentre un prete di una certa influenza come Baget Bozzo reclama apertamente il ristabilimento del rito tridentino, dei pàrroci passano ai fatti: come quel prete di origine francese che ha preso l’iniziativa di restituire ogni domenica ai suoi parrocchiani la Messa tradizionale: «il solo nutrimento perfettamente sano per la loro fede eucaristica», ha spiegato [si vedano, nel nostro sito le Lettere di un parroco ai suoi parrocchiani]. Negli Stati Uniti, in Argentina, in Polonia, in Germania, le testimonianze si moltíplicano, soprattutto da parte del giovane clero: «In quanto prete, sento un forte desiderio di passare alla Messa tradizionale, a causa della ricchezza spirituale che da essa sembra derivare. Piú la esàmino, piú la conosco, e piú mi accorgo di quanto ci è stato tolto». L’interdizione romana, mantenuta fino ad oggi, non fa altro che creare in seno al clero delle serie incomprensioni, talvolta sfocianti in modo eclatante, come è accaduto in certe diòcesi francesi (cf. Lettre à nos frères prêtres n° 8). Solo un chiaro gesto da Roma sarebbe in grado di appianare di colpo queste tensioni, evitando cosí una recrudescenza della guerra fratricida che impegnò il clero degli anni settanta. Si tratta di un gesto semplice: concédere a tutti i preti la completa libertà di celebrare la Messa secondo il Messale tradizionale. Questo gesto, che ieri era all’ordine del giorno, oggi Roma lo ha rimesso in questione.

L’indecisione di Roma comporterebbe per la Fraternità San Pio X il triste compito di prendere atto della sospensione momentanea delle discussioni ufficiali con la stessa Roma, al pari del passo indietro fatto da quest’ultima; e tale irrigidimento significherebbe soprattutto il rigetto di una grazia di pacificazione e di benefici spirituali incontestabili, forieri di una nuova rivivificazione dell’intera Chiesa. In un tale contesto, la Fraternità San Pio X non è rimasta inattiva. Lo scorso 2 febbraio, Mons. Fellay ha inviato un «Addresse au Saint Père» [la Supplica citata all'inizio], che pubblichiamo in queste pagine. In effetti, questa lettera introduce un documento piú importante pubblicato dalla Fraternità San Pio X, e inviato ufficialmente un mese fa a Giovanni Paolo II e ai diversi dicasteri interessati. Alla presente pubblicazione  abbiamo allegato il documento integrale e lo abbiamo inviato a tutti i Vescovi francofoni del mondo e a tutti i preti di Francia. Si tratta infatti di uno studio molto importante. Esso attiene agli aspetti piú interiori del nostro sacerdozio e della nostra vita da preti, e riguarda tutti. Ma lascio ad altri la presentazione. Io mi límito semplicemente a pregare perché queste pagine, che sono certo riscuoteranno il vostro interesse, siano occasione di riflessione e di scambi tra noi, e soprattutto favoriscano l’azione liberatoria da molti auspicata: lasciare a tutti i preti che lo desíderano la piena libertà di utilizzare un Messale certamente degno di Dio, che comúnica abbondantemente i tesori del depositum fidei, e i cui frutti di santità nel corso dei sécoli sono indiscutibili.

Abbé Pierre Marie Laurençon
Superiore per la Francia della Fraternità San Pio X
 



Il problema della riforma liturgica
La Messa del Vaticano II e di Paolo VI
Studio teologico e liturgico

"Il problema della riforma liturgica". Questo è il titolo principale del documento che è stato inviato, nel febbraio scorso, al Sovrano Pontefice, e che oggi inviamo a tutti i Vescovi francofoni e a tutti i preti di Francia.

Redatte da «pastori d’ànime qualificati sul piano teologico, liturgico e canonico», membri della Fraternità Sacerdotale San Pio X, queste pagine ci fanno risalire alle cause propriamente dottrinali della crisi attuale, rendendo palesi i principi teologici che sono alla base della riforma liturgica del 1969. Fin dal 1964, dei testi ufficiali ci forniscono la chiave esplicativa della grande riforma che alcuni anni dopo farà vacillare la liturgia. Venticinque anni dopo, per celebrare l’anniversario della Costituzione conciliare sulla liturgia, il Papa Giovanni Paolo II riprende quella stessa chiave esplicativa: «Il primo principio [motore della riforma] è l’attualizzazione del misterto pasquale del Cristo nella liturgia della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Vicesimus quintus annus, 4/12/1988).

Il «mistero pasquale». Da alcuni decenni, questa espressione è onnipresente nel linguaggio ecclesiastico e liturgico, ufficiale e ordinario. Tuttavia, i Padri non l’hanno quasi mai impiegata, la teologia la sconosce fino al XX secolo, ed ancora oggi non se ne trova chiaramente definito il significato. È in quest’ultimo compito che si sono impegnati gli autori dello studio che presentiamo. Allo scopo di giungere ad una profonda spiegazione della riforma liturgica, e di mettere in luce «i punti dottrinali che, forse a causa della loro novità, non sono stati compresi da alcune parti della Chiesa» (Giovanni Paolo II, Ecclesia Dei adflicta, 2/7/1988), essi hanno analizzato il pensiero dei liturgisti piú eminenti del Consilium - la Commissione a cui fu affidata la riforma dei libri liturgici - ; hanno riletto tutti i maggiori testi pubblicati da Roma, a partire dal Concilio Vaticano II fino alle ultime encicliche di Giovanni Paolo II; hanno interrogato i piú célebri manuali che servono per la formazione delle nuove generazioni di preti. Oggi essi dimostrano con la piú grande evidenza che l’ànima della riforma fu costituita da questa nuova nozione di «mistero pasquale». Ed è a questa scoperta che ci invitano col loro studio.

