I novissimi:

l’anima umana e l’aldilà


parte dodicesima

Il Cielo

prima sezione

Esistenza del Paradiso



di Don Curzio Nitoglia





Psiche: personificazione dell'anima


INTRODUZIONE

Il Paradiso è il luogo e lo stato della somma beatitudine o felicità.

Se Dio non avesse creato il corpo ma solo lo spirito, il Cielo non sarebbe un luogo che contiene un locato (corpo), ma solo uno stato come quello degli angeli che godono il possesso di Dio.

Invece, il Cielo è anche un luogo in cui si trova l’umanità di Gesù (dopo l’Ascensione), della Madonna (dopo l’Assunzione) e - alla fine del mondo - di tutti i giusti risorti.


L’ESISTENZA DEL CIELO

È verità di fede, definita da Benedetto XIII, che «le anime di tutti i santi, nei quali non c’è più debito di pena da purificare, sono in Cielo, anche prima della risurrezione dei corpi e del giudizio universale; esse vedono l’Essenza divina con una visione intuitiva e faccia a faccia, senza l’intermediario di nessuna creatura, inoltre, esse - tramite questa visione - godono dell’Essenza divina (Visione beatifica) …, sono pienamente felici, hanno la vita e il riposo eterni» (DB, 530).

Il Concilio di Firenze (DB, 693) insegna, in maniera più concisa, che «le anime in stato di grazia santificante, dopo essersi totalmente purificate, entrando in Cielo vedono chiaramente Dio uno e trino com’è in Se stesso, in una maniera più o meno perfetta secondo la diversità dei loro meriti».


L’ANTICO TESTAMENTO

Nel Vecchio Testamento si trova una rivelazione progressiva sulla ricompensa dei giusti dopo la loro morte. Nei primi libri di esso si trova una rivelazione abbastanza oscura sulla Visione beatifica, poiché l’Antico Testamento non è coordinato immediatamente alla vita eterna, ma soltanto alla venuta del Salvatore promesso, che solo dopo la sua Risurrezione aprirà ai giusti le porte del Paradiso. Questa è la grande differenza tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, ove l’espressione “vita eterna” è frequente, mentre è assai rara nel Vecchio Testamento.

Nel Vecchio Testamento si distingue la rivelazione sulla vita eterna che precede i Profeti da quella post-profetica. Ora, a) prima dei Profeti, si legge che le anime dei giusti discendono nello “sheol”, ove non possono meritare più.

Invece, b) i Profeti parlano più chiaramente della ricompensa riservata ai giusti dopo la morte (Is., LXV, 17; Dan., II, 44; Sap., III, 1-9; Sal., X, 7).


IL NUOVO TESTAMENTO

Il Nuovo Testamento è l’annuncio prossimo del regno dei cieli, dove “i puri di cuore vedranno Dio” e “saranno simili agli angeli che vedono la faccia del Padre” (Mt., V, 3-8). San Paolo parla di “visione faccia a faccia” (I Cor., XIII, 8). San Giovanni rivela che «noi saremo simili a Dio, perché lo vedremo tal quale Egli è» (I Ep. Jo., III, 2). Infine, nell’Apocalisse leggiamo che «gli eletti di Dio lo serviranno e lo vedranno faccia a faccia» (XXII, 1-4).


LA TRADIZIONE APOSTOLICA


Già i Padri apostolici (cfr. ROUET DE JOURNEL, Enchiridion patristicum, nn. 606-612) hanno insegnato chiaramente, fondandosi sulla S. Scrittura, l’esistenza della visione beatifica.

Sant’Ignazio d’Antiochia ha trattato questa verità a lungo e in più riprese (Ad Rom., II, 2; Ad Eph., X, 1; Ad Smyrn, IX, 2).

Il millenarismo insegnava che i giusti sarebbero entrati in Cielo solo dopo la risurrezione finale e il giudizio universale, ma non dubitava affatto dell’esistenza del Paradiso; inoltre, molti Padri dei primi secoli (S. Ireneo, S. Ippolito, Origene, S. Giovanni Crisostomo, S. Cipriano e S. Agostino) affermavano che le anime dei martiri, sùbito dopo la morte, gioiscono della visione e del possesso di Dio.


POSSIBILITÀ ED ESISTENZA DELLA VISIONE BEATIFICA

Durante il XIII secolo, alcuni eretici (p. es. Amaury de Bêne) sostenevano che sia l’intelletto umano sia quello angelico non hanno la capacità di vedere direttamente Dio, anche con l’aiuto della grazia e della gloria.

All’opposto, i Begardi insegnavano che la Visione beatifica è dovuta alla natura umana, che non abbisogna della luce soprannaturale per vedere Dio faccia a faccia come Lui stesso sui vede (DB, 475).

La Chiesa, invece, insegna che la Visione beatifica è la vista immediata dell’Essenza di Dio ed è essenzialmente soprannaturale (DB, 530).


L’ESISTENZA DELLA VISIONE BEATIFICA E LA RAGIONE UMANA

La ragione umana con le sue sole forze naturali non può dimostrare l’esistenza della Visione beatifica, perché questa è un dono gratuito che dipende dal libero arbitrio di Dio e non è dovuto alla nostra natura né a quella angelica (cfr. condanna di Baio, DB, 1001-1024).

Infatti, l’oggetto della Visione beatifica è lo stesso oggetto della conoscenza increata di Dio, che per ciò stesso sorpassa l’oggetto naturale di ogni intelligenza creata, che è infinitamente inferiore a Dio.

