I novissimi:

l’anima umana e l’aldilà


parte nona

Il Purgatorio



di Don Curzio Nitoglia





Psiche: personificazione dell'anima


Capitolo Primo

Il Purgatorio in sé


Il Purgatorio è il luogo e lo stato in cui si trovano le anime morte in grazia di Dio ma con un resto di pena temporanea dovuta ai loro peccati e non ancora espiati.

Queste anime sono sante perché si trovano in grazia di Dio, ma devono attendere di poter entrare in Cielo, perché sono ancora in debito di pena, ed è perciò che attendono in Purgatorio il giorno del loro ingresso in Cielo.

Le anime sante del Purgatorio acquistano il diritto di entrare in Paradiso per la satispassione, cioè sopportando volentieri la pena soddisfattoria loro inflitta.

Questa verità è stata insegnata dalla Chiesa nel II Concilio di Lione (DB, 464), nel Concilio di Trento (DB, 84, 983), in quello di Firenze (DB, 693).

Oltre la pena del danno o l’attesa di poter vedere Dio faccia a faccia, la Chiesa insegna anche l’esistenza della pena del senso nel Purgatorio; infatti, le anime purganti igne cruciantur (DB, 3047, 3050) (1).


L’errore protestante

Già gli Albigesi, i Valdesi, gli Ussiti e, infine, i Protestanti negarono la dottrina del Purgatorio.

Lutero iniziò negando il valore delle indulgenze, che non possono rimettere la pena dovuta alle nostre colpe. Poi affermò che l’esistenza del Purgatorio non si trova nella S. Scrittura e infine che non tutte le anime del Purgatorio sono sicure della loro futura entrata in Cielo.

Il motivo di tutte queste negazioni, secondo Lutero, è la giustificazione per la sola fede e l’inutilità delle buone opere anche per espiare i nostri peccati e, quindi, l’inutilità del Purgatorio.

La Chiesa ha condannato solennemente quest’errore nel Concilio di Trento (DB, 807, 840).


La S. Scrittura e il Purgatorio

Nel Vecchio Testamento (II Maccabei, XII, 43-46) si legge che Giuda Maccabeo fece una colletta e la inviò a Gerusalemme per far celebrare un “sacrificio espiatorio per i morti che si erano piamente addormentati affinché fossero liberati dai loro peccati”.

Perciò, già nell’Antico Testamento, si credeva che i giusti, dopo la loro morte, possono essere aiutati dalle preghiere e dai sacrifici offerti su questa terra.

Nel Nuovo Testamento (Mt., XII, 32) si legge che “a colui che avrà peccato contro lo Spirito Santo non gli verrà perdonato né in questo secolo né in quello futuro”, ossia, certi peccati possono essere rimessi dopo la morte, se sono stati perdonati quanto alla colpa ma non ancora espiati quanto alla pena.

Inoltre, San Paolo (I Cor., III, 10-15) ci dice chiaramente che noi possiamo costruire la nostra vita spirituale su di Gesù che è il fondamento di ogni cosa.

Ora, se noi costruiamo sopra di esso non con l’oro e l’argento, ma con il legname, il fieno e la paglia, nel giorno del Signore si vedrà chiaramente la nequizia delle nostre opere, perché il fuoco proverà le opere di ognuno. Perciò, se il nostro lavoro resiste al fuoco, significa che abbiamo costruito con oro e argento e saremo premiati; invece, se le nostre opere saranno consumate dal fuoco saremo castigati; tuttavia, “saremo salvi ma passando attraverso il fuoco”.

In breve, l’Apostolo delle Genti ci dice che il cristiano che ha costruito la sua vita spirituale su Cristo e restando unito a Lui con la grazia santificante ma, ha utilizzato solo materiale scarso, ossia facendo il minimo indispensabile e con molti difetti, si salverà dal fuoco dell’inferno ma, sarà purificato da quello del Purgatorio, poiché la morte lo troverà unito a Cristo, anche se carico di pena da scontare per le sue colpe perdonate.

Molti Padri della Chiesa hanno interpretato in questo modo quest’accenno di San Paolo al fuoco (S. Basilio, S. Cirillo da Gerusalemme, S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Agostino, S. Gregorio Magno).

