I novissimi:

l’anima umana e l’aldilà


parte decima

Il Purgatorio



di Don Curzio Nitoglia





Psiche: personificazione dell'anima


Capitolo Secondo

La pena del senso




La dottrina cattolica

San Tommaso d’Aquino (S. Th., I-II, q. 87, a. 4) spiega che con il peccato l’uomo s’allontana da Dio e si volge verso la creatura che viene preferita a Dio. Il peccato mortale merita, perciò, una doppia pena: la privazione di Dio (pena del danno) e l’afflizione che proviene dalla creatura (pena del senso).


C’è Il fuoco nel Purgatorio?

La pena del senso nel Purgatorio è dottrina certa nella Chiesa cattolica d’Occidente e d’Oriente; tuttavia, i Greci scismatici, pur ammettendo l’esistenza di questa pena del senso, negano l’esistenza del fuoco del Purgatorio, mentre ammettono quello dell’inferno. Occorre ammettere che il Concilio di Firenze, che si è occupato della questione dei Greci scismatici, non ha condannato quest’opinione; però, i teologi latini ammettono, comunemente, l’esistenza del fuoco nel Purgatorio, che secondo loro costituisce l’essenza della pena del senso (DB, 3047, 3050).

San Roberto Bellarmino e Francisco Suarez insegnano che l’esistenza del fuoco nel Purgatorio è meno certa di quella dell’inferno; tuttavia, essa dev’essere ritenuta sentenza probabilissima, quasi certa; mentre l’opinione contraria è fortemente improbabile.

Infatti, v’è il consenso unanime dei teologi scolastici, di alcuni dei maggiori Padri ecclesiastici (1) , della Liturgia, che prega per ottenere per le anime purganti “il refrigerio del calore, dell’arsura”; l’interpretazione comune del verso della Prima Epistola ai Corinti (XIII, 15), in cui si parla di fuoco.

Tutti questi autori affermano che questo fuoco è reale e corporale, proprio come quello dell’inferno.

Tuttavia, come può un fuoco corporale far soffrire un’anima spirituale? (l’obiezione è la stessa che abbiamo studiato nell’articolo sull’inferno). L’Aquinate (S. c. Gentes, lib. IV, cap. 9; S. Th., III, q. 70, a. 3) risponde che il fuoco agisce sull’anima, non per virtù propria, ma come strumento di cui si serve la giustizia di Dio. Tuttavia, questo modo d’agire del fuoco purgante resta misterioso. Si può dire che esso lega l’anima e la rende prigioniera, impedendole d’agire come vorrebbe e l’umilia rendendola schiava d’un elemento corporale.


Accettazione volontaria della sofferenza nel Purgatorio

Quest’accettazione volontaria purifica l’anima da ogni egoismo e amor proprio. Questa sofferenza è paragonata, da padre Reginaldo Garrigou-Lagrange, a quella di una “persona paralizzata, che non può fare i movimenti che lei vorrebbe fare” (L’altra vita e la profondità dell’anima, cit., p. 133).

Inoltre, il grande teologo domenicano, citando San Tommaso d’Aquino (S. contra Gentes, lib. IV, cap. 90; S. Th., Suppl., q. 70, a. 3), sostiene che l’anima purgante vuole liberamente sopportare queste pene, come mezzo imposto dalla giustizia di Dio, per arrivare a cogliere il Fine ultimo: la visione beatifica del Signore.

Quest’accettazione volontaria della sofferenza purifica a fondo la radice dell’anima da ogni egoismo e amor proprio. Le purificazioni passive (notti dei sensi e dello spirito) trovano nel Purgatorio la loro perfezione, poiché l’anima da sola non avrebbe avuto il coraggio d’infliggersi una tale pena.  

Le anime purganti (S. Th., Suppl., q. 70, a. 5) soffrono soltanto da parte della giustizia divina; esse non patiscono nulla da parte dei demoni, perché hanno già riportato vittoria sopra di essi, essendo morte in grazia di Dio; anzi, Dio non si serve neppure del ministero degli angeli buoni per questa purificazione dolorosa.

Il luogo in cui è sito il Purgatorio non è determinabile con certezza, perché la Rivelazione non è esplicita su quest’oggetto. È soltanto un’opinione la teoria che il Purgatorio sia sito a fianco dell’Inferno al centro della terra.


La durata del Purgatorio


Inoltre, per quanto riguarda la durata, le sofferenze del Purgatorio da una parte diminuiscono poco a poco, poiché le reliquie del peccato scompaiono progressivamente dall’anima purgante; tuttavia, dall’altra parte, le sofferenze aumentano, perché nell’anima cresce il desiderio di unirsi a Dio in Paradiso.