Secondo i teologi (specialmente i tomisti), la ragione, con le sue sole forze, non può neppure provare con certezza e positivamente la possibilità della Visione beatifica, che è essenzialmente soprannaturale, come la grazia che essa suppone (“gratia est semen gloriae”).

Come i misteri della SS. Trinità e dell’Incarnazione la possibilità della Visione beatifica sorpassa il campo del dimostrabile. La Visione beatifica - come la grazia santificante e il Lume della gloria - è soprannaturale per la sua essenza stessa. Perciò, la Visione beatifica sorpassa la portata delle nostre dimostrazioni razionali (DB, 1816).

Tuttavia, vi sono delle ragioni di convenienza della possibilità della Visione beatifica.

L’Aquinate (S. Th., I, q. 12, a. 1) espone tale convenienza nei seguenti termini: «Vi è nell’uomo un desiderio naturale di conoscere la causa quando vede l’effetto. Perciò, se l’intelletto non può arrivare a conoscere la Causa prima di ogni ente, questo desiderio naturale rimarrà insoddisfatto e vi sarà una certa meraviglia sinché la causa non è conosciuta».

Inoltre (S. Th., I-II, q. 3, a. 8), l’Angelico spiega in maniera ancor più precisa: «L’oggetto dell’intelligenza umana è l’essenza o la natura degli enti. Perciò, l’intelletto s’avvicina tanto più alla sua perfezione quanto più conosce l’essenza degli enti». Così, «quando conosciamo un effetto, sorge in noi un desiderio naturale di conoscere l’essenza della sua causa. Perciò, se non possiamo arrivare a conoscere l’essenza della Causa prima ma solo la sua esistenza, questo desiderio naturale non sarà pienamente soddisfatto e l’uomo non sarà completamente felice» (cfr. anche S. c. Gent., Lib. III, cap., 50).

Il desiderio naturale di conoscere la Natura di Dio non è naturalmente efficace; ossia, non è un’esigenza dell’uomo, poiché la Visione beatifica è un dono gratuito come quando il contadino desidera la pioggia, se Dio gliel’accorda (R. GARRIGOU-LAGRANGE, De Deo uno, Torino, Marietti, 1938, pp. 264-269; ID., De Revelatione, Roma, Ferrari, 1918, t. I, pp. 384-430).  

Questo desiderio naturale di vedere Dio ci fornisce un serio argomento di convenienza a favore dell’esistenza della Visione beatifica, ma non prova in maniera positiva e dimostrativa neppure la semplice possibilità di essa, poiché la Visione beatifica è essenzialmente soprannaturale, come la grazia e il Lumen gloriae, che essa presuppone ed esige; perciò, voler dimostrare la sua possibilità sarebbe come pretendere di dimostrare con certezza la possibilità della grazia e del Lume della gloria, che invece sorpassano la sfera del dimostrabile, come la grazia sorpassa la natura.

Tuttavia, quest’argomento prova che nessuno può affermare l’impossibilità della Visione beatifica.

I filosofi con la sola ragione naturale possono dimostrare con certezza l’esistenza di Dio, Causa prima e i suoi principali attributi (Bontà e Giustizia…). Tuttavia, è eminentemente oscuro conciliare gli attributi divini, specialmente la Misericordia e la Giustizia, l’Onnipotenza e la permissione del male… Da ciò nasce il desiderio di vedere la faccia di Dio, desiderio che è naturale (la natura dell’uomo lo ha), inefficace (non abbiamo la capacità di soddisfarlo) e condizionato (lo possediamo in atto solo a condizione che Dio ce lo conceda).

Infatti, soltanto la visione dell’Essenza di Dio mostrerebbe l’intima conciliazione di attributi apparentemente per noi assai diversi (Immutabilità e Libertà, Giustizia e Misericordia, Onnipotenza e permissione del male).

Nell’uomo si trova un desiderio naturale di vedere il volto di Dio. Se lo si considera, anche, come procedente pure dalla grazia (seconda natura), che fa da base alla Fede, Speranza e Carità; allora, siccome la grazia è germe di gloria, questo germe tende al suo perfetto sviluppo. Perciò, se si riceve il dono della grazia e si è fedeli a essa, allora il desiderio di vedere Dio, sarà soddisfatto dalla Bontà divina e passerà all’atto.   

Gesù ha promesso formalmente: «Colui, che crede in Me (con la Fede vivificata dalla Carità) ha la vita eterna» (Giov., III, 36). Insomma, egli ha già la vita eterna, ma soltanto iniziata; infatti, la Fede infusa tende alla Visione che noi speriamo sin da quaggiù.

Infatti, la vita della grazia santificante, la Fede, la Speranza e la Carità che si trovano nell’uomo giustificato devono per la loro stessa natura durare eternamente. Tuttavia, occorre mettere in conto la fragilità del vaso che le contiene (II Cor., IV, 7), il quale spesso si spezza e le perde per propria colpa. Infatti, certe volte la volontà del giusto si allontana da Dio col peccato mortale.

Tuttavia, nonostante queste infedeltà quaggiù, la vita della grazia è sostanzialmente la stessa che la vita della gloria del Paradiso. Proprio come la vita della ghianda è, allo stato iniziale, della stessa natura della vita della quercia pienamente sviluppata.

Sant’Agostino esprimeva questo desiderio di Dio, scrivendo: «Fecisti nos, Domine, ad Te et irrequietum est cor nostrum dones requiescat in Te» (Confess., Lib. I, cap. 1)  


continua




 
novembre 2023
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