S. Tommaso d’Aquino (Commento alla Prima Epistola ai Corinti, III, 10-15) specifica che l’oro e l’argento sono le opere buone fatte con purezza d’intenzione; il legno e la paglia rappresentano i peccati veniali misti alle buone opere; il giorno del Signore è il giudizio particolare e poi universale; il fuoco purificatore è la tribolazione che ci affina su questa terra, quello del Purgatorio che ci purifica dopo la morte e, infine, quello della fine del mondo.


La Tradizione apostolica e il Purgatorio

Sino al quarto secolo i Padri parlano chi più chi meno del Purgatorio e quasi soltanto implicitamente. Con S. Agostino (V-VIII secolo) si passa all’affermazione esplicita dell’esistenza del Purgatorio.

Prima epoca (sino al quarto secolo) parlando della pratica universale nella Chiesa delle preghiere e della Messa offerta per i defunti, si ammette implicitamente l’esistenza del Purgatorio (Tertulliano, S. Efrem, S. Cirillo d’Alessandria, S. Epifanio, S. Crisostomo; ROUET DE JOURNEL, Enchidirion Patristicum, n. 382, 741, 852, 1109, 1206).

Inoltre alcuni di essi (Tertulliano, S. Efrem, S. Cirillo di Gerusalemme, S. Basilio e S. Gregorio Nisseno) parlano anche esplicitamente delle pene del Purgatorio.

Nel secondo periodo dal V secolo all’VIII, partendo da S. Agostino († 430) sino a S. Gregorio Magno († 640), si comincia a trattare la teologia del Purgatorio esplicitamente e sistematicamente e non solo en passant.

In questo periodo si affermano quattro grandi verità: 1°) dopo la morte è finito il tempo di meritare; 2°) esiste il Purgatorio in cui le anime giuste ma che hanno ancora un debito di pena da espiare subiscono delle pene temporali, che avranno termine; 3°) i viventi con le loro preghiere, sacrifici e suffragi possono aiutare queste anime; 4°) il Purgatorio finirà il giorno del Giudizio universale (cfr. ROUET DE JOURNEL, cit., n. 584-589).


Il Magistero della Chiesa

Il Magistero ecclesiastico ha definito questa dottrina nel II Concilio di Lione nell’anno 1274, in quello di Firenze nell’anno 1438/39 e di Trento dall’anno 1545 sino al 1563 (cfr. DB, 464, 693, 840, 983).


Le ragioni teologiche dell’esistenza del Purgatorio

Il dogma del Purgatorio può dedursi con un ragionamento che parte dalla Rivelazione di alcune verità più universali che contengono implicitamente la sua definizione specifica.

L’Aquinate ne tratta nel suo Commento alle Sentenze (libro IV, distinzione 21, questione 1 ss.).

Il ragionamento teologico che fa l’Angelico suona così: secondo la giustizia divina è necessario che colui, che muore in grazia di Dio, con la contrizione dei suoi peccati, perdonati quanto alla colpa, ma senza aver ancora scontato la pena temporale, deve scontarla nell’altra vita. Perciò, bisogna che l’anima di questi defunti con una certa pena da pagare, la paghi soffrendo nell’altra vita.

Ci sono alcuni esempi di questa verità già nel Vecchio Testamento. Per esempio, Adamo fu perdonato quanto alla sua colpa ma dovette continuare a lavorare la terra col sudore della sua fronte (Sap., X, 1); inoltre, Mosè in punizione della sua colpa già perdonata di aver battuto due volte il suo bastone contro la roccia, non poté entrare nella terra promessa (Num., XX, 11). 

La prossima puntata sarà dedicata a studiare la pena del senso nel Purgatorio.




NOTA

1 - Cfr. L. BILLOT, De Novissimis, Roma, Gregoriana, 1921; A. PIOLANTI, De Novissimis, Roma/Torino, Marietti, 1950; ID., voce Purgatorio, in Enciclopedia Cattolica; ID., La Comunione dei Santi e la Vita Eterna, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1957.






 
ottobre 2023
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