La durata del Purgatorio non è il nostro tempo continuo, ma gli somiglia poiché c’è una successione di pensieri e sentimenti misurati da un tempo discontinuo, in cui ogni pensiero ha per misura un istante spirituale seguìto da un altro (S. Th., I, q. 10, a. 5, ad 1um). Tuttavia, occorre specificare che un istante spirituale del Purgatorio normalmente dura più giorni del nostro tempo solare su questa terra. 

Il Purgatorio durerà sino alla fine del mondo come ha definito la Chiesa (DB, 464, 693, 3035, 3047, 3050), fondandosi sulla S. Scrittura: “Questi andranno al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna” (Mt., XXV, 46).

Tuttavia, per quanto riguarda la sua durata per la singola anima, bisogna dire che la pena sarà tanto più lunga o più intensa quanto l’espiazione della colpa maggiore o minore lo richiederà. Così, qualcuno può restare più a lungo in Purgatorio ma, soffrire meno intensamente di un altro che soffrirà in maniera più intensa (IV Sent., dist. 21, q. 1, a. 3).


Lo stato delle anime nel Purgatorio

L’anima nel Purgatorio è separata dal suo corpo quindi non conserva più le operazioni sensibili; tuttavia, ha ancora l’intelletto e la volontà di cui essa usa e, dunque, può conoscere e provvedere verso le necessità delle persone rimaste sulla terra, che avevano avuto con essa un rapporto speciale. 

Inoltre, avendo subìto il giudizio particolare, esse sono sicure della loro salvezza eterna (S. Th., II-II, q. 18, a. 4). Per questo motivo si chiamano anime sante del Purgatorio.


Scomparsa delle conseguenze dei peccati già perdonati

La dottrina comunemente insegnata nella Chiesa è che dopo il peccato, se l’anima si pente con dolore perfetto (amor di Dio) e con il desiderio di confessarsi, essa non è più nello stato di volontario allontanamento da Dio, ossia di dannazione (S. Th., III, q. 86, a. 5); tuttavia, normalmente resta in essa una disposizione difettosa che la porta verso un bene creato in maniera leggermente disordinata, come succede con il peccato veniale; però, questa disposizione è conciliabile con lo stato di grazia santificante.

Queste disposizioni leggermente difettose, in teologia, sono chiamate “resti del peccato”: esse sono indebolite dallo stato di grazia, non dominano più nell’anima del giusto, ma restano in potenza; ossia sono come il fomite del peccato, che spinge l’uomo al male morale senza obbligarvelo. 


fuoco (S. Basilio, S. Cirillo da Gerusalemme, S. Girolamo, S. Ambrogio, S. Agostino, S. Gregorio Magno).

Ora, i teologi si chiedono se queste tendenze disordinate, che su questa terra scompaiono dopo un certo periodo di lotta e di mortificazione, all’entrata nel Purgatorio scompaiano immediatamente?

L’opinione di San Tommaso d’Aquino è negativa (IV Sent., d. 21, q. 1, a. 3); infatti, i resti o reliquie del peccato derivano dal radicamento di esso nel soggetto, perciò la pena non li cancella d’un sol tratto, ma li elimina progressivamente. Dunque, la scuola tomista ritiene che, mentre il peccato veniale viene cancellato, immediatamente all’entrata nel Purgatorio, le reliquie del peccato scompaiono soltanto progressivamente.

L’Aquinate (S. Th., Suppl., a. 4-8) insegna che nel Purgatorio le anime accettano volontariamente le pene e ciò ottiene loro la remissione del loro debito di pena dovuto alle loro colpe. Tuttavia, mentre sulla terra la soddisfazione è anche meritoria, nel purgatorio non lo è più.

Inoltre, la soddisfazione è non solo accettata volontariamente dall’anima purgante, ma è anche offerta a Dio tramite un’ardente carità. Infatti, le anime sante del Purgatorio offrono a Dio il loro dolore. Sulla terra queste anime non avrebbero mai avuto tanta generosità da imporsi tali sofferenze, ma in Purgatorio le offrono come espiazione con tutto lo slancio del loro amore verso Dio ed è quest’amore che purifica i resti del peccato. 


Nella prossima puntata vedremo la pena del danno nel Purgatorio.




NOTA

1 - S. Agostino (De civ. Dei, LXXI, c. 26); S. Gregorio Magno (Dial., lib. IV, cap. 39, 45); S. Cipriano, S. Basilio e S. Cesario.






 
ottobre 2023
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