Si è scelto di limitare l’analisi liturgica proposta alla comparazione del Messale di Paolo VI (1969) con quello rivisto da San Pio V (ultima edizione tipica del 1962); non sono quindi esaminate le modifiche relative ai rituali degli altri Sacramenti. Questo perché la questione della Messa è il cuore della nostra identità sacerdotale e della nostra pietà personale. Ed è proprio là che la riforma assume tutta la sua dimensione, poiché la celebrazione del mistero eucaristico è strettamente connessa con la parte piú preziosa di noi stessi, e anche perché, per molti credenti, il volto della Chiesa si compone delle forme concrete che assume la celebrazione eucaristica. È per questo che la crisi postconciliare si focalizza attorno alla bruciante questione della Messa.

Lontani dalle passioni che animeranno questo dibattito, gli autori esàminano oggi il problema evitando ogni tono polemico, con grande serenità, affrontando il problema alla base e tentando di apportarvi alcuni chiarimenti. Con stile semplice e chiaro, il documento ci permette di introdurci progressivamente nel «mistero pasquale», cominciando con una analisi molto pertinente delle modifiche apportate alla liturgia della Messa (I parte). Segue l’esposizione sintetica della teologia del mistero pasquale, lumeggiata da una costante comparazione con le spiegazioni avanzate dalla teologia classica (II parte). Infine, un impressionante confronto tra la teologia del mistero pasquale e l’autentico insegnamento del Magistero, specialmente attraverso i testi del Concilio di Trento (III parte).

Senza giungere a presentarsi come un pesante trattato di fredda teologia, questo studio ci invita a riconsiderare meglio certe verità fondamentali della nostra fede. Partendo da una analisi vivente, e sempre metodica, delle azioni liturgiche, veniamo spontaneamente condotti a considerare tutta la loro portata teologica e dottrinale: perché, per esempio, i segni di croce sull’Ostia e sul Calice sono come scomparsi nel nuovo rito della Messa? Si vorrebbe evitare di identificare il Corpo e il Sangue di Cristo con la vittima sacrificale? Si tratterebbe allora di una Messa che è innanzi tutto presenza comunicativa del Cristo resuscitato, piuttosto che rinnovamento del sacrificio del Calvario destinato ad applicarcene i frutti, e in particolare i frutti propiziatorii? Queste domande, impertinenti sulle mie labbra, trovano nel corso del documento degli elementi di risposta proposte passo passo con serenità, con tutta l’obiettività che deriva dai commentatori ufficiali e dai testi di riferimento. Questi ultimi sono presi in esame con le precauzioni richieste: in ciascuno di essi viene pacatamente analizzato il grado di penetrazione della «teologia del mistero pasquale», di cui si scopre con dolore, alla fine della lettura, quanto essa sia condannabile e particolarmente condannata dall’autentico Magistero della Chiesa.

Allo stesso modo sono chiariti molti paradossi posti dalla riforma liturgica del 1969. Come per esempio questa riforma, uno dei cui scopi confessati era la valorizzazione della dimensione «misterica» della liturgia, abbia potuto sfociare in una tale dissacrazione dei riti piú cari alla Chiesa. Alla base di questo scacco evidente, non vi sarebbe una incompleta comprensione della natura del «mistero»? E anche su questo aspetto, vi sono delle pagine luminose che aiutano a basare la nostra riflessione; e che non sono meno dolorose. Poiché, se il senso del sacro che riveste il sacrificio eucaristico viene a difettare, entra in crisi allo stesso modo il ruolo del prete. Il prete non è piú il “datore del sacro” (sacer-dote), ma il presbitero della comunità, il “presidente dell’assemblea”. Ed allora il prete scade progressivamente al livello dell’agente pastorale, poiché il “datore del sacro” svanisce in mancanza del sacro e del sacrificio. È questo il fenomeno a cui ci ha fatto assistere l’applicazione della riforma liturgica: la lenta sparizione del prete.

In fin dei conti, questo documento dimostra come lo scacco della liturgia, oggi evidente a tutti, è in gran parte la conseguenza di una teologia deviante. È cosí che gli autori spiegano la loro non accettazione della riforma liturgica: una scelta che essi vivono ogni giorno «senza alcuna ribellione, alcuna amarezza, alcun risentimento, ma solo persuasi di non poter rendere un servizio maggiore alla Santa Chiesa Cattolica, al Sovrano Pontefice e alle generazioni future». E, soprattutto, è in questo modo che essi vogliono mettere in guardia contro quelle gravi deviazioni che attentano al tesoro della nostra fede. Recentemente, il cardinale Castrillon Hoyos ha dichiarato: «Il fenomeno di Mons. Lefèbvre è, al tempo stesso, una richiesta e un mezzo per l’esame di coscienza su come noi celebriamo l’Eucarestia, sulla maniera in cui viene espressa la fede all’inizio del terzo millennio» (30 Giorni, novembre 2000) [si veda l'intervista da noi pubblicata]. Queste pagine giungono opportune per provocare in ciascuno di noi questa riflessione. Lette, esse ci spingono ad andare ad interrogare il Signore al tabernacolo, per meglio considerare le grandi realtà che Egli ci ha affidate alla vigilia della sua Passione. Un òpera da non perdere!

Abbé Patrick de La Rocque
 
 



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